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title: "Arhitekt kot intelektualec"
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Izpiski iz Marco Biraghi, *L'architetto come intellettuale*
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[@biraghi2019larchitetto]
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...
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::: {lang=it}
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> > Ma ciò che ci appare necessario è sempre anche altamente improbabile.
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> >
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> > *Massimo Cacciari*
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## Introduzione
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La constatazione della crisi dell'intellettuale nell'epoca contemporanea è ormai
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talmente diffusa e generalizzata da essere divenuta un luogo comune; un
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argomento oggetto di facili ironie[^i1] e oggi quasi "di moda", non fosse che
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l'intellettuale in quanto tale raramente si lascia rapportare alla moda.
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In realtà, la crisi dell'intellettuale ha origini ben più lontane e profonde,
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tanto da aver generato, a partire dalla seconda metà del Novecento, una lunga
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serie di diagnosi al capezzale del malato, vuoi per prescrivergli possibili
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rimedi, vuoi per preconizzarne il decesso ormai prossimo[^i2].
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Come tutto ciò che viene insistentemente osservato o ripetuto, anche la
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categoria di "intellettuale" ha perduto, nel corso del tempo, il suo contenuto,
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o piuttosto ha visto progressivamente venir meno il suo senso, finendo per
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apparire un corpo svuotato. Lasciando da parte antichi e nuovi pregiudizi, per
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cercare di comprendere che cosa sia l'intellettuale, e quale possa essere il suo
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eventuale ruolo -- e, più nello specifico, quale possa essere il ruolo
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dell'architetto inteso come intellettuale -- nel mondo attuale, è opportuno
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ripartire dalla "classica" analisi fatta da Antonio Gramsci[^i3]. Per questi,
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innanzitutto, "tutti gli uomini sono intellettuali", anche se "non tutti gli
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uomini hanno nella società la funzione di intellettuali"[^i4]. Da ciò deriva che
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"non si può parlare di non-intellettuali, perché non-intellettuali non esistono.
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(...) Non c'è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento
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intellettuale, non si può separare l'*homo faber* dall'*homo sapiens*"[^i5].
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Questa precisazione (o questa non-distinzione) risulta fondamentale per non
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confinare la categoria dell'"intellettuale" all'interno di una gabbia separata,
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dorata o meno che sia.
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> Ogni uomo (...), all'infuori della sua professione esplica una qualche
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> attività intellettuale, è cioè un "filosofo", un artista, un uomo di gusto,
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> partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta
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> morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del
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> mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare[^i6].
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Il problema semmai per Gramsci consiste nella "creazione di un nuovo ceto
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intellettuale" che sia capace di
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> ... elaborare criticamente l'attività intellettuale che in ognuno esiste in un
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> certo grado di sviluppo, modificando il suo rapporto con lo sforzo
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> muscolare-nervoso verso un nuovo equilibrio e ottenendo che lo stesso sforzo
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> muscolare-nervoso, in quanto elemento di un'attività pratica generale, che
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> innova perpetuamente il mondo fisico e sociale, diventi il fondamento di una
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> nuova e integrale concezione del mondo[^i7].
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In questo senso Gramsci, al di là della figura dell'intellettuale
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"tradizionale", appartenente a una "categoria sociale cristallizzata"[^i8] e
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legato alle funzioni culturali più consuete, vede un terreno d'azione più
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fertile per l'intellettuale nell'applicazione diretta di questi allo "sviluppo
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delle forme reali di vita"[^i9]:
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> Nel mondo moderno l'educazione tecnica, strettamente legata al lavoro
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> industriale anche il più primitivo o squalificato, deve formare la base del
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> nuovo tipo di intellettuale.
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Di conseguenza,
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> ... il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere
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> nell'eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni,
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> ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore,
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> organizzatore, "persuasore permanentemente".
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Con l'ulteriore avvertenza che tale tipo di intellettuale deve altresí
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oltrepassare la "tecnica-lavoro" per giungere "alla tecnica-scienza e alla
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concezione umanistica storica, senza la quale si rimane "specialista"".
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Non è un caso che per Gramsci l'effetto più immediato di tale ingresso nel mondo
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tecnico-scientifico (ma anche storico-umanistico) da parte degli intellettuali
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sia la relazione che questi istituiscono con la politica. Politica da intendersi
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nel senso più originario, come *technē politikē*, come arte-tecnica di indirizzo
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e gestione della *polis*, e più in generale della cosa pubblica. Se ciò dapprima
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produce una classe di "intellettuali di partito" "pronti a piegarsi in caso di
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necessità all'ineludibile disciplina richiesta dalla tattica e
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dall'organizzazione", come rileva Habermas[^i10], in seguito -- e in particolare
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dopo il termine del secondo conflitto mondiale -- le cose cambieranno:
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> Gli intellettuali che si imposero dopo il 1945 -- come Camus e Sartre, Adorno
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> e Marcuse, Max Frisch e Heinrich Böll -- assomigliavano ai modelli più antichi
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> di scrittori e professori che assumevano sí posizioni di parte, ma non erano
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> politicamente legati a nessun partito. Cogliendo una data occasione, senza
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> essere stati richiesti o averlo concordato con qualcuno, essi si inducevano,
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> al di là della loro professione, a fare un uso pubblico del loro sapere
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> professionale. Senza pretendere alcuno *status* elitario, non si richiamavano
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> ad altra legittimazione che non fosse il loro ruolo di cittadino di uno Stato
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> democratico[^i11].
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All'interno dei rapporti tra intellettuali e politica -- cosí come ovviamente di
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quelli tra intellettuali e mondo della tecnica -- rientra a pieno titolo anche
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la figura dell'architetto. Vale la pena forse citare a questo proposito quanto
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scriveva Manfredo Tafuri nelle pagine finali di *Progetto e utopia*:
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> La riflessione sull'architettura, in quanto critica dell'ideologia concreta,
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> "realizzata" dall'architettura stessa, non può che (...) raggiungere una
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> dimensione specificamente politica. È solo a questo punto -- dopo, cioè, aver
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> fatto ragione di ogni ideologia disciplinare -- che è lecito riproporre il
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> tema dei ruoli nuovi del tecnico, dell'organizzatore dell'edilizia, del
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> *planner*, nell'ambito delle nuove forme dello sviluppo capitalistico. E
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> quindi, delle tangenze possibili o delle inevitabili contraddittorietà fra
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> tale tipo di lavoro tecnico-intellettuale e le condizioni materiali della
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> lotta di classe[^i12].
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Quest'ultimo accenno non deve far perdere di vista l'attualità della notazione
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tafuriana. Il fatto che oggi la "lotta di classe" possa apparire un reperto
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archeologico (questione che verrà ridiscussa più oltre) non deve indurre l'idea
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che la relazione tra architetti e politica sia venuta meno; e lo stesso vale per
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quella tra architetti e sfera intellettuale.
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Che l'architetto sia un intellettuale è cosa evidente non soltanto nell'ottica
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della distinzione gramsciana tra "sforzo di elaborazione intellettuale-cerebrale
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e sforzo muscolare-nervoso"[^i13]: lo è anche in un senso immediatamente
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intuitivo, almeno per "noi moderni". Ed è probabilmente inutile rispolverare le
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vecchie analisi marxiste sulla separazione tra lavoro intellettuale e lavoro
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manuale[^i14] per affermare qualcosa che risulta di per sé sufficientemente
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chiaro. Del resto, già la celeberrima definizione datane da Vitruvio ("Et ut
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litteratus sit, peritus graphidos, eruditus geometria, historias complures
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noverit, philosophos diligenter audierit, musicam scierit, medicinae non sit
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ignarus, responsa iurisconsultorum noverit, astrologiam caelique rationes
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cognitas habeat")[^i15] fa emergere il carattere iperintellettuale della
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preparazione dell'architetto, una somma di conoscenze "tecnico-scientifiche" e
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"storico-umanistiche", per dirla con le parole di Gramsci.
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> Il sapere dell'architetto è ricco degli apporti di numerosi ambiti
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> disciplinari \[o "specialismi", come li si denominerebbe oggi\] e di
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> conoscenze relative a vari campi, e al suo giudizio vengono sottoposti i
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> risultati prodotti dalle altre tecniche[^i16].
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Proprio quest'ultima considerazione vitruviana illumina il senso che ha per lui
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tale accumulazione di saperi, e di conseguenza il ruolo rivestito
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dall'architetto: non tanto quello dell'erudito, del multi-*connoisseur* fine a
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se stesso, quanto piuttosto quello del coordinatore, del supervisore, del
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regista (dal latino *regere*, dirigere); tutte attività per le quali necessita
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-- al di là delle singole competenze -- il possesso di uno sguardo ampio e di
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una visione sintetica. Una comprensione e un'organizzazione di molti elementi
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contemporaneamente, per le quali sono appunto richieste spiccate capacità
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intellettuali.
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E tuttavia, se l'architetto possiede storicamente una vocazione intellettuale,
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ciò non significa che il suo non sia anche -- e molto -- un lavoro manuale.
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Basti solo pensare al disegno, o a tutte le attività che stanno dietro, e
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*dentro*, il compimento di un'opera di architettura, e che prevedono per
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l'appunto l'erogazione di un lavoro ri-produttivo, vale a dire non squisitamente
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produttivo o "creativo"[^i17]. All'interno di questa pluralità di attività svolte
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dall'architetto, l'attività intellettuale non è distinguibile come una
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dimensione isolata e specifica: piuttosto, si tratta della modalità generale
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entro cui questi *comprende* tutte le proprie attività, incluse quelle manuali
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come, appunto, il disegno (per Filarete "fondamento e via d'ogni arte che di
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mano si faccia"[^i18], vale a dire strumento per comunicare l'"idea"). Una
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modalità di *comprehendere* (letteralmente, di mettere insieme i particolari
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aspetti sensibili che una molteplicità di entità hanno tra loro in comune) che
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definisce in quanto tale il suo operare da architetto, ma che alcuni tra loro
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dimostrano di possedere in maniera più accentuata di altri. E lo stesso vale
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anche per alcune epoche. Ad esempio, in Italia -- dalla metà degli anni
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cinquanta fino all'incirca alla metà degli anni settanta, come si vedrà meglio
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più oltre -- la spiccata attitudine degli architetti a pensare e ad agire come
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intellettuali ha fortemente influenzato, nel bene e nel male, il quadro
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complessivo dell'epoca: da un lato concorrendo a dar vita a uno dei momenti più
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fecondi della recente storia disciplinare italiana, mediante la produzione di
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alcuni edifici di altissima qualità, cosí come con l'elaborazione di altrettanto
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fondamentali contributi teorici; dall'altro facendo fin troppo spesso astrazione
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dal campo di applicazione concreto dell'architettura, e dando cosí spazio al
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fiorire -- avvenuto precisamente in quel periodo -- della speculazione
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edilizia[^i19] e al compiersi di un vero assalto ai territori italiani, di cui
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proprio la parte migliore dell'architettura italiana, arroccata in una posizione
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di aristocratica "separatezza", ha finito per rendersi involontariamente
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complice.
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Sono probabilmente i cascami di questa stagione della cultura architettonica
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italiana, intensa ma contraddittoria, ad aver lasciato in eredità alle fasi
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storiche successive -- in particolar modo nel nostro paese -- un'idea di
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architetto come prototipo per eccellenza dell'intellettuale fumoso e
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inconcludente: una sorta di Fuffas *ante litteram*, una figura un po' ridicola e
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un po' patetica, autoreferenziale e incapace di rapportarsi alla realtà. Questo
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modello pur parodistico dell'architetto intellettuale ha però sicuramente
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giocato un ruolo nella scarsa considerazione di cui la categoria nel suo
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complesso ha goduto in Italia nello scorso cinquantennio, e fors'anche nella
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collettiva "ritirata" degli architetti da posizioni di impegno politico e
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sociale, vale a dire, in una parola sola, intellettuale.
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D'altronde, la crisi dell'architetto intellettuale (cosí come quella
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dell'intellettuale *tout court*) va di pari passo con la crisi più generale --
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ed epocale -- di un sistema di valori a cui tradizionalmente il mondo degli
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intellettuali si rifaceva. E ciò su scala planetaria, non certo solo locale. Ed
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è sintomatico che sia proprio un architetto intellettuale -- Tomás Maldonado,
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d'origini argentine ma con lunghe frequentazioni europee e italiane -- a tornare
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a interrogarsi, nel 1995, sul mutevole significato della figura
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dell'intellettuale nel corso del tempo e sul suo incerto destino in quello
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attuale[^i20]. Un'incertezza (o una "crisi d'identità")[^i21] che troverebbe una
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sua spiegazione, tra le altre possibili, nella "democratizzazione del sapere" e
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nella diffusione generalizzata del lavoro intellettuale (e -- andrebbe aggiunto
|
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-- nell'elevata taylorizzazione e proletarizzazione subita dai lavoratori di
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tali settori), che avrebbe come effetto la crescita smisurata di un "pensiero
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operante", vale a dire direttamente applicato ai contesti produttivi e
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comunicativi. Ciò che non impedisce tuttavia a Maldonado di chiudere la sua
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analisi sulle note di una "sorprendente" speranza in merito alla possibilità di
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una futura rinascita di un "pensiero discorrente", dialogico, capace in ultima
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analisi di tornare a "scompaginare (...) l'appiattimento della nostra visione
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del mondo"[^i22].
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Gli eventi, almeno per il momento, non sembrano aver dato ragione alle attese di
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Maldonado. Il generalizzato ritorno in auge, in tempi più recenti,
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dell'architetto come professionista, ovvero come figura "semplicemente" dotata
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di capacità tecniche e di competenze specifiche, e disinteressata invece allo
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sviluppo di un proprio pensiero teorico, sembra segnare un cambio di tendenza
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dal significato apparentemente inequivocabile e forse irrevocabile. Di ciò
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potrebbe costituire un'ulteriore conferma, da vent'anni circa a questa parte,
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l'imporsi del fenomeno dell'*archistar* (o *star architect*, o
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*starchitect*)[^i23]: una nuova forma di celebrità fortemente mediatizzata che
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non ha paragoni con quella sperimentata da architetti di epoche precedenti, e
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che assimila invece l'architetto contemporaneo ad altri protagonisti dello *show
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business* globale (attori, personaggi televisivi, sportivi, ecc.). Una notorietà
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originata assai più dall'aspetto spettacolare e sorprendente dei loro edifici
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che non dalla comprensione (ma in fondo si potrebbe anche dire: dalla
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sussistenza stessa) del loro "messaggio".
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Le conseguenze di questo fenomeno, anche dopo che esso pare avere ormai superato
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la sua fase più acuta, non hanno tardato a farsi sentire: l'architettura, nel
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corso degli ultimi due decenni, sembra avere accresciuto la propria popolarità
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presso un pubblico sempre più allargato. Non che ovviamente l'architettura di
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oggi sia più conosciuta o studiata di quella delle epoche precedenti: piuttosto,
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essa pare essere entrata nell'orizzonte percettivo di persone che per il resto
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continuano a non occuparsene affatto, almeno in maniera diretta e cosciente.
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Se tale impressione corrisponde effettivamente alla realtà, ciò è da far
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risalire, oltreché alla sporadica capacità dell'architettura attuale di
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"scandalizzare" i ben (poco) pensanti, a quella di dare forma e sostanza --
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almeno in apparenza -- ai "desideri" della società contemporanea, vale a dire di
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rispondere soddisfacentemente alle sue "attese". Il discorso in realtà è un po'
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più complicato. Affermare che nel corso della sua storia l'architettura sia
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sempre stata espressione delle società in cui si è sviluppata è una verità tanto
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ovvia da rischiare di essere confutabile. Nella *polis* greca, il tempio, il
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teatro, persino gli edifici sportivi (si pensi a Olimpia, a Nemea o a Epidauro),
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ben al di là dall'essere semplici contenitori di funzioni sociali, svolgevano il
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ruolo di riattivatori rituali di un fondamento rimosso da cui l'intera comunità
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originava. Nella città romana (soprattutto con l'espansione imperiale), gli
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edifici e gli spazi pubblici si facevano portatori di un messaggio politico che
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non era affatto espressione della realtà in cui si inserivano. Nella città
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rinascimentale, gli edifici rappresentavano frammenti di un ordine dotato di una
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ben precisa funzione ideologica, che spesso però è entrato in conflitto con la
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città precedente. E altrettanto si potrebbe dire delle altre epoche.
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Rispetto alle attese cui architettura e città hanno saputo rispondere nel corso
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del Novecento (per la gran parte attese di tipo sociale: richieste di abitazioni
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per tutti, di servizi sociali, di spazi pubblici), quelle odierne possiedono un
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carattere ben diverso. In realtà non tanto diverso da risultare imprevedibile.
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Lo spazio della città, nella storia, è stato teatro di una continua "contesa"
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tra idee di suo uso addirittura opposte:
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> Da un lato la città come un luogo di *otium*, luogo di scambio umano,
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> sicuramente fattivo, attivo, intelligente, una dimora insomma, e da un altro
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> il luogo dove poter sviluppare nel modo più efficace i *nec-otia*[^i24].
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Oggi all'architettura (e alla città) sembra non si chieda nulla di più che dar
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forma visibile e tangibile ai *negotia*, agli affari, vale a dire a quello
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"spirito commerciale" cui sono improntate nel modo più profondo e completo le
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società -- e all'interno di esse, le *vite* -- occidentali[^i25]. Ciò non va
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inteso in un senso ristretto, limitatamente a quegli spazi destinati alla
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vendita di cui pure gli architetti nell'ultimo secolo si sono intensamente
|
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occupati[^i26]. Piuttosto, svettanti grattacieli e sfavillanti shopping center --
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||
ma anche edifici per l'intrattenimento e il tempo libero variamente concepiti --
|
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paiono rispondere perfettamente "a tono" alle più o meno esplicite richieste dei
|
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cittadini-consumatori che non soltanto li utilizzano, ma che addirittura
|
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sembrano aderire totalmente al programma "ideologico" di cui questi edifici
|
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costituiscono l'oggettivazione. Un programma "ideologico" -- quello disposto dal
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sistema capitalistico -- che si lascia assumere senza troppi pensieri, con
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leggerezza, e nel quale i cittadini-consumatori paiono felici di rispecchiarsi.
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Si potrebbe obiettare che tali domande "collettive" sono probabilmente assai
|
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poco spontanee, poco realistiche, e che addirittura esse sono del tutto irreali,
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nel senso che non sono formulate affatto dalla maggioranza di coloro che
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usufruiscono delle città e dei suoi edifici; e che piuttosto sono il prodotto
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della *simulazione di un desiderio* che le forze economiche oggi dominanti nelle
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nostre società proiettano sull'inconscio collettivo dei cittadini-consumatori,
|
||
con un'intensità tanto maggiore al crescere delle dimensioni dei contesti
|
||
urbani[^i27]. Ma, quale che sia la verità, questa "illusione di soddisfazione
|
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sociale" nei confronti dell'architettura urbana per il momento funziona, e trova
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una piena rispondenza negli architetti incaricati di realizzarla.
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L'architetto -- oggi come nei momenti storici precedenti -- mette la propria
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opera a disposizione della società in cui vive. Lo faceva Filippo Brunelleschi
|
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con la Repubblica di Firenze, lo facevano Gian Lorenzo Bernini e Francesco
|
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Borromini con il Papato di Roma, e lo fanno gli architetti attuali con i loro
|
||
committenti. In apparenza, non vi è nessuna differenza; in realtà, i modi in cui
|
||
gli architetti si sono messi al servizio della società nel corso del tempo
|
||
presentano tra di loro difformità consistenti[^i28]. L'architetto ha spesso
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rivestito un ruolo di consigliere e di propositore, oltreché di realizzatore. E
|
||
in non poche occasioni è arrivato anche a calarsi -- in passato -- nei panni del
|
||
pensatore, dell'utopista, del sognatore, declinando l'etimologia del progetto
|
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nel suo senso più diretto e immediato: quello di un'evocazione -- qui e ora --
|
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del futuro (*proiectus* in latino è propriamente l'azione del gettare in avanti,
|
||
e dunque del proiettare).
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||
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Oggi invece, almeno in una gran parte dei casi, l'architetto appare preda di
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intricate dinamiche che, se da un lato le/gli vietano di porsi in una posizione
|
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di "ingenua" neutralità, dall'altro la/lo portano a vedere in maniera quasi
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"connaturata" ("naturalizzata", si potrebbe dire in termini marxisti) il proprio
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ruolo di "operatore specializzato" all'interno di un processo ben più vasto e
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||
composito di cui il proprio progetto rappresenta con tutta evidenza soltanto un
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"momento". Ed è degno di nota che, proprio in questo ambito, all'architetto sia
|
||
richiesto non soltanto di svolgere ruoli esecutivi, ma anche -- in alcuni casi
|
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particolarmente complessi -- di fornire contributi "ideativi", spingendosi al di
|
||
là delle proprie "tradizionali competenze disciplinari"[^i29], in qualità di
|
||
"suggeritore" di possibili funzioni e utilizzi, sempre comunque inseriti in una
|
||
logica complessiva che non le/gli è dato in alcun modo di mettere in
|
||
discussione, per non parlare poi di criticarla apertamente. Ciò, ben lungi dal
|
||
conferire all'architetto un ruolo "decisionale" autonomo, finisce per attestarne
|
||
la posizione ancillare, riducendo il suo contributo a uno "scandaglio
|
||
preliminare di ipotesi formalizzate"[^i30]. Ed è dunque palese come, stando le
|
||
cose in questo modo, la sua "massima aspirazione" possa essere quella di
|
||
limitarsi a farsi interprete di "programmi ideologici" già stabiliti da altri,
|
||
aggiungendovi al più il valore di un'effettiva o presunta "originalità" della
|
||
forma.
|
||
|
||
Quale sia il messaggio in questione, potrebbe risultare a questo punto quasi
|
||
enigmatico, se non fosse invece sin troppo evidente, trattandosi dell'"eterna"
|
||
(nella logica capitalistica) esortazione al consumo di cui il sistema ha
|
||
endemicamente bisogno; un consumo che non va inteso esclusivamente nel senso
|
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dell'acquisizione di merci, di beni materiali, ma anche in quello più astratto e
|
||
generale dell'assunzione del sistema in quanto tale come *valore*. In questo
|
||
senso, l'esortazione al consumo capitalistico -- consumo di sé, oltreché di ogni
|
||
singola merce -- si traduce immediatamente nell'*affermazione* (niente affatto
|
||
nella semplice "richiesta") di un *consenso* nei propri stessi confronti[^i31]:
|
||
nei confronti delle proprie "regole", dei propri "valori". In quest'opera cosí
|
||
importante di persuasione, che il capitalismo conduce in quel modo seduttivo e
|
||
apparentemente non coercitivo che gli è proprio, l'architettura ha l'incombenza
|
||
fondamentale di tradurre tutto ciò in oggetti, spazi e luoghi concreti.
|
||
|
||
A cinquant'anni di distanza dal saggio *Per una critica dell'ideologia
|
||
architettonica*[^i32], e a poco meno dalla sua già citata rielaborazione in forma
|
||
di libro, in cui Tafuri stilava una lucida diagnosi in merito ai "compiti che lo
|
||
sviluppo capitalistico ha tolto all'architettura" -- primo e fondamentale fra
|
||
questi, la dimensione utopica -- lasciando ad essa soltanto il "dramma" di
|
||
"vedersi obbligata a tornare *pura architettura*, istanza di forma priva di
|
||
utopia, nei casi migliori, sublime inutilità"[^i33], l'architetto si ritrova a
|
||
fare i conti con una condizione nella quale davvero la possibilità dell'utopia
|
||
sembra essere ormai tramontata, e in cui non rimane null'altro che la dimensione
|
||
della realtà (sublimemente inutile, o piuttosto pragmaticamente utilissima)
|
||
quale suo campo d'azione. Una realtà niente affatto neutrale, e che anzi il suo
|
||
stesso apporto -- insieme a quello di altre forze[^i34] -- contribuisce a
|
||
configurare nella sua forma consensuale.
|
||
|
||
::: horizontal
|
||
> Ta knjiga želi opredeliti pogoje, v katerih se je znašel današnji arhitekt,
|
||
> prepoznati njegove omejitve in razumeti načine, kako jih je mogoče premagati.
|
||
> Pri tem se jasno zaveda, da nikakor ni mogoče predlagati obrata smeri,
|
||
> poenostavljene in nostalgične "vrnitve k začetkom". Zgodovinske poti, naj
|
||
> bodo še tako vijugaste in na videz (ali dejansko) ne preveč logične, so vedno
|
||
> in v vsakem primeru neizpodbitne. Zato se je potrebno vprašati, potem ko smo
|
||
> ustrezno raziskali profil in področje delovanja arhitektov iz daljne ali
|
||
> bližnje preteklosti, ki so opravljali svojo vlogo intelektualcev, kakšen je
|
||
> danes -- in še bolj, kakšen bi lahko bil *v prihodnosti* -- pomen arhitekta,
|
||
> ki je sposoben preseči izvajanje dodeljenih nalog, arhitekta, ki zna biti
|
||
> *aktivni* razlagalec realnosti, ji napoveduje alternativne možnosti ali jo
|
||
> vsaj poskuša postaviti v krizo. [@biraghi2019larchitetto, 14-15]
|
||
|
||
::: {lang=it}
|
||
> Individuare le condizioni in cui l'architetto odierno si trova, riconoscerne i
|
||
> limiti, cercare di comprendere i modi di un loro possibile superamento, è
|
||
> quanto si prefigge il presente libro. A partire dalla chiara consapevolezza
|
||
> che non è in ogni caso proponibile alcuna inversione di rotta, alcun
|
||
> semplicistico e nostalgico "ritorno alle origini". I percorsi della storia,
|
||
> per quanto tortuosi e apparentemente (o effettivamente) poco logici, sono
|
||
> sempre e comunque incontrovertibili. Ciò su cui dunque è necessario
|
||
> interrogarsi, dopo avere debitamente esplorato il profilo e il campo d'azione
|
||
> degli architetti di un passato lontano o recente che hanno esercitato il
|
||
> proprio ruolo di intellettuali, è quale sia il senso oggi -- e, ancora di più,
|
||
> quale potrà essere il senso *in futuro* -- di un architetto capace di andare
|
||
> oltre l'esecuzione di incarichi assegnati, un architetto che sappia farsi
|
||
> interprete *attivo* della realtà, prefigurando per essa possibilità
|
||
> alternative, o quantomeno cercando di metterla in crisi.
|
||
:::
|
||
|
||
:::
|
||
|
||
[^i1]: Vedi ad esempio *Intello Academy* dell'economista e psicanalista Corinne
|
||
Maier, tradotto in italiano con l'imbarazzante titolo *Intellettualoidi di tutto
|
||
il mondo, unitevi!*, Bompiani, Milano 2007.
|
||
|
||
[^i2]: Vedi, tra i molti altri, Elémire Zolla, *L'eclissi dell'intellettuale*,
|
||
Bompiani, Milano 1959; Zygmunt Bauman, *La decadenza degli intellettuali. Da
|
||
legislatori a interpreti*, Bollati Boringhieri, Torino 2007; Frank Furedi, *Che
|
||
fine hanno fatto gli intellettuali?*, Cortina, Milano 2007.
|
||
|
||
[^i3]: Antonio Gramsci, *Quaderni del carcere* (1929-35), 4 voll., a cura di
|
||
Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 2014.
|
||
|
||
[^i4]: Gramsci, *Quaderni del carcere* cit., vol. III, Quaderno 12 (XXIX), § 1,
|
||
p. 1516.
|
||
|
||
[^i5]: *Ibid.*, § 3, p. 1550.
|
||
|
||
[^i6]: *Ibid.*, pp. 1550-51.
|
||
|
||
[^i7]: *Ibid.*, p. 1551.
|
||
|
||
[^i8]: *Ibid.*, Quaderno 11 (XVIII), § 16, p. 1406.
|
||
|
||
[^i9]: *Ibid.*, vol III, Quaderno 12 (XXIX), § 3, p. 1551.
|
||
|
||
[^i10]: Jürgen Habermas, *Il ruolo dell'intellettuale e la causa dell'Europa*,
|
||
Laterza, Roma-Bari 2011, p. 7.
|
||
|
||
[^i11]: *Ibid*. Su ciò vedi anche Michael Walzer, *L'intellettuale militante.
|
||
Critica sociale e impegno politico nel Novecento*, il Mulino, Bologna 1991.
|
||
|
||
[^i12]: Manfredo Tafuri, *Progetto e utopia. Architettura e sviluppo
|
||
capitalistico*, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 169-70.
|
||
|
||
[^i13]: Gramsci, *Quaderni del carcere* cit., vol. III, Quaderno 12 (XXIX), § 3,
|
||
p. 1550.
|
||
|
||
[^i14]: Oltre a Karl Marx e Friedrich Engels, *L'ideologia tedesca* (1845),
|
||
Editori Riuniti, Roma 1971, p. 21 e *passim*, vedi, tra gli altri, Alfred
|
||
Sohn-Rethel, *Lavoro intellettuale e lavoro manuale. Per la teoria della sintesi
|
||
sociale*, Feltrinelli, Milano 1977.
|
||
|
||
[^i15]: "... e che tu abbia una istruzione letteraria, che sia esperto nel
|
||
disegno, preparato in geometria, che conosca un buon numero di racconti storici,
|
||
che abbia seguito con attenzione lezioni di filosofia, che conosca la musica,
|
||
che abbia qualche nozione di medicina, che conosca i pareri dei giuristi, che
|
||
abbia acquisito le leggi dell'astronomia": Vitruvio, *De Architectura*, 2 voll.,
|
||
Einaudi, Torino 1997, libro I.3, p. 14.
|
||
|
||
[^i16]: *Ibid.*, libro I.1, p. 13.
|
||
|
||
[^i17]: Per la distinzione tra "lavoro" e "opera" vedi Hannah Arendt, *Vita
|
||
activa. La condizione umana* (1958), Bompiani, Milano 2011, pp. 58 sgg. Per
|
||
un'applicazione di questa distinzione all'architettura, vedi Pier Vittorio
|
||
Aureli, *Labor and Work in Architecture*, in "Harvard Design Magazine", n. 46,
|
||
2018, pp. 71-81.
|
||
|
||
[^i18]: Antonio Averlino detto il Filarete, *Trattato di architettura* (1464
|
||
circa), 2 voll., a cura di Anna Maria Finoli e Liliana Grassi, Il Polifilo,
|
||
Milano 1972, libro I, pp. 10-11.
|
||
|
||
[^i19]: Emblematico al proposito è il racconto di Italo Calvino, *La speculazione
|
||
edilizia*, Einaudi, Torino 1963 (ma finito di scrivere nel 1957), il cui
|
||
protagonista è un giovane intellettuale che, trascinato dallo "spirito
|
||
dell'epoca", si imbarca in un'operazione immobiliare sulla Riviera ligure
|
||
affiancato a un equivoco imprenditore edile.
|
||
|
||
[^i20]: Tomás Maldonado, *Che cos'è un intellettuale? Avventure e disavventure di
|
||
un ruolo*, Feltrinelli, Milano 1995. Altrettanto sintomatico, comunque, è il
|
||
fatto che, tra tutti i nomi citati nel libro, non ve ne sia neppure uno d'un
|
||
architetto.
|
||
|
||
[^i21]: *Ibid.*, p. 95.
|
||
|
||
[^i22]: *Ibid.*, p. 94.
|
||
|
||
[^i23]: Gabriella Lo Ricco e Silvia Micheli, *Lo spettacolo dell'architettura.
|
||
Profilo dell'archistar*^©^, Bruno Mondadori, Milano 2003.
|
||
|
||
[^i24]: Massimo Cacciari, *La città*, Pazzini Editore, Rimini 2009, p. 23.
|
||
|
||
[^i25]: *The Harvard Design School Guide to Shopping*, a cura di Chuihua Judy
|
||
Chung, Jeffrey Inaba, Rem Koolhaas e Sze Tsung Leong, Taschen, Köln 2001.
|
||
|
||
[^i26]: Vedi, ad esempio, Dario Scodeller, *Negozi. L'architetto nello spazio
|
||
della merce*, Electa, Milano 2007.
|
||
|
||
[^i27]: Su ciò vedi Jean Baudrillard, *La società dei consumi. I suoi miti e le
|
||
sue strutture*, il Mulino, Bologna
|
||
2010\. Al proposito vedi anche le ricerche condotte da Vanni Codeluppi, *Lo
|
||
spettacolo della merce. I luoghi del consumo dai 'passages' a 'Disney World'*,
|
||
Bompiani, Milano 2000; Id., *La vetrinizzazione sociale. Il processo di
|
||
spettacolarizzazione degli individui e della società*, Bollati Boringhieri,
|
||
Torino 2007; Id., *Metropoli e luoghi del consumo*, Mimesis, Milano 2014.
|
||
|
||
[^i28]: Spiro Kostof (a cura di), *The Architect. Chapters in the History of the
|
||
Profession*, University of California Press, Berkeley 2000, che tuttavia -- per
|
||
quanto riguarda i periodi dal 1700 in avanti -- si limita ad analizzare il
|
||
contesto anglosassone e nordamericano.
|
||
|
||
[^i29]: Manfredo Tafuri, *Storia dell'architettura italiana 1944-1985*, Einaudi,
|
||
Torino 1986, p. 206. Il "caso" in questione è quello del Lingotto di Torino.
|
||
|
||
[^i30]: *Ibid.*, p. 207. più in generale vedi anche -- per limitarsi alla sola
|
||
Italia -- il capitolo *"Reconversio urbis I": Venezia, Milano, Torino, Firenze*,
|
||
in Marco Biraghi e Silvia Micheli, *Storia dell'architettura italiana
|
||
1985-2015*, Einaudi, Torino 2013, pp. 38-59.
|
||
|
||
[^i31]: Interessante a questo proposito constatare come la società capitalistica
|
||
abbia il proprio modello nella fabbrica. E non a caso proprio qui mutano -- con
|
||
il passare del tempo -- i rapporti sociali, indirizzandosi progressivamente
|
||
verso l'ottenimento di un consenso. Sull'argomento vedi il fondamentale Michael
|
||
Burawoy, *Manufacturing Consent: Changes in the Labor Process under Monopoly
|
||
Capitalism*, University of Chicago Press, Chicago 1979. "Per comprendere le
|
||
dinamiche sociali che avvengono nelle fabbriche a capitalismo sviluppato occorre
|
||
riconoscere che le politiche di produzione un tempo fondate unicamente su metodi
|
||
coercitivi si modificano e si ampliano in modo da rendere possibile un
|
||
progressivo coinvolgimento consensuale della manodopera nel proprio lavoro. In
|
||
altri termini, con l'evoluzione storica del capitalismo, le politiche di
|
||
produzione passano gradualmente dal dispotismo all'egemonia. Con questa
|
||
espressione, tratta da Gramsci, Burawoy intende una politica che combina
|
||
organicamente forza e persuasione, coercizione e consenso, e che fornisce una
|
||
base ideologica di legittimazione al proprio esercizio che è accettata anche da
|
||
coloro su cui il potere è esercitato": Giuseppe Bonazzi, *Storia del pensiero
|
||
organizzativo*, Franco Angeli, Milano 2008, p. 145.
|
||
|
||
[^i32]: Manfredo Tafuri, *Per una critica dell'ideologia architettonica*, in
|
||
"Contropiano", n. 1, 1969, pp. 31-79.
|
||
|
||
[^i33]: Tafuri, *Progetto e utopia* cit., p. 3.
|
||
|
||
[^i34]: Edward S. Herman e Noam Chomsky, *La fabbrica del consenso. La politica e
|
||
i mass media*, Il Saggiatore, Milano 2014.
|
||
|
||
## L'architettura come merce e l'architetto come "rifornitore"
|
||
|
||
> Una trasformazione profonda, lenta e apparentemente inesorabile ha avuto luogo
|
||
> con particolare intensità nel corso degli ultimi cento anni: la trasformazione
|
||
> dell'architettura (intesa come fatto concreto, materiale, tridimensionale) da
|
||
> "oggetto d'uso" a merce. Questo fenomeno non costituisce nulla di sorprendente,
|
||
> o di anormale, considerato il contesto generale nel quale si svolge. Ciò
|
||
> nondimeno, per chi se ne occupa da un punto di vista "interno" (disciplinare o
|
||
> "scientifico" che dir si voglia), cosí come per chi la osserva distrattamente da
|
||
> lontano, da "fuori", l'architettura può risultare "strana" in queste vesti.
|
||
> Perciò, provare a fissare brevemente tale fenomeno può valere a intenderlo
|
||
> nell'ottica della disciplina e a cercare di comprendere le sue conseguenze in un
|
||
> senso più generale.
|
||
|
||
Tale trasformazione in realtà ha avuto inizio ben da prima: in quanto oggetto
|
||
d'uso, l'architettura ha da gran tempo cessato di essere prodotta da colei/colui
|
||
cui era destinata, proprietario o fruitore che fosse, e dunque il suo valore
|
||
d'uso si è presto tramutato in valore d'uso sociale; e in qualità di valore
|
||
d'uso sociale è divenuto un oggetto di scambio e ha acquisito un valore di
|
||
scambio[^ii1]. Con ciò l'architettura, come qualsiasi altro oggetto nelle società
|
||
nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, ha già virtualmente
|
||
compiuto la sua trasmutazione in merce: arrivando anzi a costituire -- come a
|
||
tutti ben noto -- uno dei fondamenti stessi della ricchezza pubblica e privata,
|
||
e rappresentando valori economici spesso assai cospicui, nella forma di
|
||
proprietà immobiliari dotate di un proprio specifico mercato.
|
||
|
||
Ma pur se tecnicamente avvenuto ormai da lungo tempo, il passaggio
|
||
dell'architettura da oggetto d'uso a merce è privo fino al principio del XX
|
||
secolo di un elemento fondamentale al suo definitivo compimento: il trapassare
|
||
del carattere di merce dal livello del puro valore di scambio alla totalità dei
|
||
suoi aspetti. Progettazione, rappresentazione, costruzione, commercializzazione,
|
||
sono tutti momenti del processo produttivo dell'architettura che a vario titolo
|
||
vengono sottoposti a una più o meno palese e intensa mercificazione. La storia
|
||
dell'architettura del Novecento è, sotto molti riguardi, la storia del
|
||
progressivo cammino di questa, non tanto o soltanto verso una "modernità"
|
||
genericamente o stilisticamente intesa, quanto piuttosto verso il suo divenire
|
||
*prodotto di consumo*[^ii2]. L'abitazione, di questo processo, rappresenta il caso
|
||
forse maggiormente emblematico. Se si pone mente allo sviluppo della residenza,
|
||
in tutte le sue forme e a tutti i suoi livelli, nel corso dell'ultimo
|
||
secolo[^ii3], ad esempio, non si può che constatare il suo completo coinvolgimento
|
||
in questo processo: l'industrializzazione dei metodi costruttivi, la
|
||
standardizzazione e la prefabbricazione dei componenti edilizi e degli elementi
|
||
d'arredo, la serializzazione dei "modelli" abitativi, le stesse tecniche di
|
||
pubblicizzazione e di vendita: non c'è campo in cui la residenza non abbia
|
||
adottato le medesime strategie utilizzate per gli altri prodotti di consumo. Ciò
|
||
-- si badi bene -- ha avuto conseguenze tanto positive quanto negative. Cosí,
|
||
dagli inizi del Novecento in avanti, la residenza è stata spesso oggetto di
|
||
ricerche e di sperimentazioni tecnicamente e socialmente all'avanguardia, volte
|
||
a migliorarne le "prestazioni", e non di rado anche a diminuirne i costi; ma è
|
||
stata pure oggetto di sfruttamenti intensivi e di operazioni a carattere
|
||
puramente speculativo, oltreché funzionali a precise politiche di ghettizzazione
|
||
sociale, come risulta evidente osservando quanto è accaduto nelle periferie
|
||
delle città di molti paesi occidentali, in particolare negli anni cinquanta e
|
||
sessanta.
|
||
|
||
Non sono qui in discussione gli esiti di queste operazioni. E il problema non è
|
||
neppure quello di distribuire "promozioni e bocciature" ai rispettivi
|
||
architetti. La funzione dell'architettura rimane comunque strutturale al
|
||
sistema; e neppure il "mito riformista", che ha lungamente attraversato l'Europa
|
||
nel corso del Novecento, è riuscito ad avere ragione delle sue contraddizioni.
|
||
|
||
A questa vicenda appartengono alcune delle migliori idee e realizzazioni -- in
|
||
termini di impegno politico sul piano urbano e di studio di soluzioni innovative
|
||
alla scala architettonica -- che si possano annoverare nell'ambito del XX
|
||
secolo. Si pensi ad esempio al caso della Francoforte di Ernst May. Il lavoro
|
||
svolto in qualità di assessore all'edilizia, con la collaborazione di un ingente
|
||
numero di architetti che formeranno la cosiddetta "brigata May", rivela in pieno
|
||
lo sforzo per riscattare le condizioni di partenza -- in termini di possibilità
|
||
economiche e di standard dimensionali -- delle numerose *Siedlungen* (per un
|
||
ammontare totale di circa 12 000 appartamenti) progettate tra il 1926 e il 1930,
|
||
mediante l'impiego di equipaggiamenti tecnologici e di dispositivi di altra
|
||
natura del tutto inusitato per quelle che sono e rimangono a tutti gli effetti
|
||
case popolari. Dovendo sottostare a vincoli dimensionali alquanto esigui (40-45
|
||
mq per un alloggio per quattro persone), May e i suoi collaboratori riservano
|
||
una particolare attenzione ai servizi (tra essi la famosa *Frankfurter Küche*,
|
||
la cucina-laboratorio ultra-efficente di Margarete Schütte-Lihotzky)[^ii4], agli
|
||
impianti, agli spazi comuni, agli edifici pubblici e alle attrezzature
|
||
collettive. In questo senso, la dotazione di impianti di riscaldamento e di
|
||
lavanderie centralizzati, di asili infantili, di campi da gioco e di
|
||
ricreazione, di centri sociali, e persino l'installazione in ciascun complesso
|
||
residenziale di impianti-radio centrali per offrire "la possibilità di
|
||
promuovere in futuro lo spirito comunitario attraverso trasmissioni radiofoniche
|
||
interne che abbracciano la sfera di una *Siedlung*"[^ii5], pongono in evidenza
|
||
l'importanza che May assegna a tutto ciò che può fungere da fattore di
|
||
connessione sociale. Si tratta di una complessa operazione culturale e
|
||
organizzativa condotta sia con strumenti specificamente architettonici (la
|
||
standardizzazione delle componenti edilizie e l'utilizzo per la costruzione di
|
||
pannelli prefabbricati) sia con altri mezzi, tra cui -- oltre a quelli già
|
||
citati -- la pubblicazione di una rivista mensile, "Das neue Frankfurt", che tra
|
||
il 1926 e il 1931 affronta una serie di questioni cruciali come
|
||
l'*Existenzminimum*, l'istruzione e l'igiene, ma anche questioni a prima vista
|
||
estranee alla cultura architettonica, come la fotografia sperimentale, il
|
||
teatro, il film documentario, l'automobile utilitaria. Nonostante la
|
||
molteplicità degli approcci, ogni elemento messo in campo da May risulta
|
||
riconducibile a una concezione unitaria che pone al suo centro -- come ha
|
||
scritto Giorgio Grassi -- uno "stile di vita" ispirato "a una disciplina
|
||
rigorosa, a una norma morale"[^ii6]. È significativo che tutti questi accorgimenti
|
||
si connettano tra loro secondo una metodologia che attinge dal repertorio della
|
||
tecnica avanguardistica del "montaggio" (non a caso Tafuri, a proposito della
|
||
nuova Francoforte di May, evoca la "catena di montaggio")[^ii7]. E tuttavia,
|
||
questo "sogno di un "socialismo dal volto umano" (...) mistifica il proprio
|
||
essere tutto rivolto a stimolare i processi produttivi"[^ii8]: un'anticipazione
|
||
della "meccanizzazione" della casa borghese.
|
||
|
||
Diverso il caso -- ma non diversi gli effetti -- delle proposte residenziali
|
||
avanzate da Le Corbusier a partire dai primi anni venti. La *machine-à-habiter*
|
||
è per lui lo strumento sociale per "evitare la rivoluzione"[^ii9], ovvero per
|
||
attuarla in termini architettonici, in modo pacifico. Come l'automobile
|
||
utilitaria (la stessa di cui si occupava "Das neue Frankfurt"), l'architettura
|
||
prodotta in serie gli appare destinata a cambiare la vita dei suoi utenti, e non
|
||
semplicemente a mettere loro a disposizione le proprie prestazioni in una
|
||
versione più aggiornata. Quale diretta conseguenza di ciò, i tradizionali
|
||
elementi dell'edificio (pareti, finestre, coperture, ecc.) risultano
|
||
profondamente aggiornati, come lo sarebbero i pezzi di un meccanismo per effetto
|
||
di un'innovazione tecnologica, di un ruolo e di un funzionamento differenti, e
|
||
non per ragioni estetiche o di "gusto". Montandoli uno a uno secondo un "sistema
|
||
logico" che dalla cellula elementare della Maison Dom-Ino giunge fino al
|
||
complesso macchinario urbano della Ville Radieuse, Le Corbusier pone in evidenza
|
||
il necessario legame tra tutte le parti -- o i "pezzi" -- della costruzione
|
||
dello spazio sociale, da quello privato a quello pubblico, e ne mostra la
|
||
riducibilità a un unico "discorso".
|
||
|
||
Che la "rivoluzione" architettonica attuata (o quantomeno, attuabile) in questo
|
||
modo sia concepita da Le Corbusier in termini del tutto antirivoluzionari da un
|
||
punto di vista politico -- com'è reso esplicito dall'aut aut che egli stesso
|
||
insistentemente propone: "Architettura o rivoluzione" --, non la priva affatto
|
||
di un carattere a propria volta politico: infatti
|
||
|
||
> ... la strategia politica dietro questo progetto è chiara: la Maison Dom-Ino
|
||
> doveva risolvere la penuria di abitazioni per lavoratori, e i lavoratori erano
|
||
> intesi come i potenziali proprietari delle proprie abitazioni. Il modello
|
||
> Dom-Ino inscriveva la proprietà privata -- ovvero il miglior modo, per il
|
||
> capitale, per controllare i lavoratori -- direttamente nel processo
|
||
> costruttivo della casa. Qui il legame tra forma urbana e investimento
|
||
> economico già stabilito dalla trasformazione di Parigi di Haussmann è
|
||
> perfezionato alla scala della singola abitazione[^ii10].
|
||
|
||
L'intento politico del ciclo che connette la cellula alla città va dunque
|
||
valutato nella sua interezza come espressione della volontà di costruire un
|
||
mondo nuovo per l'"uomo nuovo" prodotto dal capitalismo (vale a dire per "l'uomo
|
||
contemporaneo" di cui lo stesso Le Corbusier parla, il quale "avverte (...)
|
||
l'esistenza di un mondo che si va elaborando regolarmente, logicamente,
|
||
chiaramente, che produce con purezza cose utili e utilizzabili")[^ii11]. E se le
|
||
condizioni di esistenza capitalistiche non risultano in alcun modo sovvertite
|
||
bensì casomai potenziate dal programma lecorbusieriano, è in ogni caso una
|
||
mutazione fondamentale quella di cui esso si fa interprete, come riconosce anche
|
||
Benjamin: "La *ville contemporaine* di Le Corbusier è pur sempre un complesso
|
||
edilizio lungo una strada maestra. Senonché, col fatto che questa strada è ora
|
||
percorsa da automobili e che nel centro del complesso atterrano gli aerei, tutto
|
||
si è trasformato"[^ii12]. Inoltre, in quanto "regolabile e movibile" e priva di
|
||
"aura"[^ii13], la *machine-à-habiter* costituisce "l'epilogo della "casa" come
|
||
figurazione mitologica"[^ii14]. Essa è pronta per diventare un prodotto di serie,
|
||
un dispositivo, vale a dire un prodotto dell'industria:
|
||
|
||
> La grande industria deve occuparsi della costruzione e produrre in serie gli
|
||
> elementi della casa. (...) Se si sradicano dal proprio cuore e dalla propria
|
||
> mente i concetti sorpassati della casa e si esamina la questione da un punto
|
||
> di vista critico e oggettivo, si arriverà alla casa-strumento, casa in serie,
|
||
> sana (anche moralmente) e bella dell'estetica degli strumenti di lavoro che
|
||
> accompagnano la nostra esistenza[^ii15].
|
||
|
||
Da qui alla casa-merce il passo è breve.
|
||
|
||
Tuttavia, nonostante i fervidi auspici di Le Corbusier, è soprattutto sotto un
|
||
profilo formale e figurativo che l'architettura mostra -- soprattutto a partire
|
||
dal secondo dopoguerra, e in modo ancora più evidente negli ultimi trent'anni --
|
||
la sua integrale assimilazione a una merce. È stato nel corso di questo periodo,
|
||
infatti, che si è verificato un sempre più rilevante processo di identificazione
|
||
dell'architettura con l'immagine. Facendo ricorso a diversi "espedienti", essa
|
||
ha fatto gradualmente registrare lo spostamento del proprio "baricentro" dalla
|
||
mitologia centrale del moderno, consistente essenzialmente nella
|
||
rappresentazione delle funzioni, a quella -- precipuamente postmoderna -- della
|
||
comunicazione e della mediatizzazione di se stessa. Nel compiere questa
|
||
"evoluzione" l'architettura si dichiara idonea, prima che a ogni altra cosa,
|
||
alla propria diffusione e circolazione. Ed è precisamente in quest'ottica che va
|
||
intesa la sua trasformazione in immagine.
|
||
|
||
Già nel 1967, con sorprendente lucidità, Guy Debord aveva diagnosticato il
|
||
destino che attendeva "tutta la vita delle società nelle quali predominano
|
||
condizioni moderne di produzione"[^ii16], vale a dire il modo di produzione
|
||
capitalistico: trasformarsi in "un'immensa accumulazione di spettacoli". Per
|
||
Debord, nell'epoca del capitalismo avanzato, tutto ciò che in precedenza "era
|
||
direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione". In essa
|
||
l'accumulazione del capitale è giunta a un tale grado da farsi spettacolo, "da
|
||
divenire immagine"[^ii17]. E se "lo spettacolo (...) è l'equivalente generale
|
||
astratto di tutte le merci"[^ii18], nella proliferazione delle immagini dobbiamo
|
||
riconoscere null'altro che la proliferazione totale della merce. Anche il
|
||
rovesciamento dell'affermazione di Debord proposto più recentemente da Matteo
|
||
Pasquinelli ("Il capitale è spettacolo ad un tale grado di accumulazione da
|
||
trasformarsi in una skyline di cemento")[^ii19] non sposta -- e anzi conferma --
|
||
la propensione del capitale a investire in merce-architettura. Ed è proprio in
|
||
quanto merce che essa persegue l'obiettivo che accomuna tutte le merci
|
||
nell'epoca moderna e contemporanea: presentarsi come perenne novità. "La novità
|
||
è una qualità indipendente dal valore d'uso della merce"[^ii20]: non si potrebbe
|
||
esprimere in maniera più sintetica la relazione che interconnette merce, nuovo e
|
||
apparenza. Essa appartiene al regno dell'immaginario, non a quello dell'utile.
|
||
|
||
Nonostante l'affermazione di Alois Riegl che il "valore di novità" sia il
|
||
*beatus possidens* di "un luogo occupato per millenni", esso ha fatto il suo
|
||
ingresso nell'ambito architettonico relativamente di recente[^ii21]. L'apposizione
|
||
del prefisso neo- di fronte alla parata degli stili del passato, lungo tutto
|
||
l'Ottocento, costituisce la prima avvisaglia di un fenomeno in precedenza del
|
||
tutto sconosciuto, almeno in quei termini; mentre la denominazione di Art
|
||
Nouveau, utilizzata tra fine Ottocento e primo Novecento per indicare il
|
||
complesso di manifestazioni artistiche tese a segnare una svolta rispetto al
|
||
passato, da un lato, e a dare un volto alla classe borghese divenuta soggetto
|
||
ormai dominante sulla scena della storia, dall'altro, parla chiaramente
|
||
dell'ansia di arte e architettura di quel periodo di caratterizzarsi in senso
|
||
innovativo; anzi, di identificarsi *tout court* con il nuovo. Cosí come -- in
|
||
maniera se possibile ancora più esplicita -- è significativo che negli anni
|
||
venti e trenta, soprattutto in ambito tedesco e olandese, vengano impiegate
|
||
formule come "Neues Bauen", "Neue Baukunst" o "Nieuwbouw" per riferirsi
|
||
all'insieme delle esperienze relative all'architettura moderna[^ii22]. Soltanto in
|
||
seguito il termine "nuovo" scomparirà dal lessico ufficiale dell'architettura,
|
||
per penetrare in compenso sempre più nel profondo della sua ideologia. "Nuovo" a
|
||
questo punto non è più l'attributo di una determinata "famiglia" architettonica,
|
||
comprendente edifici e progetti contraddistinti da caratteri comuni e
|
||
riconoscibili, riconducibili nel loro complesso alla categoria di "moderno",
|
||
quanto piuttosto quello di ogni architettura dotata di una propria spiccata
|
||
individualità, ovvero -- per dirlo in modo più preciso -- di una propria
|
||
*singolarità*; un'architettura la cui "novità" è dunque fondamentalmente
|
||
rappresentata dalla propensione per una "differenza" che è spesso sinonimo di
|
||
stravaganza. Il "nuovo", in quest'ottica, serve all'architettura soprattutto per
|
||
distinguersi, per attrarre l'attenzione: un accorgimento che essa ha
|
||
evidentemente assimilato dalla pubblicità, e che, nel rimarcare la sua riduzione
|
||
a immagine, ne conferma in pieno il carattere di merce. Cosí come, secondo
|
||
Tafuri, per converso, "non è un caso che il destino dei formalismi si concluda
|
||
sempre nell'utilizzazione "pubblicitaria" del *lavoro sulla forma*"[^ii23].
|
||
|
||
In realtà il potere delle immagini *sub specie architecturae* ha una storia ben
|
||
più lunga e prestigiosa. Anche volendo limitarsi al XX secolo, si potrebbero
|
||
ricordare i grandi edifici del potere politico nei regimi totalitari, cosí come
|
||
quelli del potere economico nelle democrazie: edifici che, nell'adempimento
|
||
delle proprie funzioni, trasmettono un fascio di idee che comprendono variamente
|
||
-- e spesso contemporaneamente -- ufficialità, autorità, eternità,
|
||
inattaccabilità, solidità, stabilità. Del tutto diverso è invece il discorso per
|
||
quanto riguarda quegli edifici il cui "scopo" precipuo è rivestire il ruolo di
|
||
*icone*[^ii24]. Gli "edifici iconici", nella definizione che ne dà Pier Vittorio
|
||
Aureli,
|
||
|
||
> ... sono tipicamente landmarks singolari il cui scopo è interamente iscritto
|
||
> all'interno della logica dell'urbanizzazione. E infatti, l'obiettivo
|
||
> dell'edificio iconico è un'architettura post-politica spogliata da qualsiasi
|
||
> significato che non sia la celebrazione della performance economica
|
||
> aziendale[^ii25].
|
||
|
||
Prima di questa fase, l'iconicità ha rappresentato la caratteristica distintiva
|
||
di alcuni edifici eccezionali, nel senso che -- letteralmente -- costituivano
|
||
delle eccezioni. Nel corso del XX secolo edifici iconici in un modo del tutto
|
||
diverso da quelli successivi sono stati ad esempio il Salomon R. Guggenheim
|
||
Museum (1943-59) a New York di Frank Lloyd Wright e l'Opera House (1957-73) di
|
||
Sydney, di Jørn Utzon. In entrambi i casi i loro autori hanno fatto ricorso a
|
||
soluzioni formali che sembrano aver tenuto conto della singolarità di cui essi
|
||
ritenevano fossero portatori i loro edifici. In realtà, nel caso del Guggenheim,
|
||
ciò che viene progressivamente emergendo dalla lunghissima gestazione
|
||
dell'edificio è -- più di ogni altra cosa -- una volontà "iconoclasta"[^ii26],
|
||
anziché iconica, e di conseguenza un autoritratto della personalità del suo
|
||
autore, di cui esso ha finito per diventare il massimo emblema; mentre nel caso
|
||
dell'Opera House -- pur tra le enormi difficoltà progettuali e realizzative che
|
||
hanno portato il suo autore a disconoscerne la paternità[^ii27] -- è non soltanto
|
||
Sydney ma addirittura l'Australia intera a essere "condensata" nella sua celebre
|
||
immagine.
|
||
|
||
Ma è forse con il Centre Georges Pompidou (1971-77) che architettura e immagine
|
||
sembrano arrivare a identificarsi perfettamente. E tuttavia, ancora una volta,
|
||
con molte radicali differenze rispetto non solo ai suoi successori, ma anche a
|
||
ogni banale pretesa simbolica. Per quanto assai rilevante sotto molteplici punti
|
||
di vista, infatti, il Centre Pompidou non può certo ambire a rappresentare, come
|
||
parte per il tutto, il luogo in cui sorge -- Parigi o la Francia --, e neppure
|
||
l'intera opera dei suoi autori: Renzo Piano, Richard Rogers o Peter Rice. Esso
|
||
piuttosto rappresenta nella maniera più compiuta il tentativo delle autorità
|
||
francesi -- e del presidente Pompidou in primo luogo -- di dare vita a un
|
||
edificio che rispondesse, incorporandole, alle istanze del Maggio '68 francese.
|
||
Ciò di cui la grande "macchina per comunicare"[^ii28] è la rappresentazione è la
|
||
totale *autonomia* della sua immagine rispetto a qualsiasi suo "contenuto". Come
|
||
ha rilevato Jean Baudrillard,
|
||
|
||
> ... con il suo intreccio di tubi (...) con la sua fragilità (calcolata?), che
|
||
> dissuade da ogni mentalità o monumentalità tradizionale,
|
||
|
||
la macchina Beaubourg
|
||
|
||
> ... proclama apertamente che il nostro tempo non sarà mai più quello della
|
||
> durata, che la nostra sola temporalità è quella del ciclo accelerato e del
|
||
> riciclaggio, quella del circuito e del transito di fluidi[^ii29].
|
||
|
||
In questo processo di trasmutazione il Centre Pompidou si afferma come immagine,
|
||
non certo dell'istituzione museale che nega di essere, bensì della "rottura
|
||
delle molecole culturali e \[del\] loro ricombinarsi in prodotti di sintesi".
|
||
Immagine dunque della frantumazione di un'immagine, sostituita da un festoso
|
||
apparato di strutture metalliche, tubi colorati e spazi liberi (almeno nelle
|
||
intenzioni) per usi diversi.
|
||
|
||
È interessante notare al proposito come -- attraverso un'operazione di grande
|
||
complessità, condotta in tempi rapidissimi (il bando di concorso è messo a punto
|
||
già nel 1970, ad appena due anni di distanza dall'acme del movimento) e in cui
|
||
sono coinvolti numerosissimi soggetti con svariate competenze -- la
|
||
"controcultura" del '68, ovvero la cultura "alternativa" sviluppatasi in Francia
|
||
e non solo in quell'intorno di anni, venga fatta propria, integrata in un
|
||
edificio sorto per volontà di un potere destinato comunque ad affermare (e a
|
||
confermare) la propria indiscussa centralità. E non è meno sorprendente il fatto
|
||
che il potere compia un cosí vistoso "spostamento" dalla propria
|
||
auto-rappresentazione tradizionale di quanto lo sia il fatto che per farlo
|
||
utilizzi le medesime "armi" del nemico (tra essi, gli echi del progetto del Fun
|
||
Palace di Cedric Price per Joan Littlewood e dei disegni "tecno-utopici" di
|
||
Archigram). Ed è altresí interessante che le istanze di rinnovamento e le
|
||
aspirazioni di egemonia culturale dello Stato francese vengano incanalate in una
|
||
forma corrispondente a ciò che nuovamente Baudrillard definirà un "ipermercato
|
||
della cultura", ovvero "un oggetto da consumare, (...) un edificio da
|
||
manipolare"[^ii30]: dove i processi di reificazione e di mercificazione sono ormai
|
||
trasparenti.
|
||
|
||
Pur radicandosi sul medesimo "ceppo", la ramificazione del discorso relativa
|
||
agli *iconic buildings* si sviluppa in un modo differente, a partire proprio dal
|
||
ruolo da essi occupato all'interno dei rispettivi contesti urbani. Il Guggenheim
|
||
Museum di Bilbao (1991-97) di Frank O. Gehry si è guadagnato il titolo di
|
||
capostipite della famiglia degli *iconic buildings* non soltanto per le sue
|
||
forme vistose e sorprendenti ma anche per lo studiato posizionamento in un punto
|
||
strategico della città, sulla riva del fiume Nervión[^ii31]. L'intera vicenda del
|
||
Guggenheim -- compresi gli articolati rapporti tra il governo dei Paesi Baschi,
|
||
il direttore della Solomon R. Guggenheim Foundation, Thomas Krens, e
|
||
l'architetto Gehry -- costituisce in questo senso un esempio da manuale, che in
|
||
molte altre occasioni in seguito si è cercato di replicare[^ii32]. È soprattutto
|
||
in queste ultime, tuttavia, che in modo sempre più lampante emerge come le
|
||
presunte "eccezioni" siano in realtà funzionali a confermare la regola.
|
||
Eccentricità formali e appariscenze cromatiche propagano ai quattro venti il
|
||
roboante annuncio che "tutto rimarrà come prima", ovvero che non è in corso
|
||
alcuna "rivoluzione", o meglio ancora che l'"ordine costituito" non verrà
|
||
minimamente smentito o scalfito dal nuovo inserimento. "Piuttosto che essere
|
||
forme agonistiche, le "icone" contemporanee sono la manifestazione finale e
|
||
celebrativa della *Grundnorm* dell'urbanizzazione: la vittoria
|
||
dell'ottimizzazione economica sul giudizio politico"[^ii33]. Nell'estensione
|
||
sconfinata delle città contemporanee, gli edifici iconici assumono il valore di
|
||
un "richiamo" (da intendersi nel senso in cui la medicina utilizza il termine:
|
||
la re-inoculazione di una sostanza per consolidare uno stato d'immunità. Dove
|
||
l'immunità in questione è riferita a qualsiasi cambiamento sostanziale da parte
|
||
dell'"organismo" complessivo).
|
||
|
||
Ma che cosa ne è dell'architetto allorché l'architettura abbia fatto il suo
|
||
ingresso nel "circuito" della spettacolarizzazione capitalistica? Da quel
|
||
momento in avanti -- e poi con sempre maggiore frequenza -- si trova a rivestire
|
||
il ruolo del "creatore di spettacoli". Non si tratta ovviamente di un ruolo
|
||
inedito per lui: in svariati momenti della storia agli architetti è spettato il
|
||
compito di allestire feste, di mettere in scena rappresentazioni e di progettare
|
||
edifici effimeri di vario genere[^ii34]; e la "festa del capitale", da questo
|
||
punto di vista, non pare discostarsi troppo dalla festa barocca. Ma anche nel
|
||
vero e proprio esercizio della loro professione gli architetti hanno avuto
|
||
spesso modo di conferire ai propri edifici caratteri altamente spettacolari. Ciò
|
||
di per sé non costituisce un problema, al di fuori di quei casi in cui tale
|
||
spettacolarità assume tratti del tutto gratuiti; cosí come, per converso, non
|
||
per forza di cose l'elemento che accomuna tra loro gli edifici iconici
|
||
contemporanei è un'esplicita spettacolarità. In fondo, lo stesso fenomeno degli
|
||
*iconic buildings* costituisce soltanto il caso particolare (e forse oggi --
|
||
almeno in parte -- esaurito, o comunque "attutito" rispetto ad alcuni anni fa)
|
||
di un discorso più vasto e generalizzato; la punta di un iceberg la cui
|
||
"spettacolarità" consente a esso di emergere con maggiore evidenza.
|
||
|
||
Sulla possibile reversibilità di questo aspetto hanno contato coloro che -- in
|
||
controtendenza rispetto all'orientamento più largamente diffuso -- hanno cercato
|
||
di mettere in scacco tale spettacolarizzazione. Cercare di farlo, tuttavia, può
|
||
costringere a compiere "salti" singolari, apportatori di illuminanti paradossi.
|
||
Nel 2006 lo studio OMA ha progettato il Dubai Renaissance, un bianco volume
|
||
monolitico di 300 metri di altezza per 200 di larghezza, destinato a uffici,
|
||
hotel e suite residenziali. Nel testo di presentazione dell'edificio si legge:
|
||
|
||
> L'ambizione di questo progetto è di concludere la fase attuale dell'idolatria
|
||
> architettonica -- l'età dell'icona -- in cui l'ossessione del genio
|
||
> individuale supera di gran lunga l'impegno per lo sforzo collettivo necessario
|
||
> a costruire la città. Invece di un'architettura della forma e dell'immagine,
|
||
> abbiamo creato una reintegrazione di architettura e ingegneria, dove
|
||
> l'intelligenza non è investita in effetti, ma in una logica strutturale e
|
||
> concettuale, che offre un nuovo tipo di prestazioni e funzionalità[^ii35].
|
||
|
||
L'edificio che ne deriva s'ispira a una nuova Simplicity^TM^ (si badi bene,
|
||
affiancata dal *trademark*) che tra i suoi attributi enumera qualità come
|
||
*pure*, *straight*, *substantial*, *objective*, *predictable*, *original*,
|
||
*honest* e *fair*. Nonostante le sue "buone" intenzioni, tuttavia, il Dubai
|
||
Renaissance risulta soltanto una falsa reazione all'"idolatria architettonica":
|
||
come appare evidente dalla tavola elaborata dallo stesso OMA, dove esso è messo
|
||
a confronto con una parata di "vanità" architettoniche (dalle Petronas Towers di
|
||
César Pelli a Kuala Lumpur, al Burj al-'Arab di Tom Wright nella stessa Dubai),
|
||
dalle quali in realtà si distingue soltanto per le sembianze candide e per i
|
||
lineamenti uniformi. Pur rinunciando all'espressività delle forme e all'impatto
|
||
dei colori, il Dubai Renaissance è animato dalla medesima volontà di stupire
|
||
presente negli altri edifici iconici che insieme a esso compongono una surreale
|
||
"città analoga" nel deserto arabico.
|
||
|
||
Affermare una "iconoclastia" in luogo di una "iconolatria", cosí come
|
||
vagheggiare una città post-iconica[^ii36] in un mondo post-iconico, da questo
|
||
punto di vista, appaiono tentativi ineffettuali destinati al fallimento, o a
|
||
essere rapidamente assorbiti nelle capaci fauci di un onnivoro capitalismo.
|
||
|
||
::: horizontal
|
||
> Kot smo že omenili, bistvo zadeve ni v "izvirnosti" vloge arhitektov danes v
|
||
> primerjavi z vlogo, ki so jo imeli v preteklosti, niti v ekscentričnosti
|
||
> njihovih projektov v primerjavi s "kanoničnostjo" (resnično ali domnevno)
|
||
> projektov iz drugih zgodovinskih obdobij. Prav tako ne gre za položaj, ki ga
|
||
> imajo arhitekti danes nasproti družbe, v kateri delujejo. Dejansko vprašanje
|
||
> je, kakšen položaj imajo arhitekti v aktualnih proizvodnih procesih. Ne gre
|
||
> torej za subjektivni problem, temveč -- kot je že v tridesetih letih
|
||
> prejšnjega stoletja dobro razumel Walter Benjamin -- za problem *tehnike*. Z
|
||
> drugimi besedami, problem je, ali -- in v kolikšni meri -- so današnji
|
||
> arhitekti z izvajanjem svoje vloge "ustvarjalcev spektaklov" oziroma s
|
||
> prevzemanjem druge vloge sposobni povzročiti "preobrazbo" proizvodnega aparata
|
||
> in ali -- in v kolikšni meri -- mu zgolj "dobavljajo".
|
||
|
||
::: {lang=it}
|
||
> Come già detto, comunque, il nocciolo della questione non sta
|
||
> nell'"originalità" del ruolo degli architetti odierni rispetto a quello
|
||
> rivestito da essi in passato; né nell'eccentricità dei loro progetti rispetto
|
||
> alla "canonicità" (vera o presunta) di quelli di altre epoche storiche. E non
|
||
> consiste neppure nella posizione oggi assunta dagli architetti nei confronti
|
||
> della società in cui operano. Il vero problema è piuttosto quale posizione
|
||
> occupino gli architetti nei processi produttivi attuali. Non si tratta dunque
|
||
> di un problema soggettivo, bensì di un problema -- come già ben compreso da
|
||
> Walter Benjamin negli anni trenta[^ii37] -- *tecnico*. Detto in altri termini,
|
||
> il problema è se -- e in quale misura -- gli architetti odierni, esercitando
|
||
> il loro ruolo di "creatori di spettacoli", oppure piuttosto rivestendone un
|
||
> altro, riescano a operare una *trasformazione* dell'apparato produttivo, e se
|
||
> -- e quanto -- invece compiano nei confronti di questo un "semplice
|
||
> rifornimento"[^ii38].
|
||
:::
|
||
|
||
:::
|
||
|
||
|
||
::: horizontal
|
||
> Kot je pojasnil Benjamin sam,
|
||
>
|
||
> > ... gre pri dobavljanju materiala produkcijskemu aparatu, ne da bi tega
|
||
> > obenem spreminjali v skladu z možnostmi, za skrajno sporen postopek, in
|
||
> > sicer tudi takrat, ko je videti, da je snov, s katero se aparat oskrbuje,
|
||
> > revolucionarne narave. [@benjamin2016avtor, 88]
|
||
>
|
||
> V tem pogledu je "dobavitelj" produkcijskemu aparatu tisti, ki ga zgolj
|
||
> ohranja ali kvečjemu obnavlja "od znotraj [...] po modi" in ga zato pušča
|
||
> "kakršen je". Pomembno je, da Benjamin uporablja tudi francoski izraz
|
||
> *routiniers* (tisti, ki se podrejajo navadi, ki utrujeno ponavljajo že znano)
|
||
> za označevanje "dobaviteljev", torej tistih, ki se odpovedujejo popravkom v
|
||
> sistemu proizvodnje. Temu nasproti je postavljen *Produzent* (proizvajalec):
|
||
> ne le tisti, ki proizvaja (ali bolje, ki enostavno re-producira), temveč
|
||
> tisti, ki preoblikuje proizvodni aparat v tehničnem smislu.
|
||
>
|
||
> Vprašanje, ki si ga je treba zastaviti na tej točki, je: ali lahko sodobni
|
||
> arhitekti s svojimi posegi preoblikujejo proizvodni aparat, v katerega so
|
||
> vpeti? [@biraghi2019larchitetto, 32-33]
|
||
|
||
::: {lang=it}
|
||
> Come chiarisce lo stesso Benjamin,
|
||
>
|
||
> > ... rifornire un apparato produttivo senza trasformarlo (nella misura del
|
||
> > possibile) rappresenta un procedimento estremamente oppugnabile persino quando
|
||
> > i contenuti di cui è rifornito questo apparato sembrano di natura
|
||
> > rivoluzionaria.
|
||
>
|
||
> In questa prospettiva, il "rifornitore" di un apparato produttivo è colui che si
|
||
> limita a perpetuarlo, o che al più lo rinnova "dall'interno (...) secondo la
|
||
> moda", di conseguenza "lasciandolo cosí com'è"[^ii39]. Significativamente, per
|
||
> indicare i "rifornitori", Benjamin fa ricorso anche al termine francese
|
||
> *routiniers* (coloro che si conformano all'abitudine, che ripetono stancamente
|
||
> il già noto), intendendo con esso coloro che rinunciano ad apportare correzioni
|
||
> al sistema di produzione[^ii40]. A ciò egli contrappone il *Produzent*
|
||
> (produttore): non semplicemente colui che produce (o piuttosto, che banalmente
|
||
> ri-produce), quanto piuttosto colui che trasforma in senso tecnico l'apparato
|
||
> produttivo.
|
||
>
|
||
> La domanda da porsi a questo punto è: sono in grado gli architetti attuali, con
|
||
> il loro intervento, di trasformare l'apparato produttivo nel quale sono
|
||
> inseriti?
|
||
:::
|
||
|
||
:::
|
||
|
||
Le trasformazioni verificatasi nell'architettura nel corso dell'ultimo secolo --
|
||
e poi, in modo sempre più rapido, nel corso degli ultimi decenni (trasformazioni
|
||
che, al di là degli aspetti strutturali e di quelli estetico-formali, hanno
|
||
contrassegnato il suo progressivo *divenir-merce*) -- hanno inesorabilmente
|
||
modificato anche la posizione occupata dagli architetti all'interno
|
||
dell'apparato produttivo. Non che in precedenza questi godessero di una maggiore
|
||
indipendenza, ma ancora nel corso degli anni venti e nei primi anni trenta, e
|
||
successivamente tra gli anni cinquanta e sessanta, vi sono stati tentativi --
|
||
pur spesso conclusisi in delusioni, sconfitte, o in strategici ripiegamenti --
|
||
di *spostare* sostanzialmente il senso del lavoro dell'architetto, a volte anche
|
||
a costo di scontri o di rinunce: si pensi ad esempio all'impostazione della
|
||
didattica del Bauhaus di Dessau da parte di Hannes Meyer, tutta improntata a una
|
||
"scientificizzazione spinta dei processi architettonici"[^ii41]; o ai progetti
|
||
radicali -- architettonici e urbani -- di Ludwig Hilberseimer, rigorosi al punto
|
||
da superare ogni ipotesi funzionalista o formalista, e rivolgersi piuttosto a un
|
||
soggetto post-umanista[^ii42]; o al ripensamento profondo della stessa idea di
|
||
progetto -- e conseguentemente di oggetto -- architettonico da parte di Cedric
|
||
Price[^ii43]; o ancora, alla monumentale opera "minimale" compiuta da Aldo van
|
||
Eyck con la realizzazione di oltre settecento *playgrounds* nell'ambito
|
||
dell'intervento per la municipalità di Amsterdam[^ii44]. In seguito, invece, una
|
||
stessa "sorte" epocale sembra aver coinvolto molti architetti, più ancora che a
|
||
compiere una consapevole o prudente ritirata verso posizioni più riparate, ad
|
||
"accomodarsi" semplicemente nei ruoli loro offerti da un intendimento sociale.
|
||
Al punto che oggi una delle loro funzioni preminenti, per dirla ancora una volta
|
||
con le parole di Benjamin, "è quella di rinnovare il mondo dall'interno -- in
|
||
altre parole: secondo la moda --, lasciandolo cosí com'è".
|
||
|
||
Ma se, come si è visto, la trasformazione dell'architettura in merce ha quale
|
||
suo necessario corollario la trasformazione dell'architetto in "rifornitore"
|
||
(*rifornitore di merci*), vi è però un'ulteriore ed estrema trasformazione che
|
||
questi subisce nel corso di tale processo, e in diretta conseguenza di esso: la
|
||
trasformazione dell'architetto stesso in merce. Ciò può essere inteso in due
|
||
accezioni diverse, corrispondenti a due "profili" di architetti ritenuti --
|
||
nella gran parte dei casi, a torto -- altrettanto diversi tra loro. La prima
|
||
accezione è quella che tende a identificare l'architetto contemporaneo con un
|
||
moderno demiurgo, dotato di spiccate doti autoriali e di una forte
|
||
riconoscibilità stilistica. Questa figura si confonde con il mito
|
||
dell'architetto-*archistar*. In qualità di merce -- e merce di "lusso" --
|
||
l'architetto-*archistar* ha fama di essere molto prezioso, e perciò anche
|
||
altrettanto desiderato e "corteggiato"; inoltre, lo si ritiene capace di
|
||
disporre pienamente dei propri strumenti, delle proprie tecniche, dei propri
|
||
linguaggi, e ancora di più, di disporre di sé nel senso più generale, di
|
||
autodeterminarsi, ma al tempo stesso pure di essere libero d'imporre le proprie
|
||
scelte. Per tutte queste ragioni, *in quanto merce*, l'architetto-*archistar*
|
||
induce l'idea di non essere "soggetto" al mercato, bensì piuttosto di occuparvi
|
||
una posizione privilegiata, se non addirittura di dominarlo. Questa prima
|
||
accezione -- che è la più largamente diffusa -- è al tempo stesso anche la più
|
||
facilmente falsificabile.
|
||
|
||
La seconda accezione è legata a una situazione come quella attuale, in cui una
|
||
grandissima sovrabbondanza di architetti disponibili sul mercato fa aumentare a
|
||
dismisura la concorrenza tra loro, costringendo molti ad accettare condizioni di
|
||
pesante deprezzamento del proprio lavoro. L'architetto in questo modo finisce
|
||
per vendere se stesso come una merce svalutata. È il caso di moltissimi giovani
|
||
architetti che lavorano gratis, o sottopagati, senza contratto, senza orari,
|
||
senza riposi settimanali, senza ferie pagate, senza pensione. Di questi
|
||
architetti-lavoratori sfruttati e delle condizioni di produzione del progetto
|
||
negli studi contemporanei bisognerà tornare a parlare più oltre. In questo caso
|
||
come nell'altro, comunque, al di là delle differenze più o meno apparenti, la
|
||
mercificazione investe direttamente l'architetto, il quale in tal modo -- oltre
|
||
che delle proprie "merci" -- rifornisce il mercato anche di se stesso.
|
||
|
||
[^ii1]: Per le nozioni di valore d'uso, valore d'uso sociale, valore di scambio,
|
||
il riferimento è ovviamente Karl Marx, *Il Capitale*, Editori Riuniti, Roma
|
||
1980, vol. I, pp. 67 e sgg.
|
||
|
||
[^ii2]: Per un'utile (per quanto episodica) lettura in tal senso vedi
|
||
*Architecture and Capitalism. 1845 to the Present*, a cura di Peggy Deamer,
|
||
Routledge, New York 2014.
|
||
|
||
[^ii3]: Sul tema vedi, tra gli altri, le interessanti raccolte *Housing in Europa
|
||
1. 1900-1960* e *Housing in Europa 2. 1960-1979*, Luigi Parma, Bologna 1978 e
|
||
1979; Roger Sherwood, *Modern Housing Prototypes*, Harvard University Press,
|
||
Cambridge (Mass.) 1978; e inoltre *Las formas de la residencia en la ciudad
|
||
moderna*, a cura di Carlos Martí Arís, Edicions UPC, Barcelona 2000.
|
||
|
||
[^ii4]: Vedi *Die Frankfurter Küche von Margarete Schütte-Lihotzky*, a cura di
|
||
Peter Neover, Ernst & Sohn, Berlin 1991.
|
||
|
||
[^ii5]: Ernst May, *Cinque anni di attività di edilizia residenziale a Francoforte
|
||
sul Meno*, in "Das neue Frankfurt", n. 2-3, 1930, ora in G. Grassi (a cura di),
|
||
*Das neue Frankfurt 1926-1931*, Edizioni Dedalo, Bari 1975, p. 208.
|
||
|
||
[^ii6]: Giorgio Grassi, *Das neue Frankfurt e l'architettura della nuova
|
||
Francoforte*, in Grassi (a cura di), *Das neue Frankfurt 1926-1931* cit., p. 9.
|
||
|
||
[^ii7]: Tafuri, *Progetto e utopia* cit., p. 107; Manfredo Tafuri e Francesco Dal
|
||
Co, *Architettura contemporanea*, Electa, Milano 1976, p. 153.
|
||
|
||
[^ii8]: Francesco Dal Co, *Architetti e città -- Unione Sovietica 1917-1934*, in
|
||
*Socialismo, città, architettura -- URSS 1917-1937. Il contributo degli
|
||
architetti europei*, testi di Alberto Asor Rosa, Bruno Cassetti, Giorgio Ciucci,
|
||
Francesco Dal Co, Marco De Michelis, Rita Di Leo, Kurt Junghanns, Gerritt
|
||
Oorthuys, Vítězslav Procházka, Hans Schmidt, Manfredo Tafuri, Officina Edizioni,
|
||
Roma 1971, p. 106.
|
||
|
||
[^ii9]: Le Corbusier, *Verso una architettura* (1923), Longanesi, Milano 1973, p.
|
||
243.
|
||
|
||
[^ii10]: Pier Vittorio Aureli, *Means to an End. The Rise and Fall of the
|
||
Architectural Project of the City*, in Id. (a cura di), *The City as a
|
||
Project*, Ruby Press, Berlin 2013, p. 37.
|
||
|
||
[^ii11]: Le Corbusier, *Verso una architettura* cit., pp. 241-43.
|
||
|
||
[^ii12]: Walter Benjamin, *Parigi capitale del* *XIX* *secolo*, Einaudi, Torino
|
||
1986, p. 533.
|
||
|
||
[^ii13]: Vedi Walter Benjamin, *Esperienza e povertà* (1933), in Id., *Esperienza
|
||
e povertà*, a cura di Massimo Palma, Castelvecchi, Roma 2018, p. 55.
|
||
|
||
[^ii14]: Benjamin, *Parigi capitale del* *XIX* *secolo* cit.
|
||
|
||
[^ii15]: Le Corbusier, *Verso una architettura* cit., p. 187.
|
||
|
||
[^ii16]: Guy Debord, *La società dello spettacolo* (1967), Sugarco, Milano 1990,
|
||
p. 85.
|
||
|
||
[^ii17]: *Ibid.*, p. 97.
|
||
|
||
[^ii18]: Debord, *La società dello spettacolo* cit., p. 108.
|
||
|
||
[^ii19]: Matteo Pasquinelli, *Oltre le rovine della Città Creativa: la fabbrica
|
||
della cultura e il sabotaggio della rendita*, in Marco Baravalle (a cura di),
|
||
*L'arte della sovversione*, Manifestolibri, Roma 2009, p. 152. L'affermazione
|
||
originale di Debord recita "Lo spettacolo è il capitale ad un tal grado di
|
||
accumulazione da divenire immagine".
|
||
|
||
[^ii20]: Benjamin, *Parigi capitale del* *XIX* *secolo* cit., p. 15.
|
||
|
||
[^ii21]: Alois Riegl, *Il culto moderno dei monumenti. Il suo carattere e i suoi
|
||
inizi* (1903), a cura di Sandro Scarrocchia, Abscondita, Milano 2017, p. 55.
|
||
|
||
[^ii22]: Vedi, tra i molti altri, Ludwig Hilberseimer, *Internationale Neue
|
||
Baukunst*, Julius Hoffmann, Stuttgart 1927; Bruno Taut, *Die neue Baukunst in
|
||
Europa und Amerika*, Julius Hoffmann, Stuttgart 1929; Adolf Behne, *Neues
|
||
Wohnen, neues Bauen*, Hesse & Becker, Leipzig 1930; Jacobus Johannes Pieter Oud,
|
||
*Nieuwe bouwkunst in Holland en Europa*, De Driehoek, 's-Graveland 1935.
|
||
|
||
[^ii23]: Manfredo Tafuri, *Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico*, in
|
||
"Contropiano", n. 2, 1970, p. 268.
|
||
|
||
[^ii24]: Charles Jencks, *The Iconic Building. The Power of Enigma*, Rizzoli, New
|
||
York 2005.
|
||
|
||
[^ii25]: Pier Vittorio Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture*, MIT
|
||
Press, Cambridge (Mass.) 2011, p. XII.
|
||
|
||
[^ii26]: Francesco Dal Co, *The Guggenheim. Frank Lloyd Wright's Iconoclastic
|
||
Masterpiece*, Yale University Press, New Haven 2017.
|
||
|
||
[^ii27]: Françoise Fromonot, *Jørn Utzon architetto della Sydney Opera House*,
|
||
Electa, Milano 1998.
|
||
|
||
[^ii28]: Francesco Dal Co, *Centre Pompidou. Renzo Piano, Richard Rogers, and the
|
||
Making of a Modern Monument*, Yale University Press, New Haven 2016.
|
||
|
||
[^ii29]: Jean Baudrillard, *L'effetto Beaubourg. Implosione e dissuasione*, in
|
||
Id., *Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti*, a
|
||
cura di Matteo G. Brega, Pgreco, Milano 2008, pp. 27-44, e in particolare p. 31.
|
||
|
||
[^ii30]: Baudrillard, *L'effetto Beaubourg* cit., pp. 35 e 38.
|
||
|
||
[^ii31]: Coosje Van Bruggen, *Frank O. Gehry. Guggenheim Museum Bilbao*,
|
||
Guggenheim Museum Publ., New York 1999; John Rajchman, *Effetto Bilbao*, in
|
||
"Casabella", n. 673-74, 1999-2000, pp. 10-11.
|
||
|
||
[^ii32]: Vedi ad esempio Davide Ponzini e Michele Nastasi, *Starchitecture. Scene,
|
||
attori e spettacoli nelle città contemporanee*, Allemandi, Torino 2011.
|
||
|
||
[^ii33]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit., p. XII.
|
||
|
||
[^ii34]: Sul tema della festa barocca vedi, tra gli altri, Marcello Fagiolo, *La
|
||
festa barocca*, De Luca, Roma 1997, nonché Id. (a cura di), *Le capitali della
|
||
festa. Italia settentrionale e Italia centrale e meridionale*, 2 voll., De Luca,
|
||
Roma 2007-2008.
|
||
|
||
[^ii35]: Vedi http://www.oma.eu/projects/2006/dubai-renaissance/.
|
||
|
||
[^ii36]: Josep Lluís Mateo e altri (a cura di), *Iconoclastia. News from a
|
||
Post-Iconic World. Architectural Papers IV*, ETH -- Eidgenössische Technische
|
||
Hochschule -- Ed. Actar, Zürich -- Barcelona 2009.
|
||
|
||
[^ii37]: Walter Benjamin, *L'autore come produttore* (1934), in Id., *Avanguardia
|
||
e rivoluzione. Saggi sulla letteratura*, Einaudi, Torino 1973, pp. 199-217 (ora
|
||
in *Opere complete*, VI. *Scritti 1934-1937*, ivi 2004). Si tratta del medesimo
|
||
saggio citato da Manfredo Tafuri in *La sfera e il labirinto. Avanguardie e
|
||
architettura da Piranesi agli anni '70*, Einaudi, Torino 1980, p. 352, a
|
||
proposito delle ricerche architettoniche degli anni sessanta e settanta. Sulle
|
||
sue considerazioni al proposito si dovrà tornare più oltre.
|
||
|
||
[^ii38]: Benjamin, *L'autore come produttore* cit., p. 207.
|
||
|
||
[^ii39]: *Ibid.*, p. 209.
|
||
|
||
[^ii40]: *Ibid.*, p. 208.
|
||
|
||
[^ii41]: Francesco Dal Co, *Hannes Meyer e la venerabile scuola di Dessau*, in
|
||
Hannes Meyer, *Scritti 1921-1942. Architettura o rivoluzione*, a cura di F. Dal
|
||
Co, Marsilio, Padova 1969, p. 38.
|
||
|
||
[^ii42]: K. Michael Hays, *Modernism and the Posthumanist Subject. The
|
||
Architecture of Hannes Meyer and Ludwig Hilberseimer*, The MIT Press, Cambridge
|
||
(Mass.) 1992.
|
||
|
||
[^ii43]: Stanley Mathews, *From Agit-Prop to Free Space: The Architecture of
|
||
Cedric Price*, Black Dog Publishing, London 2007.
|
||
|
||
[^ii44]: Liane Lefaivre e Ingeborg de Roode (a cura di), *Aldo van Eyck.
|
||
Playgrounds*, NAi Publishers, Rotterdam 2002.
|
||
|
||
## Vloga arhitekta-intelektualca {#vloga}
|
||
|
||
::: horizontal
|
||
> Začetek zgodovine moderne arhitekture naj bi po mnenju številnih raziskovalcev
|
||
> sovpadal z zasnovo kupole Santa Maria del Fiore Filippa Brunelleschija. Znana
|
||
> afera povezana z zaključkom florentinske katedrale, ki bi tradicionalno bila
|
||
> rešena z uporabo lesenih opažev (reber), a v tem primeru, zaradi velikih
|
||
> dimenzij prostora, ki bi ga bilo treba obokati, niso bile uporabne, je za
|
||
> Brunelleschija postala priložnost, da ne le uporabi svoje konstrukcijsko
|
||
> znanje, ki je plod neposrednega študija antike, temveč tudi "prvič potrdi in
|
||
> zagovarja 'strokovnost' arhitekta proti ohlapnem 'poklicu' rokodelca, prednost
|
||
> tehnične invencije pred izvedenostjo obrti". Ne gre le za "kategorično
|
||
> zahtevo": v razlikovanju med momentom projekta in momentom izvedbe gre tudi za
|
||
> razlikovanje med "svobodno" in "mehanično" dejavnostjo in s tem za prevzem
|
||
> naloge organizacije in vodenja družbe s strani izobraženega posameznika. Gre
|
||
> za rojstvo intelektualca kot aktivnega subjekta in spekulativne figure.
|
||
> [@biraghi2019larchitetto, 37]
|
||
|
||
::: {lang=it}
|
||
> L'esordio della storia dell'architettura moderna viene fatto coincidere,
|
||
> secondo il parere di molti studiosi, con la concezione della cupola di Santa
|
||
> Maria del Fiore da parte di Filippo Brunelleschi[^iii1]. La nota vicenda
|
||
> legata al completamento del Duomo di Firenze, risolvibile tradizionalmente
|
||
> facendo ricorso all'impiego di armature (centine) di legno, nella circostanza
|
||
> non applicabili a causa delle grandi dimensioni dello spazio da voltare,
|
||
> diviene l'occasione per Brunelleschi non soltanto per applicare il proprio
|
||
> sapere costruttivo, frutto dello studio diretto dell'antico, ma anche per
|
||
> affermare e difendere, "per la prima volta, (...) la "professionalità"
|
||
> dell'architetto contro il vago "magistero" dell'artefice, la priorità
|
||
> dell'invenzione tecnica sulla perizia del mestiere"[^iii2]. Non si tratta
|
||
> soltanto di una "rivendicazione di categoria": nella distinzione tra il
|
||
> momento del progetto e quello dell'esecuzione è in gioco anche la distinzione
|
||
> tra un'attività "liberale" e un'attività "meccanica", e dunque l'assunzione da
|
||
> parte dell'individuo colto del compito di organizzare e guidare la società. È
|
||
> la nascita dell'intellettuale come soggetto attivo, oltreché come figura
|
||
> speculativa.
|
||
:::
|
||
|
||
:::
|
||
|
||
::: horizontal
|
||
> Pomenljivo Antonio Manetti, prvi Brunelleschijev biograf, poudarja predvsem
|
||
> njegov velik in čudovit "intelekt". Intelekt, ki zagotovo ne deluje izolirano
|
||
> in za svoje "delovanje" potrebuje druge, hkrati pa sebe in svoje delovanje
|
||
> postavlja na povsem drugo raven, kot jo zasedajo njegovi sogovorniki. Ni
|
||
> naključje, da vse njegove biografije ne pozabijo poročati -- čeprav v
|
||
> različnih različicah -- o emblematični epizodi: leta 1430 se je po protestu
|
||
> zidarjev ["maestri di cazzuola"] zaradi napornega in nevarnega dela na kupoli
|
||
> odločil, da jih odpusti in nadomesti z lombardskimi delavci, le da jih je
|
||
> pozneje vse (razen enega) znova zaposlil za nižjo plačo. To je najbolj jasen
|
||
> prikaz dejstva, da se premoč intelektualnega človeka izvaja v terminih moči
|
||
> poveljevanja in nadzora, hkrati pa dobi tudi konotacije, ki ga ne ne ločujejo
|
||
> toliko po nalogi ali vlogi kot po pripadnosti *razredu*. To kar epizoda naglo
|
||
> izpostavi -- tako kot celoten Brunelleschijev poseg v Santa Maria del Fiore --
|
||
> je "tema moderne družbene delitve dela". [@biraghi2019larchitetto, 37-38]
|
||
|
||
::: {lang=it}
|
||
> Significativamente, Antonio Manetti, il primo biografo di Brunelleschi, ne
|
||
> mette in rilievo sopra ogni altra cosa il grande e meraviglioso
|
||
> "intelletto"[^iii3]. Un intelletto che non agisce certo nell'isolamento e che
|
||
> necessita degli altri per poter compiere la propria "azione"[^iii4], ma che al
|
||
> tempo medesimo pone se stesso e il proprio operare su un piano completamente
|
||
> diverso rispetto a quello occupato dai suoi interlocutori. Non a caso, tutte
|
||
> le sue biografie non mancano di riportare -- sia pure in versioni differenti
|
||
> -- un episodio emblematico: nel 1430, in seguito alle proteste dei "maestri di
|
||
> cazzuola" per le fatiche e i pericoli del lavoro sulla cupola, egli decide di
|
||
> licenziarli e di sostituirli con maestranze lombarde, salvo in seguito
|
||
> riassumerli tutti (tranne uno) a un salario più basso[^iii5]. Si tratta della
|
||
> dimostrazione più evidente del fatto che la supremazia dell'uomo d'intelletto
|
||
> si esercita in termini di potere di comando e di controllo, ma assume anche
|
||
> connotazioni che ne distinguono non tanto la mansione o il ruolo quanto
|
||
> piuttosto l'appartenenza a una *classe*. Ciò che l'episodio fa emergere
|
||
> impetuosamente -- cosí come l'intero intervento di Brunelleschi a Santa Maria
|
||
> del Fiore -- è cioè "il tema della moderna divisione sociale del
|
||
> lavoro"[^iii6].
|
||
:::
|
||
|
||
:::
|
||
|
||
V tem primeru začetek moderne arhitekture ni opredeljen v formalnih, oblikovnih
|
||
ali tehničnih, kriterijih, temveč začetek označuje vzpostavitev arhitektov v
|
||
njihovi družbeni distinkciji, kot intelektualcev in vodilnih figur na gradbišču.
|
||
Na to, kakšen značaj bo nova "premoč" intelekta imela, nakazuje epizoda iz leta
|
||
1430, ko Brunelleschi zidarje, ki so stavkali zaradi napornega in nevarnega dela
|
||
na kupoli, odpusti le da jih nazadnje spet zaposli za nižje plačilo.
|
||
|
||
Pri tem ni ključna osnovna interpretacija, da se avtonomija arhitekta izvaja v
|
||
terminih komande in nadzora, temveč objektivni značaj Brunelleschijevega izuma.
|
||
Rešitev zasnove kupole na način, da je ni potrebno pred gradnjo centrirati ter
|
||
med gradnjo podpirati, ker je na vsaki stopnji izgradnje samostoječa in
|
||
samouravnalna, odpravi privilegije mojstrov saj se ne zanaša več na njihovo
|
||
tradicionalno vednost, prav tako pa lažje prenese zaustavitve del in menjave
|
||
delovnih ekip. Učinkovanje arhitekture je v tem primeru pravzaprav neodvisno od
|
||
strokovnih, umetniških ali političnih interesov arhitekta in z njimi sovpada le
|
||
slučajno.
|
||
|
||
La coincidenza del sorgere della figura dell'architetto come intellettuale e del
|
||
manifestarsi di rapporti di classe prefiguranti quelli che si instaureranno con
|
||
la rivoluzione industriale tra la borghesia e il proletariato non è
|
||
evidentemente casuale. Come rileva ancora Tafuri, "l'intellettuale-architetto
|
||
(...) rivendicando l'autonomia del proprio ruolo, (...) si pone all'avanguardia
|
||
delle nuove classi al potere". E aggiunge: "tanto da poter persino entrare in
|
||
conflitto con esse là dove queste non siano disposte ad essere conseguenti fino
|
||
in fondo con le proprie premesse".
|
||
|
||
L'episodio a cui allude Tafuri è probabilmente quello riferito da Vasari,
|
||
secondo il quale, avendo ricevuto da Cosimo de' Medici l'incarico di progettare
|
||
un palazzo in piazza San Lorenzo, a Firenze, Brunelleschi ne "fece un bellissimo
|
||
e gran modello"; ma poi, "parendo a Cosimo troppo sontuosa e gran fabbrica, più
|
||
per fuggire l'invidia che la spesa, lasciò di metterla in opera"; al che
|
||
Brunelleschi, "intendendo la resoluzione di Cosimo, che non voleva tal cosa
|
||
mettere in opera, con sdegno in mille pezzi il disegno ruppe"[^iii7].
|
||
|
||
Non sono tuttavia numerosi i casi in cui l'architetto si ribellerà -- o
|
||
addirittura, si opporrà concretamente -- al potere e ai potenti, nei secoli
|
||
successivi. E semmai un indizio della sempre maggiore assimilazione degli
|
||
architetti al sistema di potere di volta in volta vigente si lascia rintracciare
|
||
nel loro parallelo cercare rifugio in un'attività che tende sempre meno a
|
||
identificarsi -- come accadeva ancora nel caso di Brunelleschi -- con il solo
|
||
progetto architettonico, e che si apre via via ad altre espressioni e linguaggi:
|
||
dal disegno come tecnica (almeno potenzialmente) affrancata dalla realizzazione
|
||
concreta, alla scrittura come pratica finalizzata non esclusivamente a
|
||
verbalizzare le "regole" dell'architettura ma anche a produrre su di essa
|
||
"discorsi" di natura diversa, spesso scopertamente soggettivi: non più trattati,
|
||
insomma, quanto piuttosto "punti di vista", "opinioni" sull'architettura. Ciò
|
||
che ne deriva è una forma di indipendenza dell'architetto non solo nei confronti
|
||
della committenza ma anche nei confronti della propria stessa attività;
|
||
sviluppando la *teoria* come una dimensione al tempo stesso organica e autonoma
|
||
di questa, l'architetto porta a compimento il processo di autoaffermazione di sé
|
||
come intellettuale.
|
||
|
||
In questo senso, Leon Battista Alberti incarna al suo massimo grado la figura
|
||
dell'intellettuale-umanista che estende *anche* all'architettura il proprio
|
||
ambito d'interessi, tanto scrivendone (nella forma canonica del trattato)[^iii8],
|
||
quanto progettandola (senza però interessarsi attivamente alle fasi
|
||
costruttive)[^iii9]. E infatti nella definizione che egli dà dell'architetto si
|
||
preoccupa prima di ogni altra cosa di sgombrare il campo dai possibili equivoci
|
||
circa il ruolo di questi come artista-intellettuale, distinguendolo nettamente
|
||
da quello di altre figure che si occupano in modo diverso di costruzioni, come
|
||
il *faber tignarius*:
|
||
|
||
> ... non prenderò certo in considerazione un carpentiere, per paragonarlo ai
|
||
> più qualificati esponenti delle altre discipline: il lavoro del carpentiere
|
||
> infatti non è che strumentale rispetto a quello dell'architetto[^iii10].
|
||
|
||
E invece
|
||
|
||
> ... architetto chiamerò colui che con metodo sicuro e perfetto sappia
|
||
> progettare razionalmente e realizzare praticamente, attraverso lo spostamento
|
||
> dei pesi e mediante la riunione e la congiunzione dei corpi, opere che nel
|
||
> modo migliore si adattino ai più importanti bisogni dell'uomo.
|
||
|
||
Dove anche il "realizzare praticamente" va inteso piuttosto come capacità di
|
||
compiere *reali* verifiche delle ipotesi progettuali formulate che non come un
|
||
diretto intervento dell'architetto nelle fasi costruttive dell'edificio.
|
||
|
||
Pur non essendo possibile seguire analiticamente le avventure dell'architetto
|
||
intellettuale dal Rinascimento in avanti (in larga parte coincidenti, del resto
|
||
-- almeno fino a tempi abbastanza recenti --, con la storia dell'architettura
|
||
*tout court*), non si può mancare almeno di ricordare il ruolo occupato
|
||
all'interno di esse da Andrea Palladio: non soltanto in qualità di progettista
|
||
di un'imprescindibile "rete" di edifici in terra veneta, ma soprattutto in
|
||
quanto autore dei *Quattro Libri dell'Architettura* (1570). Sono proprio questi
|
||
ultimi a costituire il perfetto paradigma -- a ben guardare mai eguagliato da
|
||
alcuno né prima né dopo di lui -- del tradursi *in atto* di un'intellettualità
|
||
architettonica. Fuggendo "la lunghezza delle parole", limitandosi dunque a
|
||
"quelle avvertenze, che mi parranno più necessarie"[^iii11], e affiancandovi
|
||
"alcuni disegni" di cui fornisce le "misure, da' quali potrà ciascuno
|
||
facilmente, secondo che se gli offerirà l'occasione, esercitando l'acutezza del
|
||
suo ingegno, pigliar partito e far opera degna di esser lodata"[^iii12], Palladio
|
||
consegue la più compiuta sintesi tra testi e immagini raggiunta in un trattato:
|
||
dove i disegni "dicono" ciò a cui le parole alludono soltanto. La sorprendente
|
||
"perspicuità" dell'*opus* palladiano, se costituisce l'irrefutabile presupposto
|
||
della sua fortuna planetaria[^iii13], è anche lo specchio ingannevole con il quale
|
||
abbagliare coloro che non sono "in tale arte istruiti". Ciò rende *I Quattro
|
||
Libri*, al tempo stesso, "per tutti e per nessuno", o perlomeno per quel numero
|
||
ristretto d'"intendenti" che sappia comprenderne e applicarne il codice sotteso.
|
||
Ed è straordinariamente significativo che sia proprio lo strumento del disegno
|
||
-- nella semplice forma della proiezione ortogonale in pianta, sezione e alzato
|
||
-- a rendere pienamente effettuale l'operazione intellettuale compiuta
|
||
dall'architetto. Con una notazione ulteriore: pur raccogliendo opere esemplari
|
||
realizzate da autori antichi e "moderni" (tra questi ultimi, soltanto Donato
|
||
Bramante, oltre a se stesso), il trattato di Palladio richiede di essere letto
|
||
come una teoria generale della progettazione basata sul sistema degli ordini e
|
||
delle proporzioni; una teoria capace di approssimarsi tanto all'"idea" da
|
||
distanziarsi persino dalla realtà[^iii14].
|
||
|
||
Sarà Giovanni Battista Piranesi -- trecento anni più tardi -- a mostrare invece
|
||
come l'architetto possa ormai concepire se stesso in modo quasi del tutto
|
||
svincolato dalla produzione progettuale, senza con questo cessare di
|
||
considerarsi architetto a tutti gli effetti. Piranesi fa del disegno qualcosa di
|
||
più di un mezzo di prefigurazione o di rappresentazione della realtà: e infatti,
|
||
nelle *Antichità Romane* (1756), come nelle *Vedute di Roma* (1778), esso ha il
|
||
compito di dissezionare e di catalogare in ogni sua parte il "corpo" della
|
||
città, al fine di farne non tanto un semplice rilievo, quanto piuttosto un
|
||
approfondito studio analitico-critico[^iii15]; nel caso delle *Carceri
|
||
d'invenzione* (1761) e del *Campo Marzio dell'Antica Roma* (1762), invece, il
|
||
disegno rimane volutamente incerto tra memoria archeologica e progetto del
|
||
nuovo, escludendo comunque dal proprio orizzonte qualsiasi eventualità di
|
||
realizzazione. In entrambi i casi, oltrepassa il valore di strumento meramente
|
||
tecnico, per divenire un vero e proprio dispositivo che permette a Piranesi di
|
||
definire senza condizionamenti il proprio campo d'azione. Un'assenza di
|
||
condizionamenti che si può misurare innanzitutto sul piano intellettuale. Non
|
||
per nulla, il testo teorico più importante di Piranesi, il *Parere
|
||
sull'Architettura* (1765), è organizzato in forma *dialogica*, vale a dire la
|
||
modalità espressiva più lontana dalla prescrittività della trattatistica. Nella
|
||
composizione dialettica delle opinioni sostenute da Protopiro e Didascalo è
|
||
sintetizzabile il "parere" piranesiano, sostenitore del "libero gioco della
|
||
creatività, che si esprime nella sede "privilegiata" dell'ornamento", ma anche
|
||
della necessità di dotare quest'ultimo dei "criteri compositivi" ispirati "ai
|
||
metodi con i quali la natura crea e dispone i propri fenomeni"[^iii16].
|
||
|
||
La libertà creativa individuale, sia pur temperata dal riferimento al piano
|
||
"oggettivo" e condivisibile della natura, è dunque la manifestazione della presa
|
||
di coscienza del ruolo ormai compiutamente *intellettuale* dell'architetto. Ma è
|
||
anche la chiara manifestazione di una crisi. Mentre si emancipa progressivamente
|
||
dalla "fisica" del potere (soltanto più tardi scoprirà di essere inesorabilmente
|
||
immerso nella sua "microfisica")[^iii17], l'architetto intellettuale si trova
|
||
sempre di più al cospetto di una frantumazione che riguarda la disciplina di cui
|
||
si occupa non meno che il proprio io. Ancora una volta, Piranesi è il precoce
|
||
annunciatore di entrambi i fenomeni. Ma più in generale, il fiorire -- tra XVII
|
||
e XIX secolo -- di polemiche[^iii18], pamphlet e saggi[^iii19] di ogni genere relativi
|
||
all'architettura è indice dell'affermarsi di certezze proclamate con tanto più
|
||
vigore e animosità quanto più si rivelano il frutto di una costitutiva
|
||
arbitrarietà e soggettività. Tramontata l'epoca in cui poteva esercitare le sue
|
||
funzioni ricorrendo *sola mente* ai lucidi schemi desunti dagli *aeterna
|
||
exempla* del classico, ora l'architetto è costretto a ripiegarsi su se stesso
|
||
per trovare frammenti di "verità" individuali, ma sempre più spesso per
|
||
nascondere la propria inadeguatezza e per coprire i propri dubbi. La
|
||
"personalità" dell'architetto, in certi casi, inizia ad assumere maggiore
|
||
importanza della sua stessa opera.
|
||
|
||
L'affermarsi di una dimensione teorica ormai non più correlata con una stretta
|
||
normatività comporta la necessità di connotare fortemente ciascuna teoria, al
|
||
fine di differenziare l'una dall'altra, in un gioco di prese di posizione e di
|
||
distanza che in molti casi ha l'effetto di radicalizzarle. Si ripensi
|
||
all'*incipit* di *Architecture. Essai sur l'art* di Étienne-Louis Boullée: "Che
|
||
cos'è l'architettura? La definirò forse con Vitruvio l'arte del costruire?
|
||
No"[^iii20]. La "sacralità" degli antichi -- e di Vitruvio quale massima autorità
|
||
in materia architettonica -- viene deliberatamente infranta. Per Boullée
|
||
l'architettura ha piuttosto a che fare con la "poesia", ovvero con il
|
||
"carattere" che ciascun tipo di costruzione deve esprimere, sulla base di un
|
||
preciso rapporto *analogico* tra forma e contenuto degli edifici: "Le immagini
|
||
che essi offrono ai nostri sensi dovrebbero suscitare in noi sentimenti
|
||
corrispondenti all'uso al quale essi sono consacrati"[^iii21].
|
||
|
||
La radicalizzazione della teoria si manifesta però al suo massimo grado
|
||
nell'opera di un allievo di Boullée, Jean-Nicolas-Louis Durand. Nei due libri
|
||
del *Précis des leçons données à l'École Polytechnique* (1802-809), la *raison*
|
||
è ormai diventata un'*ideé fixe*, una vera e propria ossessione; ed è nelle
|
||
tavole che l'accompagnano (in particolar modo della seconda parte), più ancora
|
||
che nel testo, che essa trova la sua più piena espressione: planimetrie e alzati
|
||
le cui combinazioni e permutazioni rigorosamente geometriche lasciano pochi
|
||
dubbi in merito alla "natura" della teoria sostenuta. Il cui autore, con
|
||
altrettanta chiarezza, risulta tramutato in un suo "sostenitore"[^iii22].
|
||
|
||
Ma è proprio a fronte dell'esasperazione delle posizioni e dell'inoperatività
|
||
che spesso vi si associa -- e al conseguente rischio di isolamento nel quale con
|
||
sempre maggiore frequenza incorre l'architetto intellettuale -- che questi tende
|
||
ad "aprire" la propria visione a una dimensione più allargata, collettiva,
|
||
caratterizzata non di rado in senso spiccatamente utopico. A partire da
|
||
*L'architecture considérée sous le rapport de l'art, des moeurs et de la
|
||
législation* (1804) di Claude-Nicolas Ledoux, l'architetto si propone come
|
||
"pensatore" -- o "ripensatore" -- della città e della società. Affiancandosi, o
|
||
sostituendosi addirittura, alle tradizionali figure di riferimento (il filosofo,
|
||
il politico, l'industriale, il pedagogo, il filantropo)[^iii23], l'architetto si
|
||
appropria del mito riformista, sia pure proiettato in un mondo soltanto
|
||
immaginato, in senso grafico o letterario. Gli esiti di questo passaggio si
|
||
lasceranno rintracciare ancora nella *Cité industrielle* (1917) di Tony
|
||
Garnier[^iii24] e nella *Ville contemporaine de trois millions d'habitants* (1922)
|
||
di Le Corbusier[^iii25].
|
||
|
||
Proprio Le Corbusier può essere considerato l'architetto intellettuale più
|
||
significativo e influente del XX secolo. Il suo apporto, in questo senso, non è
|
||
valutabile esclusivamente in termini produttivi, cosí come non lo è neppure in
|
||
chiave meramente progettuale, o almeno non nell'accezione usuale del termine,
|
||
come fase preparatoria "in vista" della sua realizzazione concreta. Dalla Maison
|
||
Dom-Ino alla Ville Radieuse e oltre, Le Corbusier elabora un discorso articolato
|
||
in varie "puntate" ma unitario, le cui singole parti scaturiscono da un'*idea di
|
||
spazio* e da un'*idea di costruzione e struttura* ben precise, declinate su
|
||
scale diverse, fino a giungere a formulare una visione "totale", completamente
|
||
alternativa al mondo reale; una visione che affida all'architettura il compito
|
||
di ripensare radicalmente la società.
|
||
|
||
Anche sotto il profilo pubblicistico, non soltanto Le Corbusier si rivela
|
||
probabilmente il più prolifico scrittore di architettura del secolo[^iii26], ma
|
||
pure quello più di ogni altro capace di funzionalizzare tale attività al ruolo
|
||
autoassegnatosi di architetto intellettuale: che non consiste né nell'assolvere
|
||
a compiti puramente tecnici, di semplice illustrazione e diffusione dei
|
||
progetti, né nell'affermare valori esclusivamente ideologici o letterari,
|
||
l'intenzione del raggiungimento dei quali potrebbe anche prescindere dallo
|
||
svolgimento di un'attività progettuale. Adottando via via la forma del
|
||
manifesto, del pamphlet, dello scritto polemico, i libri di Le Corbusier si
|
||
presentano come vere e proprie "crociate"[^iii27] combattute con le armi della
|
||
critica, della provocazione e dell'ironia; il tutto finalizzato a fornire ogni
|
||
supporto possibile a una concezione dell'architettura che -- come poc'anzi
|
||
rilevato -- è tanto ideale quanto concreta, ovvero traducibile in termini
|
||
spaziali e in termini costruttivo-strutturali: perfetta sintesi del compito che
|
||
per tutta la vita Le Corbusier ostinatamente persegue.
|
||
|
||
È nell'Italia del secondo dopoguerra, tuttavia, che la figura dell'architetto
|
||
intellettuale assume una forte connotazione sociale, e in certi casi pure
|
||
politica, con il conseguente riconoscimento del suo ruolo anche al di fuori
|
||
dell'ambito strettamente disciplinare. Emblematico, in questo senso, è il caso
|
||
di Bruno Zevi: laureatosi nel 1942 alla Graduate School of Design di Harvard
|
||
diretta da Walter Gropius, negli anni successivi Zevi torna in Italia dove
|
||
lavora come architetto, ma soprattutto si fa propagatore della "buona novella"
|
||
dell'architettura organica di Frank Lloyd Wright[^iii28]. Non meno importante è la
|
||
posizione da lui assunta all'interno di svariate istituzioni, tra le quali
|
||
l'Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), di cui riveste la carica di
|
||
segretario generale dal 1952 al 1968, e l'IN/ARCH (Istituto Nazionale di
|
||
Architettura), da lui stesso fondato nel 1959. Un impegno civile che verrà
|
||
profuso anche all'interno di movimenti e partiti politici, a partire dalla
|
||
militanza in Giustizia e Libertà, negli anni della guerra e della Resistenza,
|
||
per passare poi al Partito d'Azione, a Unità Popolare, al Partito socialista
|
||
unificato e infine al Partito radicale, per il quale nel 1987 sarà eletto
|
||
deputato al parlamento e del quale diverrà presidente tra la fine degli anni
|
||
ottanta e i primi novanta[^iii29].
|
||
|
||
Ma è l'implicazione nel campo della produzione culturale direttamente legata
|
||
all'architettura ciò che caratterizza in modo particolare l'azione di Zevi. Il
|
||
forte coinvolgimento in qualità di redattore dapprima e poi di condirettore
|
||
nella rivista "Metron", tra il 1946 e il 1954, e la fondazione nel 1955 e la
|
||
direzione fino al 2000 di "L'architettura. Cronache e storia", insieme a una
|
||
produzione libraria qualitativamente e quantitativamente ragguardevole -- in cui
|
||
spiccano, tra i molti altri, titoli fondamentali quali *Saper vedere
|
||
l'architettura*, *Storia dell'architettura moderna*, *Poetica dell'architettura
|
||
neoplastica*, *Il linguaggio moderno dell'architettura*[^iii30] -- sono i segni
|
||
tangibili di un coinvolgimento che va evidentemente oltre il consueto piano di
|
||
lavoro dello studioso e dello storico. È proprio *Verso un'architettura
|
||
organica*, del resto, che dà avvio a quello che a tutti gli effetti -- anche al
|
||
di là del più immediato riferimento wrightiano -- è un tentativo di portare un
|
||
contributo fattivo, da architetto e da intellettuale, alla ricostruzione
|
||
italiana. In quest'ottica va letta la *Prefazione*, datata febbraio 1944, in cui
|
||
sottolinea che
|
||
|
||
> ... forse sarebbe stato più esatto intitolare questo libretto "verso
|
||
> un'edilizia organica", stabilendo cosí dall'inizio che, invece di fare una
|
||
> storia dell'arte, ci si accingeva al compito più modesto di trovare un
|
||
> indirizzo comune nel lavoro contemporaneo[^iii31].
|
||
|
||
Un concetto su cui ritorna più oltre con chiarezza ancora maggiore:
|
||
|
||
> Alla fine del conflitto mondiale, l'Italia avrà bisogno di pane e di case.
|
||
> Nelle sue terre distrutte, contadini, operai, intellettuali domanderanno case.
|
||
> L'opera degli architetti dovrà rispondere alle esigenze materiali e
|
||
> psicologiche dell'edilizia di un paese finalmente libero[^iii32].
|
||
|
||
Un'edilizia organica, nell'auspicio di Zevi: vale a dire che "ha alla sua base
|
||
un'idea sociale, non un'idea figurativa; (...) che vuole essere, prima che
|
||
umanistica, umana"[^iii33].
|
||
|
||
Nella medesima prospettiva va inscritto anche il suo coinvolgimento nella
|
||
realizzazione del *Manuale dell'architetto*[^iii34]: una complessa operazione, a
|
||
cui partecipano, tra gli altri, Gustavo Colonnetti, Mario Ridolfi, Pier Luigi
|
||
Nervi e Mario Fiorentino, che ha come scopo l'"alfabetizzazione" degli
|
||
architetti italiani in vista della ricostruzione. Ed è appunto questa finalità
|
||
*operativa* che contraddistingue la totalità degli interventi di Zevi: dalla
|
||
scrittura all'insegnamento, dalla pratica professionale alla difesa del
|
||
territorio, nulla è concepito come impegno puramente "accademico"; piuttosto,
|
||
come altrettante "cause" per le quali battersi con veemente passione. Una
|
||
finalità che non manca di toccare anche la storia, da lui utilizzata per
|
||
affermare le proprie convinzioni -- in campo progettuale come in campo
|
||
politico-ideologico --, oltreché per fini conoscitivi.
|
||
|
||
Tafuri, definendo tale attitudine storico-critica "operativa" come
|
||
|
||
> ... un'analisi dell'architettura (o delle arti in generale), che abbia come
|
||
> suo obiettivo non un astratto rilevamento, bensì la "progettazione" di un
|
||
> preciso indirizzo poetico, anticipato nelle sue strutture, e fatto scaturire
|
||
> da analisi storiche programmaticamente finalizzate e deformate[^iii35],
|
||
|
||
ha voluto criticarne gli intendimenti strumentali, non sufficientemente
|
||
distaccati a suo avviso dal raggiungimento di presunti propositi esterni. Al
|
||
"punto di incontro fra la storia e la progettazione, -- come scrive ancora
|
||
Tafuri, -- la critica operativa *progetta* la storia passata proiettandola verso
|
||
il futuro". Tra coloro che egli vede come "i più validi assertori, in Europa, di
|
||
un rilancio ideologico rivolto a colmare il salto fra impegno civile e azione
|
||
culturale"[^iii36], nel secondo dopoguerra, Tafuri cita tre soli nomi: Jean-Paul
|
||
Sartre, Elio Vittorini e -- appunto -- Bruno Zevi. E se quelli dei primi due,
|
||
dal punto di vista tafuriano, sembrano parlare legittimamente di un ruolo di
|
||
*engagement* intellettuale che mescola fino a fonderle del tutto letteratura e
|
||
politica, giungendo a un'"identificazione tra pensiero e azione", il nome di
|
||
Zevi -- in quella stessa ottica -- pare stare a testimoniare piuttosto una
|
||
"forzatura" di tale identificazione. Vi è insomma un intento apertamente
|
||
polemico nei confronti di Zevi *in quanto* architetto intellettuale che si
|
||
servirebbe della storia per affermare il proprio credo progettuale. "La storia,
|
||
-- scrive Tafuri, -- per sua natura, è un gioco di equilibrio, che la critica
|
||
operativa forza facendo precipitare la dimensione del presente"[^iii37]. In ciò
|
||
dunque consisterebbe ai suoi occhi l'"errore" di Zevi: nell'"*attualizzare* la
|
||
storia*"*, nel "renderla duttile strumento per l'azione*"*[^iii38].
|
||
|
||
Il più emblematico *casus* di attualizzazione storica zeviana (nonché flagrante
|
||
ragione di "rottura" tra i due) si verificherà in occasione della Mostra critica
|
||
delle opere michelangiolesche (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1964).
|
||
L'attualità di Michelangelo verrà "dimostrata" da Zevi mediante letture
|
||
volumetriche e spaziali che fanno dell'artista rinascimentale a tutti gli
|
||
effetti un "moderno"[^iii39]; e a ciò vanno aggiunti i discussi "plastici critici"
|
||
realizzati dagli studenti dello IUAV di Venezia ed esposti in mostra. La censura
|
||
nei confronti di questi da parte di Tafuri non avviene però sulla base del
|
||
presunto "scandalo" che essi susciterebbero, bollato invece come "ingenuo";
|
||
piuttosto sulla base di una duplice incoerenza: da una lato la mancanza di
|
||
"sorveglianza" delle loro trasformazioni rispetto agli originali, e dall'altro
|
||
il tentativo (fallito) di "una dilettantesca traduzione del linguaggio
|
||
architettonico in astratti e astorici giochi scultorei"[^iii40].
|
||
|
||
La condanna tafuriana del modo di interpretare il ruolo dell'architetto
|
||
intellettuale da parte di Zevi non avrebbe in fondo particolare rilevanza in
|
||
questo contesto, se non fosse che lo stesso Tafuri imprimerà una svolta decisiva
|
||
alla propria carriera staccandosi -- intorno alla metà degli anni sessanta --
|
||
dallo studio AUA (Architetti Urbanisti Associati)[^iii41], con cui aveva
|
||
collaborato tanto da un punto di vista teorico che progettuale, per dedicarsi
|
||
interamente alla storia. In realtà, già negli intendimenti del gruppo, composto
|
||
da giovani architetti romani (tra cui Giorgio Piccinato e Vieri Quilici), vi era
|
||
una presa di distanza dall'architettura come pratica professionale separata
|
||
dagli altri "piani d'azione" della realtà; e infatti in AUA, nel nome e nei
|
||
fatti, l'attività progettuale è affiancata da -- e integrata con -- ricerche
|
||
urbane[^iii42] e piani urbanistici.
|
||
|
||
> Il gruppo concepisce il proprio mestiere come una vera e propria militanza
|
||
> etica e politica. La professione architettonica, la critica e la storiografia,
|
||
> non sono intesi tanto come discipline tecniche, come mestieri o specialismi
|
||
> del mercato del lavoro, bensì come "impegno integrale", come componenti di un
|
||
> universo disciplinare che agisce allo stesso tempo politicamente e
|
||
> tecnicamente, contribuendo in maniera attiva alla trasformazione della città e
|
||
> della realtà. In tal senso, è comprensibile la vicinanza che il gruppo esprime
|
||
> nei confronti delle istanze riformatrici delle avanguardie degli anni venti, e
|
||
> come sembri evidente anche il riferimento alla figura dell'intellettuale
|
||
> organico nella celebre definizione di Antonio Gramsci[^iii43].
|
||
|
||
La storia praticata da Tafuri, però, sarà concepita in modo affatto diverso
|
||
rispetto a quella di Zevi: una storia caratterizzata dalla "più totale
|
||
indifferenza nei confronti dell'*azione positiva*"[^iii44] (ovvero di quell'azione
|
||
che cerchi di modellare l'architettura a propria immagine, sulla base
|
||
dell'autorità del passato), e impegnata piuttosto in una "continua
|
||
*contestazione del presente*"[^iii45], che si traduce in una "minaccia (...) ai
|
||
tranquillizzanti miti in cui si acquietano le inquietudini e i dubbi degli
|
||
architetti moderni"[^iii46]. Il compito dell'intellettuale impegnato nel campo
|
||
della storia dell'architettura, in questo senso, diviene quello di "esasperare"
|
||
la condizione di disagio in cui versano l'architetto e l'architettura "di fronte
|
||
alla dinamica dello sviluppo capitalista"[^iii47], mostrando tutta la
|
||
problematicità di una situazione "assurda eppure reale".
|
||
|
||
> ... Ponendo di continuo in crisi gli obiettivi apparentemente avanzati su cui
|
||
> rischiano di acquietarsi la ricerca e il dibattito, il critico deve (...) --
|
||
> con un rigore cui è obbligato dalle vicende storiche in cui opera -- (...)
|
||
> stimola\[re\] dubbi sempre più coscienti, dissensi sempre più costruttivi,
|
||
> disagi sempre più generalizzati.
|
||
|
||
L'attività storica diviene cosí per Tafuri ""critica delle ideologie
|
||
architettoniche", e, in quanto tale, attività "politica" -- anche se
|
||
mediatamente politica"[^iii48]; più che l'enunciazione di una vaga intenzione, la
|
||
formulazione di un vero e proprio "programma" che -- con un anno di anticipo
|
||
rispetto alla pubblicazione del saggio intitolato precisamente *Per una critica
|
||
dell'ideologia architettonica* -- ne preannuncia a grandi linee i contenuti e,
|
||
ancor di più, il disegno strategico complessivo:
|
||
|
||
> La messa in luce di ciò che l'architettura è, *in quanto disciplina
|
||
> storicamente condizionata e istituzionalmente funzionale al "progresso" della
|
||
> borghesia precapitalistica prima, alle nuove prospettive della "Zivilisation"
|
||
> capitalistica poi*, va quindi riconosciuto come l'unico scopo rivestito di
|
||
> senso storico, da parte di chi intenda forzare il ruolo istituzionale
|
||
> assegnato agli intellettuali dall'Illuminismo in poi[^iii49].
|
||
|
||
Si tratta da un lato di un'opera di demistificazione, vale a dire del
|
||
disvelamento delle "incrostazioni" ideologiche che rivestono (spesso arrivando a
|
||
occultarla del tutto) la vicenda dell'architettura moderna, a partire da
|
||
Brunelleschi in avanti; e dall'altro del tentativo di istituire rapporti
|
||
positivi, costruttivi, con la funzione più intrinsecamente politica della
|
||
storia. Ciò che ne deriva non è soltanto un "progetto" storico radicalmente
|
||
diverso dalla "storia progettuale" zeviana[^iii50], ma anche una figura di storico
|
||
in grado di riappropriarsi correttamente del proprio ruolo di intellettuale.
|
||
|
||
Ciò nondimeno, malgrado la presenza di almeno altre due personalità di alto
|
||
profilo intellettuale operanti nell'ambito degli studi storico-architettonici --
|
||
Giulio Carlo Argan e Leonardo Benevolo[^iii51] -- non è prevalentemente dal
|
||
punto di vista storico che l'architetto intellettuale italiano giunge a occupare
|
||
un posto di particolare rilievo nel panorama architettonico degli anni
|
||
cinquanta, sessanta e settanta. È anzi proprio attraverso la pacifica e proficua
|
||
convivenza e integrazione di attività progettuale (architettonica o urbanistica)
|
||
e attività culturale (significativamente segnata, in molti casi, se non da una
|
||
vera e propria militanza, da una dichiarata *appartenenza* politica) che alcuni
|
||
dei principali protagonisti della scena italiana acquisiranno autorevolezza a
|
||
livello nazionale e internazionale, e conferiranno all'Italia un singolare
|
||
primato nella produzione di architetti intellettuali.
|
||
|
||
Nel rilevare *"*la scissione tra architetti e intellettuali"[^iii52], a partire
|
||
dalla seconda metà del Novecento, con particolare riferimento alla Francia,
|
||
Jean-Louis Cohen ha nel contempo evidenziato l'esistenza -- per converso -- di
|
||
un intenso rapporto tra architetti e intellettuali in Italia, ovvero "il fatto
|
||
che gli architetti italiani siano degli intellettuali"[^iii53]. Le ragioni
|
||
individuate a supporto di questa peculiare situazione sono molteplici:
|
||
|
||
> Se i rapporti tra intellettuali italiani e architetti sono cosí particolari, è
|
||
> senza dubbio prima di tutto perché gli architetti stessi, in linea con i
|
||
> pionieri dell'architettura razionale del periodo fascista, sono capaci di
|
||
> scrivere e di chiarire intellettualmente i loro punti di riferimento e il loro
|
||
> approccio progettuale[^iii54].
|
||
|
||
A ciò va aggiunta la specificità delle scuole di architettura italiane in cui la
|
||
gran parte di tali architetti sono inseriti, che reclutano i propri insegnanti
|
||
"sulla base della loro produzione culturale (articoli, libri) tanto quanto su
|
||
quella delle loro opere architettoniche"[^iii55]. Inoltre -- nota Cohen -- in
|
||
assenza di un forte controllo statale delle commesse pubbliche, come accade in
|
||
Francia, il sistema politico e amministrativo frammentato e spesso clientelare
|
||
italiano favorisce lo sviluppo di competenze da parte dell'architetto che
|
||
esulano da quelle puramente progettuali, ivi compresa una certa *"*aura
|
||
culturale". Infine in Italia, tra gli anni cinquanta e settanta, si riscontra
|
||
una vera e propria esplosione nel campo della produzione editoriale di
|
||
architettura, riguardante tanto i libri che le riviste[^iii56], cui si aggiunge il
|
||
contributo critico apportato da associazioni quali il Movimento di Studi per
|
||
l'Architettura (MSA), composto, tra gli altri, da Franco Albini, Lodovico
|
||
Belgiojoso, Piero Bottoni, Giancarlo De Carlo, Ignazio Gardella, Marco Zanuso, o
|
||
il Movimento Comunità di Adriano Olivetti[^iii57], oltreché il citato APAO; senza
|
||
dimenticare ambiti culturali più ampi, qual è il Gruppo 63, con le riviste a
|
||
esso correlate come "Marcatré" e "Quindici"[^iii58]; o ancora, riviste apertamente
|
||
politiche come "Contropiano*",* diretta da Alberto Asor Rosa e Massimo Cacciari
|
||
(dopo l'abbandono di Antonio Negri all'indomani dell'uscita del primo numero, a
|
||
causa di insanabili dissidi sulla linea politica da conferire alla rivista),
|
||
espressione della corrente operaista nel periodo a cavallo tra anni sessanta e
|
||
settanta, cui collaborano, tra gli altri, Manfredo Tafuri, Francesco Dal Co e
|
||
Marco De Michelis. Tutto ciò -- conclude Cohen -- rende la "qualità
|
||
intellettuale del dibattito italiano il frutto meno di un caso che di una
|
||
necessità"[^iii59].
|
||
|
||
Dalla ricchezza complessiva di questo quadro si stagliano un ristretto numero di
|
||
individualità di grande rilevanza e influenza: Giuseppe Samonà, Ludovico
|
||
Quaroni, Ernesto Nathan Rogers, Vittorio Gregotti, Carlo Aymonino, Aldo Rossi,
|
||
per nominarne solo qualcuna. Significativo è che per tutti costoro non soltanto
|
||
la dimensione operativa si intrecci costantemente con quella teorica, ma che per
|
||
lo più la questione architettonica sia affiancata dalla questione urbana.
|
||
*L'urbanistica e l'avvenire delle città*[^iii60], *La Torre di Babele*[^iii61], *Il
|
||
problema del costruire nelle preesistenze ambientali*[^iii62], *Il territorio
|
||
dell'architettura*[^iii63], *Origini e sviluppo della città moderna*[^iii64],
|
||
*L'architettura della città*[^iii65] sono soltanto una piccola rappresentanza dei
|
||
titoli di scritti che testimoniano l'interesse degli architetti appena citati
|
||
per la disciplina intesa in un senso che non è mai restrittivamente localistico
|
||
o settoriale, cosí come l'urbanistica non vi è mai intesa come questione
|
||
puramente tecnica o gestionale. Persino nel caso di studi pubblicati in quegli
|
||
anni, sotto la guida di alcuni dei medesimi autori, dedicati all'analisi di
|
||
luoghi o casi specifici[^iii66], la circoscrizione e precisione del campo di
|
||
ricerca non vanno mai disgiunte dall'intenzione di dare a tali studi un
|
||
carattere emblematico e generalizzabile, in particolar modo da un punto di vista
|
||
metodologico.
|
||
|
||
Con tutto ciò, diversi rimangono gli approcci alla figura dell'architetto *sub
|
||
specie intellectualis*. Per Samonà è soprattutto la direzione dell'Istituto
|
||
Universitario di Architettura di Venezia (IUAV) a divenire l'occasione per
|
||
compiere una grande operazione culturale, oltreché didattica: chiamando a
|
||
raccolta, a partire dal secondo dopoguerra, un corpo docente altamente
|
||
qualificato -- comprendente personaggi del calibro di Franco Albini, Ignazio
|
||
Gardella, Saverio Muratori, Lodovico Belgiojoso, Giancarlo De Carlo, Luigi
|
||
Piccinato, Giovanni Astengo e Bruno Zevi, rinnovato poi nel corso degli anni
|
||
sessanta con l'immissione, tra gli altri, di Carlo Aymonino, Guido Canella, Gino
|
||
Valle, Gianugo Polesello, Luciano Semerani, Costantino Dardi, Leonardo Benevolo,
|
||
Manfredo Tafuri e Mario Manieri Elia -- egli ha posto le fondamenta di quella
|
||
che assumerà vasta notorietà internazionale sotto il nome di "Scuola di
|
||
Venezia"[^iii67].
|
||
|
||
Per Ludovico Quaroni i campi d'applicazione della particolare modalità con cui
|
||
egli declina il ruolo di architetto intellettuale sono molteplici: quello di un
|
||
impegno politico che incrocia, tra gli altri, il Movimento Comunità di Adriano
|
||
Olivetti, e che si connette fattivamente ai numerosi piani urbanistici e ai
|
||
progetti di quartieri popolari da lui elaborati nel corso della sua carriera;
|
||
quella di una produzione saggistica che testimonia -- più che di una propensione
|
||
"teorica" nei confronti dell'architettura e della città -- di un'assidua
|
||
presenza nel dibattito vivo e attuale del suo tempo, spesso attuata per mezzo di
|
||
apparizioni su testate secondarie o comunque defilate rispetto ai più consueti
|
||
luoghi di elaborazione culturale[^iii68]; e infine quello dell'insegnamento
|
||
universitario (a Firenze, Napoli e Roma), vero e proprio fronte di affermazione
|
||
e verifica d'un atteggiamento dialettico di cui beneficeranno intere generazioni
|
||
di allievi (molti dei quali destinati a loro volta a un illustre futuro)[^iii69],
|
||
anziché luogo di semplice esposizione di "certezze" disciplinari[^iii70].
|
||
|
||
Per Ernesto Nathan Rogers, invece, lo strumento principale della propria azione
|
||
culturale sono le riviste: dapprima "Domus", di cui diviene direttore subito
|
||
dopo la guerra, e poi "Casabella", da lui diretta dal 1953 al 1964. È in special
|
||
modo nella redazione di "Casabella-Continuità" (secondo la nuova denominazione
|
||
da lui data alla testata) e attraverso i suoi editoriali che Rogers svolge
|
||
un'opera di "educazione" all'architettura moderna, rivista alla luce del
|
||
rapporto con la città storica e intesa come paradigma non soltanto estetico ma
|
||
anche *etico* per la ricostruzione dell'Italia dopo il secondo conflitto
|
||
mondiale e il ventennio fascista. In questo senso vanno intesi i numeri di
|
||
"Casabella-Continuità" che inquadrano tematiche più generali, spesso relative a
|
||
problematiche urbane e territoriali, all'interno delle quali i singoli progetti
|
||
di architettura si inseriscono non come semplice vetrina per la vanità
|
||
dell'architetto di turno[^iii71]. Ma è soprattutto grazie a Rogers che ha luogo il
|
||
decisivo incontro tra la cultura architettonica del periodo e la corrente più
|
||
avanzata della filosofia italiana, rappresentata in quel momento da Antonio
|
||
Banfi e da Enzo Paci. Con quest'ultimo in particolare il dialogo tra
|
||
architettura e filosofia si fa serrato, apportando tangibili conseguenze
|
||
sull'uno e sull'altro fronte[^iii72]. Dal punto di vista dell'architettura, Rogers
|
||
coglie dalla lezione di Paci elementi che gli consentono di mettere a fuoco più
|
||
compiutamente un pensiero che già aveva sviluppato in modo embrionale fin dal
|
||
primo editoriale di "Casabella-Continuità":
|
||
|
||
> Noi crediamo nel fecondo ciclo *uomo-architettura-uomo* e vogliamo
|
||
> rappresentarne il drammatico svolgimento: le crisi; le poche, indispensabili
|
||
> certezze e i molti dubbi, ancor più necessari; siccome pensiamo che essere
|
||
> vivi significhi, soprattutto, accettare la fatica del quotidiano rinnovamento,
|
||
> col rifiuto delle posizioni acquisite, nell'ansia fino all'angoscia, nel
|
||
> perpetuarsi dell'agone, nell'allargare il campo dell'umana "simpatia"[^iii73].
|
||
|
||
Dall'acquisizione di una maggior consapevolezza filosofica derivano le
|
||
evoluzioni di tale pensiero, come dimostra l'utilizzo di concetti come
|
||
"esperienza"[^iii74] o di coppie di termini come "continuità-crisi", o
|
||
"discontinuità-continuità" al di fuori di una dimensione puramente esistenziale
|
||
e intuitiva. Cosí è, ad esempio, nella valutazione del contributo dato
|
||
dall'architettura moderna, non riducibile per Rogers a semplici "apparenze
|
||
figurative", e da ricondurre invece alle
|
||
|
||
> ... espressioni di un metodo che ha tentato di stabilire nuove e più chiare
|
||
> relazioni tra i contenuti e le forme, entro la fenomenologia di un processo
|
||
> storico-pragmatico, sempre aperto, che, come esclude ogni apriorismo nella
|
||
> determinazione di quelle relazioni, cosí non può essere giudicato per
|
||
> schemi[^iii75].
|
||
|
||
Nella prospettiva filosofica di Paci, d'altronde, la crisi dell'architettura
|
||
moderna è
|
||
|
||
> ... da addebitare a una troppo rigida e dogmatica interpretazione del
|
||
> razionalismo del Movimento Moderno che, saldandosi all'istanza tecnicista del
|
||
> processo di industrializzazione edilizia in atto, ha finito per produrre il
|
||
> declassamento dell'architettura da Arte ad un "insieme coerente e strumentale
|
||
> di operazioni tecniche"[^iii76].
|
||
|
||
Ma va inscritta anche in un discorso molto più ampio che riguarda la "storicità"
|
||
della crisi e la sua necessità per "prospettare un nuovo orizzonte"[^iii77] nel
|
||
quale il passato possa rivivere in forma trasformata.
|
||
|
||
Questa prospettiva induce Rogers a una profonda revisione del senso
|
||
dell'architettura. Logica e ragione (ovvero le categorie che l'avevano innervata
|
||
ancora negli anni tra le due guerre) non sono più sufficienti per lui a definire
|
||
-- ma soprattutto a *incarnare* nella maniera più compiuta -- un'architettura
|
||
che, pur senza rinunciare alla sua "missione" di modernità, debba però farsi
|
||
carico di tutte le contraddizioni che lo stesso sviluppo moderno ha incontrato
|
||
sul suo cammino. Ciò rende niente affatto semplice, e anzi del tutto
|
||
*drammatico*, il compito dell'architetto: "Fra gli altri uomini, l'architetto
|
||
rappresenta questa personalità singolare cui è devoluto il compito di tentare la
|
||
sintesi tra gli opposti poli"[^iii78]. Si tratta di quella che Rogers concepisce
|
||
come una vera e propria "lotta tra utilità e bellezza". "Dobbiamo sentire in
|
||
ogni momento creativo il dramma fondamentale dell'esistenza perché la vita pone
|
||
continuamente in contraddizione i bisogni pratici e le aspirazioni
|
||
spirituali"[^iii79]; un dramma che l'architetto deve affrontare *operativamente*,
|
||
lasciando che le contraddizioni convivano "traducendole" in opera. Ma anche:
|
||
"Dobbiamo aspirare all'universale dando valore alle energie latenti nella
|
||
contingenza"[^iii80]. Ciò comporta una diversa concezione della temporalità e della
|
||
spazialità (intesa anche in senso allargato, come ambiente o contesto) del
|
||
progetto, portatrici entrambe di "occasioni" che l'architetto non deve mancare
|
||
di cogliere[^iii81].
|
||
|
||
Frutto non secondario dell'intenso lavoro svolto da Rogers in vista della
|
||
costruzione di un agire progettuale "in relazione", sarà uno stuolo di seguaci
|
||
cresciuti all'interno della stessa redazione di "Casabella-Continuità", la cui
|
||
precipua caratteristica è la libertà intellettuale e la capacità di esercitarla
|
||
in modi che non ricalcano però quasi per nulla quelli del "maestro". Cosí
|
||
Vittorio Gregotti ha ereditato da Rogers la vocazione per la conduzione di
|
||
riviste ("Edilizia moderna", "Casabella", "Rassegna") come forma di militanza
|
||
che trova espressione nella scelta delle tematiche da affrontare e delle opere
|
||
da presentare, oltreché -- in maniera ancora più diretta ed esplicita --
|
||
attraverso gli editoriali da lui pubblicati mensilmente. A tale cospicuo lavoro
|
||
svolto nell'ambito dei periodici (cosí come pure dei quotidiani) Gregotti ha
|
||
affiancato nel corso degli anni una altrettanto considerevole produzione
|
||
libraria che, con ritmo cadenzato, ha accompagnato il trascorrere delle diverse
|
||
stagioni dell'architettura[^iii82]. Senza dimenticare il suo ruolo di direttore
|
||
della sezione Arti visive e Architettura della Biennale di Venezia del 1976,
|
||
preludio alle successive Biennali Internazionali di Architettura. Tutti questi
|
||
fattori hanno determinato l'indiscussa centralità di Gregotti all'interno del
|
||
panorama architettonico italiano e internazionale, una centralità ribadita anche
|
||
sotto il profilo progettuale e costruttivo[^iii83].
|
||
|
||
Nel caso di Carlo Aymonino e Aldo Rossi -- a loro volta membri della redazione
|
||
della "Casabella-Continuità" rogersiana -- il modello cui entrambi si ispirano è
|
||
l'intellettuale culturalmente e politicamente impegnato che domina la scena
|
||
nell'Italia degli anni cinquanta, discendente a sua volta dalla concezione
|
||
gramsciana dell'"intellettuale organico" inteso come "costruttore", e non come
|
||
semplice "oratore", disponibile a confrontarsi con la realtà, a "mescolarsi
|
||
attivamente alla vita pratica"[^iii84]; un intellettuale che però, proprio nel
|
||
dopoguerra, conosce una profonda crisi d'identità e di coscienza che lo porta
|
||
spesso a entrare in rotta di collisione con la linea dettata dal Partito
|
||
comunista italiano, che pure in questo campo costituisce per molti di loro un
|
||
punto di riferimento imprescindibile.
|
||
|
||
Strettamente legate al Pci sono le riviste "Critica marxista", "Il
|
||
Contemporaneo", "Società", "Voce comunista", su cui scrivono -- in particolar
|
||
modo nel periodo giovanile -- Aymonino e Rossi[^iii85]. Ma è soprattutto con la
|
||
produzione di ricerche all'interno dell'università, che non di rado troveranno
|
||
la via della pubblicazione come semplici dispense[^iii86], che Aymonino e Rossi (ma
|
||
con loro anche altri giovani architetti e professori come Costantino Dardi,
|
||
Luciano Semerani, Gianugo Polesello, Guido Canella, Giorgio Grassi) giungono a
|
||
definire l'esatta "funzione" dell'architetto intellettuale italiano degli anni
|
||
sessanta e settanta: quella di mettere a punto un apparato teorico utilizzabile
|
||
in vista di un agire pratico, al di fuori però di qualsiasi prospettiva
|
||
"personale", soggettiva, e in grado piuttosto -- stante la "natura collettiva
|
||
dell'architettura"[^iii87] -- di essere condivisa dal maggior numero di persone
|
||
possibile, e dunque socializzabile. A questo fine sono indispensabili una
|
||
metodologia rigorosa, una strumentazione chiara e obiettivi altrettanto
|
||
riconoscibili. Si legga ad esempio quanto scrive Rossi a introduzione del volume
|
||
che raccoglie i contributi al dibattito svoltosi all'interno del gruppo di
|
||
ricerca da lui diretto alla Facoltà di architettura del Politecnico di Milano
|
||
nell'anno accademico 1968-69:
|
||
|
||
> La nostra ricerca si propone principalmente la costruzione di una teoria
|
||
> razionale dell'architettura. Tale costruzione è principalmente fondata sullo
|
||
> studio dei rapporti esistenti tra l'analisi urbana e la progettazione
|
||
> architettonica[^iii88].
|
||
|
||
Un metodo, appunto, il più possibile oggettivo e condivisibile.
|
||
|
||
E tuttavia, dietro la "scientificità" dell'approccio alla ricerca emerge la
|
||
determinazione da parte del giovane Rossi a ridare *necessità* al processo
|
||
progettuale, prendendo le distanze dall'empirismo "professionalistico" imperante
|
||
nell'Italia degli anni cinquanta e sessanta, e al tempo stesso a riconquistare
|
||
per l'architetto una *libertà intellettuale* che la stretta osservanza
|
||
dell'"ortodossia" moderna non riusciva (più) a garantire. Per Rossi, come per
|
||
gli altri architetti animati da un'ideologia comunista, ciò che è in gioco è una
|
||
"visione del mondo"[^iii89] di cui l'architetto e l'architettura devono farsi
|
||
portatori, *oltre* le pratiche del mestiere e l'adempimento delle funzioni.
|
||
|
||
È un'impostazione condivisa anche da Antonio Monestiroli (non a caso tra i
|
||
membri del gruppo di ricerca diretto da Rossi alla fine degli anni sessanta): un
|
||
architetto che alla costruzione di una "visione del mondo" oggettiva e condivisa
|
||
dedicherà il suo costante e coerente impegno intellettuale.
|
||
|
||
> Questo legame stretto (...) fra il progetto e la collettività, fa sí che il
|
||
> progetto acquisti un senso compiuto quando è determinato esplicitamente da una
|
||
> volontà collettiva, quando cioè si manifesta generalmente la volontà di
|
||
> definizione da parte della collettività della città sua propria e
|
||
> dell'architettura. Questo è il motivo per cui, solo quando si verificano
|
||
> queste condizioni, l'architettura raggiunge il suo massimo sviluppo. Questo è
|
||
> anche il motivo per cui quando l'impegno della collettività nei confronti
|
||
> dell'architettura viene meno, questa o si riduce al suo aspetto
|
||
> tecnico-costruttivo, o ricerca nostalgicamente se stessa, o si deforma a
|
||
> criticare la realtà che la nega[^iii90].
|
||
|
||
Da ciò discende quasi logicamente la definizione che egli dà del progetto di
|
||
architettura, "che consiste nello *svelamento della sua ragione collettiva*, del
|
||
senso della sua appartenenza alla collettività*"*[^iii91].
|
||
|
||
Ed è proprio la coscienza del valore e della necessità di una *visione
|
||
collettiva* che contraddistingue la stagione degli architetti intellettuali
|
||
italiani da quella immediatamente successiva, che annovera, tra gli altri,
|
||
teorici come Peter Eisenman e Rem Koolhaas. La distanza che separa questi ultimi
|
||
da una concezione *politica* del ruolo dell'architetto è del tutto evidente,
|
||
distanza non colmata neppure dal fatto che loro "incubatore" sia stato
|
||
l'Institute for Architecture and Urban Studies di New York, strettamente legato
|
||
all'Italia, e in particolar modo allo IUAV, a partire dai primi anni
|
||
settanta[^iii92]. Se la "traduzione americana" della teoria si configura come un
|
||
tentativo di riscatto dell'architettura dal dominio dei grandi studi commerciali
|
||
(il cui unico "impegno" consiste nell'eterna ripetizione delle soluzioni
|
||
elaborate dal *Functionalist style*) e da una classe di architetti più colti ma
|
||
sin troppo compiacenti nel fornire risposte alle eterogenee richieste del
|
||
mercato attraverso il nuovo eclettismo *post-modern*, ciò non può avvenire che a
|
||
costo di uno "svuotamento" di senso: la riduzione al "grado zero" di "ogni
|
||
ideologia, ogni sogno di funzione sociale, ogni residuo utopico", come ha
|
||
lucidamente scritto Tafuri[^iii93]. È l'avvio di una trasformazione radicale
|
||
dell'architetto intellettuale che, anche allorché sopravvive in quanto tale -- e
|
||
ancor di più, proprio *per* sopravvivere in quanto tale --, deve rinunciare a
|
||
ogni possibilità di connotare politicamente e socialmente il suo agire,
|
||
ponendosi al centro di un universo di discorso interamente autoriferito[^iii94].
|
||
Non a caso le speculazioni eisenmaniane tendono verso la concettualizzazione e
|
||
l'astrazione[^iii95], tanto quanto -- simmetricamente -- le analisi di Koolhaas
|
||
provengono direttamente dalla realtà[^iii96].
|
||
|
||
Ma prima di analizzare quali siano gli apporti derivanti all'architetto
|
||
intellettuale da questi due autori, vale la pena ricordare come siano Robert
|
||
Venturi e Denise Scott Brown -- prima dello stesso Koolhaas -- a spalancare allo
|
||
sguardo degli architetti (e non solo, ovviamente) le porte di una realtà che non
|
||
è niente affatto "possibile" (e quindi ancora potenziale) e "diversa dalla
|
||
realtà che ci circonda"[^iii97], ma è invece del tutto tangibile e verificabile. In
|
||
qualità di esploratore urbano armato di macchina fotografica, l'intellettuale
|
||
scende letteralmente in strada e si dispone a imparare da essa, senza più la
|
||
mediazione di quegli "apparati" che l'avevano tradizionalmente supportato fin
|
||
lí: i libri e -- si potrebbe dire, in una certa misura -- la stessa cultura.
|
||
*Complexity and Contradiction in Architecture* (1966) ma soprattutto *Learning
|
||
from Las Vegas* (1972)[^iii98] si propongono come nuovi canoni per letture degli
|
||
edifici e della città che a questo punto si aprono a una molteplicità di
|
||
fenomeni, di stimolazioni, di interferenze. Per parafrasare l'*incipit* di
|
||
*Delirious New York* di Rem Koolhaas, "una montagna di realtà priva di qualsiasi
|
||
teoria"; e nel momento in cui è la realtà a parlare, le teorie che se ne
|
||
lasciano dedurre si trovano inscritte direttamente nella materia. Dalle
|
||
intelligenti analisi di Venturi e Scott Brown nascerà un'intera generazione di
|
||
"detective dello spazio"[^iii99].
|
||
|
||
Per Koolhaas la realtà -- anche grazie allo studio OMA ("an international
|
||
practice operating within the traditional boundaries of architecture and
|
||
urbanism")[^iii100] e alla sua "costola" culturale AMO ("a research and design
|
||
studio, applies architectural thinking to domains beyond ... AMO often works in
|
||
parallel with OMA's clients to fertilize architecture with intelligence from
|
||
this array of disciplines") -- è la base d'appoggio per costruire un'idea di
|
||
architettura che si spinge spesso assai oltre il semplice edificio, per divenire
|
||
interpretazione di singoli fenomeni, di complessi urbani o di interi
|
||
territori[^iii101]. Lo sguardo sfaccettato e disincantato adottato in queste
|
||
letture -- che intrecciano sociologia, economia, politica e arti -- è divenuto
|
||
una modalità di osservazione che ha rapidamente fatto scuola, pur con
|
||
rivisitazioni, deformazioni ed eccessi[^iii102].
|
||
|
||
Nonostante le evidenti difformità -- "stilistiche" non meno che sostanziali --,
|
||
Koolhaas risulta ancor oggi, all'interno del panorama internazionale e in
|
||
un'epoca qual è quella odierna inequivocabilmente postmoderna, l'unico erede
|
||
(non è dato sapere quanto volontario o inconsapevole) di una tradizione
|
||
intellettuale che affonda le sue radici nel moderno; una tradizione
|
||
fondamentalmente *critica*, che sottopone la realtà al vaglio delle
|
||
contraddizioni che essa stessa genera, senza con questo ridurle all'unità. È in
|
||
questa accettazione -- e utilizzazione -- della funzione produttiva della
|
||
contraddizione che Koolhaas appare finalmente libero dalla nostalgia per il
|
||
feticcio della "coerenza"; anche se questo implica al tempo medesimo aver fatto
|
||
piazza pulita di ogni "ideologia", con tutte le distorsioni ma pure con le
|
||
possibilità di ancorarsi a un "cielo delle stelle fisse" dal punto di vista
|
||
valoriale che questa portava con sé. E anche se questo comporta -- per usare le
|
||
parole che Tafuri riserva a Venturi -- una "disincantata accettazione della
|
||
realtà fino al cinismo"[^iii103].
|
||
|
||
Indiscutibilmente moderno, almeno nei suoi presupposti, è altresí il "progetto"
|
||
eisenmaniano di fornire un contrappeso alla "insostenibile leggerezza" di
|
||
un'epoca in cui sembra essersi dissolta ogni necessità di conferire
|
||
"significato" alle cose. Finendo con l'incorrere, tuttavia, nel problema
|
||
opposto. L'intero operare di Eisenman, tanto progettuale che teorico, pare
|
||
irretito in un *entretien infini* con un inesauribile numero di interpretazioni
|
||
e di significati, in qualche modo tutti equivalenti, tutti possibili[^iii104]. Ciò
|
||
genera un gioco di specchi tanto affascinante (si pensi al proposito all'intenso
|
||
dialogo da lui intrattenuto con Jacques Derrida)[^iii105] quanto sospetto di
|
||
essere, alla lunga, sterile. E dove quanto si afferma non è più una visione
|
||
complessiva -- o quantomeno estesa -- del mondo, oppure è una *Weltanschauung
|
||
sub specie architecturae*, e dunque esposta al rischio di essere
|
||
autoreferenziale.
|
||
|
||
Dalla frammentazione di cui Eisenman si fa portatore emerge però anche una
|
||
straordinaria ricchezza interpretativa, a testimonianza del fatto che la
|
||
pluralità dei punti di vista costituisce ormai uno strumento intellettuale
|
||
imprescindibile in una prospettiva postmoderna. La stessa pluralità di punti di
|
||
vista e ricchezza interpretativa che si può rintracciare nelle pagine della
|
||
rivista "Oppositions" che lo stesso Eisenman -- affiancato dallo storico
|
||
dell'architettura inglese Kenneth Frampton e dal critico d'origini argentine
|
||
Mario Gandelsonas -- dirige dal 1973 al 1984[^iii106]. Fin dal nome, "Oppositions"
|
||
preannuncia una conflittualità che rimane tuttavia interamente confinata al
|
||
piano della teoria. Ma proprio su questo terreno si registrano contributi
|
||
significativi da parte di autori dagli sguardi molti diversi. Tra loro, oltre a
|
||
nomi già segnalati, si possono menzionare Rafael Moneo e Bernard Tschumi, due
|
||
autori che incarnano in senso diametralmente opposto la figura dell'architetto
|
||
intellettuale. Il primo, concentrando la propria attenzione sulla materialità
|
||
degli edifici, sul loro essere portatori di una vita che eccede tanto quella di
|
||
chi li frequenta e abita, quanto quella di chi li ha progettati; ma anche
|
||
interrogandosi -- da architetto -- sulle opere e sul mestiere di altri
|
||
architetti, animato dalla volontà di andare al di là di quanto a loro riguardo
|
||
potrebbe apparire scontato[^iii107]. Il secondo, cercando di spostare
|
||
l'architettura sul piano dell'evento, e più in generale di spostarla rispetto ai
|
||
piani sui quali di consueto "riposa" da un punto di vista critico; una "messa in
|
||
allarme" della disciplina, che utilizza gli strumenti della "disgiunzione",
|
||
della "disgregazione" e della "violenza" per farla reagire[^iii108].
|
||
|
||
Da questi affondi sia pure molto parziali si evidenzia una condizione di
|
||
crescente criticità -- con l'avvicinarsi al tempo presente -- nell'interpretare
|
||
il ruolo dell'intellettuale da parte degli architetti; criticità che trova
|
||
conferma negli anni novanta del secolo scorso e nei primi anni del Duemila,
|
||
improntati a un generale ripiegamento verso posizioni più pragmatiche, spesso
|
||
coincidenti con un "isolamento" dentro gli studi professionali. Se questo
|
||
mutamento ha almeno in parte carattere congiunturale (essendo cioè legato alla
|
||
favorevole contingenza economica di quel periodo), il riapparire -- in anni più
|
||
recenti -- di timidi segnali di inversione di tendenza si lascia forse
|
||
interpretare come una conseguenza del proliferare della crisi; una crisi
|
||
(economica e sociale) che in molte parti del mondo ha assunto una natura
|
||
pressoché endemica. È in ogni caso all'interno di condizioni di crisi evidente
|
||
-- in cui il mercato del lavoro (anche nel settore dell'architettura) subisce
|
||
una significativa contrazione, e soprattutto risente degli effetti dell'ingresso
|
||
della produzione economica nella fase post-fordista[^iii109] -- che una giovane
|
||
generazione di architetti sviluppa un rinnovato interesse per il pensiero
|
||
radicale degli anni sessanta e settanta, nelle sue diverse forme: da quello più
|
||
latamente politico, a quello dei *Radicals* italiani (Superstudio,
|
||
Archizoom)[^iii110] e di alcuni degli interpreti del neo-razionalismo, in special
|
||
modo l'Aldo Rossi dell'*Architettura della città* e il Giorgio Grassi della
|
||
*Costruzione logica dell'architettura* (ma anche Guido Canella, Gianugo
|
||
Polesello e altri)[^iii111]. Un *repêchage* che prende le mosse da presupposti
|
||
molto distanti da quelli originari, e che in larga parte è anche estraneo alla
|
||
cultura e all'ambito di appartenenza dei "discendenti" più diretti di quei
|
||
protagonisti.
|
||
|
||
Nel fatale incontro tra scarse opportunità lavorative e fascinazione per i
|
||
"maestri" di un'età precedente si compie il riavvicinamento alla scrittura
|
||
critica di molti architetti in quel momento spesso soltanto ipotetici: se non
|
||
già una vera e propria riattivazione della coscienza e del ruolo
|
||
dell'intellettuale, perlomeno il riaffiorare di questi alla percezione di
|
||
un'epoca che aveva finito per dimenticarli. Emblematica di questo momento è una
|
||
rivista come "San Rocco", ideata, tra gli altri, da membri dei gruppi italiani
|
||
2A+P/A (Matteo Costanzo, Gianfranco Bombaci) e baukuh (Pier Paolo Tamburelli,
|
||
Vittorio Pizzigoni, Andrea Zanderigo e altri) e del belga Office Kersten Geers
|
||
David Van Severen, e diretta da Matteo Ghidoni. Ad essa collaborano autori di
|
||
generazioni e di provenienze diverse (tra i quali architetti del calibro di
|
||
Oliver Thill, Mark Lee, Freek Persyn, Harry Gugger, Pascal Flammer, Job Floris).
|
||
Nel tempo per eccellenza della tirannia delle immagini, "San Rocco" decide
|
||
programmaticamente di limitare l'uso di queste (pur enfatizzandole mediante uno
|
||
studiatissimo impiego dell'assonometria), dando spazio ai testi (ma omettendo
|
||
dalla copertina il nome della rivista). Inoltre opta per "non durare per
|
||
sempre", predeterminando in tal modo il proprio decesso.
|
||
|
||
Da tutti questi indizi è lecito desumere qualche considerazione: per gli
|
||
architetti nati nell'ultimo quarto del secolo scorso la riscoperta della cultura
|
||
degli anni sessanta e settanta -- e con essa degli architetti intellettuali che
|
||
vi fiorivano -- equivale a un ideale ritorno alle origini; se non il recupero di
|
||
un "rimosso", di certo un percorso a ritroso per cercare di ritrovare un filo
|
||
perduto. È poi significativo che tale iniziativa abbia come "centro operativo"
|
||
l'Italia. È proprio in Italia infatti, più che in ogni altro luogo, che si è
|
||
mantenuto uno stretto legame, un dialogo, tra architettura, storia e teoria. Ed
|
||
è proprio l'Italia che può forse vantare la maggior concentrazione di architetti
|
||
intellettuali nel corso della sua storia. Pur discontinua, tale presenza si
|
||
lascia riscontrare anche in momenti difficili (si pensi ad esempio a Edoardo
|
||
Persico e a Giuseppe Pagano durante il fascismo). Infine, le modalità secondo
|
||
cui ciò avviene sono integralmente figlie dell'epoca attuale, e non esistono vie
|
||
rapide e agevoli per mettere in connessione forme e contenuti di ora con forme e
|
||
contenuti di allora.
|
||
|
||
Vi sono infatti alcune caratteristiche peculiari dell'architetto intellettuale
|
||
-- e dell'intellettuale *in generale* -- italiano degli anni sessanta e settanta
|
||
che difficilmente possono essere fatte oggetto di illusorie rinascite, e che non
|
||
casualmente sono scomparse nelle epoche successive e in altri contesti: tra
|
||
queste, la consapevolezza non soltanto del proprio compito ma anche delle
|
||
condizioni del proprio operare, ovvero dei propri *limiti storici*. Per Franco
|
||
Fortini, scrittore, poeta, critico e saggista, fortemente impegnato in quegli
|
||
anni in una lucida analisi delle condizioni di lavoro all'interno
|
||
dell'"industria culturale", il ruolo da assegnare all'intellettuale parte dalla
|
||
constatazione che lo sviluppo capitalistico realizza la progressiva distruzione
|
||
della coscienza degli individui, ovvero -- come è stato scritto -- la
|
||
"trasformazione antropologica dell'uomo da soggetto volitivo a merce, da essere
|
||
dotato di pensiero, volontà, desiderio e coscienza a precipitato inerte di tempo
|
||
ed energia inintenzionale"[^iii112]. In questa prospettiva, la trasformazione della
|
||
società in senso comunista da lui vagheggiata poteva avvenire soltanto con il
|
||
contributo di un lavoro intellettuale capace di concorrere alla creazione di una
|
||
coscienza del presente comune e condivisa. E tuttavia, questo compito non
|
||
potrebbe essere concepito per Fortini al di fuori di una verifica attenta e
|
||
continua dei "criteri di valore" adottati per leggere la realtà. Cosí, ad
|
||
esempio, l'"ordine storico, ideologico, estetico" di un libro e di un autore
|
||
deve essere continuamente verificato "sul contesto sociale, produttivo,
|
||
culturale, che quel libro, quegli autori, producono e ricevono"[^iii113]; ciò che
|
||
implica la necessità -- come già Benjamin aveva compreso -- di non limitarsi a
|
||
"schierarsi" politicamente ma di cercare di modificare *dall'interno* le
|
||
condizioni politiche, ovvero i rapporti di produzione dell'epoca[^iii114]. Ma non
|
||
potrebbe essere concepito neppure al di fuori delle condizioni effettive cui
|
||
soggiace lo stesso lavoro intellettuale all'interno della società, e della
|
||
società capitalista nello specifico: condizioni che sono per molti versi
|
||
analoghe a quelle imposte al lavoro operaio. A partire dal fatto che il lavoro
|
||
intellettuale diventa sempre più dipendente dall'industria culturale
|
||
privata[^iii115], per giungere a quello -- diretta conseguenza della "riduzione di
|
||
ogni forma di lavoro a lavoro industriale"[^iii116] -- che anche il lavoro
|
||
intellettuale, all'interno dello sviluppo capitalistico, tende a divenire lavoro
|
||
astratto, parcellizzandosi in mansioni sempre più indifferenziate ed equivalenti
|
||
tra di loro.
|
||
|
||
Qualche anno più tardi Tafuri dedicherà un saggio al lavoro intellettuale che
|
||
prende le mosse precisamente da questi presupposti:
|
||
|
||
> ... siamo in presenza di un costante aumento dell'estraneità
|
||
> dell'intellettuale al contenuto del proprio lavoro, che si realizza tanto più
|
||
> concretamente tanto più quest'ultimo si caratterizza esattamente come
|
||
> "lavoro": più esattamente, anzi, come lavoro salariato[^iii117].
|
||
|
||
Nel solco della linea "operaista" perseguita da Mario Tronti e dalla rivista
|
||
"Contropiano" su cui Tafuri scrive, tale tendenza non va tuttavia rifiutata
|
||
quanto piuttosto assecondata, portandola fino alle sue conseguenze ultime:
|
||
|
||
> Leggere nelle condizioni attuali del lavoro intellettuale una concreta
|
||
> tendenza verso un'omogeneizzazione materiale, che passa attraverso i processi
|
||
> di ristrutturazione sociale e produttiva capitalistici, significa riconoscere
|
||
> nella massificazione e nella mobilità dei ruoli, nella perdita dei privilegi
|
||
> tradizionali riservati al lavoro intellettuale, nel distacco -- che avviene
|
||
> già nella fase di preparazione scolastica e universitaria -- dai contenuti del
|
||
> proprio lavoro, nell'estraneità che finalmente anche l'intellettuale è
|
||
> *obbligato* a sperimentare nei confronti dell'organizzazione capitalistica del
|
||
> lavoro, alcune delle condizioni *positive* da cui ripartire, per elaborare un
|
||
> programma di attacco al piano complessivo.
|
||
|
||
E ancora, più oltre:
|
||
|
||
> Non crediamo alle ripetute invenzioni di nuovi *alleati* della classe operaia.
|
||
> Ma sarebbe suicida non riconoscere che sono le stesse linee dello sviluppo
|
||
> capitalista a ricomporre, ai propri fini, una forza lavoro tendenzialmente
|
||
> omogenea, che è possibile far funzionare sotto il segno degli interessi
|
||
> diretti della classe operaia. Rovesciare quello che è stato, per troppo tempo,
|
||
> il disegno capitalista, quello che vede come proprio fine *una classe operaia
|
||
> organizzata dal capitale*: questo è l'obiettivo da raggiungere ponendosi come
|
||
> compito la gestione operaia delle rivendicazioni soggettive dei nuovi strati
|
||
> di lavoro intellettuale salariato.
|
||
>
|
||
> Ma ciò non è possibile se non battendo ogni illusione reazionaria, ogni
|
||
> proposta tesa a restituire *dignità* professionale a quegli intellettuali
|
||
> "degradati". Mostrare in concreto la reazionarietà di ogni discorso che voglia
|
||
> offrire prospettive "alternative" al lavoro intellettuale, significa quindi
|
||
> riconoscere che solo *all'interno* del ruolo oggettivo imposto dal dominio
|
||
> dello sviluppo è la condizione per utilizzare la lotta dei ceti intellettuali
|
||
> assorbiti direttamente nella produzione, in un attacco complessivo al piano
|
||
> del capitale: il che significa, essenzialmente, estendere l'uso politico della
|
||
> lotta *sul* salario a strati sociali sempre più ampi[^iii118].
|
||
|
||
L'intellettuale impegnato nella costruzione di un radicale ripensamento della
|
||
società a partire dalle condizioni esistenti, ma al tempo stesso alla ricerca di
|
||
un orizzonte di senso *autonomo* per il proprio operare in quanto intellettuale,
|
||
non può dunque che porsi nella posizione che Tronti sintetizza nell'espressione
|
||
"dentro e contro": "*dentro* la società e *contro* di essa nello stesso
|
||
tempo"[^iii119].
|
||
|
||
Le vicende storiche occorse dopo i primi anni settanta nella società italiana,
|
||
cosí come in quelle di molti altri paesi occidentali industrializzati,
|
||
porteranno a evoluzioni del tutto distanti da quelle prefigurate, tra gli altri,
|
||
da Tronti, Fortini e Tafuri e -- per quanto riguarda il più specifico campo
|
||
dell'architettura -- da Aymonino e Rossi. Proprio quest'ultimo, forse più di
|
||
ogni altro, diverrà l'emblematico protagonista del brusco cambio di direzione
|
||
impresso al lavoro intellettuale nel corso di meno di un decennio: dalla ricerca
|
||
di un piano di lavoro condiviso come fondamento di un'alternativa alla realtà
|
||
capitalistico-borghese, alla conquista di una "scrittura" privata, individuale,
|
||
autobiografica. E non è probabilmente un caso che questo passaggio coincida con
|
||
la "scoperta" dell'America da parte di Rossi[^iii120].
|
||
|
||
A partire da quel momento l'attitudine a essere "dentro e contro" declinerà
|
||
vistosamente, fino a scomparire del tutto; una sparizione cui corrisponde
|
||
un'altrettanto lunga eclissi della figura dell'architetto come intellettuale. Le
|
||
ragioni di questa duplice sparizione (o forse sarebbe meglio dire "oscuramento")
|
||
solo apparentemente sono riconducibili *in toto* alle condizioni politiche e
|
||
sociali verificatesi in Italia e in buona parte del mondo dagli anni ottanta in
|
||
avanti. In realtà, proprio quelle condizioni costituiscono il compimento e la
|
||
conferma di quanto i migliori intellettuali dei decenni precedenti avevano
|
||
lucidamente preconizzato[^iii121]. Non deve quindi stupire che, con il crescente
|
||
imporsi di tali condizioni in tutte le società occidentalizzate, sottoposte agli
|
||
effetti sempre più penetranti di un capitalismo al tempo stesso planetariamente
|
||
esteso e minutamente pervasivo, siano tornate a emergere (specialmente in
|
||
Italia)[^iii122], a partire dal principio del nuovo millennio, riflessioni
|
||
filosofiche e politiche incentrate su temi su cui la cultura si era interrogata
|
||
nei decenni precedenti[^iii123]. E che a fronte del "tutto dentro" del sistema
|
||
globalizzato[^iii124], sia ritornata attuale la possibilità di porsi -- rispetto a
|
||
esso -- *dentro e contro*.
|
||
|
||
È alla luce di questa posizione che è forse possibile ripensare anche il ruolo
|
||
dell'architetto intellettuale, *oggi*.
|
||
|
||
[^iii1]: Su Brunelleschi vedi, tra gli altri, Piero Sanpaolesi, *Brunelleschi*,
|
||
Barbera, Firenze 1962; Frank D. Prager e Giustina Scaglia, *Brunelleschi.
|
||
Studies of His Technology and Inventions*, The MIT Press, Cambridge (Mass.)
|
||
1970; Eugenio Battisti, *Filippo Brunelleschi*, Electa, Milano 1976; Arnaldo
|
||
Bruschi, *Filippo Brunelleschi*, ivi 2006.
|
||
|
||
[^iii2]: Giulio Carlo Argan, *Brunelleschi*, Mondadori, Milano 1955, p. 44.
|
||
|
||
[^iii3]: Antonio Manetti, *Vita di Filippo Brunelleschi*, Edizioni Il Polifilo,
|
||
Milano 1976, pp. 44 e 88.
|
||
|
||
[^iii4]: Arendt, *Vita activa* cit., pp. 137 sgg.
|
||
|
||
[^iii5]: Manetti, *Vita di Filippo Brunelleschi* cit., pp. 96-97; Giorgio Vasari,
|
||
*Vita di Filippo Brunelleschi*, in *Le vite de' più eccellenti pittori, scultori
|
||
ed architetti*, Einaudi, Torino 1986, pp. 316-17; Cesare Guasti, *La Cupola di
|
||
Santa Maria del Fiore illustrata con i documenti dell'archivio dell'Opera
|
||
secolare*, Barbèra Bianchi, Firenze 1857, pp. 229-30.
|
||
|
||
[^iii6]: Manfredo Tafuri, *L'architettura dell'Umanesimo*, Laterza, Bari 1969, p.
|
||
19.
|
||
|
||
[^iii7]: Vasari, *Vita di Filippo Brunelleschi* cit., p. 324.
|
||
|
||
[^iii8]: Il *De re ædificatoria* di Leon Battista Alberti, scritto intorno alla
|
||
metà del XV secolo, verrà pubblicato per la prima volta nel 1485 in latino; vedi
|
||
*L'architettura*, a cura di Giovanni Orlandi, Edizioni Il Polifilo, Milano 1988.
|
||
|
||
[^iii9]: Alberto Giorgio Cassani, *La fatica del costruire. Tempo e materia nel
|
||
pensiero di Leon Battista Alberti*, Edizioni Unicopli, Milano 2000; Massimo
|
||
Bulgarelli, *Leon Battista Alberti 1404-1472. Architettura e storia*, Electa,
|
||
Milano 2008.
|
||
|
||
[^iii10]: Alberti, *L'architettura* cit., p. 6.
|
||
|
||
[^iii11]: Andrea Palladio, *I Quattro Libri dell'Architettura*, Domenico de'
|
||
Franceschi, Venezia 1570, vol. I, *Proemio ai lettori*, p. 6.
|
||
|
||
[^iii12]: *Ibid.*, vol. III, cap. V, p. 12.
|
||
|
||
[^iii13]: Vedi, tra gli altri, Rudolf Wittkower, *Palladio e il palladianesimo*,
|
||
Einaudi, Torino 1984.
|
||
|
||
[^iii14]: Sintomatico -- ma non certo unico -- il caso della Basilica di Vicenza:
|
||
"La pianta della Basilica riprodotta nei *Quattro Libri* è solo un'invenzione,
|
||
un singolare esempio di progetto ideale e irrealizzabile di un edificio già
|
||
costruito in altro modo: in essa Palladio elimina proprio quelle difficoltà da
|
||
cui era nato il proprio progetto e senza le quali il suo intervento non sarebbe
|
||
stato neppure richiesto": James Ackerman, *Palladio*, Einaudi, Torino 1972, p.
|
||
45.
|
||
|
||
[^iii15]: Su Piranesi, vedi John Wilton-Ely, *Giovanni Battista Piranesi
|
||
1720-1778*, Electa, Milano 2008.
|
||
|
||
[^iii16]: Pierluigi Panza, *Piranesi architetto*, Guerini Studio, Milano 1998, p.
|
||
35.
|
||
|
||
[^iii17]: Michel Foucault, *Microfisica del potere*, Einaudi, Torino 1977.
|
||
|
||
[^iii18]: La più nota è probabilmente la "Querelle des anciens et des modernes"
|
||
che, riprendendo la più nota disputa in campo letterario (vedi Marc Fumaroli,
|
||
*Le api e i ragni. La disputa degli Antichi e dei Moderni*, Adelphi, Milano
|
||
2005), oppone Claude Perrault e François Blondel: cfr. Hanno-Walter Kruft,
|
||
*Storia delle teorie architettoniche. Da Vitruvio al Settecento*, Laterza, Roma
|
||
1988, in particolare il cap. *La fondazione dell'Accademia di architettura e la
|
||
crisi del dogmatismo accademico*, pp. 159-76; Anthony Gerbino, *François
|
||
Blondel: Architecture, Erudition, and the Scientific Revolution*, Routledge,
|
||
Abingdon-on-Thames 2010.
|
||
|
||
[^iii19]: Tra i più celebri e influenti, l'*Essai sur l'architecture* (1753) di
|
||
Marc-Antoine Laugier e il *Saggio sopra l'architettura* (1757) di Francesco
|
||
Algarotti, basato sulle idee (sia pur criticate) di Carlo Lodoli, denominato il
|
||
"Socrate" dell'architettura per non aver lasciato tracce scritte della sua
|
||
teoria: vedi Andrea Memmo, *Elementi d'architettura lodoliana*, Pagliarini, Roma
|
||
1786.
|
||
|
||
[^iii20]: Étienne-Louis Boullée, *Architettura. Saggio sull'arte*, a cura di
|
||
Alberto Ferlenga, Einaudi, Torino 2005, p. 5.
|
||
|
||
[^iii21]: *Ibid.*, p. 3.
|
||
|
||
[^iii22]: Jean-Nicolas-Louis Durand, *Lezioni di architettura*, a cura di Ernesto
|
||
D'Alfonso, CLUP, Milano 1986.
|
||
|
||
[^iii23]: Tra questi vanno ricordati, tra gli altri, Charles Fourier, Robert Owen,
|
||
William Morris, Étienne Cabet, Jean-Baptiste Godin; sul tema vedi Françoise
|
||
Choay, *La città. Utopie e realtà*, Einaudi, Torino 1973.
|
||
|
||
[^iii24]: Tony Garnier, *Una città industriale*, a cura di Riccardo Mariani, Jaca
|
||
book, Milano 1990.
|
||
|
||
[^iii25]: Le Corbusier, *Urbanistica* (1925), Il Saggiatore, Milano 1967.
|
||
|
||
[^iii26]: Catherine de Smet, *Le Corbusier Architect of Books*, Lars Müller
|
||
Publishers, Baden 2005.
|
||
|
||
[^iii27]: In particolare, vedi Le Corbusier, *Croisade ou le Crépuscole des
|
||
Académies*, Éditions Crés, Paris 1933.
|
||
|
||
[^iii28]: A tale azione si connettono strettamente da parte di Bruno Zevi la
|
||
fondazione nel 1944 dell'APAO (Associazione per l'Architettura Organica) e la
|
||
pubblicazione di *Verso un'architettura organica. Saggio sullo sviluppo del
|
||
pensiero architettonico negli ultimi cinquant'anni*, Einaudi, Torino 1945.
|
||
|
||
[^iii29]: Roberto Dulio, *Introduzione a Bruno Zevi*, Laterza, Roma-Bari 2008.
|
||
|
||
[^iii30]: Bruno Zevi, *Saper vedere l'architettura*, Einaudi, Torino 1948; Id.,
|
||
*Storia dell'architettura moderna*, ivi 1950; Id., *Poetica dell'architettura
|
||
neoplastica*, Tamburini, Milano 1953; Id., *Il linguaggio moderno
|
||
dell'architettura*, Einaudi, Torino 1973.
|
||
|
||
[^iii31]: Zevi, *Verso un'architettura organica* cit., p. 13.
|
||
|
||
[^iii32]: *Ibid.*, p. 150.
|
||
|
||
[^iii33]: *Ibid.*, p. 75.
|
||
|
||
[^iii34]: *Manuale dell'architetto*, a cura del Consiglio Nazionale delle Ricerche
|
||
(CNR) -- United States Information Service (USIS), Roma 1946.
|
||
|
||
[^iii35]: Manfredo Tafuri, *Teorie e storia dell'architettura*, Laterza, Bari 1968,
|
||
p. 161.
|
||
|
||
[^iii36]: Tafuri, *Teorie e storia dell'architettura* cit., p. 172.
|
||
|
||
[^iii37]: *Ibid.*, p. 176.
|
||
|
||
[^iii38]: *Ibid.*, p. 173.
|
||
|
||
[^iii39]: Bruno Zevi, *Introduzione: Attualità di Michelangiolo architetto*, in
|
||
*Michelangiolo architetto*, a cura di Paolo Portoghesi e Bruno Zevi, Einaudi,
|
||
Torino 1964, pp. 14-16. Vedi anche *Mostra critica delle opere
|
||
michelangiolesche*, catalogo della mostra, Roma -- Palazzo delle Esposizioni, De
|
||
Luca, Roma 1964.
|
||
|
||
[^iii40]: Tafuri, *Teorie e storia dell'architettura* cit., p. 126.
|
||
|
||
[^iii41]: Giorgio Ciucci, *Gli anni della formazione*, in "Casabella", n. 619-20,
|
||
1995, pp. 12-25.
|
||
|
||
[^iii42]: Giorgio Piccinato, Vieri Quilici e Manfredo Tafuri, *La città territorio.
|
||
Verso una nuova dimensione*, in "Casabella-Continuità", n. 270, 1962, pp. 6-16;
|
||
Enrico Fattinnanzi e Manfredo Tafuri, *Un'ipotesi per la città-territorio di
|
||
Roma*, in "Casabella-Continuità", n. 274, 1963, pp. 27-36.
|
||
|
||
[^iii43]: Luka Skansi, *Architettura come "oggetto trascurabile". Note a margine di
|
||
una discussione di Manfredo Tafuri su realismo e utopia*, in Alessandro De
|
||
Magistris e Aurora Scotti (a cura di), *Utopiae finis? Percorsi tra utopismi e
|
||
progetto*, Accademia University Press, Torino 2018, p. 219.
|
||
|
||
[^iii44]: Tafuri, *Teorie e storia dell'architettura* cit., p. 270.
|
||
|
||
[^iii45]: *Ibid.*, p. 266.
|
||
|
||
[^iii46]: *Ibid.*, pp. 266-67.
|
||
|
||
[^iii47]: *Ibid.*, p. 269.
|
||
|
||
[^iii48]: *Ibid.*, p. 270.
|
||
|
||
[^iii49]: *Ibid*.
|
||
|
||
[^iii50]: Su ciò vedi Marco Biraghi, *Progetto di crisi. Manfredo Tafuri e
|
||
l'architettura contemporanea*, Christian Marinotti Edizioni, Milano
|
||
2005. Vedi anche il fondamentale saggio di Manfredo Tafuri, *Il "progetto"
|
||
storico*, in "Casabella", n. 429, 1977, pp. 11-18 (poi come *Introduzione* a
|
||
Id., *La sfera e il labirinto* cit., pp. 3-30).
|
||
|
||
[^iii51]: Su Argan, vedi Claudio Gamba (a cura di), *Giulio Carlo Argan.
|
||
Intellettuale e storico dell'arte*, Electa, Milano 2012. La figura di Benevolo
|
||
attende invece ancora una adeguata storicizzazione.
|
||
|
||
[^iii52]: Jean-Louis Cohen, *La coupure entre architectes et intellectuels, ou les
|
||
enseignements de l'italophilie*, Mardaga, Bruxelles 2015.
|
||
|
||
[^iii53]: Cohen, *La coupure entre architectes et intellectuels* cit., p. 69.
|
||
|
||
[^iii54]: *Ibid.*, p. 100.
|
||
|
||
[^iii55]: *Ibid.*, p. 101.
|
||
|
||
[^iii56]: Per quanto riguarda i libri vedi Fiorella Vanini, *La libreria
|
||
dell'architetto. Progetti di collane editoriali 1945-1980*, Franco Angeli,
|
||
Milano 2012; per le riviste vedi Marco Mulazzani, *Le riviste di architettura.
|
||
Costruire con le parole*, in *Storia dell'architettura italiana. Il secondo
|
||
Novecento (1945-1996)*, a cura di Giorgio Ciucci e Giorgio Muratore, Electa,
|
||
Milano 1997, pp. 430-43.
|
||
|
||
[^iii57]: Sul MSA vedi Matilde Baffa, Corinna Morandi, Sara Protasoni e Augusto
|
||
Rossari, *Il Movimento di Studi per l'Architettura 1945-1961*, Laterza,
|
||
Roma-Bari 1995. Sull'ideologia "comunitaria" olivettiana esistono moltissimi
|
||
contributi, oltre ai libri dello stesso Olivetti; per una sua esposizione
|
||
sintetica ma approfondita vedi il capitolo *Aufklärung I. Adriano Olivetti e la
|
||
'communitas' dell'intelletto*, in Tafuri, *Storia dell'architettura italiana
|
||
1944-1985* cit., pp. 47-54.
|
||
|
||
[^iii58]: Renato Barilli, *La neoavanguardia italiana. Dalla nascita del "Verri"
|
||
alla fine di "Quindici"*, il Mulino, Bologna 1995; Andrea Cortellessa, *Volevamo
|
||
la Luna*, in *Quindici. Una rivista e il Sessantotto*, a cura di Nanni
|
||
Balestrini, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 451-72.
|
||
|
||
[^iii59]: Cohen, *La coupure entre architectes et intellectuels* cit., p. 101. In
|
||
merito vedi anche Cina Conforto, Gabriele De Giorgi, Alessandra Muntoni e
|
||
Marcello Pazzaglini, *Il dibattito architettonico in Italia 1945-1975*, Bulzoni,
|
||
Roma 1977.
|
||
|
||
[^iii60]: Giuseppe Samonà, *L'urbanistica e l'avvenire delle città*, Laterza, Bari
|
||
1959. Dello stesso autore è essenziale pure *L'unità architettura-urbanistica.
|
||
Scritti e progetti 1929-1973*, a cura di Pasquale Lovero, Franco Angeli, Milano
|
||
1975. Su Samonà vedi Carlo Aymonino, Giorgio Ciucci, Francesco Dal Co e Manfredo
|
||
Tafuri, *Giuseppe Samonà 1923-1975. Cinquant'anni di architetture*, Officina,
|
||
Roma 1975.
|
||
|
||
[^iii61]: Ludovico Quaroni, *La Torre di Babele*, Marsilio, Padova 1967. Di Quaroni
|
||
vedi anche *Immagine di Roma*, Laterza, Bari 1969, e *Progettare un edificio.
|
||
Otto lezioni di architettura*, Mazzotta, Milano 1977. Su Quaroni vedi Manfredo
|
||
Tafuri, *Ludovico Quaroni e lo sviluppo dell'architettura moderna in Italia*,
|
||
Edizioni di Comunità, Milano 1964; Pippo Ciorra, *Ludovico Quaroni 1911-1987.
|
||
Opere e progetti*, Electa, Milano 1989.
|
||
|
||
[^iii62]: Ernesto Nathan Rogers, *Il problema del costruire nelle preesistenze
|
||
ambientali*, in "L'Architettura", n. 22, 1957 (ora in Id., *Esperienza
|
||
dell'architettura*, a cura di Luca Molinari, Skira, Milano 1997, pp. 286-91).
|
||
Alle tematiche delle preesistenze ambientali -- e più in generale al rapporto
|
||
architettura-città -- sono dedicati numerosi degli editoriali pubblicati da
|
||
Rogers su "Casabella", raccolti, oltreché in *Esperienza dell'architettura*, in
|
||
*Editoriali di architettura*, Einaudi, Torino 1968; ora a cura di Gabriella Lo
|
||
Ricco e Mario Viganò, Zandonai, Rovereto 2009.
|
||
|
||
[^iii63]: Vittorio Gregotti, *Il territorio dell'architettura*, Feltrinelli, Milano
|
||
1966.
|
||
|
||
[^iii64]: Carlo Aymonino, *Origini e sviluppo della città moderna*, Marsilio,
|
||
Padova 1965. Vedi inoltre Id., *Il significato della città*, Laterza, Bari 1975.
|
||
|
||
[^iii65]: Aldo Rossi, *L'architettura della città*, Marsilio, Padova
|
||
1966. Sul libro e le sue implicazioni vedi *Aldo Rossi, la storia di un libro.
|
||
L'architettura della città, dal 1966 ad oggi*, a cura di Fernanda De Maio,
|
||
Alberto Ferlenga e Patrizia Montini Zimolo, Il Poligrafo - IUAV, Padova-Venezia
|
||
2014.
|
||
|
||
[^iii66]: Vedi, ad esempio, *La città di Padova. Saggio di analisi urbana*, scritti
|
||
di Carlo Aymonino, Manlio Brusatin, Gianni Fabbri, Mauro Lena, Pasquale Lovero,
|
||
Sergio Lucianetti e Aldo Rossi, Officina, Roma 1970.
|
||
|
||
[^iii67]: Giovanni Marras e Marco Pogacnik (a cura di), *Giuseppe Samonà e la
|
||
Scuola di Architettura a Venezia*, Il Poligrafo, Padova 2006.
|
||
|
||
[^iii68]: Ludovico Quaroni, *La città fisica*, a cura di Antonino Terranova,
|
||
Laterza, Roma-Bari 1981.
|
||
|
||
[^iii69]: Tra loro va ricordato almeno Franco Purini, il cui contributo alla
|
||
definizione del profilo dell'architetto intellettuale italiano a partire dagli
|
||
anni sessanta -- attraverso la sua "opera di pensiero", che contempera
|
||
architettura, disegno e parola -- è fondamentale; tra gli altri suoi lavori,
|
||
vedi *Comporre l'architettura*, Laterza, Roma-Bari 2000; *La misura italiana
|
||
dell'architettura*, Laterza, Roma-Bari 2008.
|
||
|
||
[^iii70]: Su ciò vedi in particolar modo Tafuri, *Ludovico Quaroni e lo sviluppo
|
||
dell'architettura moderna in Italia* cit., pp. 13-14.
|
||
|
||
[^iii71]: Fra le tematiche più generali trattate vanno ricordate, tra le altre: i
|
||
Centri Direzionali Italiani (n. 264, 1962), Città e Regione (n. 270, 1962), i
|
||
Problemi di Roma (n. 279, 1963), il Piano Intercomunale Milanese (n. 282, 1963),
|
||
le Coste Italiane (nn. 283 e 284, 1964), il Fabbisogno del Verde in Italia (n.
|
||
286, 1964), i Problemi USA (n. 294-95, 1964-65).
|
||
|
||
[^iii72]: Vedi, tra l'altro, *Enzo Paci. Architettura e filosofia*, in "aut aut",
|
||
n. 333, 2007, numero dedicato al filosofo. Va ricordato che nel 1946, con Banfi,
|
||
Vittorini, Einaudi e altri, Rogers è membro fondatore della Casa della cultura
|
||
di Milano. Enzo Paci farà invece parte del comitato di redazione di
|
||
"Casabella-Continuità" a partire dal numero 215 del 1957.
|
||
|
||
[^iii73]: Ernesto N. Rogers, *Continuità*, in "Casabella-Continuità", n. 199,
|
||
1953-54, p. 2.
|
||
|
||
[^iii74]: In particolare Rogers si rifà all'uso che John Dewey (studiato in quel
|
||
periodo da Paci) ne fa in *Esperienza e educazione* (La Nuova Italia, Firenze
|
||
1949) e in *L'arte come esperienza* (ivi 1951). La prima raccolta degli
|
||
editoriali di Rogers si intitola *Esperienza dell'architettura*, Einaudi, Torino
|
||
1958.
|
||
|
||
[^iii75]: Ernesto N. Rogers, *Continuità o crisi?*, in "Casabella-Continuità", n.
|
||
215, 1957, p. 3.
|
||
|
||
[^iii76]: Enzo Paci, *Fenomenologia e architettura contemporanea*, in Id.,
|
||
*Relazioni e significati. Critica e dialettica*, Lampugnani Nigri, Milano 1966,
|
||
p. 175.
|
||
|
||
[^iii77]: Enzo Paci, *La crisi della cultura e la fenomenologia dell'architettura
|
||
contemporanea*, in "La Casa", n. 6, 1959, p. 356.
|
||
|
||
[^iii78]: Ernesto N. Rogers, *Il dramma dell'architetto* (1948), in Id.,
|
||
*Esperienza dell'architettura* cit., p. 221.
|
||
|
||
[^iii79]: *Ibid.*, p. 223.
|
||
|
||
[^iii80]: *Ibid.*, p. 225.
|
||
|
||
[^iii81]: Massimo Canzian, *Orizzonti del fare architettonico. Progetto Estetica
|
||
Teoria nel dibattito italiano del dopoguerra*, Guerini e Associati, Milano 1995,
|
||
nonché l'*Introduzione* di Massimo Cacciari, pp. 11-17.
|
||
|
||
[^iii82]: Oltre al citato *Il territorio dell'architettura*, vedi, tra i molti
|
||
altri, Vittorio Gregotti, *Dentro l'architettura*, Bollati Boringhieri, Torino
|
||
1991; Id., *Identità e crisi dell'architettura europea*, Einaudi, Torino 1999;
|
||
Id., *L'architettura del realismo critico*, Laterza, Bari 2004; Id.,
|
||
*L'architettura nell'epoca dell'incessante*, ivi 2006; Id., *Contro la fine
|
||
dell'architettura*, Einaudi, Torino 2008; Id., *Architettura e postmetropoli*,
|
||
ivi 2011; Id., *Il sublime al tempo del contemporaneo*, ivi 2013; Id., *I
|
||
racconti del progetto*, Skira, Milano 2018.
|
||
|
||
[^iii83]: Manfredo Tafuri, *Vittorio Gregotti. Progetti e architetture*, Electa,
|
||
Milano 1982; Guido Morpurgo (a cura di), *Il territorio dell'architettura.
|
||
Gregotti e Associati 1953-2017*, Skira, Milano 2017.
|
||
|
||
[^iii84]: Gramsci, *Quaderni del carcere* cit., vol. III, Quaderno 12 (XXIX), § 3,
|
||
p. 1551.
|
||
|
||
[^iii85]: Giovanni Durbiano, *I Nuovi Maestri. Architetti tra politica e cultura
|
||
nel dopoguerra*, Marsilio, Venezia 2000, pp. 55-98.
|
||
|
||
[^iii86]: Per quanto riguarda i corsi di Carlo Aymonino allo IUAV di Venezia, cui
|
||
collaborano, tra gli altri, anche Aldo Rossi, Costantino Dardi e Gianni Fabbri,
|
||
vedi *Aspetti e problemi della tipologia edilizia. Documenti del Corso di
|
||
caratteri distributivi degli edifici. Anno accademico 1963-1964*, Libreria
|
||
Cluva, Venezia 1964; *La formazione del concetto di tipologia edilizia. Atti del
|
||
Corso di caratteri distributivi degli edifici. Anno accademico 1964-1965*, ivi
|
||
1965; *Rapporti tra la tipologia edilizia e la morfologia urbana. Documenti del
|
||
Corso di caratteri distributivi degli edifici. Anno accademico 1965-1966*, ivi
|
||
1966.
|
||
|
||
[^iii87]: Aldo Rossi, *Tipologia, manualistica e architettura*, in *Rapporti tra la
|
||
tipologia edilizia e la morfologia urbana* cit., p. 69.
|
||
|
||
[^iii88]: Aldo Rossi, *L'obiettivo della nostra ricerca*, in *L'analisi urbana e la
|
||
progettazione architettonica. Contributi al dibattito e al lavoro di gruppo
|
||
nell'anno accademico 1968-69. Gruppo di ricerca diretto da Aldo Rossi*, Clup,
|
||
Milano 1970, p. 13.
|
||
|
||
[^iii89]: Durbiano, *I Nuovi Maestri* cit., p. 62.
|
||
|
||
[^iii90]: Antonio Monestiroli, *L'architettura della realtà* (1979), Allemandi,
|
||
Torino 2004, p. 21.
|
||
|
||
[^iii91]: *Ibid.*, p. 22.
|
||
|
||
[^iii92]: Joan Ockman, *Venice and New York*, in "Casabella", n. 619-20, 1995, pp.
|
||
56-65; Ernesto Ramon Rispoli, *Ponti sull'Atlantico. L'Institute for
|
||
Architecture and Urban Studies e le relazioni Italia-America (1967-1985)*,
|
||
Quodlibet, Macerata 2012.
|
||
|
||
[^iii93]: Tafuri, *La sfera e il labirinto* cit., p. 323.
|
||
|
||
[^iii94]: D'altronde, la tendenza a unificare azione intellettuale e attività
|
||
politica sembra appartenere costitutivamente alla cultura italiana, che l'ha
|
||
ereditata da Benedetto Croce. Al proposito vedi Eugenio Garin, *Intellettuali
|
||
italiani del* *XX* *secolo*, Editori Riuniti, Roma 1996, in particolare il
|
||
capitolo *Benedetto Croce o della "separazione impossibile" tra politica e
|
||
cultura*, pp. 47-67.
|
||
|
||
[^iii95]: Peter Eisenman, *Inside Out. Scritti 1963-1988*, Quodlibet, Macerata
|
||
2014; Id., *Written into the Void. Selected Writings 1990-2004*, Yale University
|
||
Press, New Haven 2007.
|
||
|
||
[^iii96]: Rem Koolhaas, *Delirious New York* (1978), a cura di Marco Biraghi,
|
||
Electa, Milano 2001; Id., *Junkspace*, a cura di Gabriele Mastrigli, Quodlibet,
|
||
Macerata 2006; Id., *Singapore Songlines*, a cura di Manfredo di Robilant,
|
||
Quodlibet, Macerata 2010.
|
||
|
||
[^iii97]: Monestiroli, *L'architettura della realtà* cit., p. 29.
|
||
|
||
[^iii98]: Robert Venturi, *Complessità e contraddizioni nell'architettura*,
|
||
Edizioni Dedalo, Bari 1993; Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven Izenour,
|
||
*Imparare da Las Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma architettonica*,
|
||
Quodlibet, Macerata 2010.
|
||
|
||
[^iii99]: Vedi, tra gli altri, Mirko Zardini (a cura di), *Paesaggi ibridi. Un
|
||
viaggio nella città contemporanea*, Skira, Milano 1996; Stefano Boeri, *I
|
||
detective dello spazio*, in "Il Sole -- 24 Ore", supplemento, 16 marzo 1997;
|
||
Id., *Atlanti eclettici*, in Multiplicity, *USE-Uncertain States of Europe --
|
||
Viaggio nell'Europa che cambia*, Skira, Milano 2003, pp. 425-45.
|
||
|
||
[^iii100]: Vedi http://oma.eu/office.
|
||
|
||
[^iii101]: Vedi, tra gli altri, AMO, *History of Europe and The European Union*,
|
||
Archis, rivista a unico numero, Amsterdam 2005; Rem Koolhaas, Ole Bouman e Mitra
|
||
Khoubrou (a cura di), *Al Manakh: Dubai Guide, Gulf Survey, Global Agenda*,
|
||
Archis, Amsterdam 2007; Todd Reisz (a cura di), *Al Manakh: Gulf Continued*, ivi
|
||
2010; *Roadmap 2050. A practical Guide to a Prosperous, Low-carbon Europe*, OMA,
|
||
Amsterdam 2010; vedi anche www.roadmap2050.eu/project/roadmap-2050.
|
||
|
||
[^iii102]: Vedi ad esempio MVRDV, *Farmax. Excursions on Density*, 010 Publishers,
|
||
Rotterdam 1998; Id., *KM3. Excursions on Capacity*, Actar, Barcelona 2005; BIG
|
||
-- Bjarke Ingels Group, *Yes Is More. An Archicomic on Architectural
|
||
Evolution*, Taschen, Köln 2009; Id., *Hot to Cold. An Odyssey of Architectural
|
||
Adaptation*, ivi 2015.
|
||
|
||
[^iii103]: Tafuri, *La sfera e il labirinto* cit., p. 349.
|
||
|
||
[^iii104]: Rimando a questo proposito a Marco Biraghi, *Eisenman o
|
||
dell'interpretazione*, in Pier Vittorio Aureli, Marco Biraghi e Franco Purini,
|
||
*Peter Eisenman. Tutte le opere*, Electa, Milano 2007, pp. 22-37.
|
||
|
||
[^iii105]: Per le conversazioni tra Eisenman e Derrida, e per i testi di
|
||
quest'ultimo su Eisenman, vedi Jacques Derrida, *Adesso l'architettura*, a cura
|
||
di Francesco Vitale, Libri Scheiwiller, Milano 2008, pp. 181-238; vedi anche *Un
|
||
matrimonio sfortunato. Derrida e l'architettura*, a cura di Peter Bojanić e
|
||
Damiano Cantone, in "aut aut", n. 368, 2015.
|
||
|
||
[^iii106]: K. Michael Hays (a cura di), *Oppositions Reader. Selected Readings from
|
||
a Journal for Ideas and Criticism in Architecture 1973-1984*, Princeton
|
||
Architectural Press, New York 1998.
|
||
|
||
[^iii107]: Rafael Moneo, *La solitudine degli edifici e altri scritti*, 2 voll., I.
|
||
*Questioni intorno all'architettura*; II. *Sugli architetti e il loro lavoro*, a
|
||
cura di Andrea Casiraghi e Daniele Vitale, Allemandi, Torino 1999-2004; Id.,
|
||
*Inquietudine teorica e strategia progettuale nell'opera di otto architetti
|
||
contemporanei*, Electa, Milano 2005.
|
||
|
||
[^iii108]: "Nelle sue disgregazioni e disgiunzioni, nella sua caratteristica
|
||
frammentazione e dissociazione, l'attuale situazione culturale suggerisce la
|
||
necessità di abbandonare le categorie di significato e le storie contestuali
|
||
stabilite. Varrebbe quindi la pena di rinunciare a qualunque nozione di
|
||
architettura postmoderna in favore di una architettura "postumanista", che
|
||
evidenzi non solo la dispersione del soggetto e della forza delle regole
|
||
sociali, ma anche l'effetto di questo decentramento sull'intera nozione di forma
|
||
architettonica unificata e coerente": Bernard Tschumi, *Disgiunzioni* (1987), in
|
||
Id., *Architettura e disgiunzione*, a cura di Ruben Baiocco e Giovanni Damiani,
|
||
Pendragon, Bologna 1996, p. 164.
|
||
|
||
[^iii109]: Su ciò vedi, ad esempio, Maurizio Lazzarato, *Immaterial Labor*, in
|
||
Paolo Virno e Michael Hardt (a cura di), *Radical Thought in Italy. A Potential
|
||
Politics*, University of Minnesota Press, Minneapolis 2006, pp. 132-46.
|
||
|
||
[^iii110]: Gianni Pettena (a cura di), *Radicals. Architettura e Design 1960-1975*,
|
||
La Biennale di Venezia -- Il Ventilabro, Firenze 1996; Andrea Branzi, *Modernità
|
||
debole e diffusa*, Skira, Milano 2006.
|
||
|
||
[^iii111]: Giorgio Grassi, *La costruzione logica dell'architettura*, Marsilio,
|
||
Venezia 1967. Per una rilettura "aggiornata" di Rossi e di Grassi, vedi baukuh,
|
||
*Due saggi sull'architettura*, Sagep editori, Genova 2012.
|
||
|
||
[^iii112]: Daniele Balicco, *Non parlo a tutti. Franco Fortini intellettuale
|
||
politico*, Manifestolibri, Roma 2006, p. 43.
|
||
|
||
[^iii113]: Franco Fortini, *Verifica dei poteri* (1960), in Id., *Verifica dei
|
||
poteri*, Garzanti, Milano 1974, pp. 54-55.
|
||
|
||
[^iii114]: Rimando a Benjamin, *L'autore come produttore* cit., p. 201.
|
||
|
||
[^iii115]: Franco Fortini, *Astuti come colombe* (1962), in Id., *Verifica dei
|
||
poteri* cit., pp. 66-87.
|
||
|
||
[^iii116]: Mario Tronti, *La fabbrica e la società*, in "Quaderni Rossi", n. 2,
|
||
1962, p. 21.
|
||
|
||
[^iii117]: Tafuri, *Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico* cit., pp.
|
||
241-81, a p. 280.
|
||
|
||
[^iii118]: *Ibid.*, p. 281.
|
||
|
||
[^iii119]: Mario Tronti, *Operai e capitale*, Einaudi, Torino 1966, p. 14.
|
||
|
||
[^iii120]: Oltre al forte incremento nella produzione di quadri e di disegni
|
||
rossiani in corrispondenza dei suoi viaggi negli Stati Uniti e sotto la spinta
|
||
del mercato americano, nella seconda metà degli anni settanta, va ricordato che
|
||
la prima edizione dell'*Autobiografia scientifica* è stata pubblicata proprio
|
||
negli Stati Uniti: Aldo Rossi, *Scientific Autobiography*, The MIT Press,
|
||
Cambridge (Mass.) 1981.
|
||
|
||
[^iii121]: Su tutti va ricordato ancora il fondamentale Debord, *La società dello
|
||
spettacolo* cit.
|
||
|
||
[^iii122]: Roberto Esposito, *Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia
|
||
italiana*, Einaudi, Torino 2010; Dario Gentili, *Italian Theory. Dall'operaismo
|
||
alla biopolitica*, il Mulino, Bologna 2012; Dario Gentili e Elettra Stimilli (a
|
||
cura di), *Differenze italiane*, DeriveApprodi, Roma 2015.
|
||
|
||
[^iii123]: Vedi ad esempio Paolo Virno, *Grammatica della moltitudine. Per una
|
||
analisi delle forme di vita contemporanee*, DeriveApprodi, Roma 2009; Mario
|
||
Tronti, *Noi operaisti*, DeriveApprodi, Roma
|
||
2009. Un'interessante incursione nel territorio disciplinare è rappresentato da
|
||
Marco Assennato, *Linee di fuga. Architettura, teoria, politica*, :duepunti
|
||
edizioni, Palermo 2011.
|
||
|
||
[^iii124]: Michael Hardt e Antonio Negri, *Impero. Il nuovo ordine della
|
||
globalizzazione*, Rizzoli, Milano 2002.
|
||
|
||
## Le strategie del distacco
|
||
|
||
> The education of a great intellectual often includes at the moment of its
|
||
> beginnings not only the seeds of that person's future development, but also
|
||
> the final result[^iv1].
|
||
|
||
È sulla scia di questi tentativi che un architetto come Pier Vittorio Aureli ha
|
||
ripreso le fila del discorso avviato ormai cinquant'anni fa da alcuni degli
|
||
autori citati più sopra -- "*dentro* la società e *contro* di essa nello stesso
|
||
tempo" -- con l'evidente intento di analizzarlo non tanto o soltanto da un punto
|
||
di vista storico, quanto piuttosto in un'ottica odierna, e di applicarlo
|
||
all'ambito dell'architettura e della città. Nel farlo, Aureli riporta
|
||
l'attenzione del dibattito architettonico sul languente fronte della teoria,
|
||
rendendo quest'ultima il proprio piano *operativo*. E qui bisogna subito fare
|
||
attenzione: non si tratta infatti né di una teoria fine a se stessa, chiusa nel
|
||
proprio universo autoreferenziale, né di una teoria dipendente dalla sua
|
||
attuazione, dal suo tradursi in "pratica". Tra il piano della teoria e quello
|
||
del progetto vi è un'incessante dialettica, in cui entrambe cooperano per il
|
||
raggiungimento di un unico fine. Che non è in ogni caso quello della
|
||
"realizzazione". Come si vedrà meglio in seguito, l'operatività del progetto si
|
||
dispone per Aureli su un terreno programmaticamente diverso da quello della
|
||
realtà, almeno in una prima fase del suo lavoro: una rinuncia a vederne i frutti
|
||
concreti, o meglio piuttosto una sua "sottrazione" all'assoggettamento alle
|
||
dinamiche del mercato che gli consente di sviluppare il progetto nella pienezza
|
||
della sue capacità dimostrative, senza obbligarlo a scendere a compromessi.
|
||
|
||
Fin dalla sua formazione, compiuta tra lo IUAV di Venezia e il Berlage Institute
|
||
di Rotterdam[^iv2], Aureli dimostra il proprio grado di consapevolezza nei
|
||
confronti dei limiti e delle difficoltà che si trova a dover affrontare un
|
||
giovane architetto al cospetto di un panorama contemporaneo di certo non
|
||
rassicurante da un punto di vista lavorativo. La sua scelta di lasciare l'Italia
|
||
per completare i propri studi all'estero, in questo senso, rappresenta
|
||
l'espressione di una chiarezza di idee, di un *progetto* che inizia fin da
|
||
allora a delinearsi. La stessa che gli farà raggiungere, nel giro di pochi anni,
|
||
prestigiose posizioni di insegnamento: tra le altre, alla Columbia University di
|
||
New York, alla Yale School of Architecture di New Haven e all'Architectural
|
||
Association School di Londra.
|
||
|
||
Una chiarezza confermata anche dall'ampiezza di vedute con cui s'accosta alle
|
||
tematiche architettoniche. I suoi interessi si appuntano dapprima sullo studio
|
||
dei principî insediativi urbani, poi sul concetto di "città arcipelago", quindi
|
||
sul tentativo di definizione di un'architettura *assoluta*[^iv3]. Fin da subito,
|
||
l'architettura è concepita non come una disciplina separata bensì come un
|
||
crocevia dove si incontrano questioni sociali, politiche, storiche ed estetiche.
|
||
Ma soprattutto, prima ancora che nell'affermazione di un'architettura specifica,
|
||
vale a dire nell'elaborazione di una *propria* architettura, l'impegno di Aureli
|
||
va in direzione della comprensione delle condizioni di *pensabilità*
|
||
dell'architettura in generale nel contesto della città esistente. E ciò
|
||
nondimeno, nessun approccio generico all'architettura, nessun suo inquadramento
|
||
all'interno di una "mitica" interezza e astoricità. Al contrario,
|
||
nell'accostarsi a una sua formulazione teorica, Aureli ne compie un ripensamento
|
||
analitico che si muove lungo i solchi della storia. Raccogliendo la lezione
|
||
impartita da Manfredo Tafuri nei suoi corsi universitari allo IUAV e nei suoi
|
||
libri, Aureli rilegge i momenti e le opere della storia dell'architettura (e non
|
||
solo), dei quali si avvale con un atteggiamento che non ha nulla di vuotamente
|
||
ostensivo, e neppure di semplicemente confermativo delle interpretazioni
|
||
correnti. Pur non essendo la storia il suo campo d'azione, Aureli fa propria la
|
||
concezione storica tafuriana (e benjaminiana) di un passato mai definitivamente
|
||
passato, mai "dato per giudicato" una volta per tutte, bensì piuttosto
|
||
assimilabile a un campo di forze le cui potenzialità sono riattivabili e in
|
||
grado di trasformare ("inquietare", diceva Tafuri)[^iv4] il presente.
|
||
|
||
Ma vi è un altro elemento che Aureli sembra desumere dagli insegnamenti
|
||
tafuriani: la necessità di una distanza critica. "La distanza è fondamentale per
|
||
la storia"[^iv5]: è essa che aiuta a non cadere vittime dell'immedesimazione e
|
||
delle altre deformazioni derivanti dall'assenza di "mediazioni". Nel caso di
|
||
Aureli non si tratta evidentemente di una distanza da mantenere o da applicare
|
||
in senso storico: è invece il tempo presente quello con il quale -- nella misura
|
||
del possibile -- evitare d'immedesimarsi, e rispetto al quale dunque cercare di
|
||
interporre un "filtro", una forma di "mediazione". Si legga nuovamente Tafuri:
|
||
|
||
> Lo storico che prende in esame un lavoro contemporaneo deve creare una
|
||
> distanza *artificiale*. (...) Il modo che abbiamo di distanziarci dalla nostra
|
||
> epoca, e di darci cosí una prospettiva, è quello di confrontare le differenze
|
||
> che essa presenta con il passato.
|
||
|
||
Rispetto all'apparentemente inevitabile immediatezza del tempo presente Aureli
|
||
prova a adottare delle forme di *distacco*[^iv6]. Come si vedrà, nulla che abbia a
|
||
che fare con un disinteresse, un disimpegno o un'estraneazione, e ancor meno con
|
||
una illusoria mancanza di inerenza alle condizioni presenti, con una velleitaria
|
||
"libertà" dai condizionamenti. La dimensione in cui si colloca il distacco di
|
||
Aureli -- ben lungi dall'immaginare alcuna possibile "neutralità" o "alterità"
|
||
rispetto alle condizioni presenti -- è quella stessa del "problematico" in cui
|
||
si colloca il "progetto" storico tafuriano[^iv7]. E non è forse un caso che sia
|
||
altrettanto in una prospettiva progettuale -- oltreché teorica -- che Aureli
|
||
cerchi di declinare il proprio distacco. Anzi, è proprio in nome di un distacco
|
||
che in lui trovano un punto di unificazione attività teorica e attività
|
||
progettuale, quest'ultima svolta nell'ambito dello studio Dogma ("L'architettura
|
||
è come un dogma, una deliberata decisione sull'indecidibile, una dottrina senza
|
||
prova")[^iv8], fondato nel 2002 insieme a Martino Tattara; uno studio che elegge
|
||
programmaticamente a propria sede Bruxelles, in quanto città "baricentrica" in
|
||
Europa, oltreché sua capitale[^iv9]. È proprio questo impegno progettuale a
|
||
rendere ancora più significativo lo sforzo di praticare un distacco; cosí come
|
||
pure, per converso, è soltanto a contatto con un'attività operativa che tale
|
||
distacco acquisisce pienamente il suo senso.
|
||
|
||
L'attenzione di Dogma si è appuntata -- in special modo nella fase iniziale
|
||
della sua attività -- su progetti a grande scala, culminati con *Stop City*
|
||
(2007)[^iv10], proposta per un modello urbano teorico, e con *A Simple Heart*
|
||
(2011)[^iv11], studio urbano sull'area metropolitana del nord-ovest dell'Europa.
|
||
L'aspetto letteralmente sorprendente del primo progetto -- e tanto più al
|
||
momento della sua pubblicazione -- consiste nel modo apparentemente lieve con
|
||
cui *Stop City* torna a ragionare su ciò che l'architettura deve avere *in
|
||
comune* per essere considerata parte costituente della città. Dopo decenni di
|
||
architettura che si è limitata semplicemente a imporre la propria individualità
|
||
alla città, o che -- in alternativa -- ha tentato disperatamente di ridarle
|
||
un'identità ormai perduta, *Stop City* ha il coraggio (o la sfrontatezza)
|
||
d'impostare la questione dell'architettura sul piano della città, anziché di
|
||
risolvere la questione della città sul piano dell'architettura. Lo fa assumendo
|
||
gli effetti sociali della città contemporanea (sradicamento, genericità) come
|
||
propri "attributi politici (...) ovvero come la forma stessa del "contropiano"
|
||
dentro e contro la città post-fordista"[^iv12].
|
||
|
||
*A Simple Heart* prende invece esplicitamente spunto dalle riflessioni sugli
|
||
effetti della società post-fordista condotte da Paolo Virno e Giorgio
|
||
Agamben[^iv13]. Nel corpo vivo di città come Amsterdam, Bruxelles, Düsseldorf,
|
||
Dogma innesta un'enorme cornice quadrata di 800 × 800 m e alta 20 piani che ha
|
||
lo scopo di "inquadrare" le condizioni urbane vigenti (ovvero la trasformazione
|
||
della città contemporanea in una "fabbrica sociale" basata sul lavoro vivo, e
|
||
dunque sui rapporti che si istituiscono al suo interno tra i lavoratori),
|
||
facendone al tempo stesso il dispositivo che rende esplicite tali condizioni.
|
||
Una radicalizzazione della situazione esistente, piuttosto che un tentativo di
|
||
modificarla, che non si mantiene però indifferente nei suoi confronti. Ed è
|
||
interessante che Dogma evochi (come peraltro già fatto a proposito di *Stop
|
||
City*) il concetto di *kathecon* (letteralmente, "ciò che trattiene") desunto
|
||
dal contesto teologico-politico e qui reinterpretato come una forza oscillante
|
||
tra due polarità opposte che non si oppone al compimento di un processo ma che
|
||
lo frena aderendo a esso, "proprio come il concavo aderisce (cosí definendolo)
|
||
al convesso"[^iv14].
|
||
|
||
In maniera tanto chiara da risultare programmatica, in questi progetti non c'è
|
||
né utopia né ironia: lungi dall'essere ipotesi di vita alternative a quella
|
||
corrente sulla base di differenti presupposti sociali o architettonici, o
|
||
dall'essere invece esasperazioni caricaturali delle forme di vita metropolitana
|
||
attuale, essi costituiscono riflessioni per parole e immagini sul rapporto tra
|
||
architettura e città, ovvero sulla possibilità che l'architettura torni ad avere
|
||
senso e ruolo nella costruzione della città, e non la città a rappresentare il
|
||
luogo di mera accumulazione dell'architettura. Nel fare ciò Aureli e Tattara
|
||
evitano accuratamente di caricare l'architettura da loro proposta di qualsiasi
|
||
"valore": nessuna ridondanza estetica, nessuna articolazione morfologica, al di
|
||
fuori dell'ossessiva ripetizione di forme elementari e perentorie; e
|
||
soprattutto, nessun riguardo per le circostanze effettive del progetto, nessuna
|
||
analisi strutturale o distributiva, quasi nessun dettaglio. Nella misura del
|
||
possibile, un'*astensione* dall'atto progettuale, o forse -- ancor meglio --
|
||
un'*astrazione* da esso (nel senso in cui si usa l'espressione "fare astrazione
|
||
da qualcosa", intendendo cosí di prescindervi); astensione o astrazione che vale
|
||
però al tempo stesso come precisa indicazione del problema: il quale -- con
|
||
sempre maggiore frequenza e insistenza negli ultimi decenni -- può essere
|
||
identificato nella tendenza a ridurre l'architettura a "oggetto" funzionale
|
||
esclusivamente alla creazione -- o al consolidamento -- di un consenso intorno a
|
||
operazioni di natura essenzialmente finanziaria; un oggetto la cui
|
||
inconfondibile "maschera" assume di sovente le fattezze di un'iconicità del
|
||
tutto autoreferenziale.
|
||
|
||
Da questo punto di vista, la rinuncia a una forma "identitaria" a favore di una
|
||
forma "generica" ("un'architettura senza qualità, (...) liberata dall'immagine,
|
||
dallo stile, dall'obbligo della stravaganza, dall'inutile invenzione di nuove
|
||
forme")[^iv15], assume per Dogma il valore di una presa di posizione che non ha
|
||
nulla a che fare con l'estetica: piuttosto, l'esortazione a recuperare
|
||
all'architettura una dimensione urbana, tornando a farne l'elemento di
|
||
definizione della *forma* della città.
|
||
|
||
Non a caso i due autori, a proposito di *Stop City*, parlano di "architettura
|
||
non-figurativa", esattamente come faceva Archizoom a proposito di *No-Stop City*
|
||
(1970-71)[^iv16]: non un'architettura priva di forma, o di "figura", dunque,
|
||
quanto piuttosto di "figuratività", ossia di un'immagine convenzionalmente
|
||
riconoscibile; in altri termini, si potrebbe dire, un'architettura
|
||
non-rappresentativa, non-oggettiva, proprio come lo è l'arte astratta, che è
|
||
priva di relazioni con le apparenze del mondo sensibile; ovvero, nel caso
|
||
dell'architettura -- in quanto arte non mimetica -- con le apparenze del mondo
|
||
architettonico.
|
||
|
||
In questo duplice principio di "astrazione" è contenuto, sia pure sotto forma
|
||
differente, il medesimo atteggiamento di distacco che -- come detto --
|
||
caratterizza la ricerca teorica di Aureli: anzi, si può dire che ne sia la
|
||
precisa controparte "operativa". In entrambi i casi la "presa-di-distanza" che
|
||
implicano equivale a una presa di coscienza dei presupposti che sono loro
|
||
sottesi. Detto altrimenti, per Aureli non vi può essere progetto -- teorico cosí
|
||
come architettonico -- che non soltanto non analizzi nel modo quanto più
|
||
obiettivo possibile i processi sui quali esso ineluttabilmente si radica, ma che
|
||
non rifletta al tempo stesso sulla propria condizione di necessario
|
||
distacco/presa-di-distanza da essi. Infatti, un progetto che aderisse
|
||
immediatamente (senza alcuna mediazione, ovvero senza alcuna *meditazione*) ai
|
||
processi, insomma un progetto che non si ponesse in una posizione critica
|
||
(letteralmente: di messa in crisi) nei confronti dei loro fondamenti, sarebbe un
|
||
progetto non soltanto radicato in essi ma interamente determinato,
|
||
*condizionato* da essi.
|
||
|
||
A partire da questo punto si sviluppa la riflessione teorica di Aureli:
|
||
affrontando anzitutto la questione dell'autonomia come prima forma di distacco.
|
||
Nel primo libro da lui pubblicato, *The Project of Autonomy* (2008), il tema è
|
||
sviluppato, non a caso, comprendendo in un unico abbraccio politica e
|
||
architettura "Within and Against Capitalism"[^iv17]. L'autonomia, di questa
|
||
simultanea e contraddittoria condizione, è l'incarnazione più esatta: al tempo
|
||
stesso immersa dentro i processi, e tuttavia separata da essi. In quanto dotata
|
||
di un suo proprio *nomos*, di una norma regolativa sua propria, l'autonomia
|
||
garantisce il mantenimento di un'indipendenza, anzi, in una certa misura è la
|
||
forma stessa dell'indipendenza, *dentro e contro*.
|
||
|
||
Oggetto di *The Project of Autonomy* sono le modalità secondo cui si sono andate
|
||
determinando posizioni o affermazioni di "autonomia", in ambito politico e
|
||
architettonico, intorno agli anni sessanta e settanta. La simultaneità di tali
|
||
fenomeni non riveste un ruolo secondario nell'economia dell'analisi aureliana ma
|
||
l'aspetto primario è rappresentato dalle ragioni che hanno portato a fare
|
||
dell'autonomia uno strumento -- o in certi casi addirittura un'"arma" -- di
|
||
lotta, essenziale all'interno di un ben preciso momento storico.
|
||
|
||
Per quanto riguarda l'ambito politico, la pratica dell'autonomia è strettamente
|
||
conseguente al tentativo di gruppi di intellettuali -- e, in misura
|
||
proporzionalmente assai minore, di lavoratori e studenti -- di conferire nuovo
|
||
rigore e vigore alla lotta di classe, in un momento politicamente delicato qual
|
||
è stato quello attraversato dall'Italia tra la fine degli anni cinquanta e i
|
||
primi sessanta, incertamente teso tra boom economico e apertura di un lungo
|
||
ciclo di crisi. I luoghi in cui tale dibattito si sviluppa sono in special modo
|
||
le riviste dell'operaismo "classico": in primo luogo "Quaderni Rossi", nata
|
||
all'inizio degli anni sessanta e segnata nella sua breve vita dalla precoce
|
||
scomparsa del suo fondatore e direttore, Raniero Panzieri[^iv18]; quindi "Classe
|
||
operaia", uscita a partire dal gennaio 1964, in seguito alla scissione da
|
||
"Quaderni Rossi" da parte di Mario Tronti, cui si affiancano Alberto Asor Rosa,
|
||
Sergio Bologna, Massimo Cacciari, Rita Di Leo e Antonio Negri; infine
|
||
"Contropiano", diretta (come già detto) da Asor Rosa e Cacciari tra il 1968 e il
|
||
1971.
|
||
|
||
In questo frangente storico-politico, l'autonomia si presenta innanzitutto come
|
||
tattica presa di distanza dalle organizzazioni ufficiali del movimento operaio:
|
||
il Partito comunista italiano e i sindacati, sopra tutti gli altri. Facendo
|
||
proprio "il punto di vista operaio"[^iv19], gli operaisti (cui si è già fatto
|
||
cenno nel capitolo precedente) intendevano prendere e dare coscienza della
|
||
condizione di sfruttamento della forza lavoro all'interno del sistema
|
||
capitalistico, non limitata però soltanto alla classe operaia ma estesa anche
|
||
alla borghesia e allo stesso lavoro intellettuale. Al fine di raggiungere tale
|
||
obiettivo, se la riappropriazione dei processi produttivi da parte dei
|
||
lavoratori -- in termini di auto-organizzazione della cooperazione del lavoro e
|
||
di controllo operaio dell'uso delle macchine[^iv20] -- inquadra ancora i rapporti
|
||
tra capitale e forza lavoro entro il recinto chiuso della fabbrica, la
|
||
"strategia del rifiuto"[^iv21] del lavoro -- e dunque l'*autonomia* rispetto a
|
||
esso -- estende la lotta alla dimensione sociale e *totale* che è propria del
|
||
capitalismo compiuto, e al tempo stesso vale come strumento di riconoscimento da
|
||
parte della forza lavoro della propria vera natura. È la separazione della
|
||
classe lavoratrice (non della sola classe operaia) dal lavoro, e quindi dal
|
||
capitale. Ovvero, come afferma Tronti, "è la separazione della forza politica
|
||
dalla categoria economica"[^iv22]. E non è un caso che, nel processo di estensione
|
||
delle dinamiche originariamente interne alla fabbrica all'intera società, si
|
||
passi dall'*autonomia operaia* (intesa tanto come esito di tale separazione
|
||
quanto come vero e proprio movimento politico sorto dalle ceneri dell'operaismo)
|
||
all'*autonomia del politico*[^iv23], elaborata dallo stesso Tronti "come
|
||
possibilità di concepire la storia della classe operaia (e dunque del Capitale)
|
||
non solo dal punto di vista dell'economia politica, ma anche da quello della
|
||
politica *tout court*"[^iv24].
|
||
|
||
A tale piano di applicazione del concetto e della pratica dell'autonomia
|
||
corrispondono secondo Aureli altri piani, non tutti direttamente collegati
|
||
all'ambito politico, e ciò nondimeno in un modo o nell'altro a esso
|
||
relazionabili. In tal senso in *The Project of Autonomy* egli riconsidera il
|
||
modo in cui il progetto dell'autonomia ha preso forma all'interno del dibattito
|
||
sull'architettura e sulla città negli anni sessanta e settanta attraverso il
|
||
lavoro teorico di Manfredo Tafuri, Aldo Rossi e Archizoom.
|
||
|
||
> Per quanto radicalmente differenti, le posizioni di queste tre figure centrali
|
||
> dell'architettura italiana degli ultimi cinquant'anni hanno condiviso alcuni
|
||
> punti essenziali spesso dimenticati nelle trattazioni storiche che hanno
|
||
> affrontato il loro lavoro. Tra i punti che intendo mettere in evidenza c'è
|
||
> soprattutto la critica alla *professionalizzazione* dell'architettura e al suo
|
||
> ruolo politicamente e culturalmente passivo nei confronti delle dinamiche
|
||
> urbane che allora segnavano l'impetuoso sviluppo economico italiano ed
|
||
> europeo. Inoltre, in modi assai diversi e arrivando a conclusioni opposte tra
|
||
> loro, le teorie di Rossi, Tafuri e Archizoom misero in discussione, in modi
|
||
> più o meno espliciti, l'orizzonte riformista delle politiche urbane del
|
||
> welfare-state, nonché i miti tecnocratici della "programmazione economica" e
|
||
> della città-territorio[^iv25].
|
||
|
||
In modo particolare, il contributo di Tafuri a un "progetto dell'autonomia" può
|
||
essere fatto risalire al periodo in cui "Contropiano" s'impegna in una vasta e
|
||
approfondita analisi critica dei riflessi dello sviluppo capitalistico su
|
||
diversi contesti e settori sociali, inserita all'interno di una prospettiva di
|
||
classe[^iv26]. In questo quadro s'inscrive il lungo saggio tafuriano *Per una
|
||
critica dell'ideologia architettonica* (1969). "Critica dell'ideologia", in
|
||
questo contesto, significa disvelamento dei meccanismi di assimilazione
|
||
dell'architettura e della città alle leggi della produzione capitalistica, ma
|
||
anche -- e soprattutto -- critica dell'"architetto moderno *progressista*,
|
||
ovvero colui che in buona fede credeva fosse possibile riformare la città
|
||
capitalista senza fare i conti fino in fondo con le condizioni in cui essa
|
||
stessa viene prodotta"[^iv27]. Alla constatazione che "la cultura architettonica
|
||
ha funzionato consapevolmente o inconsapevolmente come forma di sublimazione
|
||
delle sempre più pressanti contraddizioni dello sviluppo urbano"[^iv28], si
|
||
accompagna dunque per Tafuri la presa di coscienza della necessità di rendere la
|
||
ricerca storica "autonoma dai condizionamenti ideologici della professione,
|
||
soprattutto da quella politicamente "impegnata""[^iv29].
|
||
|
||
Non a caso, in *Per una critica dell'ideologia architettonica* (e poi nel
|
||
successivo *Progetto e utopia* che ne costituisce l'evoluzione in volume),
|
||
Tafuri riserva una particolare attenzione alla figura e all'opera di Ludwig
|
||
Hilberseimer, fino a quel momento marginalizzate dalla storiografia
|
||
architettonica. È in esse infatti che egli scorge il superamento delle
|
||
"illusioni" legate alla produzione di edifici come "oggetti" isolati e il
|
||
riconoscimento della città quale "unità reale del ciclo di produzione"[^iv30]: a
|
||
fronte della quale, per Hilberseimer, "unico compito adeguato per l'architetto è
|
||
quello dell'*organizzatore* di quel ciclo". Alla luce di ciò, "autonomia" giunge
|
||
a significare capacità di affrontare radicalmente le condizioni in cui il
|
||
capitalismo produce se stesso, senza pensare di poterle eludere.
|
||
|
||
Differente la concezione dell'autonomia per Aldo Rossi. Nel 1966, con
|
||
*L'architettura della città*, egli propone "una teoria della città dal punto di
|
||
vista dell'architettura"[^iv31], secondo l'interpretazione di Aureli. Non si
|
||
tratta di una semplice rivendicazione disciplinare, quanto piuttosto del
|
||
tentativo di rileggere la realtà della città attraverso un'"evidenza" storica
|
||
apparentemente venuta meno agli occhi dei suoi contemporanei: l'evidenza dei
|
||
"fatti urbani" come insieme di oggetti concreti, finiti, definiti, costituiti in
|
||
ultima analisi di "materia" architettonica. Detto con le parole di Rossi: "...
|
||
l'architettura non rappresenta che un aspetto di una realtà più complessa, di
|
||
una particolare struttura, ma nel contempo, essendo il dato ultimo verificabile
|
||
di questa realtà, essa costituisce il punto di vista più concreto con cui
|
||
affrontare il problema"[^iv32] della città. Da ciò discende un modo di intendere
|
||
l'autonomia dell'architettura che Ezio Bonfanti, primo esegeta di Rossi,
|
||
interpreterà correttamente non come "libertà dell'architettura" bensì come
|
||
libertà *per* l'architettura, ovvero come "liberazione della città
|
||
all'architettura"[^iv33].
|
||
|
||
Il progetto dell'autonomia rossiano, in questo senso, va considerato un progetto
|
||
*politico*, che prende posizione, e perciò niente affatto neutrale; un progetto
|
||
in cui decisione politica e forma urbana dovrebbero coincidere, in cui
|
||
l'architettura dovrebbe entrare "come *parte* contro il *tutto* organico della
|
||
città". Una "città fatta di *luoghi*, di fatti singolarmente individuati dentro
|
||
il piano continuo dell'urbanizzazione"[^iv34]. Il concetto di luogo assume un
|
||
ruolo determinante nella teoria rossiana della città proprio in virtú del suo
|
||
carattere "discretizzante": il luogo si distingue sempre per la propria
|
||
finitezza e parzialità, e in quanto portatore di *differenze*. Per Rossi il
|
||
luogo -- il *locus* -- è il prodotto del rapporto esistente "tra una certa
|
||
situazione locale e le costruzioni che stanno in quel luogo"[^iv35]. Tale rapporto
|
||
-- definito da Rossi "singolare eppure universale" -- ha a che vedere con la
|
||
memoria collettiva tanto quanto, per altri versi, ha a che vedere con il
|
||
monumento. Ed è in questa chiave che Aureli rilegge il progetto *Locomotiva 2*
|
||
di Rossi, Polesello e Luca Meda per il Centro direzionale di Torino (1962): un
|
||
grande edificio a corte (una forma chiusa, emblematicamente contrapposta alle
|
||
forme aperte cui si ispiravano le megastrutture e i progetti legati alla "grande
|
||
dimensione" e alla "città-territorio" elaborati in quel periodo)[^iv36] che si
|
||
impone all'interno della città per la sua natura di monumento, associato non a
|
||
caso alla Mole Antonelliana e al Lingotto di Giacomo Mattè-Trucco.
|
||
|
||
> Il colossale edificio sospeso su una grande piazza non solo concentrava
|
||
> l'intero programma in una forma chiusa che non avrebbe permesso la sua
|
||
> eventuale espansione, ma, attraverso le sue dimensioni e la sua forma cosí
|
||
> singolarmente individuata, rendeva esplicita la posizione e il significato del
|
||
> nuovo centro direzionale della città[^iv37].
|
||
|
||
Per quanto non immune da nostalgie "neoclassiciste" o da tentazioni
|
||
"totalitarie", il progetto *Locomotiva 2* è la dimostrazione del modo in cui,
|
||
secondo Rossi, l'architettura avrebbe potuto farsi al tempo stesso luogo e
|
||
monumento, tornando cosí ad assumere il valore di architettura *della* città,
|
||
capace di esprimere la propria positiva autonomia[^iv38].
|
||
|
||
Nel caso del gruppo fiorentino Archizoom, infine, la questione dell'autonomia
|
||
dell'architettura si mescola esplicitamente alla riflessione sull'autonomia
|
||
politica elaborata nel corso degli anni sessanta e settanta dal pensiero
|
||
operaista, che essi provano a tradurre in una proposta progettuale, sia pur
|
||
estrema. Il presupposto da cui muove Archizoom è che "la città moderna "nasce
|
||
nel Capitale" e si sviluppa all'interno della sua logica"[^iv39]. Pertanto i
|
||
progetti del gruppo mostrano un'"adesione totale ed enfatica alle condizioni
|
||
esistenti della città capitalista nella quale l'architettura non doveva
|
||
riformare, bensì radicalizzare le condizioni esistenti"[^iv40]. Si tratta in una
|
||
certa misura di un'attitudine *realista*, nel senso in cui lo è -- nota Aureli
|
||
-- la pop art che gli stessi membri di Archizoom riprendono esplicitamente,
|
||
soprattutto nei loro primi progetti: "Per Archizoom la pop art rappresentava
|
||
l'emergere di una cultura estetica distruttiva dentro e contro l'estetica
|
||
borghese". Ed è proprio un "realismo pop", ossessivamente ripetitivo, di stampo
|
||
warholiano (in nulla imparentato, dunque, con il *neo*-realismo prevalente in
|
||
Italia nel corso del ventennio precedente) quello che Archizoom utilizza per
|
||
caratterizzare il Piano abitativo continuo e i Residential Parkings della
|
||
*No-Stop City*:
|
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||
> L'estensione infinita dei "parcheggi residenziali" rappresentava il compimento
|
||
> estremo dello sviluppo capitalista e, al tempo stesso, il momento in cui lo
|
||
> sviluppo -- con la sua sovrabbondanza di merci e di conoscenza connessa ai
|
||
> processi di produzione -- avrebbe messo in crisi proprio la dipendenza dal
|
||
> lavoro salariato e dal suo apparato sociale e politico. Per questo la *No-Stop
|
||
> City* era proposta da Archizoom come l'antitesi dell'edilizia sociale che,
|
||
> dietro la facciata benevola dell'assistenza sociale, manteneva un regime di
|
||
> scarsità calcolata, strumentale a preservare la necessità del lavoro. La
|
||
> *No-Stop City* avrebbe dovuto essere intesa non come un'utopia ma come un
|
||
> esperimento nel quale tendenze già in atto venivano portate alle estreme
|
||
> conseguenze per verificarne gli effetti politici. La *No-Stop City* era dunque
|
||
> un progetto *propositivo* solo nella misura in cui rendeva intelligibili le
|
||
> condizioni stesse della città capitalista[^iv41].
|
||
|
||
La riproduzione infinita delle residenze assimilate a "parcheggi", cosí come
|
||
quella degli altri spazi che compongono la *No-Stop City*, direttamente desunti
|
||
dai modelli per eccellenza della società capitalista -- la fabbrica e il
|
||
supermarket --, nel costituirne l'apparente affermazione, significa in realtà
|
||
per Archizoom liberare la città dall'architettura (ovvero l'esatto contrario di
|
||
quanto affermato da Bonfanti, citato in precedenza). Liberarsi dell'architettura
|
||
equivale a rifiutarne ogni valore simbolico-rappresentativo, riportandola
|
||
esclusivamente ai meccanismi della sua produzione; ciò che comporta far evolvere
|
||
la città capitalista fino alle sue conseguenze ultime. "Solo in questo modo --
|
||
afferma Archizoom -- possiamo interrompere la continuità del sistema produttivo
|
||
e l'insieme dei suoi collegamenti"[^iv42]. Al massimo di integrazione (vale a dire
|
||
di alienazione) sarebbe dunque corrisposto il massimo di possibilità di libertà.
|
||
|
||
Di non minore importanza, agli occhi di Aureli -- e in realtà strettamente
|
||
connesso alle questioni precedenti -- è il fatto che Archizoom, come per altri
|
||
versi Tafuri,
|
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|
||
> ... aprirono per l'architettura lo spazio di una critica irriducibile, ovvero
|
||
> di un'autonomia della critica dall'ideologia della città che, (...) nel caso
|
||
> di Archizoom, divenne autonomia del progetto dalla sua realizzazione
|
||
> costruita[^iv43].
|
||
|
||
Ed è proprio nella "validità in sé del progetto come *teoria*"[^iv44] che per
|
||
Aureli pare racchiudersi il senso più profondo del progetto dell'autonomia:
|
||
l'autonomia stessa della teoria. Nelle pagine finali di *The Project of
|
||
Autonomy*, Aureli si pone -- e pone al lettore -- una domanda: "Perché tornare a
|
||
considerare *il progetto dell'autonomia*?"[^iv45]. La domanda apre ad alcune
|
||
considerazioni che (retrospettivamente) cercano di porre la lettura del libro in
|
||
una corretta prospettiva. Innanzitutto, spiega Aureli, il libro non va letto in
|
||
chiave post-moderna, come celebrazione della post-politica che ha trionfato a
|
||
partire dalla fine degli anni settanta. Nel prendere le distanze da questa
|
||
possibile interpretazione, egli dichiara la propria affinità con le figure
|
||
trattate nel libro e la propria adesione alle posizioni da loro sostenute. Tale
|
||
"presa di partito" sposta completamente il significato di *The Project of
|
||
Autonomy*, che altrimenti potrebbe essere letto come un saggio storico
|
||
distaccato, "oggettivo", teso semplicemente a ricostruire un periodo
|
||
circoscritto della recente vicenda italiana e, all'interno di esso, una
|
||
specifica "attitudine" politica declinata in vari ambiti e secondo modalità
|
||
differenti. E invece, a fianco di tale ricostruzione, che impegna in realtà la
|
||
gran parte della trattazione, nelle righe finali del libro Aureli riconosce la
|
||
*sconfitta* che il progetto dell'autonomia ha dovuto subire; una sconfitta
|
||
impartitagli
|
||
|
||
> ... dal capitalismo che negli ultimi anni ha costretto la sinistra ad
|
||
> abbandonare tutto il suo bagaglio storico e culturale, a cominciare dalle sue
|
||
> parole chiave come conflitto, classe e, appunto, capitalismo[^iv46].
|
||
|
||
Non è compito né intento di Aureli analizzare le cause e le conseguenze di
|
||
questa sconfitta. Ciò che si ripromette è invece qualcosa di ancora più
|
||
difficile: provare a individuare una via d'uscita dall'impasse di una cultura
|
||
(politica non meno che architettonica) che si trovi a fare i conti con la
|
||
scomparsa di qualsiasi ideale alternativo alla realtà del capitalismo, e
|
||
conseguentemente al trionfo di quest'ultimo. Per farlo, scrive, "diventa urgente
|
||
e necessario cercare nuovi modi di pensare e costruire una nuova soggettività
|
||
politica". Ed è alla luce di ciò che la lezione dell'operaismo (comprese le sue
|
||
rielaborazioni in ambito architettonico compiute nel corso degli anni sessanta e
|
||
settanta), da cui il filone principale del progetto dell'autonomia discende,
|
||
torna a essere utile:
|
||
|
||
> La lezione che oggi possiamo trarre dal lavoro di Tafuri, Rossi e Archizoom va
|
||
> al di là di facili *repêchage* e indica che nella *teoria* vi è qualcosa di
|
||
> irriducibile alla pratica dell'architettura come professione[^iv47].
|
||
|
||
L'autonomia della teoria, in questo senso, non vale soltanto come un'indicazione
|
||
metodologica ma assume un valore paradossalmente *operativo*. All'interno del
|
||
"contesto" del capitalismo quale unico orizzonte di realtà attualmente
|
||
possibile, la teoria assume la fondamentale funzione di disinnescare la
|
||
"coazione ad agire" e a svilupparsi in concreto, che è propria di questo,
|
||
fornendo una prospettiva diversa, quantomeno pensabile. Da questo punto di
|
||
vista, l'architettura intesa in senso teorico può rappresentare una "forma di
|
||
conoscenza", un "modo di comprendere le cose" in cui è in gioco la possibilità
|
||
di pensare, criticare e persino "cambiare lo spazio in cui viviamo". *Dentro* la
|
||
realtà del capitalismo e al tempo stesso *contro* di esso.
|
||
|
||
Il secondo libro pubblicato da Aureli, *The Possibility of an Absolute
|
||
Architecture*[^iv48], declina in una seconda accezione la tematica del distacco.
|
||
Lo fa avendo il coraggio di riaccostarsi ancora una volta ai luoghi *più* comuni
|
||
della disciplina architettonico-urbanistica; mantenendosi distante dall'usanza,
|
||
assai diffusa negli ultimi anni, di "creare" nuovi concetti per cercare di
|
||
spiegare una realtà contemporanea spesso vista come inesorabilmente "mutante"
|
||
rispetto al passato, e dunque del tutto inconciliabile con questo; ma al tempo
|
||
stesso senza cedere alla tentazione -- altrettanto diffusa e frequente -- di
|
||
rifugiarsi nella sterile negazione della realtà, o di farsi paladino di una
|
||
critica programmaticamente "contro"[^iv49].
|
||
|
||
Non soltanto la gran parte dei progetti e degli oggetti architettonici scelti da
|
||
Aureli per sostenere il proprio discorso sono tra i più noti e citati dalla
|
||
storia e dalla critica architettonica, ma anche i concetti e i termini a cui
|
||
egli fa ricorso sono tra i più "basilari" e consueti in questo settore: a
|
||
partire dal campo stesso d'indagine da lui preso in considerazione, il
|
||
territorio che abbraccia architettura e città.
|
||
|
||
È proprio su questo terreno che si lasciano misurare fin da subito il coraggio e
|
||
la "portata" del libro di Aureli: esso infatti prova a ristabilire un nesso
|
||
intrinseco tra architettura e città, non più però sulla scorta delle "ragioni"
|
||
morfologico-tipologiche che ormai cinquant'anni fa avevano guidato le ricerche,
|
||
tra gli altri, di Aldo Rossi e Carlo Aymonino. E neppure lo fa ricorrendo ad
|
||
alcuna delle tante "sociologie della città" (o della metropoli) correnti ai
|
||
nostri giorni. È piuttosto dalle categorie del "politico" e del "formale" --
|
||
categorie fondative e in una certa misura "preliminari" rispetto al campo
|
||
considerato -- che il suo discorso prende le mosse. Nel primo capitolo, *Toward
|
||
the Archipelago*, lasciando momentaneamente da parte gli "avanzamenti" e gli
|
||
"aggiornamenti" disciplinari, Aureli fa ritorno ai fondamenti. E sono le parole,
|
||
anzitutto, che egli interroga alla ricerca del loro senso perduto, o rimosso. A
|
||
partire dall'etimologia di *ab-solutus* (sciolto da), l'aggettivo che qualifica
|
||
la sua *idea* di architettura: "qualcosa che è risolutamente se stesso dopo che
|
||
è stato "separato" dal suo altro"[^iv50]. Da ciò discende che "la condizione
|
||
effettiva della forma architettonica è di separare ed essere separata".
|
||
|
||
Aureli palesemente non è interessato all'aspetto formale dell'architettura in
|
||
senso estetico-figurativo: ciò che vuole mettere in luce è la natura finita
|
||
della *form*, non la sua *shape*. Il problema della forma è dunque quello stesso
|
||
del *limite*. Come già cent'anni fa rilevava Georg Simmel:
|
||
|
||
> Il segreto della forma sta nel fatto che essa è confine; essa è la cosa
|
||
> stessa, e nello stesso tempo, il cessare della cosa, il territorio
|
||
> circoscritto in cui l'Essere e il Non-più-essere sono una cosa sola[^iv51].
|
||
|
||
Assumere come punto di partenza del discorso su architettura e città la
|
||
questione della forma *in quanto limite* significa additare come fondamentale la
|
||
questione delle *differenze*. I limiti infatti *sono* le differenze. "Nel suo
|
||
separare ed essere separata, l'architettura rivela *in uno* l'essenza della
|
||
città e la propria stessa essenza come forma politica: la città come
|
||
composizione di parti (separate)"[^iv52]. Il legame tra architettura e città,
|
||
allora, non è qualcosa che scaturisce dall'assunzione di uno specifico punto di
|
||
vista interno alla disciplina, quanto piuttosto qualcosa che appartiene già da
|
||
sempre -- *ontologicamente* -- alla relazione dialettica che connette tra loro
|
||
le componenti che vi entrano in gioco. Questo legame si dà nella forma della
|
||
"composizione delle differenze"[^iv53]. In ciò consiste, in definitiva, la città:
|
||
architetture conviventi nel loro radicale differire. E qui le differenze non
|
||
vanno intese tanto in senso tipologico o funzionale bensì in senso *formale*,
|
||
come *oggettivazione di un limite*.
|
||
|
||
Per Aureli l'idea di un'architettura *assoluta* si traduce "concretamente" in
|
||
una serie di isole chiare e distinte, relazionate tra loro nella forma
|
||
dell'*arcipelago*. La parola "arcipelago" non è certo inedita nell'ambito del
|
||
discorso architettonico e urbano degli ultimi anni. Prima di lui l'avevano
|
||
utilizzata tra gli altri -- a diverso titolo e con diverse accezioni --
|
||
architetti come Oswald Mathias Ungers, il giovane Koolhaas, studiosi come Colin
|
||
Rowe, ma pure filosofi come Massimo Cacciari[^iv54]. E tuttavia, nell'impiego che
|
||
egli ne fa non vi è traccia di alcuna sudditanza nei confronti di tali autori
|
||
(che pure cita), né alcuna dipendenza da "ricuperi" più o meno recenti o alla
|
||
moda di essi; anzi, proprio il fatto di impiegarla dimostra la sua totale
|
||
indifferenza nei confronti di questi.
|
||
|
||
D'altronde, per lui quella dell'arcipelago non è affatto una metafora,
|
||
un'espressione figurata da lasciar cadere non appena questa abbia finito di
|
||
svolgere il compito di portare là dove si voleva essere condotti. Semmai egli
|
||
intende l'arcipelago come un "archetipo", un paradigma spaziale che, fin dalla
|
||
Grecia antica, esprime una ben precisa (benché non aprioristicamente definita)
|
||
relazione tra corpi: una pluralità di enti differenti (sia pure tra di loro
|
||
congeneri), più o meno raggruppati o sparpagliati, ma in qualunque caso
|
||
*discontinui*: "Il concetto dell'arcipelago descrive una condizione in cui le
|
||
parti sono separate ancorché unite dal terreno comune della loro
|
||
giustapposizione"[^iv55]. È questa condizione topologica che Aureli pensa come
|
||
nesso essenziale tra architettura e città, e in ultima analisi come forma stessa
|
||
della città.
|
||
|
||
Ma in quale senso va inteso quest'ultimo termine? Ben lungi dall'essere
|
||
utilizzato in modo casuale o generico, anche il termine "città", nel libro di
|
||
Aureli, viene vagliato sotto il profilo etimologico nelle sue diverse versioni:
|
||
*polis*, *civitas* e *urbs*. E se la *polis* greca raccoglie entro i suoi limiti
|
||
dati i *polites* che la abitano come una comunità omogenea per *genos*, *logos*
|
||
ed *ethos*; se la *civitas* romana equivale alla somma dei suoi *cives*, che
|
||
hanno tra loro in comune il "diritto" di occupare lo spazio che li ospita, è
|
||
invece l'*urbs* a incarnare nel modo più compiuto la costruzione materiale della
|
||
città:
|
||
|
||
> Mentre la *polis* greca era la città strettamente circoscritta entro il suo
|
||
> perimetro murato, l'*urbs* romana non era pensata per essere limitata, e di
|
||
> fatto si è espansa nella forma di un'organizzazione territoriale, in cui le
|
||
> strade hanno giocato un ruolo cruciale[^iv56].
|
||
|
||
Sarà proprio l'*urbs*, infatti, a divenire nel corso della storia la "specie" di
|
||
città planetariamente dominante, e addirittura l'unico modello di aggregazione
|
||
umana apparentemente possibile. Ildefons Cerdà, l'ingegnere e urbanista iberico
|
||
del XIX secolo, ha introdotto per la prima volta il termine "urbanizzazione" per
|
||
esprimere la condizione di illimitatezza e la completa integrazione di movimento
|
||
e comunicazione determinata dal capitalismo. È questo "vasto e turbinante oceano
|
||
di persone, di cose, di interessi di ogni sorta, di migliaia di elementi
|
||
diversi"[^iv57], secondo le sue parole, che definisce con esattezza la realtà
|
||
delle città odierne, il loro *status* di metropoli *oltre* la metropoli, senza
|
||
più centro o periferia.
|
||
|
||
> L'essenza dell'urbanizzazione è dunque la distruzione di ogni limite, confine
|
||
> o forma che non sia l'infinita, compulsiva ripetizione della propria stessa
|
||
> riproduzione e il conseguente meccanismo di controllo totalizzante che
|
||
> garantisce questo processo di infinitezza[^iv58].
|
||
|
||
È in opposizione al mare dell'urbanizzazione, dilagante a macchia d'olio e di
|
||
fatto ormai sconfinata, che Aureli propone la sua idea di città: che, se non si
|
||
limita a confermare le condizioni attualmente esistenti, non coltiva però
|
||
neanche alcuna illusione di poter ricreare le condizioni di esistenza di una
|
||
*polis* organica. La città-arcipelago non è pensata in alternativa alla realtà
|
||
dell'urbanizzazione ("non c'è via di ritorno dall'urbanizzazione")[^iv59]: semmai
|
||
come integrativa di essa. In questo senso, nella concezione di Aureli, la
|
||
città-arcipelago risulta inevitabilmente immersa nel mondo dell'urbanizzazione,
|
||
e affiorante da esso nella forma di un sistema discreto di architetture finite,
|
||
limitate, distinte; isole, appunto, che non arrivano mai tuttavia a costituire
|
||
un intero.
|
||
|
||
Si tratta di un'idea di architettura che reagisce criticamente alla realtà
|
||
dell'urbanizzazione, un'idea per formulare la quale Aureli arriva a equiparare
|
||
le categorie -- tra di loro apparentemente estranee -- del "politico" e del
|
||
"formale"[^iv60] quali espressioni entrambe del *limite*.
|
||
|
||
> Il politico ha luogo nella decisione in merito a come articolare la relazione,
|
||
> lo spazio *infra*, lo spazio *in between*. Lo spazio *in between* è un aspetto
|
||
> costitutivo del concetto di forma, fondato sulla contrapposizione delle parti.
|
||
> Cosí come non c'è un modo per pensare il politico all'interno dell'uomo
|
||
> stesso, non c'è neppure un modo per pensare lo spazio *in between* in se
|
||
> stesso. Lo spazio *in between* può materializzarsi soltanto come uno spazio di
|
||
> confronto tra le parti. La sua esistenza può essere decisa soltanto dalle
|
||
> parti che formano i suoi margini[^iv61].
|
||
|
||
A un capitolo a carattere eminentemente teoretico e fondativo ne seguono altri
|
||
quattro dedicati ad altrettanti "casi" storici: l'architettura di Palladio e il
|
||
progetto di una città anti-ideale; il Campo Marzio di Piranesi *versus* la
|
||
pianta di Roma del Nolli; l'architettura di Boullée come "stato di eccezione";
|
||
l'idea di *City within the City* in Ungers e Koolhaas. In questi capitoli Aureli
|
||
mostra una solida conoscenza dell'architettura e della sua storia. Ma non è
|
||
strettamente da questo punto di vista che vanno letti. La ragione di tali
|
||
approfondimenti non è quella di presentare documenti "inediti" o di fornire
|
||
nuove interpretazioni di cose già note. Essi piuttosto sono funzionali al
|
||
discorso di Aureli, che in questo modo cerca nel passato gli "indizi probatori"
|
||
-- o piuttosto gli adeguati "sostegni" -- della propria teoria.
|
||
|
||
Non mancano, in questi capitoli, alcune forzature (basti pensare -- a titolo
|
||
esemplificativo -- all'applicazione alle architetture disegnate di Boullée della
|
||
categoria schmittiana-agambeniana dello "stato di eccezione")[^iv62]. Sarebbe
|
||
tuttavia pedante, oltreché in fondo inutile, rimproverare ad Aureli un uso
|
||
troppo disinvolto della storia, dal momento che è proprio un uso troppo rigido e
|
||
poco interessante della storia che si può e si *deve* spesso rimproverare agli
|
||
storici "di professione". Le "forzature" di Aureli vanno dunque lette come
|
||
positivamente strumentali alla sua costruzione teorica, non diversamente da
|
||
quanto si potrebbe fare con alcuni testi di Robert Venturi, Peter Eisenman o Rem
|
||
Koolhaas, dove la storia è dichiaratamente -- e in fondo non illegittimamente --
|
||
reinterpretata in chiave contemporanea.
|
||
|
||
La *finitio* classica palladiana, la sommatoria di edifici privi di "tessitura"
|
||
urbana del Campo Marzio piranesiano, la sequenza di edifici pubblici monumentali
|
||
di Boullée come "progetto per una metropoli", la città "fatta di isole" dei
|
||
progetti di Ungers, servono tutte ad Aureli per dimostrare l'esistenza storica
|
||
del rapporto tra architettura e città nel medesimo senso in cui egli stesso lo
|
||
afferma.
|
||
|
||
L'indicazione immediata che scaturisce da tutto ciò è la necessità di un
|
||
radicale ripensamento dell'architettura rispetto alla logica che informa gli
|
||
edifici "iconici" contemporanei: *landmarks* "solisti" che si inseriscono
|
||
perfettamente nella trama senza fine dell'urbanizzazione. Contro tale logica,
|
||
Aureli propone come modello di architettura per la città-arcipelago l'isolamento
|
||
e l'innalzamento dell'edificio sopra un basamento (*plinth*), come
|
||
dimostrativamente illustrato nel progetto koolhaasiano *The City of the Captive
|
||
Globe* (1972), o come insistentemente ribadito nella gran parte dei progetti e
|
||
degli edifici di Mies van der Rohe. È proprio da una rilettura in tal senso
|
||
delle opere miesiane -- dal Padiglione di Barcellona (1929) alla Nationalgalerie
|
||
di Berlino (1962-68), passando per il Seagram Building di New York (1954-58) --
|
||
che Aureli trae il miglior paradigma *realizzato* della propria teoria e che la
|
||
tesi del libro trova una sua persuasiva conferma: "I basamenti di Mies
|
||
reinventano lo spazio urbano come un arcipelago di artefatti urbani
|
||
definiti"[^iv63]. E ancora:
|
||
|
||
> Il basamento introduce un arresto nella fluidità dello spazio urbano, evocando
|
||
> cosí la possibilità di comprendere lo spazio urbano non come ubiquo, pervasivo
|
||
> e tirannico, bensì come qualcosa che può essere inquadrato, limitato, e in tal
|
||
> modo potenzialmente situato come cosa tra altre cose[^iv64].
|
||
|
||
La lezione di Mies viene cosí assunta per la sua capacità di definire
|
||
un'architettura che è al tempo stesso "un'attitudine particolare nei confronti
|
||
della città". Secondo Aureli, questa attitudine a inquadrare e a delimitare deve
|
||
essere sviluppata "sia come forma materiale di architettura sia come principio
|
||
politico di progettazione"[^iv65].
|
||
|
||
È una tale attitudine che, opponendosi alla generalizzata omogeneizzazione
|
||
contemporanea, ovvero alla "confusione" delle differenze (o piuttosto, alla loro
|
||
insistente e colpevole negazione), rende possibile quella *composizione delle
|
||
differenze* che si è citata più sopra. In questo senso,
|
||
|
||
> ... l'architettura assoluta come forma finita non è semplicemente
|
||
> l'affermazione tautologica dell'oggetto in quanto tale; è anche il paradigma
|
||
> per una città non più guidata da un *ethos* di espansione e inclusione bensì
|
||
> dall'idea positiva di limiti e confronto[^iv66].
|
||
|
||
È su questo piano che architettura e città tornano a trovare un punto di
|
||
incontro necessario:
|
||
|
||
> La parte è *assoluta*; essa sta in solitudine, ma assume una posizione
|
||
> rispetto al tutto dal quale è stata separata. L'architettura dell'arcipelago
|
||
> deve essere un'architettura assoluta, un'architettura definita dalla -- e che
|
||
> rende chiara la -- presenza dei *limiti* che definiscono la città[^iv67].
|
||
|
||
Ed è ugualmente su questo piano che "formale" e "politico" s'incontrano e
|
||
dimostrano di poter costituire una cosa sola.
|
||
|
||
> Invece di sognare una società perfettamente integrata che può essere ottenuta
|
||
> soltanto come supremo compimento dell'urbanizzazione e del suo *avatar*, il
|
||
> capitalismo, un'architettura assoluta deve riconoscere la separatezza politica
|
||
> che potenzialmente si può manifestare, nel mare dell'urbanizzazione,
|
||
> attraverso i confini che definiscono la possibilità della città.
|
||
|
||
È qui -- più e meglio che altrove -- che si lascia riconoscere il già ricordato
|
||
coraggio di Aureli: nell'affermare, oggi, la *separatezza* (ovvero, ancora una
|
||
volta, la differenza) come un valore *politico*, non *anti*-politico: l'unico --
|
||
l'ultimo -- modo, forse, per poter stare *insieme* davvero. L'identico coraggio
|
||
che lo porta a sostenere, nell'ormai completo e generalizzato asservimento delle
|
||
idee alla loro "verifica" pratica, l'*autonomia della teoria*. In questo senso,
|
||
se con *The Possibility of an Absolute Architecture* egli definisce con tutta
|
||
evidenza il campo operativo in cui si muove come architetto, è significativo
|
||
però che rinunci a presentare nel libro i propri progetti: una rinuncia che è
|
||
nel contempo la miglior "dimostrazione" *in azione* del suo stesso discorso sul
|
||
limite.
|
||
|
||
La terza riflessione che Aureli affida a un sia pur piccolo volume ruota intorno
|
||
ai medesimi concetti di distacco e rinuncia, declinati con accenti ancora una
|
||
volta diversi. Rispetto ai due precedenti, *Less Is Enough* è non soltanto un
|
||
libro molto più agile, ma anche assai meno focalizzato sull'architettura; questo
|
||
aspetto però -- ben lungi dal rappresentare un'indebita deviazione dal "percorso
|
||
principale", o addirittura una negazione di esso -- costituisce invece la
|
||
riprova dell'ampiezza del discorso *intellettuale* di Aureli[^iv68].
|
||
|
||
"Per molti anni *less is more* è stato il tormentone del minimalismo"[^iv69]:
|
||
l'*incipit* del libro prende le mosse dalla notissima frase citata da Ludwig
|
||
Mies van der Rohe nel corso di un'intervista del
|
||
1959. La ragione per cui Aureli ritorna su un *topos* tanto frequentato e tanto
|
||
citato (spesso a sproposito) dalla cultura architettonica è quella che "in anni
|
||
recenti, e specialmente a partire dalla recessione economica del 2008,
|
||
l'attitudine per il *less is more* è nuovamente tornata di moda". Non a caso,
|
||
dopo i fasti degli anni novanta e dell'inizio del XXI secolo, segnato dalla
|
||
proliferazione di edifici iconici, la riduzione delle risorse e dei budget si è
|
||
tradotta per alcuni architetti nella scelta di una maggiore austerità formale, e
|
||
per altri in un approccio più attento al sociale. Ciò che accomuna tali due
|
||
atteggiamenti -- pur tra di loro diversi -- è l'opportunità di "fare di più con
|
||
meno", ciò che rende il *less is more* un imperativo economico, più ancora che
|
||
estetico.
|
||
|
||
> All'interno della storia del capitalismo *less is more* definisce i vantaggi
|
||
> della riduzione dei costi di produzione. I capitalisti hanno sempre cercato di
|
||
> ottenere di più con meno. Il capitalismo non è soltanto un processo di
|
||
> accumulazione ma anche, e specialmente, l'incessante ottimizzazione del
|
||
> processo produttivo verso una situazione in cui *meno* investimento di
|
||
> capitale equivale a più accumulazione di capitale[^iv70].
|
||
|
||
In una situazione di crisi economica, ciò che il capitale domanda è più lavoro
|
||
per meno denaro, più creatività con meno sicurezza sociale.
|
||
|
||
La condizione di ristrettezza economica e la propensione estetica per il *less
|
||
is more* sembrano convergere nella tradizione dell'ascetismo. Questo termine
|
||
(dal greco *askein*, esercizio, auto-addestramento) indica comunemente, in
|
||
ambito religioso, il ritiro dal mondo, la pratica dell'astinenza dai piaceri
|
||
mondani, propria degli eremiti e dei monaci. In anni più recenti "l'ascetismo è
|
||
stato invece identificato come la fonte ideologica e morale dell'idea di
|
||
austerità"[^iv71]. In senso secolare, l'ascetismo equivale alla libertà dalle
|
||
distrazioni mondane al fine di dedicarsi interamente all'etica del lavoro e
|
||
della produzione. Questa seconda versione dell'ascetismo per Max Weber sta a
|
||
fondamento dell'etica del capitalismo[^iv72]. Come egli spiega, con il calvinismo
|
||
si registra l'uscita dell'ascetismo dai confini del monastero e la sua
|
||
trasformazione in una mentalità diffusa nelle città. L'ascetismo si avvia in tal
|
||
modo a divenire la disciplina di una razionalità etica destinata a costituire il
|
||
fondamento dello stile di vita borghese, e in quanto tale a rappresentare il
|
||
vero "spirito" del capitalismo.
|
||
|
||
Pur considerando questa lettura dell'ascetismo, Aureli ne abbraccia una
|
||
differente: "proprio perché la pratica dell'ascetismo persegue la trasformazione
|
||
del sé, sostengo che esso può essere sia un mezzo di oppressione che una forma
|
||
di resistenza al potere soggettivo del capitalismo"[^iv73]. Nell'ascetismo i
|
||
soggetti si focalizzano sulla loro vita come il cuore della loro pratica,
|
||
strutturandola in accordo con una forma autodeterminata fatta di specifiche
|
||
abitudini e regole. Di conseguenza anche l'architettura che è connessa con
|
||
questa pratica non è focalizzata sulla rappresentazione ma sulla vita stessa,
|
||
sul *bios*, come il più generico substrato dell'esistenza umana. Lo stesso
|
||
sviluppo dell'architettura moderna, attenta all'igiene, al comfort e al
|
||
controllo sociale, è stata guidata da una logica biopolitica. Ma è soprattutto
|
||
nella storia del monachesimo, dove l'architettura del monastero era
|
||
espressamente progettata per definire la vita in tutti i suoi dettagli più
|
||
immanenti, che l'ascetismo trova il suo più significativo compimento. Alle
|
||
origini il principale proposito dell'ascetismo monastico era di ottenere "una
|
||
forma di reciprocità tra soggetti liberi dal contratto sociale imposto dalle
|
||
forme di potere"[^iv74], ed è sulla scorta di questa possibilità che Aureli si
|
||
domanda se l'ascetismo possa condurci a un tipo di vita differente da quella
|
||
imposta oggi dalle società dominanti.
|
||
|
||
Nel prendere in considerazione questa possibilità, Aureli evidenzia come
|
||
l'ascetismo sia una pratica del sé, prima ancora di essere esplicitamente
|
||
rivolta al culto religioso; una pratica che in modo intrinseco mette in
|
||
questione le condizioni sociali e politiche date, alla ricerca di un modo
|
||
differente di vivere la propria vita. Del resto, anche la scelta della vita
|
||
monacale costituiva "un modo di rifiutare l'integrazione della fede cristiana
|
||
nelle istituzioni di potere"[^iv75]. La radicale critica del potere condotta dal
|
||
monachesimo delle origini si manifestava sotto forme di opposizione non
|
||
violenta: come il rifiuto della casa e di qualsiasi ruolo all'interno della
|
||
società, e più in generale come un pacifico distacco.
|
||
|
||
Nell'evoluzione del monachesimo si registra il passaggio dalla solitudine
|
||
eremitica alla vita cenobitica (cenobio = *koinos bios*, vita comune), in cui i
|
||
monaci vivono nello stesso luogo e condividono la stessa regola. Nel monastero
|
||
la vita in comune non contraddice la possibilità di stare da soli. "La rigorosa
|
||
organizzazione del monastero non intendeva rimpiazzare la vita con una regola,
|
||
ma piuttosto rendere la regola cosí coerente con la forma di vita scelta dai
|
||
monaci che la regola avrebbe potuto addirittura scomparire"[^iv76]. Da una tale
|
||
condizione deriva una forma di reciprocità fraterna in cui nessuno tende a
|
||
prevalere sugli altri; ed è proprio nell'organizzazione fisica del monastero che
|
||
si lascia rintracciare una possibile traduzione spaziale della già citata
|
||
*convivenza delle differenze*.
|
||
|
||
Da notare la convergenza di interessi sul tema dell'organizzazione
|
||
dell'architettura monastica tra Aureli e Rossi. Scrive infatti quest'ultimo in
|
||
un quaderno dell'inizio degli anni settanta, rimasto inedito:
|
||
|
||
> La forma tipologica del convento è importantissima perché ci offre un tipo di
|
||
> abitazione dove la questione tipologica costituisce la stessa struttura
|
||
> organizzativa e dove, forse per la prima volta, vediamo sorgere un edificio
|
||
> collettivo potendone seguire tutta la genesi. La tipologia conventuale è
|
||
> riportabile a due soluzioni fondamentali: la prima quella benedettina e la
|
||
> seconda, più tarda, quella certosina. (...) Le due concezioni entrambe di
|
||
> straordinario interesse permangono vive come riferimento al mondo moderno e
|
||
> come da un lato accolgono tradizioni antiche, dall'altro sono il nucleo
|
||
> formale per le ipotesi moderne più avanzate nel campo della forma della
|
||
> città[^iv77].
|
||
|
||
Ma altrettanto significativo è che, approfondendo il discorso sugli ordini
|
||
monastici, Aureli si soffermi piuttosto su quello francescano. Come sottolineato
|
||
da Agamben[^iv78], i primi francescani rigettavano l'idea della proprietà privata,
|
||
non soltanto nella forma del possesso individuale di beni ma anche in quanto
|
||
possesso di capitale potenziale, sotto forma di terra o di strumenti per
|
||
lavorarla o, ancora, di possesso del lavoro altrui. La forma di vita a cui
|
||
aderivano i francescani, modellata sulla vita evangelica, prevedeva semplicità,
|
||
castità e povertà; un'*altissima paupertas* che si estendeva anche a ciò che
|
||
comunemente è considerato appartenente "di diritto" al soggetto individuale: la
|
||
propria persona (affidata totalmente a Dio), il proprio tempo (gestito dai
|
||
superiori e dai confratelli), il proprio cibo (soltanto consumato e non
|
||
accumulato). In luogo della proprietà privata, dunque, i francescani delle
|
||
origini si limitavano a usare, vale a dire ad appropriarsi temporaneamente di
|
||
ciò che serviva loro. Ed è proprio nell'uso come condivisione di qualcosa che si
|
||
dà la forma suprema del vivere in comune.
|
||
|
||
Per Aureli tali pratiche possono tornare ad assumere un senso nel mondo
|
||
contemporaneo, al di fuori di una prospettiva religiosa. Già negli anni trenta
|
||
Walter Benjamin, a seguito di quanto descrive come un "impoverimento
|
||
dell'esperienza", effetto tra i più devastanti della prima guerra mondiale,
|
||
parla di una "nuova barbarie", e si domanda: "A cosa mai è indotto il barbaro
|
||
dalla povertà di esperienza? È indotto a ricominciare da capo; a iniziare dal
|
||
nuovo; a farcela con il poco"[^iv79]. Benjamin dunque identifica gli aspetti più
|
||
tragici dell'esperienza moderna -- lo sradicamento culturale e territoriale e la
|
||
precarietà della vita in generale -- e li trasforma in una forza emancipante che
|
||
egli definisce "carattere distruttivo": "Il carattere distruttivo conosce solo
|
||
una parola d'ordine: creare spazio; una sola attività: far pulizia. Il suo
|
||
bisogno di aria fresca e di uno spazio libero è più forte di ogni odio"[^iv80].
|
||
|
||
Spinto da circostanze storiche ed esistenziali, ma anche dall'adesione a un
|
||
modello di vita che Charles Baudelaire (suo beneamato e ammirato "eroe") gli
|
||
aveva ispirato, Benjamin vive in prima persona la condizione di sradicamento e
|
||
di precarietà. Come un monaco mendicante, Benjamin riduce al minimo i suoi beni
|
||
personali per usare la città stessa come una vasta abitazione.
|
||
|
||
A ideale *pendant* di questa condizione di vita, Aureli pone la Co-op Zimmer
|
||
elaborata da Hannes Meyer in occasione della Mostra delle cooperative a Gent
|
||
(1924): un progetto concepito nella prospettiva di una società senza classi, in
|
||
cui ogni membro dovrebbe avere a disposizione la medesima dotazione economica
|
||
minima. Anche l'arredamento è ridotto allo strettamente essenziale in questo
|
||
perfetto esemplare di *Existenzminimum*: poche mensole, due sedie pieghevoli, un
|
||
letto singolo. Soltanto la presenza di un grammofono dimostra che non si tratta
|
||
di "uno spazio dettato esclusivamente dalla "necessità", ma anche predisposto
|
||
per un tempo "improduttivo""[^iv81]. Questa stanza è realizzata da Meyer non come
|
||
forma di possesso bensì come spazio minimo individuale che prevede di
|
||
condividere altri spazi collettivi. "Qui la vita privata (*privacy*) non è la
|
||
proprietà (*property*), bensì piuttosto la possibilità di godere di uno stato di
|
||
solitudine e di concentrazione"[^iv82]. Diversamente da Mies van der Rohe, dunque,
|
||
per Meyer "less is not more, less is just enough"[^iv83]. Per lui la povertà non
|
||
costituisce semplicemente una privazione, ma può arrivare a rappresentare
|
||
addirittura un valore, una condizione paradossalmente lussuosa, che suggerisce
|
||
"un senso di calma e di edonistico godimento".
|
||
|
||
Ma anche nella situazione sociale attuale, in cui da un lato per far ripartire
|
||
l'economia viene "suggerito" di consumare di più ma dall'altro vengono diminuiti
|
||
i salari e tagliate le forme di protezione sociali, l'ascetismo può "ridefinire
|
||
ciò che è realmente necessario e cosa non lo è, al di là del regime di scarsità
|
||
imposto dal mercato"[^iv84]. È in questo contesto che l'ascetismo può
|
||
rappresentare la possibilità di riconquistare una miglior condizione di vita,
|
||
vivendo con meno, senza trasformare tale "meno" in un'ideologia: "less is *not*
|
||
more, less is just less". Soltanto oltrepassando la sua aura ideologica, il meno
|
||
può divenire il punto di partenza per una forma di vita alternativa che superi
|
||
al tempo stesso i falsi bisogni imposti dal mercato e le politiche di austerità
|
||
imposte dal debito. In questa prospettiva "*less is enough* è un tentativo di
|
||
definire un modo di vivere che vada oltre la promessa di crescita e la
|
||
minacciosa retorica della scarsità"; un modo di vivere ascetico che pone al
|
||
centro se stessi, ma che offre anche la possibilità di una condivisione di spazi
|
||
con altri.
|
||
|
||
Ed è forse proprio questa la condizione corrispondente a quello che Marx
|
||
definisce l'"essere sociale" dell'individuo[^iv85]\: una condizione che questi
|
||
vede insidiata dalla proprietà privata e che -- all'opposto -- può essere
|
||
pienamente riattivata da una forma di reciprocità basata non sul possesso ma
|
||
sulla condivisione: dove il meno che si ha in termini di possesso, diviene il
|
||
più che si ha da condividere.
|
||
|
||
> Dire *enough* (anziché *more*) significa ridefinire ciò di cui abbiamo
|
||
> realmente bisogno al fine di vivere (...) una vita distaccata dall'ethos
|
||
> sociale della proprietà, dall'ansia della produzione e del possesso, e dove
|
||
> *less is just enough*[^iv86].
|
||
|
||
Autonomia, assolutezza, ascetismo: questi tre concetti, e i relativi riflessi
|
||
che essi hanno nella vita concreta, nei rapporti sociali, nell'organizzazione
|
||
spaziale, hanno tutti in comune -- come già rilevato -- una forma di *distacco*.
|
||
Una simile condizione si rivela indispensabile per chi, come Aureli, intenda
|
||
accostarsi alle questioni contemporanee (non soltanto quelle relative al
|
||
ristretto ambito architettonico, bensì tutte quelle a cui quest'ambito sia in
|
||
qualche modo rapportabile) senza farsene "assorbire"; non limitandosi
|
||
semplicemente a ripetere e a far proprie opinioni diffuse e consolidate a loro
|
||
riguardo, e cercando piuttosto di affrontarle *ripensandone le condizioni
|
||
dall'interno*. È precisamente questa attitudine che caratterizza l'architetto
|
||
intellettuale, e l'intellettuale in generale: la capacità di penetrare nelle
|
||
cose mantenendosene però distaccato abbastanza da poterle *mettere in
|
||
prospettiva*, come avvertiva Tafuri, ovverosia da poterle osservare da un punto
|
||
di vista al tempo medesimo interno ed esterno. L'uso consapevole della tecnica
|
||
della prospettiva richiede tanto una visione "da fuori" dello spazio da
|
||
rappresentare, quanto un minuzioso controllo di ogni parte di esso, vale a dire
|
||
della sua perfetta misurabilità; dove vedere "da fuori" non equivale in alcun
|
||
modo a una possibilità di "uscita" dallo spazio; e dove renderlo misurabile non
|
||
significa affatto aderire immediatamente a esso. Nell'un caso come nell'altro,
|
||
interno ed esterno vanno considerati come punti di vista del tutto relativi:
|
||
relativi alle possibilità di movimento di cui chi utilizza la prospettiva
|
||
dispone.
|
||
|
||
A questo posizionamento teorico da parte di Aureli corrisponde, sul piano
|
||
dell'attività progettuale, un progressivo cambio di scala nei progetti di
|
||
Dogma[^iv87]. Dalla genericità del *framework* che abbracciava la foresta in *Stop
|
||
City*, o dallo "spazio (...) completamente sussunto dalla produzione"[^iv88] in *A
|
||
Simple Heart*, si passa ora a un'analisi focalizzata sulla casa in quanto
|
||
"apparato per la riproduzione della vita"[^iv89], ovvero come teatro di una vasta
|
||
serie di azioni e funzioni. In progetti come *Ladders* (2011), *Frame(s)*
|
||
(2011), *Every Day is Like Sunday* (2015), ma soprattutto *Communal Villa*
|
||
(2015) e *Like a Rolling Stone* (2016), Dogma concentra la propria attenzione
|
||
sull'abitazione come ambito in cui sempre di più vita e produzione coincidono.
|
||
Affiancati da una parallela ricerca storica condotta dallo studio[^iv90], ma anche
|
||
dagli esiti dell'attività didattica laboratoriale svolta da Aureli con i suoi
|
||
studenti[^iv91], questi progetti si sforzano di ripensare radicalmente -- vale a
|
||
dire fino ai fondamenti -- le condizioni di possibilità di un'abitazione che sia
|
||
luogo di convivenza di spazi domestici e spazi lavorativi; convivenza che la
|
||
contemporaneità ha in realtà ereditato ma che ha però fortemente esacerbato.
|
||
*Like a Rolling Stone*, in tal senso, prende le mosse dallo studio delle
|
||
*boarding houses* (case-pensione) realizzate in Inghilterra e in America tra la
|
||
seconda metà del XIX secolo e la prima parte del XX, per approdare a nuovi
|
||
progetti di *boarding houses* per Londra, il cui nucleo tematico ruota intorno
|
||
al rapporto tra stanze destinate a singoli individui e servizi condivisi[^iv92].
|
||
|
||
Il medesimo tema era stato già affrontato in *Communal Villa*, proposta per uno
|
||
spazio di vita e di lavoro rivolto ad artisti da collocarsi a Berlino,
|
||
sviluppato in collaborazione con Realism Working Group[^iv93]. Nel definire con
|
||
precisione le circostanze del progetto (posizionamento dell'edificio lungo assi
|
||
infrastrutturali, urbani o suburbani; individuazione per esso di sistemi
|
||
costruttivi prefabbricati, in acciaio o in cemento armato), gli autori non
|
||
intendono sancirne la "veridicità": piuttosto s'impegnano a fissarne le
|
||
condizioni di fattibilità mediante l'identificazione di soluzioni che ne
|
||
consentano il massimo abbattimento dei costi. Ma è ancora una volta
|
||
nell'organizzazione spaziale che il progetto prova a compiere un significativo
|
||
"spostamento" delle condizioni imposte dal mercato, misurandosi con la
|
||
precarietà in cui di sovente si trovano, nell'epoca contemporanea, categorie
|
||
"deboli" come quelle degli artisti. Attraverso una riduzione al minimo degli
|
||
spazi individuali e una dotazione di ampi spazi comuni (studi, sale riunioni,
|
||
cucine, spazi di gioco per i bambini e altri servizi), la *Communal Villa* cerca
|
||
di superare la consueta strutturazione abitativa basata sul nucleo familiare,
|
||
integrando in una comunità individui uniti tra loro da interessi, uso di
|
||
strumentazioni e modi di vita comuni. Lungi dal confermare la tradizionale
|
||
articolazione della casa (fatta assurgere in questa circostanza addirittura a
|
||
"villa", con tutte le risonanze simboliche che questo termine porta con sé), il
|
||
progetto di Dogma e Realism Working Group è pensato per una forma di vita
|
||
alternativa a quella consueta, più flessibile e fors'anche più sostenibile di
|
||
quanto lo sia quest'ultima.
|
||
|
||
Come nel caso del monastero, da cui palesemente discende, questa forma di vita
|
||
si fonda sul presupposto che l'unico modo per vivere insieme sia avere nel
|
||
contempo la possibilità di vivere da soli. Solitudine e comunità, da questo
|
||
punto di vista, costituiscono due polarità non banalmente opposte bensì
|
||
complementari tra loro, proprio come lo sono architettura e città. Ed è proprio
|
||
nel riportare il dominio dell'economia (nel senso originario dell'*oikonomia*,
|
||
l'amministrazione della casa) al dominio politico (inteso nel modo in cui lo
|
||
intendeva Carl Schmitt, come dimensione di un antagonismo)[^iv94] che Dogma
|
||
dimostra di saper ripensare il progetto nella sua prospettiva più propria. Il
|
||
medesimo obiettivo che tenacemente e con lucidità persegue lo stesso Aureli in
|
||
qualità di architetto intellettuale: far emergere -- attraverso le sue
|
||
riletture, cosí come attraverso la sua pratica -- la *dimensione politica
|
||
dell'architettura*.
|
||
|
||
[^iv1]: Pier Vittorio Aureli, *The Difficult Whole. Typology and the Singularity
|
||
of the Urban Event in Aldo Rossi's Early Theoretical Work. 1953-1964*, in "Log",
|
||
n. 9 (inverno-primavera 2007), p. 42.
|
||
|
||
[^iv2]: Aureli si laurea nel 1999 allo IUAV; nel 2001 ottiene il master in
|
||
Architettura al Berlage Institute; nel 2003 consegue il dottorato di ricerca in
|
||
Pianificazione urbana allo IUAV e nel 2005 il PhD in Architettura al Berlage
|
||
Institute di Delft (Rotterdam).
|
||
|
||
[^iv3]: Pier Vittorio Aureli, *Schemi di città. La costruzione del principio
|
||
insediativo*, tesi di laurea, relatore Bernardo Secchi, IUAV, a.a. 1997-98; Id.,
|
||
*La città arcipelago e il suo progetto*, tesi di dottorato, relatori Elia
|
||
Zenghelis e Bernardo Secchi, IUAV, a.a. 2001-2002; Id., *The Possibility of
|
||
Absolute Architecture*, PhD Thesis, relatore Elia Zenghelis, Berlage Institute,
|
||
Technische Universiteit, Delft-Rotterdam, a.a. 2004-2005. Vedi Gabriele
|
||
Mastrigli, *Commanders of the Field: Notes on the Architecture of Dogma*, in
|
||
*Dogma: 11 Projects*, Architectural Association Publications, London 2013, pp.
|
||
109-13.
|
||
|
||
[^iv4]: Manfredo Tafuri, *Ricerca del Rinascimento*, Einaudi, Torino 1992, p. XXI.
|
||
|
||
[^iv5]: Manfredo Tafuri, *Non c'è critica, solo storia*, intervista con Richard
|
||
Ingersoll, in "Casabella", n. 619-20, 1995, p. 96 (intervista pubblicata per la
|
||
prima volta nel 1986 su "Design Book Review").
|
||
|
||
[^iv6]: Di "distacco", riferito ai contenuti del lavoro intellettuale svolto
|
||
all'interno dell'organizzazione capitalistica, parla anche Tafuri nel passo
|
||
riportato al termine del capitolo precedente; una condizione in apparenza
|
||
"negativa", che tuttavia a suo avviso -- mediante uno strategico rovesciamento
|
||
-- deve essere riconosciuta come condizione *positiva* "da cui ripartire, per
|
||
elaborare un programma di attacco al piano complessivo": Tafuri, *Lavoro
|
||
intellettuale e sviluppo capitalistico* cit., p. 280.
|
||
|
||
[^iv7]: Vedi al proposito, oltre ovviamente a Tafuri, *Il "progetto" storico*
|
||
cit., il saggio-recensione di Cacciari (*Eupalinos o l'architettura*, in "Nuova
|
||
Corrente", n. 76-77, 1978, p. 422) a Manfredo Tafuri e Francesco Dal Co,
|
||
*L'architettura contemporanea*, Electa, Milano 1976.
|
||
|
||
[^iv8]: Dogma, *Dogma*, in *Portfolio*, Heverlee 2011, p. 5.
|
||
|
||
[^iv9]: Su ciò vedi la successiva ricerca di Pier Vittorio Aureli e Martino
|
||
Tattara, *Brussels: A Manifesto. Towards the Capital of Europe*, a cura di
|
||
Joachim Deklerck, Martino Tattara e Veronique Patteeuw, NAi Publishers,
|
||
Rotterdam 2007.
|
||
|
||
[^iv10]: Dogma, *Stop City* (2007), in *Dogma: 11 Projects* cit., pp. 10-19.
|
||
|
||
[^iv11]: Dogma, *A Simple Heart* (2011), in *Dogma: 11 Projects* cit., pp. 20-31.
|
||
|
||
[^iv12]: Dogma, *Stop City: per una architettura non-figurativa della città (dopo
|
||
la città post-fordista)*, in GIZMO, *MMX. Architettura zona critica*, Zandonai,
|
||
Rovereto 2011, p. 159.
|
||
|
||
[^iv13]: Paolo Virno, *Virtuosity and Revolution: The Political Theory of Exodus*,
|
||
in Virno e Hardt (a cura di), *Radical Thought in Italy* cit., pp. 189-212; Id.,
|
||
*Mondanità. L'idea di "mondo" tra esperienza sensibile e sfera pubblica*,
|
||
Manifestolibri, Roma 1994; Giorgio Agamben, *Signatura rerum. Sul metodo*,
|
||
Bollati Boringhieri, Torino 2008.
|
||
|
||
[^iv14]: Dogma, *A Simple Heart*, in *Dogma: 11 Projects* cit., p. 22. Sul
|
||
concetto di *kathecon* vedi Massimo Cacciari, *Il potere che frena*, Adelphi,
|
||
Milano 2013, ma anche Giorgio Agamben, *Il mistero del male. Benedetto XVI e la
|
||
fine dei tempi*, Laterza, Roma-Bari 2013.
|
||
|
||
[^iv15]: Dogma, *Stop City*, in *Dogma: 11 Projects* cit., p. 10.
|
||
|
||
[^iv16]: "Ipotesi di linguaggio architettonico non-figurativo": Archizoom
|
||
Associati, *No-Stop City* (1970), in Roberto Gargiani, *Archizoom Associati,
|
||
1966-1974. Dall'onda pop alla superficie neutra*, Electa, Milano 2007, pp.
|
||
169-73.
|
||
|
||
[^iv17]: Pier Vittorio Aureli, *The Project of Autonomy. Politics and Architecture
|
||
Within and Against Capitalism*, Princeton Architectural Press, New York 2008;
|
||
trad. it. *Il progetto dell'autonomia. Politica e architettura dentro e contro
|
||
il capitalismo*, Quodlibet, Macerata 2016.
|
||
|
||
[^iv18]: Al proposito vedi *Raniero Panzieri e i "Quaderni Rossi"*, in "aut aut",
|
||
n. speciale (149-50), 1975, con contributi, tra gli altri, di Antonio Negri e
|
||
Massimo Cacciari.
|
||
|
||
[^iv19]: Questa espressione ricorre di sovente nelle pagine di "Quaderni Rossi",
|
||
"Classe Operaia" e "Contropiano": vedi Steve Wright, *L'assalto al cielo. Per
|
||
una storia dell'operaismo*, Edizioni Alegre, Roma 2008.
|
||
|
||
[^iv20]: Raniero Panzieri, *Sull'uso capitalistico delle macchine nel
|
||
neocapitalismo*, in "Quaderni Rossi", n. 1, 1961, pp. 53-72.
|
||
|
||
[^iv21]: Mario Tronti, *Marx, forza-lavoro, classe operaia* (1965), in Id.,
|
||
*Operai e capitale* cit., pp. 259-63.
|
||
|
||
[^iv22]: *Ibid.*, p. 260.
|
||
|
||
[^iv23]: Mario Tronti, *Sull'autonomia del politico*, Feltrinelli, Milano 1977.
|
||
|
||
[^iv24]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 65.
|
||
|
||
[^iv25]: *Ibid.*, p. 25.
|
||
|
||
[^iv26]: Tra gli altri, vedi Massimo Cacciari, *Sviluppo capitalistico e ciclo
|
||
delle lotte. La Montedison di Porto Marghera 1. La "fase" 1950-1966*, in
|
||
"Contropiano", n. 3, 1968, pp. 579-627; Id., *Sviluppo capitalistico e ciclo
|
||
delle lotte. La Montedison di Porto Marghera. 2. La "fase" 1966 -- estate 1969*,
|
||
ivi, n. 2, 1969, pp. 397-447; Umberto Coldagelli, *Forza-lavoro e sviluppo
|
||
capitalistico*, ivi, n. 1, 1969, pp. 81-127; Enzo Schiavuta, *Ricerca
|
||
scientifica e sviluppo capitalistico*, ivi, n. 2, 1970, pp. 285-309; Mario
|
||
Tronti, *Classe operaia e sviluppo*, ivi, n. 3, 1970, p. 471. A questa analisi
|
||
Tafuri dà il suo contributo con *Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico*
|
||
cit. (1970).
|
||
|
||
[^iv27]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 79.
|
||
|
||
[^iv28]: *Ibid.*, p. 80.
|
||
|
||
[^iv29]: *Ibid.*, p. 87.
|
||
|
||
[^iv30]: Tafuri, *Per una critica dell'ideologia architettonica* cit., p. 60.
|
||
|
||
[^iv31]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 95.
|
||
|
||
[^iv32]: Rossi, *L'architettura della città* cit., p. 23.
|
||
|
||
[^iv33]: Ezio Bonfanti, *Autonomia dell'architettura*, in "Controspazio", n. 1,
|
||
1969, p. 29.
|
||
|
||
[^iv34]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 102.
|
||
|
||
[^iv35]: Rossi, *L'architettura della città* cit., p. 117.
|
||
|
||
[^iv36]: Reyner Banham, *Le tentazioni dell'architettura. Megastrutture*,
|
||
Roma-Bari, Laterza 1980; ILSES (Istituto lombardo per gli studi economici e
|
||
sociali), *Relazioni del Seminario "La nuova dimensione della città -- La
|
||
città-regione"*, Atti del convegno, Stresa, 19-21 gennaio, Milano 1962; *La
|
||
città territorio. Un esperimento didattico sul centro direzionale di Centocelle
|
||
in Roma*, Leonardo da Vinci Editrice, Bari 1964.
|
||
|
||
[^iv37]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 110. Vedi anche Id., *Aldo
|
||
Rossi: Locomotiva 2, Competition Entry for a Directional Centre, Turin, Italy*,
|
||
in Brett Steele e Francisco Gonzalez de Canales (a cura di), *First Works:
|
||
Emerging Architectural Experimentation of the 1960s and 1970s*, Architectural
|
||
Association Publications, London 2009, pp. 88-89.
|
||
|
||
[^iv38]: Al progetto di Rossi, Polesello e Meda si rifà esplicitamente il progetto
|
||
di Dogma, *Locomotiva 3*, una proposta per l'area denominata Spina 4 a Torino,
|
||
elaborata nel 2010; vedi *Dogma: 11 Projects* cit., pp. 74-81.
|
||
|
||
[^iv39]: Archizoom Associati, *Città catena di montaggio del sociale. Ideologia e
|
||
teoria della metropoli*, in "Casabella", n. 350-51, 1970, p. 44.
|
||
|
||
[^iv40]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 118.
|
||
|
||
[^iv41]: *Ibid.*, pp. 115-16.
|
||
|
||
[^iv42]: Archizoom Associati, *Città catena di montaggio del sociale* cit., p. 8.
|
||
|
||
[^iv43]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 131.
|
||
|
||
[^iv44]: *Ibid.*, p. 127.
|
||
|
||
[^iv45]: *Ibid.*, pp. 139-40.
|
||
|
||
[^iv46]: *Ibid.*, p. 140.
|
||
|
||
[^iv47]: *Ibid.*, p. 141.
|
||
|
||
[^iv48]: Pier Vittorio Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture*, The
|
||
MIT Press, Cambridge (Mass.) 2011.
|
||
|
||
[^iv49]: Vedi, ad esempio, Franco La Cecla, *Contro l'architettura*, Bollati
|
||
Boringhieri, Torino 2008; Id., *Contro l'urbanistica*, Einaudi, Torino 2015.
|
||
|
||
[^iv50]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit., p. IX.
|
||
|
||
[^iv51]: Georg Simmel, *Metafisica della morte* (1910), in Id., *Metafisica della
|
||
morte e altri scritti*, a cura di Lucio Perucchi, SE, Milano 2012, pp. 9-10.
|
||
|
||
[^iv52]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit., pp. IX-X.
|
||
|
||
[^iv53]: *Ibid.*, p. 32.
|
||
|
||
[^iv54]: Massimo Cacciari, *L'arcipelago*, Adelphi, Milano 1997.
|
||
|
||
[^iv55]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit., p. XI.
|
||
|
||
[^iv56]: *Ibid.*, p. 4.
|
||
|
||
[^iv57]: Ildefons Cerdà, *Teoría general de la urbanización* (1867), citato
|
||
*ibid.*, p. 9.
|
||
|
||
[^iv58]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit., p. 16.
|
||
|
||
[^iv59]: *Ibid.*, p. 32.
|
||
|
||
[^iv60]: Su ciò vedi anche Pier Vittorio Aureli, *City as Political Form: Four
|
||
Archetypes of Urban Transformation*, in "Architectural Design", vol. 81, n. 1,
|
||
2011, pp. 32-37.
|
||
|
||
[^iv61]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit., p. 27.
|
||
|
||
[^iv62]: Carl Schmitt, *Teologia politica: quattro capitoli sulla dottrina della
|
||
sovranità* (1922), in Id., *Le categorie del "politico". Saggi di teoria
|
||
politica*, a cura di Gianfranco Miglio e Pierangelo Schiera, il Mulino, Bologna
|
||
1972, pp. 27-86; Giorgio Agamben, *Lo stato di eccezione*, Bollati Boringhieri,
|
||
Torino 2003.
|
||
|
||
[^iv63]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit., p. 37.
|
||
|
||
[^iv64]: *Ibid.*, pp. 40-41.
|
||
|
||
[^iv65]: *Ibid.*, p. 41.
|
||
|
||
[^iv66]: *Ibid.*, p. 42.
|
||
|
||
[^iv67]: *Ibid.*, p. 45.
|
||
|
||
[^iv68]: Pier Vittorio Aureli, *Less Is Enough*, Strelka Press, Moscow 2013.
|
||
|
||
[^iv69]: *Ibid.*, p. 7.
|
||
|
||
[^iv70]: Aureli, *Less Is Enough* cit., p. 8.
|
||
|
||
[^iv71]: *Ibid.*, p. 9.
|
||
|
||
[^iv72]: Max Weber, *L'etica protestante e lo spirito del capitalismo* (1905),
|
||
Rizzoli, Milano 1991.
|
||
|
||
[^iv73]: Aureli, *Less Is Enough* cit., pp. 11-12.
|
||
|
||
[^iv74]: *Ibid.*, p. 13.
|
||
|
||
[^iv75]: *Ibid.*, p. 16.
|
||
|
||
[^iv76]: Aureli, *Less Is Enough* cit., p. 24.
|
||
|
||
[^iv77]: Aldo Rossi, *Quaderno inedito (Varie 1 -- Milano -- Arch. Veneta
|
||
- Abitazione -- Pref. II ed. L'arch. della città -- Politecnico)*, 1969-70,
|
||
citato in Gianni Braghieri, *Presentazione*, in "Soundings", n. 1, 2017,
|
||
numero monografico dedicato a Aldo Rossi, a cura di Lamberto Amistadi e
|
||
Ildebrando Clemente, p. 68.
|
||
|
||
[^iv78]: Giorgio Agamben, *Altissima povertà. Regole monastiche e forme di vita*,
|
||
Neri Pozza, Vicenza 2011.
|
||
|
||
[^iv79]: Benjamin, *Esperienza e povertà* cit., p. 53.
|
||
|
||
[^iv80]: Walter Benjamin, *Il carattere distruttivo* (1931), in Id., *Esperienza e
|
||
povertà* (2018), a cura di Massimo Palma, cit., p. 41.
|
||
|
||
[^iv81]: Aureli, *Less Is Enough* cit., p.
|
||
40. Vedi anche Id., *A Room Without Ownership*, in *Hannes Meyer: Co-op
|
||
Interieur*, Spector Book, Leipzig 2015, pp. 33-39.
|
||
|
||
[^iv82]: Aureli, *Less Is Enough* cit., pp. 40-41.
|
||
|
||
[^iv83]: *Ibid.*, p. 41.
|
||
|
||
[^iv84]: *Ibid.*, p. 58.
|
||
|
||
[^iv85]: Karl Marx, *Manoscritti economici-filosofici del 1844*, a cura di
|
||
Norberto Bobbio, Einaudi, Torino 2018, p. 113.
|
||
|
||
[^iv86]: Aureli, *Less Is Enough* cit., p. 59.
|
||
|
||
[^iv87]: Su questo passaggio di scala vedi Pier Vittorio Aureli e Martino Tattara,
|
||
*A Limit to the Urban: Notes on Large-Scale Design*, in *Dogma: 11 Projects*
|
||
cit., pp. 42-45, e Id., *Barbarism Begins at Home: Notes on Housing*, *ibid.*,
|
||
pp. 86-90.
|
||
|
||
[^iv88]: Dogma, *A Simple Heart*, in *Dogma: 11 Projects* cit., p. 22.
|
||
|
||
[^iv89]: Aureli e Tattara, *Barbarism Begins at Home* cit., p. 86.
|
||
|
||
[^iv90]: Svolta a partire dal 2013, la ricerca *Living/Working* ha avuto come
|
||
esito la pubblicazione di Dogma, *The Room of One's Own*, Black Square Press,
|
||
Milano 2017.
|
||
|
||
[^iv91]: Pier Vittorio Aureli e Maria S. Giudici, *The Grand Domestic Revolution.
|
||
Revisiting the Architecture of Housing*, Diploma 14, Architectural Association
|
||
School, London, a.a. 2013-14; Pier Vittorio Aureli e altri, *How to Live
|
||
Together. Homes for Houston*, Advanced Design Studio -- Yale School of
|
||
Architecture, New Haven (primavera) 2014.
|
||
|
||
[^iv92]: Dogma + Black Square, *Like a Rolling Stone. Revisiting the Architecture
|
||
of the Boarding Houses*, Black Square Press, Milano 2016.
|
||
|
||
[^iv93]: Dogma + Realism Working Group, *Communal Villa. Production and
|
||
Reproduction in Artists' Housing*, Spector Books, Leipzig 2016. Realism Working
|
||
Group è un collettivo di artisti che opera nella capitale tedesca.
|
||
|
||
[^iv94]: Carl Schmitt, *Il concetto di "politico"* (1932), in Id., *Le categorie
|
||
del "politico"* cit., pp. 101-65.
|
||
|
||
## Architettura dentro e contro
|
||
|
||
"L'arte di costruire è la volontà dell'epoca \[*Zeitwille*\] tradotta in
|
||
spazio"[^v1]. La nota affermazione di Ludwig Mies van der Rohe, da lui enunciata
|
||
e ribadita in più circostanze[^v2], potrebbe a prima vista apparire la più
|
||
compiuta espressione del totale asservimento dell'architettura alle forze
|
||
operanti nel tempo in cui questa nasce e si colloca. E in effetti, proprio il
|
||
"servire" costituisce per Mies van der Rohe il compito essenziale
|
||
dell'architettura: "L'opera degli architetti deve servire la vita \[*dem Leben
|
||
dienen*\]. Soltanto la vita deve essere la loro guida"[^v3]. Parrebbe cosí
|
||
giustificarsi concettualmente, per voce di uno dei più lucidi e profondi
|
||
architetti del secolo scorso, l'attitudine dell'architettura a "mettersi al
|
||
servizio" della società e dei "soggetti" agenti al suo interno; ciò che
|
||
finirebbe con il ridurre l'architettura -- almeno in una certa misura -- a un
|
||
semplice "riflesso" di questi, delle loro dinamiche e "volontà", appunto.
|
||
|
||
Ma come va inteso esattamente il "servire la vita" di Mies van der Rohe? In un
|
||
saggio di straordinaria intensità Massimo Cacciari ha interpretato in maniera
|
||
forse definitiva la connessione tra *dem Leben dienen* e *Zeitwille* nel
|
||
pensiero dell'architetto tedesco:
|
||
|
||
> ... si cadrebbe grossolanamente in errore ritenendo che tale servizio si
|
||
> riferisca soltanto alla "vita" in quanto somma di esigenze, domande,
|
||
> imperativi. Se cosí fosse, non saremmo agli antipodi, ma nel bel mezzo
|
||
> dell'idea funzionalistica del progetto (...) Ben altro timbro ha *das Leben*
|
||
> per Mies. Vita e Ergon, Vita *e* trascendenza dell'idea dell'opera formano un
|
||
> insieme indissolubile. Si serve la vita soltanto servendo l'opera -- si è al
|
||
> servizio del proprio tempo (...) soltanto se si è capaci di "immaginare"
|
||
> l'opera[^v4].
|
||
|
||
Il servizio alla vita, dunque, non è affatto un semplice assoggettarsi ai
|
||
"doveri" quotidiani, mondani, cui l'architettura è comunque destinata, e neppure
|
||
ai compiti più eccezionali, "di facciata", dei quali a volte essa è investita,
|
||
tanto quanto l'essere in accordo con la volontà dell'epoca non si lascia in
|
||
alcun modo ridurre a un semplice rispecchiamento di ciò che l'epoca "si aspetta"
|
||
dall'opera.
|
||
|
||
> Vita è sempre intesa come en-érgheia, vita nel e dell'ergon: molto più che un
|
||
> mero dato di fatto, la vita, di cui Mies parla, è quella vita in cui l'ergon
|
||
> si manifesta, in cui può aver luogo la verità dell'ergon. Vita compiuta,
|
||
> perciò,
|
||
|
||
ma compiuta nel suo essere in-atto, en-érgheia. E ancora:
|
||
|
||
> Vita, per Mies, è sempre spirituale decisione nei confronti dell'opera --
|
||
> distacco (...) da ogni vita "immediata", da ogni vita
|
||
> naturalisticamente-immediatamente intesa[^v5].
|
||
|
||
Ancorché sancire un legame deterministico, l'affermazione miesiana che mette in
|
||
correlazione volontà dell'epoca e architettura sottende la precisa condizione
|
||
che le lega l'una all'altra: tradurre la volontà dell'epoca in spazio, vale a
|
||
dire "immaginare" l'opera, non è mai un'operazione meccanica, meramente servile;
|
||
piuttosto implica una *potenza*, una *en-*érgheia, appunto, che è quella
|
||
derivante dall'opera stessa, che l'epoca non può semplicemente prevedere o
|
||
prescrivere. Anzi, nel caso di un'opera come quella di Mies che ritiene decisiva
|
||
l'"essenza dell'arte di costruire"[^v6], questa non può derivare da una semplice
|
||
"invenzione" soggettiva, e a rigore neppure da una intenzionalità progettante,
|
||
bensì deve "limitarsi" a presentare-manifestare la verità che la precede e la
|
||
trascende.
|
||
|
||
Concepire il rapporto tra opera e epoca in termini non deterministici implica
|
||
dunque da parte dell'architetto una comprensione effettiva della struttura
|
||
dell'epoca in cui è immerso, comprensione da cui scaturisce quella "potenza
|
||
immaginativa" che nulla ha a che vedere con la fantasia o con la creatività, e
|
||
che piuttosto richiede un "ascolto" dell'opera.
|
||
|
||
Quale sia la struttura della *sua* epoca -- e in quale misura essa si differenzi
|
||
sostanzialmente da quella delle epoche precedenti -- appare molto chiaro agli
|
||
occhi di Mies:
|
||
|
||
> Da tempo la macchina è diventata padrona della produzione. Questa era
|
||
> approssimativamente la situazione prebellica. Sebbene il ritmo di questo
|
||
> sviluppo sia stato ridotto dallo scoppio della guerra, la sua direzione è
|
||
> rimasta immutata. Anzi, la situazione si è persino acutizzata. Se prima per
|
||
> mille motivi l'economia era praticata in modo libero, attualmente altrettanti
|
||
> motivi costringono alle più serrate riflessioni. Quanto già prima della guerra
|
||
> la vita fosse legata all'economia, ci è apparso del tutto evidente soltanto
|
||
> nel periodo post-bellico. Ora esiste "soltanto" l'economia. Essa domina ogni
|
||
> cosa, la politica e la vita[^v7].
|
||
|
||
Esattamente negli stessi termini, oggi si potrebbe affermare che "esiste
|
||
"soltanto" l'economia". Ciò che non impedisce, a chi sia dotato di capacità di
|
||
comprensione e di ascolto, di servire la vita liberando la potenza immaginativa
|
||
dell'opera, proprio come fa Mies van der Rohe.
|
||
|
||
In un'epoca come quella attuale, in cui sempre di più predomina l'economia e
|
||
declina la politica (non tanto in termini di governo, quanto di capacità di
|
||
affermazione di idee o di presa di posizione su questioni di interesse
|
||
generale), diventa indubbiamente difficile distaccarsi dalla vita in senso
|
||
"immediato" e servire invece la vita in un senso superiore, come quello appena
|
||
indicato. Ma ancora più difficile, in una condizione del genere, risulta
|
||
resistere -- o addirittura opporsi apertamente -- alla "volontà dell'epoca". E
|
||
ciò tanto più poi quando si cerchi di far coincidere le forme di "resistenza" o
|
||
di "opposizione" con quelle architettoniche.
|
||
|
||
Per cercare almeno di nominare le condizioni che rendono possibile assumere tali
|
||
posizioni può essere utile tornare a osservare in quest'ottica alcuni momenti o
|
||
episodi, in certi casi anche largamente noti, di un più o meno recente passato.
|
||
|
||
Quando Benjamin menziona il mutismo di coloro che ritornavano dai campi di
|
||
battaglia della prima guerra mondiale come sintomo dell'inaridirsi della loro
|
||
capacità di comunicare le esperienze vissute, quando sottolinea la "miseria del
|
||
tutto nuova" che "ha colpito gli uomini (...) con questo immenso sviluppo della
|
||
tecnica"[^v8], appare del tutto chiaro come per lui una simile "povertà di
|
||
esperienza" vada intesa non nel senso che manchi loro qualcosa, "come se gli
|
||
uomini anelassero a una nuova esperienza"[^v9], bensì piuttosto nel senso che
|
||
"essi desiderano essere esonerati dalle esperienze". La "povertà di esperienza"
|
||
è la reazione a un eccesso: quelle persone "hanno "divorato" tutto, la *Kultur*
|
||
e l'"uomo", e ne sono divenuti più che sazi e stanchi"[^v10]. La conseguenza di
|
||
ciò è lo svilupparsi di quel "nuovo positivo concetto di barbarie"[^v11] già
|
||
citato in precedenza, da cui chi ne risulta soggetto "è indotto a ricominciare
|
||
da capo; a iniziare dal nuovo; a farcela con il poco; a costruire a partire dal
|
||
poco". Si potrebbe considerarla una rinuncia; ma si tratta anche di
|
||
un'opportunità. "Ricominciare da capo", cosí come "far pulizia, (...) creare
|
||
spazio"[^v12], sono azioni che hanno tra loro in comune la liberazione da
|
||
qualcosa, si tratti di oggetti oppure di forme e schemi mentali ormai
|
||
invecchiati. Distaccarsene, abbandonarli, dimenticarli comporta sempre una nuova
|
||
apertura.
|
||
|
||
Non sarà forse casuale che, nello stesso contesto del primo dopoguerra tedesco,
|
||
all'interno dell'appena nato Staatlisches Bauhaus di Weimar, il primo
|
||
insegnamento cui vengono sottoposti gli studenti (il corso preparatorio, il
|
||
cosiddetto *Vorkurs*), affidato da Gropius all'artista svizzero Johannes Itten,
|
||
consista in una radicale rifondazione della loro grammatica percettiva e
|
||
cognitiva mediante una serie di esercizi che hanno lo scopo fondamentale di
|
||
cancellare quanto da essi precedentemente imparato o conosciuto, per predisporli
|
||
a nuove esperienze di apprendimento. La didattica di Itten deve molto agli
|
||
insegnamenti impartitigli dal pedagogo Ernst Schneider presso la Scuola di
|
||
formazione per insegnanti di Berna-Hofwil. Il metodo di Schneider prevedeva tra
|
||
l'altro l'impiego delle teorie psicoanalitiche junghiane e di pratiche
|
||
pedagogiche progressiste che tendevano a non correggere il lavoro creativo degli
|
||
studenti per non reprimerne le inclinazioni. A questi principî Itten affianca
|
||
quelli appresi dalla frequentazione della scuola del pittore tedesco Adolf
|
||
Hölzel a Stoccarda, negli anni precedenti la guerra, basati su accostamenti
|
||
cromatici contrastanti e sulla loro applicazione a forme elementari, ma anche su
|
||
attività fisiche di rilassamento da svolgere in stretta connessione con il
|
||
lavoro creativo. Prendendo spunto da tutto ciò e combinando esercizi corporei e
|
||
gestuali, respirazione ritmica, reinterpretazioni delle opere degli antichi
|
||
maestri, indottrinamento filosofico-religioso ispirato alla religione
|
||
neo-zoroastriana Mazdaznan, dieta vegetariana, rivoluzione nel vestiario e altro
|
||
ancora[^v13], il corso preliminare di Itten mirava a conferire una nuova "unità"
|
||
allo studente, risvegliandolo al tempo stesso dal "sonno del mondo".
|
||
|
||
> Fondamentale per il corso propedeutico al Bauhaus appariva l'obiettivo di
|
||
> liberare le energie creative e l'autonomia degli studenti, esaltandone
|
||
> capacità e soggettive predilezioni. "Si trattava -- per Itten -- di costruire
|
||
> l'uomo nella sua interezza come un essere creativo" capace di affrontare con
|
||
> successo la complessità di un "progetto figurativo" che pretendeva la sinergia
|
||
> di forze e capacità diverse, fisiche, morali, spirituali, intellettuali[^v14].
|
||
|
||
D'altronde, pur con accenti e "stili" diversi da quelli di Itten ("Itten vuol
|
||
fare del Bauhaus un monastero, con tanto di santi e di monaci", scrive Oskar
|
||
Schlemmer in una lettera del 1921)[^v15], anche Walter Gropius, con il corso di
|
||
studi del Bauhaus, intende restituire integralità all'architetto, attraverso
|
||
l'apprendimento di teorie, tecniche e materiali che soltanto in un momento
|
||
finale avrebbero dovuto sintetizzarsi nella pratica progettuale vera e propria.
|
||
Un architetto -- quello uscito dal Bauhaus -- il cui "obiettivo programmatico"
|
||
potrebbe essere fatto coincidere esattamente con il benjaminiano "ricominciare
|
||
da capo", "iniziare dal nuovo", "farcela con il poco". L'emancipazione dalle
|
||
incrostazioni di una cultura sino a quel momento tramandata e passivamente
|
||
accettata conduce cosí a una trasformazione radicale, e dischiude la possibilità
|
||
di costruire *davvero* per la propria epoca.
|
||
|
||
Tra i "costruttori" barbarici citati da Benjamin -- insieme a René Descartes,
|
||
Albert Einstein, Paul Klee, Paul Scheerbart, Adolf Loos e Le Corbusier -- vi è
|
||
anche il Bauhaus[^v16]. Loro comune segno distintivo è "una totale mancanza
|
||
d'illusioni nei confronti dell'epoca e ciò nonostante un pronunciarsi senza
|
||
riserve per essa"[^v17]. La stessa fusione di coinvolgimento e distacco che si
|
||
lascia rilevare anche in Mies van der Rohe.
|
||
|
||
Ma in quale misura -- è lecito chiedersi -- ci si potrebbe giovare oggi di
|
||
questo insegnamento? Nell'"età dell'inconsistenza"[^v18] in cui ci troviamo, non
|
||
meno che nel primo dopoguerra tedesco, gli uomini sono vittime di un eccesso, di
|
||
qualche cosa di "troppo"; non meno di allora, sentono -- *sentiamo* -- di avere
|
||
"divorato" tutto, e di esserne "più che sazi e stanchi". E ancora una volta in
|
||
maniera analoga a quella circostanza, ciò appare causato da un "immenso sviluppo
|
||
della tecnica".
|
||
|
||
Nella nostra epoca, la sensazione di sazietà e di stanchezza costituisce una
|
||
reazione a un "eccesso dell'Eguale", come lo denomina Byung-Chul Han[^v19],
|
||
derivante da una "sovrapproduzione", da un "eccesso di prestazione o di
|
||
comunicazione"[^v20]. Gli eccessi dell'Eguale generano una condizione saturativa.
|
||
Troppe immagini, troppi eventi, troppe possibilità. La stanchezza che ne deriva
|
||
è il prodotto di un esaurimento, un'estenuazione psichica a fronte della quale
|
||
non vi sono facili rimedi.
|
||
|
||
Ma vi è anche un altro genere di stanchezza: quella che suggerisce di rallentare
|
||
il passo, di non far seguire un'azione alle azioni già compiute in precedenza;
|
||
una stanchezza che induce al riposo, al non-fare, all'ascolto, alla
|
||
contemplazione. È lo stesso tipo di stato che provoca la "povertà di esperienza"
|
||
di cui parla Benjamin:
|
||
|
||
> ... agli occhi della gente, stancatasi delle complicazioni senza fine della
|
||
> vita quotidiana e per la quale il fine della vita affiora solo come un
|
||
> lontanissimo punto di fuga in un'infinita prospettiva di mezzi, appare
|
||
> liberante un'esistenza che in ogni frangente basta a se stessa nel modo più
|
||
> semplice e contemporaneamente più confortevole[^v21].
|
||
|
||
Per ottenerlo bisogna rinunciare a qualcosa, prendere tempo, "creare spazio",
|
||
retrocedere, rilassarsi, oziare.
|
||
|
||
D'altra parte, nota ancora Han, "la pura frenesia non crea nulla di nuovo, ma
|
||
riproduce e accelera ciò che è già disponibile"[^v22]. È interessante che il
|
||
filosofo sudcoreano introduca questa considerazione in relazione a quanto
|
||
affermato da Benjamin a proposito della "noia profonda" come presupposto di
|
||
un'attenzione profonda, contemplativa, in un saggio di poco successivo a quello
|
||
appena citato e ad esso strettamente connesso[^v23]. Lo stato di distensione
|
||
spirituale di cui per Benjamin la noia costituisce il culmine ("La noia è
|
||
l'uccello incantato che cova l'uovo dell'esperienza"), per Han è l'esatto
|
||
rovescio della forma attuale della concentrazione: l'"iper-attenzione", vale a
|
||
dire un'attenzione dispersa tra troppi obiettivi simultaneamente: "un rapido
|
||
cambiamento di focus tra compiti, sorgenti d'informazioni e processi
|
||
diversi"[^v24] che si traduce nel vano iperattivismo contemporaneo.
|
||
|
||
"Farcela con il poco", "costruire a partire dal poco", cessano a questo punto di
|
||
risuonare come formule vuote e si presentano invece come *soluzioni concrete*
|
||
per coloro i quali -- al pari dei "costruttori" additati da Benjamin ("uomini
|
||
che del radicalmente nuovo hanno fatto la loro causa e lo hanno fondato su
|
||
comprensione e rinuncia")[^v25] -- siano pronti a sottrarre il proprio agire agli
|
||
eccessi di lavoro e produzione, all'iperattivismo frenetico contrabbandato per
|
||
"dovere" sociale (e spesso giustificato ai propri stessi occhi in nome del
|
||
denaro) per assumere in alternativa un comportamento ispirato a una
|
||
contemplazione attiva, a una "distensione" che sia al tempo stesso operante.
|
||
|
||
Potrebbe sembrare un'evenienza impossibile, oppure completamente distante da
|
||
ogni applicazione architettonica. In realtà, esiste un tentativo compiuto in tal
|
||
senso in un passato relativamente recente: quello dell'Internationale
|
||
Situationniste, organizzazione (e rivista) attiva tra la fine degli anni
|
||
cinquanta e i sessanta. Per Guy Debord, Asger Jorn, Constant Nieuwenhuys, Gilles
|
||
Ivain e per gli altri componenti del gruppo, "l'architettura è il mezzo più
|
||
semplice per *articolare* il tempo e lo spazio, per *modellare* la realtà, per
|
||
far sognare", come si legge nel primo fascicolo della rivista. Ma con una ben
|
||
precisa avvertenza:
|
||
|
||
> Non si tratta solamente di articolazione e di modulazione plastica,
|
||
> espressione di una bellezza passeggera. Ma di una modulazione influenzale che
|
||
> si inscrive nella curva eterna dei desideri umani e dei progressi nella
|
||
> realizzazione di questi desideri[^v26].
|
||
|
||
Tradotto in un linguaggio meno altisonante, i situazionisti rifiutano fin da
|
||
subito di intervenire in modo trasformativo nei confronti della realtà,
|
||
negandosi lo strumento del progetto come mezzo attuativo concreto, ma pure come
|
||
semplice ipotesi alternativa, come fuga dal reale (e infatti la fuoriuscita di
|
||
Constant dall'Internationale Situationniste, nel 1960, sarà causata proprio dai
|
||
dissapori legati a *New Babylon*, il suo progetto di città utopica, e in
|
||
particolar modo alla contrapposizione tra la maniera in cui egli lo sviluppa,
|
||
maggiormente legata alle componenti strutturali e alle forme architettoniche, e
|
||
quella richiesta dagli altri situazionisti, più strettamente connessa ai
|
||
contenuti)[^v27]. A partire da questo presupposto le pratiche situazioniste si
|
||
svilupperanno, anziché in direzione della costruzione architettonica nel senso
|
||
tradizionale del termine, in quella della *costruzione di situazioni*; dove per
|
||
"situazione" -- secondo la definizione che essi stessi ne danno -- va inteso un
|
||
"momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito mediante
|
||
l'organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di
|
||
avvenimenti"[^v28]. La rinuncia a compiere interventi materiali e durevoli non
|
||
equivale automaticamente a una riduzione al mutismo o all'inazione; piuttosto
|
||
comporta uno spostamento del punto di vista sulla realtà, un "lavoro" su di essa
|
||
che ne produce di fatto una *risemantizzazione*. Per i situazionisti ciò si
|
||
traduce in "azioni" denominate *derive*: attraversamenti casuali dello spazio
|
||
urbano finalizzati unicamente a rileggerlo in modo imprevisto, mettendone in
|
||
luce aspetti alternativi, dimenticati o nascosti. Alla città borghese (o a parti
|
||
-- o anche a semplici frammenti o dettagli -- di essa) vengono cosí attribuiti
|
||
nuovi significati e nuovi "usi" ai margini dell'utile.
|
||
|
||
Un tale genere di atteggiamento nei confronti della città e della realtà
|
||
potrebbe apparire del tutto inefficace. Non producendo frutti immediati e
|
||
tangibili risulta a prima vista completamente superfluo. Tuttavia, è proprio in
|
||
una rimessa in discussione dei valori socialmente condivisi in quel determinato
|
||
momento storico che affonda le proprie radici l'analisi -- e la critica --
|
||
situazionista. Si equivocherebbe il senso di tale operare scambiandolo (come
|
||
spesso è stato fatto in periodi più recenti) per una produzione di performance
|
||
artistiche. In realtà tutte le elaborazioni situazioniste -- dai rilievi
|
||
psico-geografici delle città alle derive, passando per i materiali pubblicati
|
||
sulla rivista -- hanno un intento profondamente e inequivocabilmente *politico*,
|
||
anche dietro le mentite spoglie della leggerezza e dell'ironia. Ed è proprio a
|
||
partire da una riconsiderazione politica delle categorie dell'utile e
|
||
dell'inutile, cosí come del lavoro produttivo e del gioco, che i situazionisti
|
||
impostano le loro esperienze. Le quali sono sí caratterizzate da una
|
||
programmatica impermanenza e aleatorietà; ma al tempo stesso vengono
|
||
assoggettate dai componenti del gruppo a un certo "rigore" metodologico che le
|
||
rende comunicabili e scambiabili, e dunque anche condivisibili. Fondamentale per
|
||
i situazionisti, da questo punto di vista, è che le derive da essi compiute non
|
||
rimangano delle esperienze isolate, soggettive, ma vengano invece sempre
|
||
socializzate. Soltanto cosí l'opera di risignificazione di alcuni luoghi della
|
||
città può giungere a compimento; e in questo modo avviare un processo di
|
||
"riqualificazione" (anche solo virtuale) dei medesimi luoghi. Il fatto che
|
||
questo processo si attui in una prospettiva ludica -- ovvero nella dimensione in
|
||
cui l'*homo ludens* si sostituisce all'*homo faber*[^v29] -- non lo rende per
|
||
questo meno pensabile: semmai meno facilmente realizzabile, vale a dire
|
||
realizzabile soltanto a costo di forzare i consueti termini della realtà,
|
||
infrangendo cioè il patto che questa tacitamente istituisce con un modo "serio"
|
||
di intendere la società e il mondo.
|
||
|
||
È verso la fine del Settecento, rileva Johan Huizinga, nel momento in cui si
|
||
sviluppano simultaneamente classe borghese, rivoluzione industriale e
|
||
Illuminismo, che "lavoro e produzione assurgono a ideale, anzi quasi a
|
||
idolo"[^v30]. Si tratta dell'infanzia dell'epoca odierna. È in quel momento
|
||
infatti che, secondo lo storico olandese, sorge
|
||
|
||
> ... \[l'\]equivoco secondo il quale le forze economiche e l'interesse
|
||
> economico determinerebbero e dominerebbero il corso del mondo. La
|
||
> sopravvalutazione del fattore economico nella società e nello spirito umano
|
||
> era in certo senso il frutto naturale del razionalismo e dell'utilitarismo.
|
||
|
||
Il ritorno -- o l'approdo -- a una società ludica, per i situazionisti,
|
||
corrisponde appunto alla messa in crisi del razionalismo e dell'utilitarismo,
|
||
cioè a dire del capitalismo. Il rifiuto di quest'ultimo è il rifiuto
|
||
innanzitutto di una logica produttiva in senso economico, non della produzione
|
||
*tout court*. È in questa logica che essi pongono il "gioco" al centro del
|
||
proprio interesse. Pur se improduttivo in senso economico, il gioco in compenso
|
||
produce divertimento. Ed è precisamente quest'ultimo che si prefiggono di
|
||
"produrre" i situazionisti. Un divertimento che non costituisce una semplice
|
||
evasione dalle consuete regole sociali, una pausa dalla "serietà" altrimenti
|
||
dominante, bensì il fondamento stesso di una società basata sul gioco anziché
|
||
sul lavoro, sull'avventura anziché sulla noia; una società nomade anziché
|
||
stanziale, proprio come la *New Babylon* di Constant immaginava di esserlo[^v31].
|
||
|
||
Ma non è soltanto nel progetto di Constant che il gioco assume un ruolo centrale
|
||
nella costruzione di situazioni urbane alternative a quelle esistenti. Il
|
||
concetto di "urbanismo unitario" formulato dall'Internationale Situationniste,
|
||
ovvero la "costruzione integrale di un ambiente in legame dinamico con
|
||
esperienze di comportamento"[^v32], è al tempo stesso una critica alla città del
|
||
capitale e la prefigurazione di uno spazio sociale inteso nella prospettiva del
|
||
ludico:
|
||
|
||
> L'urbanismo unitario non è una dottrina urbanistica ma una critica
|
||
> dell'urbanistica. (...) Nessuna disciplina separata può essere accettata in
|
||
> sé, noi andiamo verso una creazione globale dell'esistenza. L'urbanismo
|
||
> unitario è distinto dai problemi dell'habitat e tuttavia è destinato ad
|
||
> inglobarli; a maggior ragione è distinto dagli attuali scambi commerciali. In
|
||
> questo momento prende in considerazione un campo di esperienza per lo *spazio
|
||
> sociale* delle città future. Non è una reazione contro il funzionalismo, ma il
|
||
> suo superamento: si tratta di realizzare, al di là dell'utilità immediata, un
|
||
> ambiente funzionale appassionante. (...) Cosí come l'habitat, l'urbanismo
|
||
> unitario è distinto dai problemi estetici. Va contro lo spettacolo passivo,
|
||
> principio della nostra cultura in cui l'organizzazione dello spettacolo si
|
||
> estende tanto più scandalosamente quanto più aumentano i mezzi dell'intervento
|
||
> umano. Mentre oggi le stesse città vengono offerte come un penoso spettacolo,
|
||
> un supplemento ai musei, per i turisti trasportati su corriere di vetro,
|
||
> l'urbanismo unitario prende in considerazione l'ambiente urbano come terreno
|
||
> di un gioco di partecipazione. L'urbanismo unitario non è idealmente separato
|
||
> dall'attuale terreno della città. Si è formato dall'esperienza di questo
|
||
> terreno e a partire dalle costruzioni esistenti. Noi dobbiamo sia sfruttare
|
||
> gli attuali scenari con l'affermazione di uno spazio urbano ludico quale lo fa
|
||
> riconoscere la deriva, sia costruirne di totalmente inediti. (...) L'urbanismo
|
||
> unitario si contrappone alla fissazione delle città nel tempo. (...)
|
||
> L'urbanismo unitario è contro la fissazione delle persone in dati punti di una
|
||
> città. È lo zoccolo di una civiltà del tempo libero e del gioco[^v33].
|
||
|
||
Le "tecniche" situazioniste, pur in apparenza estremamente elementari, e
|
||
certamente assai modeste se confrontate con quelle impiegate dalle forze loro
|
||
antagoniste, si fondano tuttavia su una lucida comprensione delle dinamiche in
|
||
campo; una comprensione che consente loro di "anticipare" le mosse
|
||
dell'avversario, o in certi casi addirittura di appropriarsi dei meccanismi
|
||
regolativi di tali dinamiche. L'esempio più emblematico è proprio quello
|
||
relativo alla spettacolarizzazione della città e della società capitaliste,
|
||
presagita con largo anticipo e criticata nella sua natura "passiva" dai
|
||
situazionisti, prima di essere approfonditamente analizzata, anni più tardi, da
|
||
Guy Debord, in *La Société du Spectacle* (1967). Lungi dall'essere semplicemente
|
||
rifiutata, la nozione di spettacolo è invece assunta e direttamente (e
|
||
coscientemente) impiegata anche in alcune delle pratiche situazioniste. Si pensi
|
||
ad esempio all'uso delle immagini -- sorprendenti e a volte provocatorie --
|
||
nelle pagine della rivista, a corredo di ponderosi saggi con i quali esse non
|
||
intrattengono palesemente alcun rapporto; o alle copertine della rivista stessa,
|
||
tutte diversamente colorate e metallizzate in modo tale da renderle specchianti,
|
||
una lavorazione complessa e costosa all'epoca, il cui unico scopo è
|
||
evidentemente quello di rendere i fascicoli -- appunto -- più spettacolari, e
|
||
dunque attraenti. D'altronde, al di là della singolarità di questi esempi,
|
||
quanto si offre come lezione più generale e durevole dal caso
|
||
dell'Internationale Situationniste è che per combattere efficacemente qualcosa
|
||
bisogna penetrarvi in profondità e, da tale posizione interna, capirne le
|
||
regole, giungendo al limite persino a impiegarle. L'essere *dentro* -- anche
|
||
nella sovversiva logica situazionista -- non è dunque soltanto una condizione
|
||
fattuale imposta da ostili circostanze "esterne", bensì l'irrinunciabile
|
||
presupposto per poter essere *contro*.
|
||
|
||
A fronte di ciò si potrebbe obiettare che le "azioni" situazioniste -- ovvero le
|
||
situazioni --, essendo per loro natura impersistenti e del tutto prive di
|
||
sostanzialità, non lasciano alcuna traccia dietro di sé, o perlomeno non tracce
|
||
abbastanza tangibili da poter essere oggettivate, e di conseguenza disgiunte,
|
||
fatte altro da chi le ha vissute. La rinuncia alla produttività delle proprie
|
||
azioni parrebbe dunque lo "scotto" che l'Internationale Situationniste è
|
||
costretta a pagare per mantenere dal proprio punto di vista una posizione
|
||
"politicamente corretta". In realtà la prospettiva dei situazionisti è
|
||
radicalmente opposta: affidare per intero il proprio operare a un "lavoro
|
||
improduttivo" significa implicitamente sottrarlo alla possibilità di
|
||
trasformarsi in merce. Rifiutando di farsi "opera" (la cui produttività
|
||
"aggiunge nuovi oggetti al mondo umano artificiale")[^v34], la situazione -- come
|
||
la forza lavoro -- "non "produce" altro che vita". Una vita che non a caso i
|
||
situazionisti definiscono correttamente in termini di "esperienza".
|
||
|
||
L'"improduttività" situazionista non è comunque l'unico modo per liberarsi dal
|
||
carico di valori sociali da lungo tempo assunti come "naturali". Non sono pochi
|
||
i casi in cui gli architetti hanno cercato almeno di infrangere il "cerchio
|
||
magico" che racchiude in un unico abbraccio progetto e realtà; rinunciando
|
||
deliberatamente a quest'ultima ed esonerando in questo modo il progetto dal
|
||
compito di dover fare i conti con essa. Ciò non spezza, sia chiaro, l'equazione
|
||
architettura = merce, dal momento che ogni progetto incarna, almeno
|
||
potenzialmente, entrambe. Di progetti non realizzati, ovviamente, ne esiste un
|
||
numero sterminato, senza che questo comporti una altrettanto alta ricorrenza di
|
||
casi in cui i progetti intendano opporsi intenzionalmente alla realtà. Anzi, si
|
||
potrebbe facilmente affermare che la maggior parte dei progetti che rimangono
|
||
tali anelerebbe sopra ogni altra cosa a essere realizzata. Quanto invece qui
|
||
interessa sono quegli assai più rari casi -- in tutti i sensi "eccezioni" -- in
|
||
cui il progetto mette in difficoltà, e addirittura impedisce, ostacola
|
||
letteralmente, la possibilità della propria realizzazione, arrivando a
|
||
*progettare* le condizioni della propria irrealizzabilità.
|
||
|
||
Sarebbe fin troppo facile citare al proposito i molti progetti utopici prodotti
|
||
dalla cultura architettonica tra la seconda metà del Settecento e gli ultimi
|
||
decenni del Novecento: ai quali progetti tuttavia difetta, nella gran parte di
|
||
casi, la consapevolezza (o forse sarebbe meglio dire, la disillusione) di essere
|
||
inevitabilmente "dentro" per poter essere davvero contro. La vera debolezza
|
||
delle utopie, in questo senso, non è tanto quella di non poter essere
|
||
realizzate, quanto piuttosto d'illudersi di non essere condizionate dalla
|
||
realtà, di porsi come una vera alternativa rispetto a quest'ultima. Ciò che è
|
||
utopico in tali progetti è proprio questa chimerica speranza. Cosí come ciò che
|
||
in essi finisce per essere davvero ineffettuale, più che il tentativo di
|
||
osservare il mondo con uno sguardo diverso, è la persuasione che tale sguardo
|
||
non appartenga comunque a "questo mondo", che possa esistere in esso, nonostante
|
||
esso.
|
||
|
||
Al di fuori delle utopie architettoniche e delle ideologie che inevitabilmente
|
||
vi sono connesse[^v35], è in una dimensione meno carica di "messianiche attese"
|
||
che l'allontanamento del progetto dalla realtà (ovvero dal rispetto delle
|
||
condizioni per una sua realizzazione almeno possibile) produce esiti più
|
||
interessanti. Con intenti che si presentano comunque critici o polemici -- anche
|
||
se espressi a volte in maniera silenziosa o sottile -- nei confronti del
|
||
contesto economico, sociale, politico, insomma del complessivo panorama
|
||
valoriale in cui si inseriscono (o che piuttosto rifiutano).
|
||
|
||
Tra i tanti che si potrebbero citare, un caso estremamente affascinante da
|
||
questo punto di vista è quello di John Hejduk. Dopo gli studi compiuti in
|
||
diverse università americane, come la Cooper Union di New York e la Harvard
|
||
University, viene chiamato a insegnare alla School of Architecture di Austin
|
||
(Texas), dove -- insieme ad altri colleghi tra i quali Colin Rowe, Robert
|
||
Slutzky, Werner Seligmann e Bernhard Hoesli -- dà vita al gruppo dei Texas
|
||
Rangers[^v36]. Anche grazie all'influenza del lavoro astratto-geometrico --
|
||
grafico e pittorico -- di Josef Albers (allievo e poi maestro del Bauhaus --
|
||
nonché insegnante del *Vorkurs*, già tenuto da Itten -- prima dell'emigrazione
|
||
negli Stati Uniti, quindi direttore del Black Mountain College in North Carolina
|
||
e del dipartimento di Design alla Yale University) il gruppo sviluppa un
|
||
approccio al progetto architettonico tendente a marginalizzare i problemi
|
||
concreti come il programma, la funzione o gli aspetti costruttivi,
|
||
focalizzandosi invece su principî visuali e su un'architettura intesa come
|
||
disciplina autonoma. È in questo contesto che Hejduk esplora le possibilità
|
||
insite nella *nine-square grid*, la griglia di nove quadrati come matrice per
|
||
infinite variazioni compositive. Su questi esercizi si basano le sette "Texas
|
||
Houses", elaborate tra il 1954 il 1963[^v37]. Dopo diverse esperienze lavorative
|
||
presso studi di qualificati professionisti quali I. M. Pei and Partners, nel
|
||
1965 Hejduk apre un proprio studio di architettura a New York. Nei progetti che
|
||
produce a cavallo di questi anni -- serie Diamond (1963-67), serie 1/4, 1/2, 3/4
|
||
(1968-74), Wall Houses (1971-73)[^v38] --, il tema insistentemente affrontato è
|
||
quello della casa: tema che tuttavia, contrariamente a quanto non accada di
|
||
norma, esclude dal proprio orizzonte qualsiasi ipotesi di fattibilità. Facendo
|
||
ricorso a diverse "strategie" compositive (rotazioni, concentrazioni,
|
||
dimezzamenti, prolungamenti), Hejduk pone sul cammino del progetto differenti
|
||
generi d'impedimenti, tali da mantenere quanto più lontano possibile da esso lo
|
||
"spettro" della costruibilità. Si tratta con tutta evidenza di un'architettura
|
||
preoccupata di rispondere a requisiti puramente teorici. Ma una "teoria" che ha
|
||
ben poco di positivo da dimostrare. Al di là di elementari figure geometriche e
|
||
di forme puriste di esplicita discendenza lecorbusieriana, questi progetti di
|
||
case o di altri tipi di spazi non contengono altro che l'esatto contrario di
|
||
quanto comunemente si potrebbe ritenere comodo, agevole, funzionale. In questo
|
||
senso va inteso, ad esempio, il lunghissimo corridoio che collega-e-divide le
|
||
stanze poste alle due estremità della 3/4 House; o che si "tende" all'infinito
|
||
nella Gunn House; o ancora, che fa da "spina" centrale nella Extension House:
|
||
vere e proprie "barriere" architettoniche che s'interpongono beffardamente
|
||
all'usabilità della casa; la quale, in tal modo, più che un rifugio, appare un
|
||
luogo di pena. Ed effetti analoghi si lasciano riscontrare nei progetti della
|
||
serie Diamond (Diamond House A, Diamond House B, Diamond Museum C), dove lo
|
||
spazio quadrato è recintato e scandito internamente da pareti ortogonali o da
|
||
forme curvilinee "libere" soltanto di rendere possibile la circolazione dentro
|
||
quella che si rivela essere a tutti gli effetti una prigione.
|
||
|
||
Ha certamente ragione Manfredo Tafuri nel ritenere John Hejduk "il più empirico
|
||
e il meno intellettualistico"[^v39] dei componenti del gruppo dei New York Five,
|
||
al quale aderisce in occasione dell'incontro organizzato da Kenneth Frampton
|
||
nell'ambito della Conference of Architects for the Study of Environment,
|
||
svoltosi al MoMA nel 1969[^v40]. E tuttavia, tale empirismo dei suoi progetti
|
||
teorici non si lascerebbe definire meglio che come un tentativo di minare alle
|
||
basi idee e consuetudini che vogliono l'architettura (e in particolar modo
|
||
quella della casa) come qualcosa di lontano dalle insidie delle vuote
|
||
speculazioni, tutta assorbita dallo svolgimento di compiti utili, e la cui
|
||
perfetta integrazione alle regole del mercato è garantita dal sistema stesso che
|
||
la detiene e controlla. In forma essenziale, quasi elementare, i progetti
|
||
impossibili di Hejduk sembrano costituire un'opposizione a tale sistema;
|
||
un'opposizione niente affatto aggressiva, bensì condotta con le "armi" di una
|
||
serissima ironia e di un poetico candore. Né d'altronde risulta inverosimile,
|
||
nell'ottica della seconda metà degli anni sessanta, ribellarsi alle logiche del
|
||
professionismo spersonalizzato dei grandi studi americani, dominati -- più che
|
||
dagli *architects* -- dai *builders*, occupati perlopiù in stanche repliche
|
||
degli stilemi dell'*International Style*. E farlo doveva essere tanto più
|
||
significativo dalla particolare prospettiva newyorkese.
|
||
|
||
Allorché Hejduk nel 1965 apre uno studio di architettura e inizia a produrre i
|
||
propri progetti lo fa non già per integrarsi a tale sistema, bensì piuttosto per
|
||
sottrarsi a esso. E anche in seguito -- con rare eccezioni rappresentate dai
|
||
pochi progetti realizzati, tutti accomunati da un gusto per la giocosità e da
|
||
un'irriverente irrisione nei confronti del "buon senso" (dai surreali interventi
|
||
effettuati all'interno della Cooper Union School, a New York, alla "macchina
|
||
celibe" dello Studio for a Musician, fino agli stranianti edifici costruiti a
|
||
Berlino nell'ambito dell'Internationale Bauausstellung 1987)[^v41] -- egli
|
||
persisterà nella sua volontaria "astensione" dalla realtà e in una ricerca del
|
||
senso dell'architettura al di là della sua costruzione, spostando
|
||
preferenzialmente la propria attenzione sul terreno del disegno e della poesia.
|
||
Rompendo i limiti dell'oggettività e fissità tradizionali, gli edifici diventano
|
||
cosí personaggi, oggetti-soggetti protagonisti di un "viaggio" che da Venezia li
|
||
porta via via a Praga, Berlino, Riga, Vladivostok[^v42]. Negli espressivi e
|
||
infantili disegni che compongono i libri-avventure di Hejduk rivivono lo spirito
|
||
surrealista e situazionista, ma soprattutto si agita uno spirito che nel rifiuto
|
||
della dimensione costruttiva-costrittiva dell'architettura non identifica la sua
|
||
negazione, quanto piuttosto vede la sua libertà dal reale come un valore.
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||
|
||
Sulla medesima lunghezza d'onda dell'"esposizione lucida e perversa
|
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dell'inutilità del gioco intrapreso"[^v43] dai progetti di Hejduk si pongono le
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||
speculazioni sull'architettura elaborate da Peter Eisenman. Il loro carattere è
|
||
molto più intellettuale; la loro volontà dimostrativa molto più stringente, e
|
||
tuttavia non dissimili sono il contesto in cui questi si muove e gli obiettivi
|
||
che lo animano. In particolar modo nel noto ciclo delle Houses I-X, progettate e
|
||
in parte realizzate tra il 1967 e il 1976, il tema centrale è quello delle
|
||
variazioni compiute su operazioni compositive ed elementi semplici e lineari, ma
|
||
via via resi sempre più complessi nelle loro relazioni: una sorta di *ars
|
||
combinatoria*, o di "grammatica trasformazionale" *à la* Chomsky, alla quale
|
||
peraltro Eisenman si rifà esplicitamente. Come già nel caso dei progetti di
|
||
Hejduk, anche qui l'architettura vive una vita propria staccata dalla realtà:
|
||
essa *parla di se stessa*, del proprio sistema di segni privati di senso,
|
||
autoreferenziali, tautologici. Ma appunto, nell'affermare il linguaggio come
|
||
perfettamente fine a se stesso, si sancisce la separazione della forma
|
||
architettonica dalla dimensione esperienziale. Scrive Eisenman a proposito della
|
||
House III (1969-71), realizzata a Lakeville (Connecticut):
|
||
|
||
> Quando entra nella "propria casa", il proprietario è un intruso che tenta di
|
||
> prenderne possesso e, di conseguenza, distrugge, seppur in senso positivo,
|
||
> l'unità e la completezza iniziale della struttura architettonica[^v44].
|
||
|
||
E Tafuri:
|
||
|
||
> La spietata operazione di Eisenman consiste nel riconoscere che non si dà
|
||
> lingua architettonica se non al di fuori della prassi, che il laboratorio
|
||
> sintattico evocato da oggetti perfettamente circoscritti nel colloquio dei
|
||
> segni fra loro *non ammette intrusi*[^v45].
|
||
|
||
"Al di fuori della prassi": ancora una volta si ripresenta la non accettazione
|
||
dell'architettura come semplice "cosa pratica", come mera *machine à
|
||
fonctionner*. Ma ciò a cui s'oppone Eisenman, a ben guardare, è qualcosa di più
|
||
che il funzionamento o l'uso dell'architettura: piuttosto è il destino di
|
||
superfluità, di "inoperatività" che ai suoi occhi l'architettura finisce per
|
||
assumere nell'epoca del capitalismo maturo. Ridotta a oggetto solo-funzionale,
|
||
essa rischia di diventare paradossalmente un oggetto inutile. Di tale inutilità
|
||
-- o per meglio dire, di tale *intransitività* -- le stesse case di Eisenman, da
|
||
lui stesso battezzate *Cardboard Architecture* (architettura di cartone)[^v46],
|
||
sono la pur esile prova. Nella House VI, ad esempio, realizzata con il nome di
|
||
House Frank a Cornwall (Connecticut, 1972-75), l'incrocio di piani verticali
|
||
perpendicolari tra loro produce una costruzione gremita di contraddizioni
|
||
spaziali: passaggi interdetti, collegamenti imprevisti, scale che finiscono nel
|
||
nulla. Le aporie dello spazio, concepite come parti inerenti al sistema, ridanno
|
||
alla casa un imprevisto interesse "autonomo": la casa diviene interessante *in
|
||
sé*, non in quanto capace di essere comoda o funzionale, o per il suo valore di
|
||
mercato.
|
||
|
||
Applicata al corpo concreto dell'architettura, tuttavia, la teoria eisenmaniana
|
||
dello "svuotamento di senso dei segni" si espone a possibili "cadute"; o
|
||
quantomeno, in certi casi risulta essere un piano pericolosamente inclinato,
|
||
come lo sono le pareti della House X (1975), l'ultima della serie: una casa
|
||
concepita come un'assonometria tridimensionale, in cui la realtà è virtualmente
|
||
"piegata" alla sua rappresentazione e nella quale di conseguenza vivere sarebbe
|
||
letteralmente impossibile (e infatti non verrà realizzata). O come lo sono --
|
||
ancora di più -- alcune sue opere degli anni ottanta e novanta (Uffici della
|
||
Koizumi Sangyo Corporation, Tokyo, 1988-90; Aronoff Center for Design and Art,
|
||
Cincinnati, 1988-96; Sede centrale della Nunotani Corporation, Tokyo, 1990-92,
|
||
tutte realizzate), in cui singoli elementi e interi volumi si presentano storti
|
||
al punto da mettere quasi a repentaglio il loro stesso utilizzo. È proprio qui
|
||
che l'incursione della teoria all'interno dei territori della realtà mostra la
|
||
sua debolezza. Fuori dalla zona di costitutiva ambiguità tra astrazione e realtà
|
||
in cui vivevano i suoi primi progetti di case concettuali, le quali --
|
||
nonostante gli sporadici affondi nella materia -- rimangono comunque "fantasmi
|
||
virtuali", corpi disincarnati fino ai limiti del possibile, le architetture
|
||
successive di Eisenman riescono al più a mettere in scena una parodia del
|
||
conflitto; la loro "decostruzione" del mondo è soltanto una maschera destinata a
|
||
fornire a quel mondo l'ennesima copertura (*intellettuale*) con cui perpetuarsi,
|
||
non certo la spia dell'aprirsi al suo interno di "crepe". Dietro la rottura
|
||
dell'ordine non vi è la minaccia di alcun dissidio con il mondo bensì -- neanche
|
||
troppo paradossalmente -- l'annuncio della nascita di una "nuova alleanza" con
|
||
esso, come dimostra tra l'altro il consenso ricevuto dagli edifici sopra citati
|
||
e da altri loro consimili da parte di diverse *corporations*. E lo stesso si può
|
||
dire dell'"architettura non classica", "rappresentazione di se stessa, dei
|
||
propri valori e della sua esperienza interna"[^v47], che Eisenman teorizza e
|
||
contestualmente realizza in quegli stessi anni; un'architettura auto-generata a
|
||
partire da presupposti totalmente arbitrari, e che tuttavia -- unici --
|
||
garantirebbero a suo avviso una completa autonomia dalle tre *fictions*
|
||
(rappresentazione, ragione, storia) sotto il cui giogo essa sarebbe rimasta dal
|
||
Rinascimento fin quasi alla fine del XX secolo. Ma dare vita a "un'*architettura
|
||
come discorso indipendente*, libero da valori esterni"[^v48], esattamente come
|
||
elevare l'arbitrarietà a nuovo fondamento, si dimostreranno possibilità tanto
|
||
seducenti quanto in fin dei conti illusorie.
|
||
|
||
Al di là comunque di tutte le possibili fughe nel "mondo dei sogni" della teoria
|
||
e del progetto (e persino di quegli oggetti che -- pur materiali e
|
||
tridimensionali -- si lasciano agevolmente inquadrare in una cornice di
|
||
irrealtà, com'è il caso di quelli di Eisenman), a un'architettura che pretenda
|
||
di posizionarsi in maniera effettivamente diversa rispetto alle logiche e
|
||
all'universo valoriale dominanti si richiederà di confrontarsi con questi in
|
||
modo più stringente, più sostanziale. Per spingersi oltre le facili apparenze di
|
||
libertà o di insubordinazione, insomma, o meglio ancora, per evitare di
|
||
accontentarsi di una semplice "*dis*simulazione" della libertà dai valori, è
|
||
necessario trovare qualcosa -- e qualcuno -- che sia in grado di confrontarsi
|
||
sul serio con la realtà. Con la ben precisa coscienza che, nel compiere questo
|
||
passaggio, architettura e architetto si trovano a dover affrontare
|
||
"appesantimenti" di vario genere assai più gravosi, quali ad esempio il rispetto
|
||
delle leggi fisiche, dei regolamenti edilizi e di tutti gli altri vincoli --
|
||
espliciti o sottintesi -- che appartengono al mondo reale.
|
||
|
||
Non sono numerosi -- stanti queste premesse -- i casi in cui un edificio e il
|
||
suo architetto possano dirsi davvero capaci di rompere norme e convenzioni,
|
||
*non* sul versante formale quanto piuttosto su quello delle regole comunemente
|
||
diffuse e accettate, mostrando cosí di saperle modificare dall'interno. Tra
|
||
queste rare eccezioni, vi è senza alcun dubbio John N. Habraken, architetto
|
||
olandese che ha dedicato la sua intera carriera a una riconsiderazione integrale
|
||
del ruolo rivestito da sé o da altri all'interno del processo di produzione
|
||
edilizia, e conseguentemente a una modificazione dello stesso processo. Nel 1961
|
||
pubblica un libro, *De dragers en de mensen, het einde van de massawoningbouw*
|
||
(tradotto in inglese nel 1972 con il titolo *Supports: An Alternative to Mass
|
||
Housing*)[^v49], che susciterà l'interesse dell'ambiente accademico e
|
||
professionale olandese. In stretta connessione con ciò, nel 1964 viene fondato
|
||
lo Stichting Architecten Research (SAR), un'organizzazione per la ricerca nel
|
||
settore della residenza, finanziata da un gruppo di architetti olandesi e
|
||
diretta dallo stesso Habraken. Pur senza impegnarsi nella diretta redazione di
|
||
progetti, il SAR ha fornito la propria consulenza ad altri architetti,
|
||
amministrazioni pubbliche ed enti olandesi per coadiuvarne la sperimentazione
|
||
progettuale nel campo dell'edilizia residenziale. L'idea elaborata da Habraken
|
||
si basa sulla distinzione, all'interno dei nuclei abitativi, tra elementi
|
||
stabili, sia per la loro funzione che per il loro contenuto tecnico, denominati
|
||
"supporti" (*supports*), ed elementi variabili, il cui utilizzo è più soggettivo
|
||
e mutevole nel tempo, denominati "unità staccabili" (*infills*). Rispetto alle
|
||
"tradizioni" precedenti (compresa quella moderna) si istituisce cosí una prima
|
||
differenza: se infatti i supporti devono essere messi in opera in cantiere, le
|
||
unità staccabili sono prodotte dall'industria. Ma la distinzione riguarda anche
|
||
i soggetti coinvolti nel processo di definizione di ciascun nucleo residenziale:
|
||
se per i *supports* è ancora indispensabile la presenza delle figure che di
|
||
norma presiedono al processo costruttivo (architetto, ingegnere), i "detentori
|
||
del potere" sulle *infills* sono invece gli utenti. Ed è a partire da qui che
|
||
Habraken svilupperà, negli anni seguenti, un discorso relativo alla relazione
|
||
esistente tra chi esercita il potere all'interno del processo progettuale e la
|
||
forma che questo assume. Cosí, come in tutti gli altri casi,
|
||
|
||
> ... anche nell'edilizia di massa la morfologia esprime i valori di chi assume
|
||
> le decisioni: in questo caso l'élite intellettuale, professionale, che
|
||
> stabilisce i giudizi di valore e ne risponde soltanto nei confronti del suo
|
||
> stesso gruppo sociale. Il dibattito sulla qualità -- su ciò che è valido o
|
||
> meno, su ciò che si deve o non si deve fare -- si svolge soltanto tra i
|
||
> professionisti. Le regole vengono fissate dagli stessi che le mettono in
|
||
> pratica. L'architetto che sostiene una nuova forma non si preoccupa di
|
||
> mettersi in contatto con i futuri utenti ma solo con le autorità. Le autorità
|
||
> ascoltano solo i professionisti e gli esperti. I risultati vengono poi
|
||
> confrontati sul piano internazionale attraverso riviste, congressi, mostre,
|
||
> visite: il dialogo tra professionisti continua[^v50],
|
||
|
||
tralasciando del tutto coloro che -- in quanto direttamente implicati --
|
||
avrebbero al contrario il diritto di prendervi parte.
|
||
|
||
Pur essendo uno dei massimi sostenitori di un reale coinvolgimento, ovvero di
|
||
una "partecipazione", di tali soggetti, Habraken è anche molto chiaro e
|
||
realistico in merito: "Una partecipazione reale (...) può essere basata soltanto
|
||
su un rapporto di potere. (...) Chiedere partecipazione significa che non si ha
|
||
potere nell'ambito della controparte". Il processo di partecipazione, pertanto,
|
||
|
||
> ... può funzionare soltanto se il rapporto si sviluppa tra due poteri che in
|
||
> qualche modo si equilibrano -- tra due poteri che operano in una diversa
|
||
> direzione e devono trovare un equilibrio. È necessario che nel processo
|
||
> entrambi i poteri siano identificabili e riconosciuti. (...) Finché questo
|
||
> equilibrio non esiste, i cosiddetti processi partecipatori sono soltanto
|
||
> un'espressione del problema, non la sua soluzione[^v51].
|
||
|
||
È muovendo da questi presupposti che si può assumere nel suo significato
|
||
effettivo il "caso" del Villaggio Matteotti di Terni (1969-75), il cui
|
||
"artefice" è Giancarlo De Carlo: un intervento giustamente celebre, non solo per
|
||
i suoi esiti, che ne fanno un "frammento" di architettura di grande qualità del
|
||
secondo dopoguerra, nonché un complesso fortemente identitario e unitario
|
||
(nonostante la mancata realizzazione della parte destinata ai servizi pubblici),
|
||
ma soprattutto per la ragione che -- tra i primi e i pochi casi in Italia -- il
|
||
Villaggio ha visto appunto la partecipazione degli utenti al processo di
|
||
progettazione.
|
||
|
||
In realtà, quella della partecipazione, pur rivestendo un ruolo importante, è
|
||
soltanto una delle condizioni poste da De Carlo al committente -- le Acciaierie
|
||
di Terni -- per accettare l'incarico che gli era stato offerto. E qui è
|
||
interessante notare come la posizione di De Carlo nei confronti della sua
|
||
"controparte" sia abissalmente distante da quella assunta dalla maggior parte
|
||
dei colleghi suoi contemporanei, e ancora di più dalla pressoché totalità degli
|
||
architetti del giorno d'oggi. Per comprendere quale sia con esattezza la
|
||
posizione di De Carlo basta leggere il testo scritto da lui stesso che
|
||
ripercorre con precisione la vicenda di Terni[^v52]. Durante il fascismo,
|
||
all'estrema periferia sud-orientale di Terni, era stato realizzato un quartiere
|
||
operaio per i dipendenti delle Acciaierie. La situazione di degrado del
|
||
quartiere, l'assenza di servizi e la programmatica carenza di collegamenti con
|
||
la città suggeriscono alla direzione delle Acciaierie di intervenire in qualche
|
||
modo:
|
||
|
||
> La direzione propendeva per vendere le case ai loro abitanti e togliersi una
|
||
> volta per tutte il peso di dovere intervenire con forti spese di manutenzione
|
||
> o, peggio, di risanamento. I consigli di fabbrica invece sostenevano l'ipotesi
|
||
> di radere al suolo tutto e ricostruire sulla stessa area il volume di
|
||
> residenza che era consentito dal piano regolatore. Dopo lunghe discussioni,
|
||
> visto che non si trovava uno sbocco tra le due inconciliabili alternative, la
|
||
> direzione decideva di girare il problema a un architetto, e cioè a qualcuno
|
||
> che fosse in grado di risolverlo in termini puramente tecnici, e perciò
|
||
> inequivocabili[^v53].
|
||
|
||
In quest'ultimo passaggio va sottolineata l'ingenua -- o piuttosto la ben
|
||
calcolata -- identificazione della figura dell'architetto con quella del
|
||
"tecnico": dove con questo termine la direzione delle Acciaierie intendeva
|
||
evidentemente alludere a qualcuno in grado di svolgere una funzione -- e di
|
||
fornire una prestazione -- oggettiva, misurabile, "scientifica"; perfetta
|
||
incarnazione, secondo le attese della committenza, del "rifornitore" del
|
||
sistema. E invece, l'architetto prescelto disattenderà tale aspettativa:
|
||
|
||
> Ma l'architetto -- che poi ero io -- si rendeva subito conto che se avesse
|
||
> tagliato il nodo, invece di tentare di scioglierlo, si sarebbe trovato a
|
||
> svolgere un ruolo equivoco al servizio di un potere che non gli piaceva.
|
||
|
||
De Carlo mette a punto cinque diverse ipotesi di intervento: dal risanamento
|
||
integrale del vecchio villaggio, senza variare la sua configurazione originale
|
||
ma dotandolo dei servizi collettivi necessari e ristrutturando integralmente gli
|
||
edifici residenziali, alla sostituzione del tessuto edilizio originale con un
|
||
sistema di edifici a torri uguali a quello già utilizzato in un altro intervento
|
||
dalle Acciaierie di Terni; dall'utilizzo di un sistema di edifici in linea
|
||
analogo a quelli utilizzati dagli istituti di case popolari in giro per l'Italia
|
||
in quegli anni, all'adozione di due possibili sistemi di edifici costituiti da
|
||
tre piastre sovrapposte all'interno delle quali sono previste sequenze di
|
||
edifici lineari includenti la residenza, i servizi di diretta pertinenza
|
||
dell'abitazione e i canali del movimento pedonale. "Ciascuna delle cinque
|
||
alternative era corredata dalla descrizione dei vantaggi e degli svantaggi che
|
||
comportava, in relazione ai diversi punti di vista che era possibile
|
||
considerare". Ma soprattutto:
|
||
|
||
> Le cinque alternative venivano consegnate e accompagnate da una nota nella
|
||
> quale si diceva che l'architetto sarebbe stato interessato a elaborare il
|
||
> progetto, e quindi ad assumere l'incarico, soltanto se la scelta fosse caduta
|
||
> sulla quarta o la quinta soluzione: le prime tre le Acciaierie avrebbero
|
||
> potuto attuarle in proprio o rivolgendosi ad altri che si sentissero di
|
||
> condividerle[^v54].
|
||
|
||
Lungi dal mettersi completamente "al servizio" del suo committente, del tutto
|
||
prono di fronte alle richieste di questi, come suo puro "rifornitore", De Carlo
|
||
pone le condizioni in base alle quali è disponibile a farsi carico del progetto.
|
||
E non si tratta affatto di richieste di ordine economico. Piuttosto, quelle alle
|
||
quali egli mira sono le condizioni che ritiene migliori *per il progetto*, e di
|
||
conseguenza migliori per chi dovrà usufruirne. Il concetto -- e la pratica --
|
||
della "partecipazione" discendono precisamente da questi presupposti.
|
||
Nell'ottica di quest'ultima, "il compito del progettista non è più di sfornare
|
||
soluzioni finite e inalterabili, ma di estrarre le soluzioni da un confronto
|
||
continuo con chi utilizzerà la sua opera"[^v55]. Un *processo*, non più
|
||
semplicemente un progetto[^v56].
|
||
|
||
Ma la questione della partecipazione apre anche ulteriori prospettive che De
|
||
Carlo sviluppa solo parzialmente. Ad esempio quella relativa alla "gestione del
|
||
potere" intimamente connesso all'architettura.
|
||
|
||
Scrive De Carlo:
|
||
|
||
> Si ha la partecipazione quando tutti intervengono in egual misura nella
|
||
> gestione del potere, oppure -- forse cosí è più chiaro -- quando non esiste
|
||
> più il potere perché tutti sono direttamente ed egualmente coinvolti nel
|
||
> processo delle decisioni[^v57].
|
||
|
||
L'idea di De Carlo, sulla scia delle tendenze del comunismo anarchico verso cui
|
||
era orientato[^v58], è quella di una sorta di "dissoluzione del potere"
|
||
attraverso la sua condivisione. In realtà, ciò che qui egli sembra soprattutto
|
||
voler mettere in discussione fino alle sue radici è il ruolo dell'architetto:
|
||
"La prospettiva che mi sembra molto interessante è quella di sottrarre
|
||
l'architettura agli architetti per restituirla alla gente che la usa"[^v59]. È
|
||
l'architetto che può e che *deve* compiere -- ai suoi occhi -- un atto di
|
||
rinuncia nei confronti della propria stessa natura di *autore* (della propria
|
||
*auctoritas*, dunque), per far divenire il progetto davvero utilizzabile dai
|
||
suoi fruitori.
|
||
|
||
Ma se l'architetto può arrivare a compiere questa rinuncia, rendendo
|
||
l'architettura, attraverso la partecipazione, "sempre meno la rappresentazione
|
||
di chi la progetta e sempre più la rappresentazione di chi la usa"[^v60], ciò può
|
||
avvenire soltanto a patto che l'architetto stesso abbia compiuto un'altra
|
||
"liberazione", esattamente simmetrica alla prima, nei confronti della
|
||
committenza. È infatti evidente come a quest'ultima non possa essere
|
||
forzatamente richiesto di essere sensibile alle esigenze dell'utenza, né imposto
|
||
un ascolto attento di essa. Quando ciò si verifica, va ritenuta più una
|
||
fortunata eccezione che non un'indefettibile regola. Se l'esperienza descritta
|
||
da De Carlo testimonia di una sia pur cauta apertura da parte del committente
|
||
alle richieste dell'architetto, attesta altresí in maniera inequivocabile
|
||
l'*autonomia* dell'architetto nei confronti della sua "controparte". Nel saper
|
||
rifiutare (o quantomeno riformulare) il proprio ruolo di "tecnico", De Carlo
|
||
reimposta il rapporto con la committenza in termini *politici*. E come in tutte
|
||
le questioni di carattere politico, l'efficacia o meno di una data azione si
|
||
misura sulla base della capacità di persuadere (o di lasciarsi persuadere) dei
|
||
suoi "attori", ovvero sulla base dei rapporti di forza esistenti tra loro. Non
|
||
deve stupire, in tal senso, che De Carlo non sia riuscito a vincere per intero
|
||
la propria battaglia, e anzi sia stato costretto a incassare diverse sconfitte.
|
||
Soltanto la sua presa di distanza dalle pretese della committenza, comunque,
|
||
ovverosia la sua manifesta indipendenza da esse, ha reso possibile il Villaggio
|
||
Matteotti nelle forme e nei modi attuali: un intreccio strettissimo di spazi
|
||
residenziali, spazi comuni e spazi aperti; quasi un labirinto tridimensionale, o
|
||
una *casbah* moderna, in cui cemento armato e natura, anziché essere posti in
|
||
alternativa o in antitesi, convivono in una relazione dialettica, in condizione
|
||
di confrontarsi e di fondersi. Ma soprattutto, un insediamento *umano* prima
|
||
ancora che urbano, una *comunità organica* dove gli abitanti ritrovano una
|
||
centralità che altrove, nell'epoca contemporanea, appare ormai inesorabilmente
|
||
perduta.
|
||
|
||
Pur non essendo frequenti, le "lotte" dell'architetto per ottenere condizioni
|
||
migliori non sono tanto rare da potersi dire inesistenti. Anche se spesso non
|
||
giungono alla notorietà del caso appena citato, consumandosi senza troppi
|
||
clamori, nell'"anonimato" del rapporto tra committente e architetto, queste
|
||
"lotte" hanno come obiettivo di ridefinire, almeno provvisoriamente e
|
||
localmente, le modalità con cui viene prodotta l'architettura, dal progetto
|
||
preliminare all'edificio finito. Si potrebbe ritenere che oggetto di simili
|
||
"rivendicazioni" sia immancabilmente la richiesta di miglioramenti del
|
||
trattamento economico da parte dell'architetto. In realtà, pur non escludendo
|
||
certo questa possibilità, in moltissimi casi l'architetto si batte pure per un
|
||
innalzamento della qualità del progetto, oppure -- ciò che non è poi tanto
|
||
diverso -- per un allungamento dei tempi della sua esecuzione, con un
|
||
conseguente beneficio nelle condizioni di lavoro e un aumento dell'accuratezza
|
||
nella sua attuazione.
|
||
|
||
Qualunque sia l'oggetto e il tenore di tali trattative (o -- in certi casi --
|
||
bracci di ferro), l'elemento costante è che da esse rimangono esclusi gli utenti
|
||
dell'edificio in questione, futuri proprietari o locatari che siano. Anche
|
||
quando -- assai raramente -- è prevista una loro compartecipazione alla
|
||
definizione del progetto (come nel caso appena citato, ad esempio), i
|
||
destinatari dell'architettura hanno scarsa o nessuna voce in capitolo,
|
||
soprattutto in merito agli aspetti economici relativi al "bene" a cui intendono
|
||
accedere. È proprio quello dell'accessibilità al "bene"-architettura (nella gran
|
||
parte dei casi, la residenza) il problema con cui in ogni parte del mondo è
|
||
costretta a confrontarsi un'enorme quantità di persone. Non c'è bisogno di
|
||
rileggere i "classici" testi di Friedrich Engels[^v61] per sapere quali siano i
|
||
problemi che le classi economicamente più disagiate -- ancora oggi -- devono
|
||
fronteggiare per potersi "permettere" la "propria" abitazione: un'abitazione il
|
||
cui costo -- si tratti di affitto o di proprietà -- è spesso fonte di
|
||
indebitamento. Senza dimenticare che il crollo finanziario del 2008, cui è
|
||
seguito un lungo periodo di crisi economica, è stato causato dall'esplosione
|
||
della "bolla" dei mutui *subprime*, concessi a persone dall'insufficiente
|
||
capacità di assolvere a essi.
|
||
|
||
È per questa ragione che un ulteriore modo di essere fattivamente "dentro e
|
||
contro" le regole imposte dal mercato -- ma anche "dentro e contro" le
|
||
condizioni che, in molti paesi del mondo, portano alla "falsa alternativa" della
|
||
realizzazione di insediamenti spontanei, "informali" -- è rappresentato dalla
|
||
strategia attivata da Alejandro Aravena attraverso il programma Elemental.
|
||
Avviato nel 2001 in Cile, suo paese natale, insieme all'ingegner Andrés
|
||
Iacobelli e all'architetto Pablo Allard, anch'essi cileni, incontrati alla
|
||
Harvard University, tale programma utilizza il sussidio statale a fondo perduto
|
||
di 7500 dollari americani, concesso alle fasce più povere della popolazione dal
|
||
programma Vivienda Social Dinámica sin Deuda (Edilizia sociale dinamica senza
|
||
debito) del ministero per la Casa e l'Urbanistica cileno, per realizzare una
|
||
casa migliore -- in termini dimensionali e qualitativi -- di quanto non sia
|
||
quella normalmente assegnata dallo Stato con i medesimi fondi. La somma
|
||
stanziata doveva essere in grado di coprire i costi del terreno, nonché quelli
|
||
della progettazione e della costruzione di ogni singola unità abitativa.
|
||
|
||
L'approfondita ricerca compiuta da Aravena e da un team di altri architetti ed
|
||
esperti in diverse materie porta all'individuazione dei requisiti indispensabili
|
||
per rendere l'abitazione sociale un investimento e non una semplice spesa per la
|
||
collettività:
|
||
|
||
> Tutti noi, quando compriamo una casa, ci aspettiamo che incrementi il suo
|
||
> valore. Questa è la ragione per cui una casa, quasi per definizione, è un
|
||
> investimento. Sfortunatamente, non è quel che succede con l'edilizia sociale.
|
||
> L'edilizia sociale è più simile all'acquisto di un'automobile che a quello di
|
||
> una casa: ogni giorno che passa, il suo valore diminuisce[^v62].
|
||
|
||
Perché ciò possa avvenire, la stessa abitazione deve diventare uno strumento per
|
||
il superamento della povertà, e non un semplice riparo dall'ambiente
|
||
circostante. Per Elemental i requisiti fondamentali sono il posizionamento non
|
||
troppo lontano dal centro delle aree sulle quali far sorgere i nuovi
|
||
insediamenti, per evitare che si creino disagi nel raggiungimento del posto di
|
||
lavoro e della scuola da parte degli abitanti; la possibilità che le unità
|
||
abitative si espandano rispetto ai 36 m^v2^ iniziali, fino a un massimo di 72
|
||
m^v2^ totali; la possibilità che questa seconda metà della casa venga realizzata
|
||
dagli stessi abitanti con tecniche di autocostruzione a costi molto bassi; la
|
||
partecipazione dei medesimi utenti alle scelte progettuali, e in generale il
|
||
loro consenso alle operazioni compiute. Al proposito scrivono gli autori del
|
||
programma:
|
||
|
||
> Come nel judo, intendevamo prendere la forza del nostro avversario -- in
|
||
> questo caso la scarsità di mezzi -- e usarla a nostro vantaggio, ridirigendola
|
||
> verso gli obiettivi del nostro progetto. Nello specifico ci siamo concentrati
|
||
> sulle costituzionali capacità organizzative delle famiglie[^v63].
|
||
|
||
Il primo, storico intervento realizzato da Elemental, terminato nel 2004, si
|
||
colloca a Iquique, città situata nel nord del Cile, in una zona desertica del
|
||
paese. Assegnato dal programma ministeriale Chile Barrio, il sito, denominato
|
||
"Quinta Monroy", è collocato in una parte centrale della città, e nei trent'anni
|
||
precedenti l'intervento era stato occupato da un centinaio di famiglie che vi
|
||
avevano costruito delle residenze informali. Il problema tuttavia non si
|
||
presenta di facile risoluzione:
|
||
|
||
> Se per rispondere alla richiesta avessimo assunto 1 casa = 1 famiglia = 1
|
||
> lotto, saremmo stati in grado di ospitare solo 30 famiglie sul sito. (...) Se
|
||
> per cercare di usare il terreno in modo più efficiente, avessimo impiegato
|
||
> delle case a schiera, anche riducendo la larghezza del lotto fino a farlo
|
||
> coincidere con la larghezza della casa, e ancora di più, con la larghezza di
|
||
> una stanza, saremmo stati in grado di ospitare solo 60 famiglie[^v64].
|
||
|
||
La soluzione trovata -- basata sull'idea di corpi edilizi disposti su tre
|
||
livelli alternati a spazi vuoti utilizzabili per le possibili espansioni,
|
||
consente di alloggiare tutte le 93 famiglie e al tempo stesso di effettuare gli
|
||
ampliamenti delle unità abitative.
|
||
|
||
Da un punto di vista architettonico, le case Elemental (replicate in seguito in
|
||
diverse altre località in America Latina, anche al di fuori del Cile, per un
|
||
totale di qualche migliaio di unità abitative realizzate), in perfetto accordo
|
||
con il loro nome, presentano caratteristiche elementari, essenziali:
|
||
parallelepipedi in pannelli di cemento prefabbricati all'interno dei quali i
|
||
progettisti si limitano a disporre le componenti più complesse, che una famiglia
|
||
raramente è in grado di costruire da sola: solai, muri divisori, scale,
|
||
impianti, bagni e cucine. Il resto viene lasciato all'iniziativa degli abitanti,
|
||
monitorata però per evitare possibili abusi o situazioni di insicurezza. Dal
|
||
2006, inoltre, con la creazione di un "Do Tank", la Elemental SA, la
|
||
prosecuzione del programma è stata resa possibile grazie al supporto della
|
||
Pontificia Universidad Catolica de Chile di Santiago (presso la quale lo stesso
|
||
Aravena insegna), e della Empresas Copec, una società petrolifera cilena che
|
||
estende i propri interessi anche ai settori dell'energia, della pesca, della
|
||
silvicoltura e del *real estate*.
|
||
|
||
Senza bisogno di dettagliare ulteriormente un caso di per sé già molto noto,
|
||
vale la pena soffermarsi piuttosto su che cosa rende esemplare Elemental dal
|
||
punto di vista della capacità di confrontarsi con un problema reale senza
|
||
rimanere impigliati nei suoi meccanismi. Innanzitutto il programma Elemental non
|
||
è concepito con l'obiettivo di conseguire riconoscimenti per coloro che se ne
|
||
sono occupati, o risultati in qualche modo comparabili con quelli che fanno
|
||
bella mostra di sé nelle monografie o nei siti dedicati ad altri architetti.
|
||
L'obiettivo di Elemental è rendere economicamente sostenibile l'acquisizione di
|
||
una casa per una tipologia di abitanti che nelle condizioni normali sono invece
|
||
obbligati a sottostare, alternativamente, al "capestro" della contrazione di un
|
||
mutuo per diventare proprietari di casa, o anche semplici affittuari (entrambe
|
||
condizioni spesso inarrivabili per costoro), oppure al "capestro" di accettare
|
||
la "logica" degli insediamenti "informali" (leggi *villas miseria*, *poblaciónes
|
||
callampas* o *favelas*, a seconda delle lingue e dei luoghi), con tutti i
|
||
problemi che questo comporta. Non meno rilevante è il benessere sociale degli
|
||
abitanti, che implica l'inserimento delle case in contesti accettabili in
|
||
termini di collocazione urbana e di sicurezza, e la creazione di spazi
|
||
collettivi. Ma altrettanto prioritaria, per Elemental, è la qualità del
|
||
progetto, strenuamente difesa non come un valore in sé (e per sé), bensì come
|
||
condizione indispensabile all'ottenimento degli altri obiettivi.
|
||
|
||
Per raggiungere tutto ciò Aravena e i suoi soci e collaboratori si servono di
|
||
tutte le forze a disposizione, deboli o potenti che siano: da quelle degli
|
||
abitanti, interpellati sulle scelte progettuali e resi partecipi attraverso
|
||
iniziative comunitarie, fino a quelle di un soggetto potenzialmente "ostile"
|
||
quale potrebbe essere considerato una compagnia petrolifera. Senza falsi
|
||
moralismi o pregiudizi ideologici, con una combinazione di "realismo",
|
||
"pragmatismo" e "ambizione"[^v65], Elemental analizza, comprende e utilizza con
|
||
la massima precisione le complesse dinamiche politiche, sociali, economiche
|
||
connesse alle operazioni che compie, fino a giungere al punto di *trasformarle*
|
||
in quegli aspetti essenziali che consentono di volgerle a proprio favore.
|
||
|
||
Naturalmente gli esiti progettuali potrebbero apparire non appetibili -- e
|
||
conseguentemente non proponibili -- per uno standard occidentale, anche nel
|
||
campo dell'edilizia sociale; ma vanno tenuti presenti il contesto e le
|
||
condizioni emergenziali in cui Elemental si trova a operare. E sono proprio
|
||
questi fattori che rovesciano polarmente la prospettiva del discorso fatto in
|
||
precedenza: è accettando il confronto con situazioni difficili, ovvero
|
||
rinunciando a dedicarsi a progetti più agevoli ma potenzialmente anche più
|
||
"sensazionali", che Elemental ottiene *sensazionali risultati*. Facendocela "con
|
||
il poco". Dentro la realtà e contro ogni attesa. A riprova di ciò si veda la
|
||
copiosa messe di premi e riconoscimenti raccolti in tutte le parti del mondo,
|
||
dai primi anni Duemila in avanti, dai progetti Elemental[^v66], nonché il
|
||
Pritzker Prize assegnato nel 2016 ad Alejandro Aravena per lo stesso
|
||
progetto[^v67]. Ed è significativo -- e quasi paradossale -- che sia proprio la
|
||
giuria del Pritzker Prize a riconoscere ad Aravena la capacità di "trasforma(re)
|
||
il professionista in una figura universale", e a salutare con lui "la rinascita
|
||
di un architetto più impegnato socialmente", capace di "lottare (...) per
|
||
affrontare le crisi abitative globali (...) e trovare soluzioni veramente
|
||
collettive per l'ambiente costruito"[^v68].
|
||
|
||
[^v1]: Ludwig Mies van der Rohe, *Edificio per uffici* (1923), in Id., *Gli
|
||
scritti e le parole*, a cura di Vittorio Pizzigoni, Einaudi, Torino 2010, p. 5.
|
||
|
||
[^v2]: Vedi, tra gli altri, Ludwig Mies van der Rohe, *Architettura e volontà
|
||
dell'epoca* (1924), *ibid.*, p. 25.
|
||
|
||
[^v3]: Ludwig Mies van der Rohe, *Minuta di un articolo* (1923), *ibid.*, p. 7.
|
||
Nello stesso testo, poche righe più oltre, è ribadita la natura della *Baukunst*
|
||
come "volontà dell'epoca tradotta in spazio".
|
||
|
||
[^v4]: Massimo Cacciari, *Res aedificatoria. Il "classico" di Mies van der Rohe*,
|
||
in "Casabella", n. 629, dicembre 1995, p. 4.
|
||
|
||
[^v5]: *Ibid.*
|
||
|
||
[^v6]: Ludwig Mies van der Rohe, *Quello che intendiamo per formazione
|
||
elementare* (1924), in Id., *Gli scritti e le parole* cit., p. 19.
|
||
|
||
[^v7]: Ludwig Mies van der Rohe, *Il costruire è legato alla vita* (1926), in
|
||
Id., *Gli scritti e le parole* cit., p. 35.
|
||
|
||
[^v8]: Benjamin, *Esperienza e povertà* cit., p. 52.
|
||
|
||
[^v9]: *Ibid.*, p. 56.
|
||
|
||
[^v10]: *Ibid.*, p. 57.
|
||
|
||
[^v11]: *Ibid.*, p. 53.
|
||
|
||
[^v12]: Si riprendono qui le parole -- anch'esse già citate -- dell'altro breve
|
||
saggio, "gemello" del precedente, di Benjamin, *Il carattere distruttivo* cit.,
|
||
p. 41.
|
||
|
||
[^v13]: Johannes Itten, *Design and Form. The Basic Course at the Bauhaus and
|
||
later*, Thames and Hudson, London
|
||
1965. Sulle pratiche di insegnamento di Itten vedi, tra gli altri, Éva Forgács,
|
||
*The Bauhaus Idea and Bauhaus Politics*, Central European University Press,
|
||
London -- New York 1995.
|
||
|
||
[^v14]: Marco De Michelis e Agnes Kohlmeyer, *Bauhaus-Bauhaus 1919-1933*, in Id.
|
||
(a cura di), *Bauhaus 1919-1933. Da Klee a Kandinsky, da Gropius a Mies van der
|
||
Rohe*, Mazzotta, Milano 1996, p. 18.
|
||
|
||
[^v15]: Oskar Schlemmer a Otto Meyer-Amden, 14 luglio 1921, citato in Peter Hahn,
|
||
*Idee e utopie degli anni della fondazione*, in De Michelis e Kohlmeyer (a cura
|
||
di), *Bauhaus 1919-1933* cit., p. 48.
|
||
|
||
[^v16]: Benjamin, *Esperienza e povertà* cit., p. 56.
|
||
|
||
[^v17]: *Ibid.*, p. 53.
|
||
|
||
[^v18]: Roberto Calasso, *L'innominabile attuale*, Adelphi, Milano 2017, p. 14.
|
||
|
||
[^v19]: Byung-Chul Han, *La società della stanchezza*, Nottetempo, Roma 2012, p.
|
||
15.
|
||
|
||
[^v20]: *Ibid.*, p. 16.
|
||
|
||
[^v21]: Benjamin, *Esperienza e povertà* cit., p. 57.
|
||
|
||
[^v22]: Han, *La società della stanchezza* cit., p. 32.
|
||
|
||
[^v23]: Walter Benjamin, *Il narratore. Considerazioni sull'opera di Nicolaj
|
||
Leskov* (1936), in Id., *Angelus Novus. Saggi e frammenti*, Einaudi, Torino
|
||
1962, in particolare p. 243.
|
||
|
||
[^v24]: Han, *La società della stanchezza* cit., p. 31.
|
||
|
||
[^v25]: Benjamin, *Esperienza e povertà* cit., p. 58.
|
||
|
||
[^v26]: Gilles Ivain, *Formulario per un nuovo urbanismo* (1953), in
|
||
*Internazionale Situazionista 1958-1969*, Nautilus, Torino 1994, fasc. I, p. 16.
|
||
|
||
[^v27]: *Informazioni situazioniste*, *ibid.*, fasc. V, p. 10. Vedi inoltre Simon
|
||
Ford, *The Situationist International. A User's Guide*, Black Dog Publishing,
|
||
London 2005; Simon Sadler, *The Situationist City*, The MIT Press, Cambridge
|
||
(Mass.) 1998.
|
||
|
||
[^v28]: *Definizioni*, in *Internazionale Situazionista 1958-1969* cit., fasc. I,
|
||
p. 13.
|
||
|
||
[^v29]: Johan Huizinga, *Homo ludens* (1939), Einaudi, Torino 2002.
|
||
|
||
[^v30]: *Ibid.*, p. 225.
|
||
|
||
[^v31]: Francesco Careri, *Constant. New Babylon, una città nomade*, Testo &
|
||
Immagine, Torino 2001. Vedi anche Constant, *Un'altra città per un'altra vita*,
|
||
in *Internazionale Situazionista 1958-1969* cit., fasc. III, pp. 37-40.
|
||
|
||
[^v32]: *Definizioni*, in *Internazionale Situazionista 1958-1969* cit., fasc. I,
|
||
p. 13.
|
||
|
||
[^v33]: *L'urbanismo unitario alla fine degli anni '50*, in *Internazionale
|
||
Situazionista 1958-1969* cit., fasc. III, pp. 12-14.
|
||
|
||
[^v34]: Arendt, *Vita activa* cit., p. 63.
|
||
|
||
[^v35]: Su ciò vedi Karl Mannheim, *Ideologia e utopia* (1929), il Mulino,
|
||
Bologna 1999.
|
||
|
||
[^v36]: Alexander Caragonne, *The Texas Rangers. Notes from the Architectural
|
||
Underground*, The MIT Press, Cambridge (Mass.) 1995.
|
||
|
||
[^v37]: Kenneth Frampton, *John Hejduk: 7 Houses*, The Institute for Architecture
|
||
and Urban Studies, New York
|
||
1980. Scrive Hejduk a proposito di questi progetti: "Speravo di stabilire un
|
||
punto di vista, con la convinzione che attraverso una disciplina autoimposta,
|
||
uno studio intenso e circoscritto e un'estetica, sarebbe stata possibile una
|
||
liberazione della mente e della mano che conducesse a visioni e trasformazioni
|
||
della forma spaziale. (...) Se l'evoluzione della forma prosegue o si ferma
|
||
dipende dall'uso dell'intelletto non come uno strumento accademico, ma come un
|
||
elemento di vita passionale": John Hejduk, *Statement 1964*, *ibid.*, p. 116.
|
||
|
||
[^v38]: John Hejduk, *Mask of Medusa. Works 1947-1983*, a cura di Kim Shkapich,
|
||
Rizzoli, New York 1985, pp. 241-309.
|
||
|
||
[^v39]: Manfredo Tafuri, *"Les bijoux indiscrets"*, in *Five architects N.Y.*, a
|
||
cura di Camillo Gubitosi e Alberto Izzo, Officina, Roma 1977, p. 17.
|
||
|
||
[^v40]: Su ciò, vedi *Five architects: Eisenman, Graves, Gwathmey, Hejduk,
|
||
Meier*, Museum of Modern Art, Wittenborn (New York) 1972.
|
||
|
||
[^v41]: Hejduk, *Mask of Medusa* cit., pp. 310-25; K. Michael Hays, *Sanctuaries.
|
||
The last works of John Hejduk*, Canadian Centre for architecture, Montreal and
|
||
the Menil collection, Houston 2002.
|
||
|
||
[^v42]: Vedi, tra gli altri, John Hejduk, *Vladivostok*, Rizzoli International,
|
||
New York 1989; Id., *Soundings*, Rizzoli International, New York 1993.
|
||
|
||
[^v43]: Tafuri, *"Les bijoux indiscrets"* cit., p. 18.
|
||
|
||
[^v44]: Peter Eisenman, *House III*, in Aureli, Biraghi e Purini, *Peter
|
||
Eisenman. Tutte le opere* cit., p. 68.
|
||
|
||
[^v45]: Tafuri, *"Les bijoux indiscrets"* cit., p. 16.
|
||
|
||
[^v46]: Peter Eisenman, *Architettura di cartone. House I and House II* (1972),
|
||
in Id., *Inside out. Scritti 1963-1988* cit., pp. 57-74.
|
||
|
||
[^v47]: Peter Eisenman, *La fine del Classico. La fine dell'Inizio, la fine della
|
||
Fine* (1984), in Id., *Inside out. Scritti 1963-1988* cit., p. 264.
|
||
|
||
[^v48]: *Ibid.*, p. 263.
|
||
|
||
[^v49]: John N. Habraken, *Strutture per una residenza alternativa*, Il
|
||
Saggiatore, Milano 1974.
|
||
|
||
[^v50]: John N. Habraken, *L'ambiente costruito e i limiti della pratica
|
||
professionale*, in "Spazio e Società", n. 1, 1978, p. 80.
|
||
|
||
[^v51]: *Ibid.*, p. 81. Sulla percezione e sul ruolo reale dell'architetto
|
||
odierno vedi anche il più recente John N. Habraken, *Palladio's Children*, a
|
||
cura di Jonathan Teicher, Taylor & Francis, Oxon 2005.
|
||
|
||
[^v52]: Vedi Giancarlo De Carlo, *Il Villaggio Matteotti a Terni*, in Id.,
|
||
*L'architettura della partecipazione*, a cura di Sara Marini, Quodlibet,
|
||
Macerata 2013, pp. 97-112.
|
||
|
||
[^v53]: *Ibid.*, p. 103.
|
||
|
||
[^v54]: De Carlo, *Il Villaggio Matteotti a Terni* cit., p. 104.
|
||
|
||
[^v55]: Giancarlo De Carlo, *L'architettura della partecipazione* (1973), in Id.,
|
||
*L'architettura della partecipazione* cit., p. 70.
|
||
|
||
[^v56]: *Ibid.*, p. 71.
|
||
|
||
[^v57]: *Ibid.*, p. 61.
|
||
|
||
[^v58]: Francesco Samassa, *"Un edificio non è un edificio non è un edificio".
|
||
L'anarchitettura di Giancarlo De Carlo*, in Id. (a cura di), *Giancarlo De
|
||
Carlo. Percorsi*, Il Poligrafo, Padova, pp. 125-61.
|
||
|
||
[^v59]: *Ibid.*, p. 60.
|
||
|
||
[^v60]: *Ibid.*, p. 78.
|
||
|
||
[^v61]: Friedrich Engels, *La situazione della classe operaia in Inghilterra*
|
||
(1845), in Karl Marx e Friedrich Engels, *Opere complete*, Editori Riuniti, Roma
|
||
1972, vol. IV, pp. 235-514; Friedrich Engels, *La questione delle abitazioni*
|
||
(1872), Editori Riuniti, Roma 1971.
|
||
|
||
[^v62]: Alejandro Aravena e Andrés Iacobelli, *Elemental. Manual de vivienda
|
||
incremental y diseño participativo / Incremental Housing and Participatory
|
||
Design Manual*, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern 2012, p. 18; più in generale vedi
|
||
anche Id., *Elemental Chile. A Handbook on Progressive Housing*,
|
||
Actarbirkhauser, Barcelona 2010.
|
||
|
||
[^v63]: Aravena e Iacobelli, *Elemental. Manual* cit., p. 107.
|
||
|
||
[^v64]: Aravena e Iacobelli, *Elemental. Manual* cit., pp. 92-94.
|
||
|
||
[^v65]: *Ibid.*, p. 503.
|
||
|
||
[^v66]: Tra essi, il Premio Bicentenario del governo del Cile nel 2004; il Gran
|
||
Premio Biennale alla XV Biennale di Architettura di Santiago del Cile nel 2006;
|
||
il Leone d'argento alla Biennale internazionale di Architettura di Venezia nel
|
||
2008; il Brit Insurance Design Award a Londra nel 2010; il primo premio INDEX a
|
||
Copenhagen nel 2010; la medaglia d'argento al premio HOLCIM a Basilea nel 2011;
|
||
il primo premio ZUMTOBEL a Vienna nel 2014.
|
||
|
||
[^v67]: Nello stesso 2016 ad Aravena viene affidata la direzione della Biennale
|
||
internazionale di Architettura di Venezia. La mostra da lui curata, "Reporting
|
||
From the Front", intendeva scrutare l'orizzonte dell'architettura attuale "alla
|
||
ricerca di nuovi campi di azione, offrendo esempi in cui più dimensioni vengono
|
||
sintetizzate, integrando il pragmatico con l'esistenziale, la pertinenza con
|
||
l'audacia, la creatività con il buonsenso": dall'*Intervento* di Alejandro
|
||
Aravena, in *Reporting From the Front*, 2 voll., catalogo della XV Mostra
|
||
internazionale di Architettura -- Biennale di Venezia, Studio Elemental,
|
||
Santiago del Cile, Marsilio Editori, Venezia 2016.
|
||
|
||
[^v68]: Motivazioni del premio in *Alejandro Aravena of Chile receives the 2016
|
||
Pritzker Architecture Prize*, in <https://www.pritzkerprize.com/laureates/2016>.
|
||
La giuria era composta da Lord Peter Palumbo, Stephen Breyer, Yung Ho Chang,
|
||
Kristin Feireiss, Glenn Murcutt, Richard Rogers, Benedetta Tagliabue, Ratan N.
|
||
Tata e Martha Thorne.
|
||
|
||
## Libertà e architettura
|
||
|
||
> ... leggere l'ideologia architettonica come elemento -- secondario, forse, ma
|
||
> pur sempre tale -- di un ciclo di produzione ha come conseguenza il
|
||
> ribaltamento della piramide di valori comunemente accettata. Diventerà del
|
||
> tutto ridicolo, infatti, una volta adottato tale metro di giudizio, chiedersi
|
||
> quanto una scelta linguistica o un'organizzazione strutturale esprima o tenti
|
||
> di anticipare modi "più" liberi di esistenza[^vi1].
|
||
|
||
Yvonne Farrell e Shelley McNamara, curatrici della XVI Mostra Internazionale di
|
||
Architettura alla Biennale di Venezia 2018, hanno scelto come titolo della
|
||
manifestazione la parola *FREESPACE*. Lungo le Corderie dell'Arsenale, nel
|
||
padiglione centrale e nei numerosi padiglioni nazionali sparsi per i Giardini,
|
||
gli architetti invitati hanno variamente interpretato lo "spazio libero" in
|
||
questione: chi -- come Caruso St John, in collaborazione con l'artista Marcus
|
||
Taylor -- lasciando interamente vuoto il Padiglione Britannico, e montando al di
|
||
sopra di esso una terrazza di legno sostenuta da un ponteggio metallico,
|
||
accedendo alla quale si poteva osservare la laguna dall'alto, accomodarsi sulle
|
||
sedie che vi erano disposte, prendere il sole o sorseggiare il tè puntualmente
|
||
servito alle 16; chi invece -- come l'architetto portoghese Álvaro Siza --
|
||
disponendo all'interno dell'Arsenale una panchina di marmo di forma
|
||
semicircolare, fronteggiata da un muro bianco altrettanto curvo, per offrire uno
|
||
spazio di raccoglimento e riposo agli stanchi visitatori; o chi ancora -- come
|
||
lo svizzero Valerio Olgiati -- collocando al termine della lunghissima navata
|
||
delle medesime Corderie una piccola selva di colonne, candide e prive di
|
||
ornamenti o di ordine. Non è chiaro, in quest'ultimo caso, a quale libertà si
|
||
volesse fare allusione. Lo si potrebbe ritenere uno spazio evocativo, simbolico,
|
||
anche se di che cosa precisamente non è dato saperlo; o forse -- meglio ancora
|
||
-- a ciascuno è lasciata la libertà di attribuirvi il significato che gli pare.
|
||
|
||
Ma è soprattutto all'interno del progetto curatoriale di Farrell e McNamara
|
||
(architette irlandesi che a partire dal 1978 hanno dato vita allo studio Grafton
|
||
Architects), che lo "spazio libero" occupa un posto centrale; un posto che le
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due curatrici hanno significativamente pensato di segnare scrivendo un vero e
|
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proprio "manifesto". In esso si legge tra l'altro:
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||
> FREESPACE rappresenta la generosità di spirito e il senso di umanità che
|
||
> l'architettura pone al centro della propria agenda, concentrando l'attenzione
|
||
> sulla qualità stessa dello spazio.
|
||
>
|
||
> FREESPACE si concentra sulla capacità dell'architettura di offrire in dono
|
||
> nuovi spazi liberi a coloro che la utilizzano, nonché sulla sua capacità di
|
||
> soddisfare i desideri inespressi.
|
||
>
|
||
> FREESPACE celebra la capacità dell'architettura di trovare in ogni progetto
|
||
> una nuova e inattesa generosità, anche nelle condizioni più private,
|
||
> difensive, esclusive o commercialmente limitate.
|
||
>
|
||
> FREESPACE invita a riesaminare il nostro modo di pensare, stimolando nuovi
|
||
> modi di vedere il mondo, di inventare soluzioni in cui l'architettura provvede
|
||
> al benessere e alla dignità di ogni abitante di questo fragile pianeta.
|
||
>
|
||
> ...[^vi2].
|
||
|
||
Da questo "manifesto" promana un'idea ottimistica e umanistica
|
||
dell'architettura, un'idea che pecca indubbiamente di vaghezza e astrattezza ma
|
||
che altrettanto sicuramente prende le distanze dal modo in cui l'architettura è
|
||
generalmente intesa nell'epoca attuale: un'architettura non soltanto finalizzata
|
||
nella gran parte dei casi a scopi commerciali ma anche del tutto immersa in una
|
||
prospettiva esclusivamente economica. Il "manifesto" di Farrell e McNamara, da
|
||
questo punto di vista, risuona più come un appello che come una dichiarazione di
|
||
poetica o la presa d'atto d'una condizione corrente. E per quanto possa
|
||
risultare ingenuo e sotto molti aspetti inattuale, tale appello si presenta come
|
||
la "novità" più interessante della Biennale 2018.
|
||
|
||
Pur con tutti i suoi limiti, l'appello lanciato dalle Grafton Architects ha il
|
||
merito -- se non di offrire soluzioni per esso -- almeno di indicare il
|
||
problema: quella libertà (dello spazio: ma il discorso si lascia applicare anche
|
||
a un contesto più generale) che a una prima apparenza si direbbe a disposizione
|
||
di tutti nelle società occidentali, in realtà è proprio ciò che maggiormente si
|
||
rivela sfuggente; non forse assente del tutto, ma quantomeno *ambiguamente*
|
||
presente.
|
||
|
||
Sarebbe però semplicistico illudersi di poterla afferrare esclusivamente
|
||
evocandola. Anzi, è proprio nelle sue troppo ripetute ostensioni che la libertà
|
||
dimostra attualmente di appartenere assai più al mondo delle apparenze che non a
|
||
quello della sostanza. Senza peccare di eccessivo allarmismo, si può
|
||
paradossalmente affermare che oggi l'esercizio della "libertà" passa attraverso
|
||
una miriade di condizionamenti. E lo stesso vale anche per l'architettura.
|
||
D'altronde, sono proprio i condizionamenti (visibili e invisibili) a rendere
|
||
avvertito e reattivo chi cerca di svolgere il proprio lavoro *dentro* e *contro*
|
||
le circostanze assegnate. Ed è soltanto nella piena coscienza dei *limiti* del
|
||
proprio operare che diviene possibile ritrovare forme effettive di libertà.
|
||
|
||
È a partire da qui che dev'essere reimpostato qualsiasi discorso sull'architetto
|
||
intellettuale. Ben lungi dall'identificarsi con una vaga propensione culturale,
|
||
o con un'inclinazione per sterili speculazioni filosofiche o elucubrazioni
|
||
mentali, il suo segno distintivo sta nella capacità di appropriarsi di quei
|
||
margini di libertà che ogni società non per forza "offre" spontaneamente ma che
|
||
tuttavia, almeno a volte, consente.
|
||
|
||
In un mondo dominato da una relativistica pluralità di valori (abissalmente
|
||
distante da ciò che Max Weber definiva un "Polytheismus der Werte")[^vi3], quello
|
||
della libertà è uno dei pochi -- l'unico, forse -- sul possesso del quale siamo
|
||
assolutamente sicuri di non volere o potere recedere. In altre parole, tra molti
|
||
valori su cui si è disposti a trattare -- e tra altrettanti ormai "fuori uso",
|
||
avendo perduto la loro importanza --, il valore della libertà resiste pressoché
|
||
ovunque nel mondo come una pietra di fondamento non alienabile. E ciò, tanto per
|
||
chi già ne usufruisce quanto per chi la deve ancora conquistare. Ma la libertà
|
||
ha un'altra caratteristica peculiare: è uno dei pochi valori di cui si può
|
||
ritenere di disporre anche quando in realtà non se ne gode. È esattamente questa
|
||
la condizione in cui si trova al giorno d'oggi una buona parte delle società
|
||
occidentali: una condizione che, proprio per la varietà delle scelte che in
|
||
apparenza vi si possono compiere, e per la molteplicità e relatività dei valori
|
||
che vi sono presenti, conferisce a chi vi è introdotto una perfetta "sensazione
|
||
di libertà".
|
||
|
||
Michel Foucault negli anni sessanta parlava di "società disciplinari"[^vi4], cioè
|
||
di quelle società in cui ogni individuo è incasellato dentro a un preciso spazio
|
||
fisico. Le ricerche di Foucault si riferivano a quella che egli stesso chiama
|
||
l'"epoca classica"[^vi5], vale a dire l'epoca moderna, storicamente intesa, e
|
||
avevano come fondamento un'idea molto esatta, e cioè che il potere si
|
||
spazializza: il potere non è mai assoluto, non è mai astratto, è sempre
|
||
esercitato qui e ora, all'interno di spazi fisici precisi. Gli spazi sono quelli
|
||
che Foucault analizza nei suoi libri, vale a dire il manicomio, l'ospedale, la
|
||
prigione, ma anche la caserma, la scuola, la fabbrica. Questi spazi, pur diversi
|
||
tra loro, hanno però tutti un elemento in comune: in tutti è inscritto un
|
||
"esercizio del controllo" che nel *Panopticon* (1787) di Jeremy Bentham era
|
||
espresso fisicamente, quasi geometricamente[^vi6], ma che negli altri spazi
|
||
ugualmente sussiste. Si tratta in tutti i casi di spazi del controllo,
|
||
organizzati precisamente a questo fine.
|
||
|
||
E tuttavia, nell'epoca moderna, mentre lo spazio viene organizzato in termini di
|
||
controllo, concresce anche l'idea di libertà[^vi7]. I due fenomeni sono tutt'uno,
|
||
come le due facce di una stessa medaglia. Non per nulla lo stesso Bentham è uno
|
||
dei padri del liberalismo, ovvero di quella dottrina che al proprio centro pone
|
||
i diritti individuali, all'interno dei quali campeggia la libertà. Certo, quella
|
||
delle società disciplinari è una libertà in larga parte "vigilata"; e ciò
|
||
nondimeno, nell'accezione moderna del termine, vale a dire illuminista, in
|
||
quanto valore individuale assunto a fondamento sociale, la libertà nasce lí: nel
|
||
momento in cui ciascun individuo è inquadrato dentro lo spazio fisico delle
|
||
diverse "macchine" del controllo[^vi8].
|
||
|
||
Oggi, invece, la società disciplinare sembra essere stata soppiantata da una
|
||
società "trasparente". La "società della trasparenza", come la chiama Han[^vi9], è
|
||
la società digitale neoliberalista, dove la libertà si è trasformata in
|
||
un'occasione di sfruttamento:
|
||
|
||
> Il neoliberalismo è un sistema molto efficace nello sfruttare la libertà,
|
||
> intelligente perfino: viene sfruttato tutto ciò che rientra nelle pratiche e
|
||
> nelle forme espressive della libertà, come l'emozione, il gioco e la
|
||
> comunicazione. Sfruttare qualcuno contro la sua volontà non è efficace: nel
|
||
> caso dello sfruttamento da parte di altri il rendimento è assai basso.
|
||
> Soltanto lo sfruttamento della libertà raggiunge il massimo rendimento[^vi10].
|
||
|
||
più ancora che il lavoro, lo scontro tra classi o l'organizzazione spaziale
|
||
delle città, la vera frontiera critica odierna è divenuta la libertà
|
||
dell'individuo, sottoposto alla costante "attenzione" della rete e di tutti gli
|
||
altri invisibili sistemi di sorveglianza che ne rilevano gli spostamenti, ne
|
||
registrano gli acquisti, ne monitorano i desideri[^vi11]; il tutto, con
|
||
l'esplicito consenso -- o quantomeno, con la muta "complicità" -- dell'individuo
|
||
stesso. E ancora di più, senza la minima parvenza di alcuna privazione della
|
||
libertà individuale, e anzi con quel senso di onnipotenza e di indipendenza che
|
||
la società digitale riesce a trasmettere, come ogni utente di Google, di
|
||
Wikipedia o di un qualsiasi social network ben sa: le cui possibilità, in
|
||
termini di relazioni e di informazioni, inducono spesso a credere di possedere
|
||
un'infinità di conoscenze, un'istantanea rapidità d'azione e un'incondizionata
|
||
fluidità di movimenti. Una somma di elementi che si traducono appunto in una
|
||
totale *illusione di libertà*.
|
||
|
||
Tanto più credibile e ingannevole è questa illusione, quanto meno risulta
|
||
coercitiva, ovvero quanto meno è -- almeno in apparenza -- coartata e
|
||
vincolante. E proprio qui sta l'astuzia suprema di una società "trasparente":
|
||
all'interno di essa l'individuo non viene ordinatamente disposto e inquadrato
|
||
come nelle società disciplinari, bensì -- proprio al contrario -- egli stesso vi
|
||
aderisce spontaneamente e quasi con entusiasmo. Ciascuno collabora alla sua
|
||
costruzione, al suo rafforzamento, al suo perpetuamento. La sensazione che ne
|
||
deriva è di essere "soggetti" perfettamente svincolati, perfettamente liberi; ma
|
||
è proprio in quanto tale, ovvero in quanto *subiectum* (letteralmente,
|
||
sottomesso, assoggettato)[^vi12] che l'individuo dimostra di essere assai meno
|
||
padrone del proprio destino di quanto comunemente non ritenga. In tal modo si
|
||
disvela tutta l'intrinseca *potenza* di una società della trasparenza: in essa,
|
||
infatti, non soltanto la libertà diviene il nuovo, fertile terreno di uno
|
||
sfruttamento, ma -- come sostiene Han -- tale sfruttamento è opera del
|
||
"soggetto" stesso, il quale cosí realizza un *autosfruttamento* vero e proprio,
|
||
divenendo schiavo di se stesso:
|
||
|
||
> L'io come progetto, che crede di essersi liberato da obblighi esterni e
|
||
> costrizioni imposte da altri, si sottomette ora a obblighi interiori e a
|
||
> costrizioni autoimposte, forzandosi alla prestazione e
|
||
> all'ottimizzazione[^vi13].
|
||
|
||
E ancora:
|
||
|
||
> I detenuti del panottico benthamiano venivano isolati l'uno dall'altro allo
|
||
> scopo di imporre una disciplina e non potevano parlare tra loro. Gli abitanti
|
||
> del panottico digitale, al contrario, comunicano intensamente l'uno con
|
||
> l'altro e si denudano volontariamente. *Con*tribuiscono cosí, in modo attivo,
|
||
> alla costruzione del panottico digitale. La società del controllo digitale fa
|
||
> un uso massiccio della libertà: essa è possibile soltanto grazie
|
||
> all'autoesposizione, all'autodenudamento volontari[^vi14].
|
||
|
||
E in effetti, nei contesti digitali, *noi, utenti*, consegniamo quotidianamente,
|
||
senza alcuna coercizione, i nostri dati, le nostre vite, la nostra intimità, i
|
||
nostri affetti, tutto quello che siamo (pensieri, gusti, esperienze, ricordi) ai
|
||
grandi motori di ricerca, ai grandi social network. Liberi di essere-in-rete
|
||
(ovvero, letteralmente, *irretiti*), e dunque in condizione di spontanea
|
||
schiavitú. Si tratta di quello che Byung-Chul Han definisce un "capitalismo del
|
||
like", che "si distingue nella sostanza dal capitalismo del XIX secolo, che
|
||
operava mediante obblighi e divieti disciplinari"[^vi15]. *Mi piace*, *ci piace*:
|
||
è questa la frontiera di una libertà percepita come "naturale" da un lato, e
|
||
sfruttata dall'altro, e per questo doppiamente insidiosa.
|
||
|
||
Come si rapporta a tutto ciò l'architettura? Quali trasformazioni subisce -- o
|
||
piuttosto, mette in atto -- nell'epoca della libertà autoimposta? In una
|
||
prospettiva moderna, l'architettura che si fregiava orgogliosamente di questo
|
||
aggettivo faceva della libertà il proprio vessillo: libertà assunta come un
|
||
affrancamento dell'uomo dai vincoli a cui aveva dovuto sottostare fino ad
|
||
allora, e che si traduceva tutta in termini spaziali. *Plan libre*, *façade
|
||
libre*, risuonano cosí -- non a caso -- due dei "comandamenti" lecorbusieriani
|
||
per "un'architettura assolutamente nuova, dalla casa d'abitazione fino al
|
||
palazzo"[^vi16]. Ma se per l'ideologia dell'architettura moderna la libertà è una
|
||
conquista, per la postmodernità libertà e architettura sembrano ormai
|
||
coincidenti. A dire il vero, più che di libertà, si dovrebbe parlare di
|
||
"liberazione"[^vi17]. A questa si possono riferire alcune delle pratiche o
|
||
tendenze postmoderniste, quali "un certo carattere ludico della forma, la
|
||
produzione aleatoria di nuove forme o l'allegra cannibalizzazione di quelle
|
||
vecchie"[^vi18]. Sono tutte modalità relative a -- e sotto diversi aspetti
|
||
"reattive" nei confronti di -- quanto le ha precedute, espressamente
|
||
finalizzate, non per nulla, a una sovversione totale dei "vari rituali" e dei
|
||
"valori formali" modernisti.
|
||
|
||
Al giorno d'oggi l'opera di liberazione postmodernista dagli "spettri"
|
||
modernisti può dirsi pienamente compiuta nella misura in cui, abbandonata
|
||
l'esclusiva tattica del rovesciamento, l'architettura odierna utilizza
|
||
*qualunque mezzo* a sua disposizione per ottenere "ciò che vuole", ivi
|
||
*comprese* le forme e i linguaggi moderni. Ripuliti dei loro retaggi ideologici,
|
||
spogliati ormai di qualsiasi "messaggio", tali forme e linguaggi possono cosí
|
||
tornare a essere usati (insieme, potenzialmente, a tutti gli altri). Ciò
|
||
nondimeno, non si tratta affatto di un uso neutrale, meramente "tecnico". Il
|
||
ritorno a forme e linguaggi moderni -- se possibile, sottoposti a depurazioni
|
||
ulteriori -- ha il ben preciso obiettivo di fare dell'architettura attuale un
|
||
emblema della libertà in una misura in cui forse neppure alle origini,
|
||
nell'epoca moderna, era immaginabile farlo. Campioni assoluti di questa
|
||
aspirazione a incarnare la "filosofia" (ma al tempo stesso anche l'economia, il
|
||
*lifestyle*) della società della "trasparenza" contemporanea sono proprio gli
|
||
edifici che rappresentano le grandi aziende produttrici, promotrici e
|
||
diffonditrici dei prodotti digitali. Loro modello è con piena evidenza la
|
||
leggerezza, la flessibilità, l'ingegnosità propria dei dispositivi elettronici
|
||
contemporanei. Cosí gli Apple Store sparsi per il mondo, ad esempio (si pensi
|
||
soltanto a quello sulla Fifth Avenue a Manhattan, di Bohlin Cywinski Jackson,
|
||
2006, e a quello più recente in piazza Liberty a Milano, di Norman Foster +
|
||
Partners, 2018) si fanno portatori di un'estetica che è la precisa traduzione
|
||
dell'immaterialità e della virtualità dell'universo informatico e del web:
|
||
pareti vetrate, interamente trasparenti; superfici lisce e candide; una luce
|
||
uniforme, diffusa. Immagini di uno spazio tridimensionale, per quanto possibile
|
||
privo di "corpo", che infonde in chi lo attraversa e vi sosta la sensazione di
|
||
una completa assenza di gravità: spazio al di sopra di ogni pensiero, di ogni
|
||
"affanno", dove l'essere-liberi coincide semplicemente con l'essere. Uno spazio
|
||
dunque dove tutto è possibile, in cui nulla pesa, neppure l'acquisto di uno
|
||
smartphone o di un laptop.
|
||
|
||
Nella storia -- si usa dire -- i fatti si presentano sempre due volte: "la prima
|
||
volta come tragedia, la seconda volta come farsa"[^vi19]. Verso la metà degli anni
|
||
sessanta, a fronte del progressivo esaurirsi della "funzione storica"
|
||
dell'architettura moderna, gli architetti si sono trovati a un bivio:
|
||
abbandonarla a favore di un suo superamento, oppure conservarla radicalizzandone
|
||
(ovvero depurandone e stilizzandone al massimo) gli aspetti formali. Da questa
|
||
seconda possibilità nasce il "minimalismo", l'*ultimo* degli stili, non in senso
|
||
cronologico ma logico; lo stile che -- shakerando estetica giapponese e Mies van
|
||
der Rohe, più un'abbondante aggiunta di ghiaccio -- ottiene il brillante
|
||
risultato di far passare per sobri ambienti nella gran parte dei casi
|
||
lussuosi[^vi20]. Quarant'anni più tardi, il minimalismo ritorna come "risposta"
|
||
alla crisi economica mondiale, ma anche come stile di un capitalismo che
|
||
preferisce pur sempre ottenere "migliori risultati con meno mezzi"[^vi21]. Non è
|
||
dunque un caso che, nei luoghi di massima "intensificazione" della società
|
||
"trasparente", tali caratteri si presentino al massimo livello di
|
||
concentrazione. Né deve stupire che questi stessi caratteri, gradatamente,
|
||
fuoriescano dall'invisibile "recinto" dei *flagship stores*, arrivando a
|
||
conformare anche altri spazi commerciali. Il Westfield World Trade Center Mall
|
||
(noto anche come Oculus), progettato da Santiago Calatrava e inaugurato a
|
||
Manhattan nel 2016, ne costituisce un esempio emblematico. Costruito accanto al
|
||
luogo in cui sorgevano le Twin Towers, con le sue candide ali distese pronte per
|
||
spiccare il volo, l'edificio dall'esterno sembrerebbe voler rinverdire la
|
||
tradizione dei *landmarks*. Ma la sua vera natura si rivela non appena varcato
|
||
l'ingresso, accedendo alla grande piazza ellissoidale che ospita lo shopping
|
||
center. Qui, sotto la muscolare copertura, caratteristica anche di altri edifici
|
||
dell'architetto e ingegnere spagnolo, lo spazio sembra perdere i propri
|
||
contorni, smaterializzarsi, svanire. Nell'epoca delle "piazze virtuali", la
|
||
piazza reale dell'Oculus pare faccia un passo indietro rispetto alla realtà, per
|
||
"virtualizzarsi" a sua volta. Condizione apparentemente imprescindibile, questa,
|
||
per infondere quel "senso di libertà" che avvince i consumatori con il potere
|
||
del *like*.
|
||
|
||
In altre occasioni l'architettura della società della trasparenza assume toni
|
||
esplicitamente ludici. È il caso del Googleplex a Mountain View (Silicon Valley
|
||
-- California), quartier generale di Google, terminato nel 2004 ma negli anni
|
||
seguenti continuamente rinnovato, soprattutto per quanto riguarda gli spazi
|
||
interni. Dall'esterno gli edifici del Googleplex presentano un aspetto
|
||
riconducibile -- con poche e in fondo marginali correzioni -- a
|
||
quell'"efficientismo internazionale" che è lo stile dominante delle sedi delle
|
||
grandi compagnie in tutto il mondo. Ma è dentro gli edifici che accadono le cose
|
||
più interessanti. Il brillante e spiritoso "stile della casa", impresso come un
|
||
saluto di benvenuto nel logo multicolore dell'azienda, e riassumibile nella
|
||
parola d'ordine "smart", produce ambienti che sono interamente penetrati dalla
|
||
"filosofia" Google: gli uffici (o quelli che dovrebbero essere tali) e gli altri
|
||
spazi di lavoro sono concepiti con l'esplicito intento di comunicare l'idea che
|
||
"qui non si lavora": ci si diverte. *Smart working*. E in effetti, all'interno
|
||
di questi spazi si può giocare davvero. Il carattere ludico si incorpora in essi
|
||
come una componente essenziale. *Google Play*. E non certo come induzione
|
||
all'ozio, bensì per ottenere una maggiore produttività, una maggiore efficienza,
|
||
una maggiore creatività[^vi22]. Lavoro e divertimento finiscono per diventare una
|
||
cosa sola, un'unica e indissolubile condizione. L'*homo ludens* situazionista
|
||
viene cosí recuperato al sistema, "messo al lavoro" senza quasi che se ne
|
||
accorga.
|
||
|
||
Non è un caso che nel vocabolario dell'architettura attuale siano
|
||
prepotentemente entrati -- ormai anche a grande distanza dalla Silicon Valley, e
|
||
con specifico riferimento agli spazi del lavoro e del commercio -- termini come
|
||
"intelligente", "flessibile", "ibrido"; e che gli ultimi miti dell'agenda
|
||
contemporanea siano "stare insieme", "condividere", "interagire". In modo
|
||
lampante, Google *docet*. Gli spazi fisici in cui si svolgono queste azioni al
|
||
giorno d'oggi vengono diffusamente pensati ed offerti come luoghi capaci di
|
||
infondere in chi li utilizza felicità e benessere, prima e più ancora che idee
|
||
di sobrietà ed efficienza. Per suscitare queste sensazioni gli spazi lavorativi
|
||
sempre più di frequente si travestono da luoghi d'abitazione (fenomeno
|
||
esattamente speculare a quello dell'*home working*). Familiarità, informalità,
|
||
*libertà* della casa diventano i nuovi *idola* del "lavoro intelligente". Forse
|
||
non abbastanza però da non far sorgere il dubbio che sia proprio *questo* il
|
||
luogo di attuazione della minacciosa promessa di Auschwitz: "Arbeit Macht Frei".
|
||
|
||
Intanto, a poche miglia dal Googleplex, a Cupertino, sorge l'Apple Park,
|
||
realizzato da Norman Foster + Partners e aperto nel 2017. Si tratta di un
|
||
edificio a forma di anello interamente vetrato, di oltre 450 m di diametro e di
|
||
1,6 km di circonferenza, cui si va ad affiancare lo Steve Jobs Theater, di
|
||
dimensioni molto più ridotte ma anch'esso circolare e completamente vetrato
|
||
nella parte emergente. Nell'epoca del panottico digitale -- senza forma,
|
||
immateriale, ubiquo -- ritorna imprevedibilmente in scena il panottico
|
||
benthamiano: lo spazio di un controllo fisico, che nel caso dell'Apple Park però
|
||
è da intendersi in senso soltanto metaforico. Anzi, a ben guardare, in un senso
|
||
esattamente rovesciato rispetto a quello originario: la forma del controllo
|
||
disciplinare come "dimostrazione" della libertà digitale.
|
||
|
||
A immagini come queste, di una sin troppo *ambigua* libertà, il panorama
|
||
architettonico contemporaneo -- sovraffollato di molteplici offerte e
|
||
all'apparenza assai variegato -- sembra poter agevolmente fornire la *chance* di
|
||
contrapporne altre più autentiche, e al tempo stesso più "esterne al sistema".
|
||
Gli esempi potrebbero essere tanti, quanto soggettive le scelte. Meglio
|
||
rivolgersi allora a chi ha affrontato il tema in maniera cosciente. In una serie
|
||
di conferenze organizzate da Owen Hopkins alla Royal Academy of Arts di Londra
|
||
nel 2015 su *Architecture and Freedom* ("L'architettura è in balia degli
|
||
interessi privati e dei bisogni del capitale come mai prima d'ora")[^vi23],
|
||
Reinier de Graaf (OMA), J.MAYER.H, Farshid Moussavi (FMA, già FOA) e Patrik
|
||
Schumacher (Zaha Hadid Architects) hanno presentato i loro punti di vista sul
|
||
tema. Quattro architetti diversi, per provenienze ed esperienze, che hanno però
|
||
tutti in comune un'attività all'interno di grandi studi internazionali operanti
|
||
su scala globale, ma anche un'attenzione per la speculazione teorica, secondo un
|
||
intreccio di piani che appartiene di diritto all'eredità degli architetti
|
||
intellettuali. Pur non essendoci la possibilità di analizzare nei dettagli le
|
||
argomentazioni dibattute da ciascun relatore, è interessante notare come gli
|
||
architetti in questione -- con la sola eccezione di Reinier de Graaf, impegnato
|
||
a dimostrare come il mondo in cui si trova a operare OMA dopo il 1991, in
|
||
seguito alla dissoluzione dell'Unione Sovietica, non sia affatto unito
|
||
nell'abbraccio delle democrazie liberali occidentali, come sentenziato da
|
||
Fukuyama[^vi24]; e come ciò, dal punto di vista di uno studio di architettura, non
|
||
rappresenti un dramma --, più che compiere una critica della condizione attuale,
|
||
prendano casomai lo spunto da questa per inserire la propria architettura nei
|
||
processi in atto, cercando di leggerli nella maniera il più possibile coerente
|
||
con essa. Cosí per Schumacher soltanto il parametricismo può farsi interprete
|
||
delle dinamiche urbane di un libero mercato "sfrenato" in una società
|
||
post-fordista, riuscendo ad accordare -- in maniera analoga al complesso e
|
||
variegato ordine degli ambienti naturali -- le molteplici forze che vi
|
||
con-fluiscono[^vi25].
|
||
|
||
Per Jürgen Hermann Mayer la libertà sembra più che altro consistere in un carico
|
||
di potenzialità -- tecnologiche e comunicative -- per le attività umane che la
|
||
sua architettura cerca di tradurre facendosi generatrice e luogo d'incontro di
|
||
interazioni sociali, come nella copertura -- terrazza -- spazio urbano *Metropol
|
||
Parasol* in Plaza de la Encarnación a Siviglia (2004-11)[^vi26]. Farshid Moussavi
|
||
infine, pur con abbondanza di citazioni e definizioni filosofiche del concetto
|
||
di libertà, riconduce la questione a una sorta di *aut aut* tra "stile" come
|
||
affermazione di identità (dell'architetto) e stile come performance
|
||
dell'edificio e dei suoi singoli elementi, analizzati minuziosamente e
|
||
progettati sforzandosi di avvicinarli al massimo grado a un loro uso
|
||
"partecipato" [^vi27].
|
||
|
||
In conclusione, chi nelle parole degli architetti citati cercasse una bussola
|
||
per orientarsi nella ricerca di una "rappresentanza" in un mondo in profondo
|
||
mutamento rischierebbe di rimanere deluso. Per molti di loro, a quanto sembra,
|
||
quello della libertà non costituisce affatto un problema, al contrario di quanto
|
||
è accaduto in altri momenti ad altri architetti[^vi28].
|
||
|
||
Tra gli ultimi tentativi in ordine di tempo di affrontare il tema del rapporto
|
||
tra libertà e architettura va citata la mostra dedicata dalla Fondation Cartier
|
||
pour l'art contemporain di Parigi, tra marzo e giugno 2018, all'opera del
|
||
giovane architetto giapponese Junya Ishigami. Ospitata nei diafani spazi pensati
|
||
da Jean Nouvel (a loro volta un'ipotesi di libertà costruita)[^vi29], la mostra
|
||
*Freeing Architecture* presentava 17 progetti elaborati da Ishigami tra il 2004
|
||
e il 2018. Che cosa egli intenda con "liberazione dell'architettura" si lascia
|
||
intuire osservando i grandi modelli e gli altri materiali in esposizione:
|
||
espressione di un'architettura a volte essenziale, strutturalmente ardita ma
|
||
figurativamente esile, al limite dell'anoressia, altre volte ottenuta scavando,
|
||
per sottrazione di materia, altre ancora mediante il processo esattamente
|
||
opposto, di accumulazione di quelle che potrebbero apparire masse glaciali che
|
||
danno luogo a corpi globosi e cavernosi. Un'architettura al tempo stesso
|
||
"minimale" e desiderosa di sorprendere, ma anche perennemente tesa nella ricerca
|
||
di un'integrazione con la natura. Ciò di cui sembra volersi liberare
|
||
l'architettura di Ishigami sono dunque i legami con quei retaggi disciplinari
|
||
che provino a irreggimentare l'edificio da un punto di vista tipologico,
|
||
funzionale, spaziale, strutturale. La riscrittura da lui proposta in tal senso
|
||
vale come tentativo di sottrazione dell'architettura dai *nomoi* che di consueto
|
||
la regolano, per (ri)condurla a una sorta di "età dell'innocenza", dove essa
|
||
possa continuare a sussistere in una dimensione "sospesa". E ancora di più,
|
||
questo "disegno" risulta palese esaminando il catalogo, un libro di grande
|
||
formato, illustrato con immagini a metà strada tra l'infantile e il pittorico,
|
||
inframezzate da brevi testi dal tono quasi poetico[^vi30].
|
||
|
||
L'ingenuità di tali intendimenti è però almeno in parte contraddetta
|
||
dall'efficacia dei risultati ottenuti dalle opere realizzate da Junya Ishigami.
|
||
È il caso del KAIT Workshop, un edificio concepito come spazio per gli studenti
|
||
del Kanagawa Institute of Technology, in Giappone (2004-2008). In questo spazio
|
||
essi possono progettare, scrivere ma anche chiacchierare e oziare. Le immagini
|
||
cui Ishigami fa ricorso per spiegarlo sono quelle delle costellazioni e degli
|
||
alberi di una foresta:
|
||
|
||
> Per migliaia di anni noi umani abbiamo osservato il cielo notturno, evocando
|
||
> immagini e storie dalla disposizione casuale delle stelle.
|
||
>
|
||
> La natura ha leggi severe. Sebbene queste possano essere al di là della nostra
|
||
> comprensione, le aggiriamo abitualmente, decifrandole soggettivamente, a
|
||
> nostro piacimento.
|
||
>
|
||
> Può l'architettura essere liberata nello stesso modo?
|
||
>
|
||
> Data la libertà, nonostante sia rigorosa nella sua destinazione d'uso, e
|
||
> progettando di conseguenza, trascendere tutto ciò e vedere lo spazio in modo
|
||
> soggettivo, consentendone usi diversi. Una libertà aperta a molteplici
|
||
> interpretazioni.
|
||
>
|
||
> Un laboratorio per studenti.
|
||
>
|
||
> Questo edificio non ha pareti. Tutte le strutture sono rette esclusivamente da
|
||
> pilastri. Tutti i pilastri hanno proporzioni diverse, sono orientati in modi
|
||
> diversi, posizionati a intervalli diversi.
|
||
>
|
||
> Ogni pilastro è progettato individualmente, meticolosamente. Allo stesso
|
||
> tempo, un piano meticoloso è reso trasparente.
|
||
>
|
||
> Pianificare mentre l'intento del piano non è più visibile, diventa l'intento
|
||
> di questo piano.
|
||
>
|
||
> Una disposizione casuale. Un pianterreno di alberi in una foresta. La
|
||
> disposizione delle stelle assomiglia a quella degli alberi in una foresta. Il
|
||
> fatto che percepiamo una casualità condivisa in queste due cose che sembrano
|
||
> non correlate può essere dovuto alla casualità che appartiene all'essenza
|
||
> della natura[^vi31].
|
||
|
||
Nonostante gli accenti con cui è presentato, il KAIT sotto molti aspetti
|
||
potrebbe essere assimilato ai *flagship stores* visti più sopra: identico il
|
||
candore della pavimentazione e delle 305 colonne di dimensioni variabili,
|
||
disposte irregolarmente a sostegno della copertura piana -- anch'essa bianca --
|
||
solcata da lucernari; identiche le pareti perimetrali interamente vetrate;
|
||
identica l'assenza di peso che promana dall'insieme. E identiche -- si può pure
|
||
presumere -- le dotazioni tecnologiche a disposizione degli studenti che rendono
|
||
lo spazio perfettamente connesso con il mondo. E tuttavia, predisponendo un
|
||
layout massimamente flessibile, in grado di includere le esigenze mutevoli degli
|
||
studenti, suggerendo usi senza imporli, Ishigami sembrerebbe alludere a un altro
|
||
genere di libertà: più che una "messa a disposizione" di possibilità senza
|
||
limiti, una capacità di *accogliere* possibilità illimitate. Un'*apertura* dello
|
||
spazio a interazioni spontanee che potrebbe essere intesa come una condizione di
|
||
*non* sfruttamento di esso. Scrive ancora Ishigami:
|
||
|
||
> La nostra vita quotidiana si svolge tra la manifestazione di risultati
|
||
> attentamente calcolati, e la libera interpretazione.
|
||
>
|
||
> Pensare alla progettazione di un'architettura che, anziché postulare ordine e
|
||
> disordine come valori opposti, li tratta allo stesso modo.
|
||
>
|
||
> Scoprire spazi liberamente, assegnando loro ogni volta una funzione.
|
||
>
|
||
> Ogni volta che un pezzo di architettura è completato, si rivela attraente in
|
||
> tutti i modi possibili, al di là delle stesse intenzioni dell'architetto[^vi32].
|
||
|
||
Che l'architettura di Ishigami sia profondamente immersa nel mondo
|
||
contemporaneo, che precisamente a esso si rivolga ("Un'architettura per l'era
|
||
del libero accesso all'informazione. Un'architettura per l'era della libera
|
||
connessione. Un'architettura per l'era della libertà dei valori")[^vi33], risulta
|
||
evidente. E però è altrettanto evidente come essa non si "accontenti" di ciò che
|
||
la realtà in quanto tale propone. In questo senso, la flessibilità degli spazi
|
||
del KAIT -- almeno nelle intenzioni del loro autore -- vorrebbe dimostrare di
|
||
essere l'esatto opposto della "flessibilità" come "libera imposizione" che le
|
||
società odierne assegnano ai loro "soggetti": là dove infatti a questi ultimi
|
||
viene richiesta una capacità di adattamento, nel suo caso è lo spazio che sembra
|
||
adattarsi alle svariate esigenze di chi lo utilizza.
|
||
|
||
Si potrebbe denominare questa architettura -- riprendendo una discussa
|
||
espressione di Colin Rowe -- "delle buone intenzioni"[^vi34]. Intenzioni
|
||
"preterintenzionali", verrebbe da aggiungere, sulla base delle parole appena
|
||
citate dello stesso Ishigami; il quale tuttavia, subito dopo, richiama la
|
||
necessità "di essere maggiormente coscienti (...) fin dalla fase della
|
||
progettazione"[^vi35] dei possibili gradi di libertà che l'architettura
|
||
*autonomamente* può assumere.
|
||
|
||
Ma la conclusione potrebbe essere anche diversa: che per Ishigami -- al pari
|
||
degli altri architetti di cui si è discusso in precedenza -- la suadente libertà
|
||
"obbligatoria" della società della trasparenza sia soltanto un'allettante
|
||
occasione per scatenare le proprie "fantasie creative", e dunque per cogliere
|
||
nuove, fruttuose opportunità di lavoro; mentre per tutto ciò una libertà "vera",
|
||
una libertà incondizionata -- come sembra suggerire Reinier de Graaf -- sarebbe
|
||
più che altro di ostacolo.
|
||
|
||
[^vi1]: Tafuri, *La sfera e il labirinto* cit., p. 315.
|
||
|
||
[^vi2]: Yvonne Farrell e Shelley McNamara, *Freespace-Manifesto*, in *Freespace*,
|
||
catalogo della XVI Mostra Internazionale di Architettura - Biennale di Venezia,
|
||
Venezia 2018, p. 51.
|
||
|
||
[^vi3]: Max Weber, *Il senso dell'"avalutatività" delle scienze sociologiche ed
|
||
economiche* (1917), in Id., *Il metodo delle scienze storico-sociali*, Einaudi,
|
||
Torino 2012, p. 265. Prosegue Weber: "Tra i valori si tratta ovunque e sempre,
|
||
in ultima analisi, non già di semplici alternative, ma di una lotta mortale
|
||
senza possibilità di conciliazione, come tra "dio" e il "demonio". Tra di essi
|
||
non è possibile nessuna relativizzazione e nessun compromesso".
|
||
|
||
[^vi4]: Oltre ai "classici" testi citati alla nota seguente, vedi Foucault, *La
|
||
società disciplinare*, a cura di Salvo Vaccaro, Mimesis, Sesto San Giovanni
|
||
2010, e Id., *La società punitiva. Corso al Collège de France (1972-1973)*,
|
||
Feltrinelli, Milano 2016.
|
||
|
||
[^vi5]: Michel Foucault, *Storia della follia nell'età classica*, Rizzoli, Milano
|
||
1963; vedi anche Id., *Nascita della clinica. Una archeologia dello sguardo
|
||
medico*, Einaudi, Torino 1969; Id., *Sorvegliare e punire. Nascita della
|
||
prigione*, ivi 1976.
|
||
|
||
[^vi6]: Jeremy Bentham, *Panopticon ovvero la casa d'ispezione*, a cura di M.
|
||
Foucault e M. Perrot, Marsilio, Venezia 2002.
|
||
|
||
[^vi7]: Jean Starobinski, *L'invenzione della libertà 1700-1789*, Abscondita,
|
||
Milano 2008.
|
||
|
||
[^vi8]: È quanto rileva lo stesso Foucault, *Disciplina e democrazia. Intervista
|
||
di J.-L. Ezine* (1975), in Id., *La società disciplinare* cit., p. 87: "La
|
||
disciplina è l'altra faccia della democrazia".
|
||
|
||
[^vi9]: Byung-Chul Han, *La società della trasparenza*, Nottetempo, Roma 2014.
|
||
|
||
[^vi10]: Byung-Chul Han, *Psicopolitica. Il neoliberalismo e le nuove tecniche del
|
||
potere*, Nottetempo, Roma 2016, p. 11.
|
||
|
||
[^vi11]: Lo aveva intuito già Foucault, *Disciplina e democrazia. Intervista di
|
||
J.-L. Ezine* cit., p. 87 (nel 1975!): "Si vedono apparire ora sorveglianze di
|
||
altro tipo, ottenute senza che quasi la gente se ne renda conto, attraverso la
|
||
pressione del consumo".
|
||
|
||
[^vi12]: Questo il significato che Aristotele attribuiva a ὑποκείμενον, tradotto
|
||
con il latino *subiectum*; per una discussione di questo termine prima e dopo
|
||
Cartesio, e dunque con l'imporsi del Mondo Moderno, vedi Martin Heidegger,
|
||
*L'epoca dell'immagine del mondo*, in Id., *Sentieri interrotti*, La Nuova
|
||
Italia, Firenze 1984, pp. 71-101.
|
||
|
||
[^vi13]: Han, *Psicopolitica* cit., p. 9.
|
||
|
||
[^vi14]: *Ibid.*, p. 18.
|
||
|
||
[^vi15]: *Ibid.*, p. 25.
|
||
|
||
[^vi16]: Le Corbusier, *Cinque punti per una nuova architettura* (1927), in Mara
|
||
De Benedetti e Attilio Pracchi, *Antologia dell'architettura moderna. Testi,
|
||
manifesti, utopie*, Zanichelli, Bologna 1988, p. 381. Continua Le Corbusier a
|
||
proposito della pianta libera: "Non esistono più pareti portanti, ma soltanto
|
||
membrane dello spessore desiderato. Conseguenza di ciò l'assoluta libertà nella
|
||
progettazione della pianta, cioè la libera disposizione delle risorse
|
||
esistenti".
|
||
|
||
[^vi17]: Fredric Jameson, *Postmodernismo ovvero la logica culturale del tardo
|
||
capitalismo*, Fazi Editore, Roma 2007, pp. 315-20.
|
||
|
||
[^vi18]: *Ibid.*, pp. 319-20.
|
||
|
||
[^vi19]: Karl Marx, *Il 18 brumaio di Luigi Napoleone* (1852), in Marx e Engels,
|
||
*Opere complete* cit., vol. XI, p. 107.
|
||
|
||
[^vi20]: Vittorio Savi e Josep Maria Montaner, *Less is more. Minimalisme en
|
||
arquitectura i d'altres arts*, Col•legi d'Arquitectes de Catalunya - editorial
|
||
Actar, Barcelona 1996.
|
||
|
||
[^vi21]: Aureli, *Less Is Enough* cit., p. 8.
|
||
|
||
[^vi22]: Han, *Psicopolitica* cit., p. 46.
|
||
|
||
[^vi23]: Owen Hopkins, *Architecture and Freedom: a changing connection*, in
|
||
<https://www.royalacademy.org.uk/article/exploring-architecture-and-freedom>, 2
|
||
settembre 2015. Vedi anche "Architectural Design", vol. 88, n. 3, maggio-giugno
|
||
2018, fascicolo curato dallo stesso Hopkins e interamente dedicato a
|
||
*Architecture and Freedom. Searching for Agency in a Changing World*.
|
||
|
||
[^vi24]: Francis Fukuyama, *La fine della storia e l'ultimo uomo*, Rizzoli, Milano
|
||
1992.
|
||
|
||
[^vi25]: Su ciò vedi Patrik Schumacher (a cura di), *Parametricism 2.0. Rethinking
|
||
Architecture's Agenda for the 21st Century*, Academy Editions, London 2016.
|
||
|
||
[^vi26]: Jürgen Mayer H., *Metropol Parasol*, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern 2011;
|
||
vedi inoltre Id., *Could Should Would*, scritti di Georges Teyssot, Ana Miljacki
|
||
e John Paul Ricco, ivi 2015.
|
||
|
||
[^vi27]: Farshid Moussavi, *The Function of Style*, Actar, New York 2014, ma anche
|
||
Id., *The Function of Form*, Actar, Barcelona 2009.
|
||
|
||
[^vi28]: Vedi ad esempio Giancarlo De Carlo e Franco Bunčuga, *Conversazioni su
|
||
architettura e libertà* (2000), Elèuthera, Milano 2018.
|
||
|
||
[^vi29]: Scrive lo stesso Jean Nouvel, *Real/Virtual*
|
||
([www.jeannouvel.com/en/projects/fondation-cartier-2/](http://www.jeannouvel.com/en/projects/fondation-cartier-2/)),
|
||
a proposito di quello che significativamente chiama "il fantasma nel parco":
|
||
"L'architettura riguarda la leggerezza, con una raffinata struttura di acciaio e
|
||
vetro. Architettura in cui il gioco consiste nel confondere i confini tangibili
|
||
dell'edificio e rendere superflua la lettura di un volume solido tra la poetica
|
||
della sfocatura e dell'effervescenza. Quando la virtualità è attaccata dalla
|
||
realtà, l'architettura deve avere più che mai il coraggio di assumere l'immagine
|
||
della contraddizione". La Fondation Cartier pour l'art contemporain è del
|
||
1991-94.
|
||
|
||
[^vi30]: Junya Ishigami, *Freeing Architecture*, catalogo della mostra, Fondation
|
||
Cartier pour l'art contemporain -- LIXIL Publishing, Paris-Tokyo 2018.
|
||
|
||
[^vi31]: Ishigami, *Freeing Architecture* cit., pp. 180-89.
|
||
|
||
[^vi32]: *Ibid.*, pp. 190-94.
|
||
|
||
[^vi33]: *Ibid.*, p. 309.
|
||
|
||
[^vi34]: Colin Rowe, *L'architettura delle buone intenzioni. Verso una visione
|
||
retrospettiva possibile* (1994), Pendragon, Bologna 2005.
|
||
|
||
[^vi35]: Ishigami, *Freeing Architecture* cit., p. 309.
|
||
|
||
## L'architetto come "produttore" e l'architettura come progetto
|
||
|
||
> Per gli architetti, la scoperta del loro declino come ideologhi attivi, la
|
||
> constatazione delle enormi possibilità tecnologiche utilizzabili per
|
||
> razionalizzare le città e i territori, unita alla quotidiana constatazione del
|
||
> loro spreco, l'invecchiamento dei metodi specifici di progettazione, prima
|
||
> ancora di poterne verificare nella realtà le ipotesi, generano un clima
|
||
> ansioso, che lascia intravvedere all'orizzonte uno sfondo molto concreto e
|
||
> temuto come il peggiore dei mali: il declino della "professionalità"
|
||
> dell'architetto e l'inserimento di questi, senza più remore tardoumanistiche,
|
||
> in programmi in cui il ruolo ideologico dell'architettura sia minimo[^vii1].
|
||
|
||
Per comprendere quanto si sia trasformata la condizione dell'architetto dal
|
||
momento in cui Manfredo Tafuri ha formulato la sua analisi -- ma al tempo stesso
|
||
quanto di quest'ultima si sia nel frattempo avverato --, è necessario ripartire
|
||
proprio dal punto in cui tale analisi è stata giudicata eccessivamente
|
||
"drammatica", e dunque nella sostanza è stata del tutto fraintesa. Si tratta
|
||
della famosa (e presunta) "profezia" della "morte dell'architettura". Lo stesso
|
||
Tafuri vi allude, facendo riferimento alle reazioni a *Per una critica
|
||
dell'ideologia architettonica*, da molti letto come un "omaggio a un
|
||
atteggiamento apocalittico, come "poetica della rinuncia", come estrema denuncia
|
||
di una "morte dell'architettura""[^vii2]. Tale lettura distorta, sorprendentemente
|
||
diffusa[^vii3], ha finito per distorcere a sua volta il quadro critico successivo.
|
||
Non soltanto quindi l'analisi tafuriana, cosí travisata, è stata bollata come
|
||
"oscura profezia", del tutto priva di "valore scientifico"[^vii4], ma ha spinto
|
||
anche molti (architetti non meno che storici e critici) a diffidare a priori di
|
||
ciò che in essa era contenuto; mancando in questo modo di scorgervi quanto per
|
||
loro -- e per le generazioni che sarebbero venute dopo di loro -- poteva invece
|
||
essere utile.
|
||
|
||
Quando Tafuri parla di "estinguersi (...) del ruolo di una disciplina"[^vii5], di
|
||
"crisi della funzione ideologica dell'architettura"[^vii6], intende riferirsi
|
||
all'esaurirsi di un compito storico, non certo formulare catastrofistici
|
||
pronostici in merito al futuro di entrambe. In questo senso, se proprio di
|
||
"morte" si dovesse parlare, ciò non riguarderebbe per nulla l'architettura
|
||
intesa come fatto materiale (costruito o anche solo progettato): piuttosto
|
||
l'architettura come sistema di pratiche, come professione che tradizionalmente
|
||
al proprio centro custodisce l'idea di disegnare (ossia progettare)[^vii7] e
|
||
organizzare lo spazio, da quello domestico a quello urbano (e volendo anche
|
||
oltre), e che in quanto tale comporta sempre, necessariamente, anche aspetti
|
||
relazionali, sociali, etici e politici[^vii8]. Se "morte" (o forse meglio, eclissi)
|
||
vi è, ciò che viene meno è un certo modo di concepire alcune parti (o
|
||
addirittura l'intero *corpus*) dell'architettura intesa in questo senso.
|
||
|
||
Come l'architettura nella sua dimensione materiale, cosí anche l'architettura
|
||
come processo è soggetta alle dinamiche storiche; e dunque, cosí come cambiano
|
||
gli edifici nel corso della storia, cambia anche il modo in cui la disciplina
|
||
architettonica viene intesa da un punto di vista concettuale. In *Per una
|
||
critica dell'ideologia architettonica* e *Progetto e utopia*, Tafuri ha cercato
|
||
di articolare storicamente le cause (e in misura minore, gli effetti) di questi
|
||
cambiamenti. Dall'Illuminismo alle avanguardie del Novecento, dall'utopia come
|
||
progetto ideologico alla depurazione dell'ideologia da ogni tratto utopistico,
|
||
il ciclo storico da lui individuato mostra una traiettoria ben precisa per
|
||
quanto riguarda la concezione dell'architettura da un punto di vista
|
||
disciplinare: l'assunzione su di sé di compiti di gestione dei grandi mutamenti
|
||
produttivi e sociali che hanno avuto luogo a partire dalla Rivoluzione
|
||
industriale, e che si prolungheranno fino ai primi tre decenni del XX secolo,
|
||
per essere riattivati ancora dopo la guerra. Per la cultura disciplinare, faro
|
||
di questo vorticoso e spesso contraddittorio sviluppo sono i miti della
|
||
razionalizzazione e della pianificazione, declinati a vario titolo e in diversi
|
||
contesti, fino al momento in cui -- come rileva Tafuri -- le verranno sottratti
|
||
dalle politiche dei "paesi a capitalismo avanzato come gli Usa o a capitale
|
||
socializzato come l'Urss"[^vii9]. Cosicché,
|
||
|
||
> ... dopo aver anticipato ideologicamente la ferrea legge del piano, gli
|
||
> architetti, incapaci di leggere storicamente il percorso compiuto, si
|
||
> ribellano alle estreme conseguenze dei processi che essi hanno contribuito a
|
||
> innescare[^vii10].
|
||
|
||
La comprensione di tali mutamenti -- oggi come allora -- si rivela un elemento
|
||
fondamentale. Rimanerne all'oscuro, o addirittura negarli, equivale a rimanere
|
||
del tutto estranei alla propria epoca, e di conseguenza essere esclusi dalla
|
||
possibilità di leggerla criticamente. Per utilizzare la già richiamata
|
||
distinzione proposta da Benjamin, in una misura non trascurabile questo tipo di
|
||
condizione costituisce il presupposto "migliore" per mettere chi vi si dispone
|
||
nella posizione del "rifornitore", vale a dire in uno stato di muta e cieca
|
||
acquiescenza nei confronti della società per cui opera.
|
||
|
||
Ma prima di passare ad analizzare quali siano gli effetti del cambio di statuto
|
||
dell'architettura attuale rispetto a quello di precedenti epoche storiche,
|
||
bisogna sgombrare il campo dalla possibile "impressione" che la supposta eclissi
|
||
di una certa idea di architettura, verificatasi a partire dagli anni sessanta e
|
||
settanta, possa essere il frutto esclusivo di una "deformazione" tafuriana. A
|
||
corroborare l'ipotesi relativa alla "crisi della funzione ideologica"
|
||
dell'architettura, con particolare riferimento a quel periodo, può quindi essere
|
||
utile la coeva testimonianza di De Carlo:
|
||
|
||
> Guardando con freddezza quel che accade, si può dire che l'architettura non
|
||
> interessa più nessuno. Non interessa i clienti tradizionali perché non risolve
|
||
> in modo efficiente e rapido i loro problemi di investimento e di potere; non
|
||
> interessa le istituzioni perché produce simboli troppo flebili e sbiaditi in
|
||
> confronto a quelli che producono altri settori di attività più potenti e
|
||
> aggressivi; non interessa la gente comune perché non propone nulla che
|
||
> corrisponda alle sue aspettative. Perciò, dal momento che non interessa più
|
||
> nessuno, l'architettura è condannata a una rapida estinzione[^vii11].
|
||
|
||
La fosca premonizione di Giancarlo De Carlo, formulata quasi mezzo secolo fa,
|
||
sembrerebbe a prima vista sconfessata dall'evidenza dei fatti: l'architettura --
|
||
nonostante tutto -- esiste, continua a esistere.
|
||
|
||
Tuttavia, a un'analisi più attenta, le parole di De Carlo non sono poi cosí
|
||
lontane dal vero: l'architettura, intesa nel senso in cui la intende
|
||
l'architetto genovese -- qualcosa che sia il frutto di un vero *interesse*,
|
||
ovvero di un effettivo *essere-tra*, un intreccio di relazioni tra *esseri*
|
||
diversi, ciascuno dotato di un proprio status di correlazione ma al tempo stesso
|
||
d'indipendenza dagli altri --, non soltanto è destinata a sparire ma
|
||
probabilmente non esiste già più (ammesso poi che, in una forma più "piena", sia
|
||
mai esistita). E qui, ancora una volta, bisogna fare chiarezza: l'architettura
|
||
esiste, certo, nella sua concretezza, in forma di edifici per la "gente comune",
|
||
rispetto alle cui "aspettative" però risulta spesso deludente. Ed esiste in
|
||
forma di sedi di rappresentanza di quelle "istituzioni" (pubbliche o private)
|
||
che tuttavia in effetti, nella gran parte dei casi, cercano e trovano altrove i
|
||
propri simboli, in settori "più potenti e aggressivi" -- primi fra tutti il
|
||
marketing e la pubblicità -- cui la stessa architettura è subordinata e spesso
|
||
assimilata. Per quanto riguarda i "clienti tradizionali", invece --
|
||
appartenenti, lungo tutto il corso del Novecento, in modo preponderante al mondo
|
||
imprenditoriale e politico --, sono proprio questi a essere scomparsi,
|
||
soppiantati da nuovi committenti desiderosi assai meno di radicare i loro
|
||
"interessi" in oggetti stabili e materiali, per investirli di preferenza in
|
||
entità immateriali e "volatili". Con significative differenze, comunque, tra
|
||
nuova committenza politica -- strenuamente impegnata a ostentare il massimo
|
||
distacco (apparente) del potere dal "palazzo", e dunque poco interessata a
|
||
farsene emblema --, e nuova committenza imprenditoriale. In quest'ultimo caso,
|
||
il problema non è tanto la differente accezione del termine "interesse", la sua
|
||
declinazione in senso prettamente economico anziché relazionale. Che gli
|
||
interessi degli investitori siano di tipo economico è qualcosa che non riesce a
|
||
sconvolgere neanche i più incalliti idealisti. La metamorfosi decisiva in questo
|
||
campo è piuttosto quella relativa al passaggio da un capitalismo "padronale",
|
||
ancora radicato in territori e culture, a un capitalismo finanziario, senza
|
||
volto e senza "testa", e dunque impersonale e invisibile; un capitalismo per il
|
||
quale sono assai poco importanti le appartenenze, le vicende, i linguaggi e le
|
||
problematiche locali. Ed è proprio questo sradicamento, con tutte le sue
|
||
conseguenze, di cui De Carlo "pre-sente" minacciosamente l'arrivo.
|
||
|
||
Non è dunque tanto sul piano dell'architettura realizzata (o anche solo pensata)
|
||
che oggi sembra avverarsi la "prognosi" di De Carlo, quanto piuttosto sul piano
|
||
concettuale e simbolico. Sul piano -- si potrebbe dire -- del *senso*. Nella
|
||
società odierna l'architettura non "conta", o lo fa molto meno di un tempo. Si
|
||
legga ancora De Carlo:
|
||
|
||
> Per convincersi che non è una battuta terroristica, e neanche una semplice
|
||
> battuta, basta scorrere le diagnosi degli esperti che confortano le decisioni
|
||
> dei politici ai quali sono affidate le sorti del mondo. Queste diagnosi
|
||
> concordano nel dichiarare che la questione dell'organizzazione dello spazio
|
||
> fisico è molto grave, ma anche molto semplice. Per risolverla basta
|
||
> identificare i problemi più salienti che sono quelli della residenza e del
|
||
> trasporto -- e affidarli a chi è in grado di affrontarli con la massima
|
||
> rapidità e col minimo sforzo[^vii12].
|
||
|
||
Massima rapidità e minimo sforzo: sono le modalità con cui agisce
|
||
preferenzialmente la logica capitalista, anzi -- per l'esattezza -- sono i suoi
|
||
obiettivi primari. D'altronde, dalle parole di De Carlo risulta evidente come,
|
||
in *questa* logica, "chi è in grado di affrontare" tali problemi non sia niente
|
||
affatto l'architetto cosí come egli stesso lo intende, capace di organizzare lo
|
||
spazio nella sua complessità, fisica e concettuale; non certo l'architetto per
|
||
il quale tempo e lavoro costituiscono quantità spesso non precisate, sulle quali
|
||
comunque non lesinare. Piuttosto, il pericolo che egli vede incombente è che,
|
||
per la risoluzione di questioni spaziali, in un futuro ormai prossimo, si faccia
|
||
ricorso "agli strumenti più efficaci utilizzandoli per quel che possono dare,
|
||
senza pretendere prestazioni qualitative che sono estranee alla loro natura".
|
||
Difficile dire con esattezza che cosa abbia qui in mente De Carlo; l'utilizzo
|
||
della parola "strumenti" lascia però evidentemente intuire il carattere
|
||
"strumentale" di tali interventi. Mentre la via d'uscita che per parte sua
|
||
ritiene possibile -- e che di fatto in diverse circostanze nel corso della sua
|
||
carriera ha proposto -- è quella dell'architettura "dalla parte della
|
||
gente"[^vii13], l'architettura della partecipazione.
|
||
|
||
La natura dell'architettura, intesa come somma dei compiti in carico
|
||
all'architetto è, fin dalle sue origini, essenzialmente organizzativa,
|
||
*gestionale*[^vii14]. Si tratta in sostanza dell'espletamento di alcune mansioni
|
||
specifiche (progettazione, disegno, estimo, scelta dei materiali, ecc.) che
|
||
tuttavia in larga parte sono assorbite nella capacità più complessiva
|
||
dell'architetto medesimo di sovrintendere, coordinare e soprattutto
|
||
*comprendere* le condizioni di possibilità del progetto, quand'anche questo
|
||
venga realizzato da altri. Pur essendo parte costitutiva del suo profilo
|
||
tradizionale, questa attività di gestione si è accresciuta nel tempo in tale
|
||
misura da divenire la parte preponderante del suo lavoro. Ma c'è di più:
|
||
l'estensione dei mercati potenziali in seguito alla globalizzazione, la
|
||
conseguente crescita quantitativa e dimensionale degli edifici, la loro sempre
|
||
maggiore complessità tecnologica, la richiesta di competenze sempre più
|
||
specialistiche e diversificate, sono alcuni dei fattori che hanno contribuito a
|
||
togliere all'architetto quella centralità nella produzione del progetto che in
|
||
precedenza deteneva. Ed è qui che l'analisi storica di Tafuri "incontra" le
|
||
considerazioni sulla professione di De Carlo. Se infatti la ricognizione
|
||
genealogica compiuta dal primo individua le cause scatenanti della crisi
|
||
dell'architettura come disciplina, la "fenomenologia" del secondo ne nomina
|
||
lucidamente gli effetti. Che sono appunto alla base delle evoluzioni che stiamo
|
||
vivendo attualmente.
|
||
|
||
Il formidabile sviluppo degli studi di architettura, in particolar modo dalla
|
||
seconda metà del XIX secolo in avanti, non soltanto in termini di numero di
|
||
persone impiegate ma anche di articolazione interna, di complessificazione
|
||
organizzativa (basti pensare agli *architectural firms* sorti a Chicago dopo
|
||
l'incendio del 1871, vere e proprie aziende di progettazione impegnate a
|
||
fronteggiare l'enorme richiesta di *commercial buildings* e *tall
|
||
buildings*[^vii15]; o all'*Architekturbüro* scientificamente impostato da Otto
|
||
Wagner per realizzare le stazioni della metropolitana e le chiuse del canale del
|
||
Danubio, affidategli nel 1894 dalla municipalità di Vienna in qualità di
|
||
consigliere superiore all'edilizia)[^vii16], corrisponde in epoche più recenti a un
|
||
altrettanto imponente incremento degli apparati gestionali presenti in tali
|
||
studi, perfettamente espresso dal dispiegamento di computer al posto di quelli
|
||
che un tempo erano i tavoli da disegno. È questa la plastica dimostrazione del
|
||
fatto che oggi i sistemi di elaborazione e di controllo del progetto sono
|
||
diventati pressoché interamente *strumentali*, come aveva preconizzato De Carlo.
|
||
E tuttavia, pur trattandosi di un mutamento importante, addirittura epocale, non
|
||
è in fondo cosí rilevante da provocare un vero sovvertimento nel modo di mettere
|
||
in rapporto architettura e architetto. Certamente, crescendo dimensionalmente,
|
||
ma soprattutto facendo proprio il modello della taylorizzazione del lavoro, gli
|
||
studi di architettura hanno visto nel tempo accrescersi pure la divisione e la
|
||
specializzazione delle mansioni al loro interno; cosicché, negli studi più
|
||
grandi, accanto agli architetti variamente aggettivati (partner, senior, junior,
|
||
ecc.), si trovano oggi frequentemente caddisti, renderisti, specialisti di
|
||
progettazione computazionale, BIM manager, architetti Revit, modellisti,
|
||
archivisti, responsabili dello sviluppo aziendale, esperti in *public
|
||
relations*, addetti ufficio stampa, per nominare solo alcune delle posizioni
|
||
possibili. Ed è altrettanto innegabile che il lavoro di architettura, negli
|
||
studi maggiori per mole e produttività, possa essere assimilato a quello svolto
|
||
in una fabbrica, con tutti gli effetti di sfruttamento e alienazione che ne
|
||
conseguono[^vii17]. In questa condizione, con l'ampliarsi a dismisura della
|
||
divaricazione tra chi occupa posizioni di vertice, di norma in grado di
|
||
abbracciare la complessità -- e in qualche caso anche il senso -- delle
|
||
operazioni eseguite, e chi invece è relegato nelle zone inferiori della scala
|
||
gerarchica, costretto a produrre semplici "spezzoni" di tali operazioni[^vii18],
|
||
diventa pressoché impossibile parlare di "lavoro dell'architetto" in maniera
|
||
generalizzata e univoca. Aspetto, questo, confermato anche dai diversi "nomi"
|
||
con cui si suole spesso indicare il contributo degli uni e degli altri: "opera",
|
||
nel caso dei primi, semplice "lavoro", in quello dei secondi:
|
||
|
||
> La parola "opera" evoca la dimensione autoriale di un prodotto, ovvero l'idea
|
||
> che il prodotto, progetto o edificio, sia il frutto dell'architetto. Al
|
||
> contrario, il lavoro (...) in architettura, supera i risultati architettonici
|
||
> tradizionali e comprende l'intero sforzo -- la fatica -- necessario per
|
||
> sostenere la produzione dell'"opera", dal mantenimento personale agli umili
|
||
> lavori che un architetto deve compiere per eseguire un incarico[^vii19].
|
||
|
||
Benché ovviamente "l'idea stessa di *opera* come qualcosa che possa essere
|
||
limitato alla creazione di un oggetto -- come è ancora preteso nella nostra
|
||
professione -- sia un'insostenibile farsa"[^vii20].
|
||
|
||
Ma il vero nodo della questione consiste nella profonda modificazione che ha
|
||
subito l'intero processo produttivo dell'architettura, sottoposto alle tensioni
|
||
delle trasformazioni epocali citate più sopra; una modificazione che "scavalca"
|
||
la stessa organizzazione del lavoro dentro gli studi (ormai raggiunti dal
|
||
"modello" post-fordista, con modalità di lavoro più "libere" rispetto a quelle
|
||
precedenti e con un controllo delle conoscenze disponibili al suo interno che
|
||
porta a intenderle ora come un "capitale cognitivo")[^vii21] e che pone
|
||
urgentemente l'architetto di fronte alla necessità di riflettere in merito al
|
||
proprio ruolo. Se da un lato infatti questo è radicalmente cambiato, dall'altro
|
||
in molti casi gli architetti si ostinano a vederlo immutato, se non nei suoi
|
||
aspetti pratici, nel suo significato intrinseco, nel suo valore simbolico. A
|
||
partire da quell'"immagine ideologicamente costruita dell'architetto come
|
||
indiscutibile creatore"[^vii22] che ancora resiste, non soltanto presso un pubblico
|
||
distratto e poco informato ma anche nell'autorappresentazione di molti
|
||
architetti. Nell'odierna realtà progettuale, invece, non muta soltanto
|
||
l'"identità" dei protagonisti, ma anche -- e radicalmente -- il "punto di vista"
|
||
secondo cui questi vanno osservati: in essa, infatti, non più l'architetto,
|
||
bensì "il progetto, suddiviso in parti condotte separatamente, individua diversi
|
||
ruoli di responsabilità e capacità dispiegati lungo il suo processo"[^vii23]. È il
|
||
*progetto stesso* a "scrivere il proprio destino", cioè a dettare le regole, a
|
||
imporre la propria agenda a tutte le figure professionali che incontra sul suo
|
||
cammino. Se un tempo "ruotava" intorno allo studio di architettura (fatta
|
||
eccezione per gli indispensabili interventi ingegneristici, finalizzati
|
||
all'elaborazione dei calcoli strutturali e all'inserimento dei sistemi
|
||
impiantistici, nonché -- in casi più rari -- di progettisti d'interni), oggi si
|
||
potrebbe dire che il progetto ha il proprio "centro" in se stesso: dopo essere
|
||
stato ideato e sviluppato in uno studio di architettura nelle fasi preliminare e
|
||
definitiva, non è infrequente che passi di mano e che venga integralmente
|
||
trasferito a società di ingegneria che lo porteranno in modo del tutto autonomo
|
||
alla fase esecutiva, ottimizzandolo (in linguaggio tecnico, "ingegnerizzandolo")
|
||
in vista della realizzazione. Ma spesso i passaggi non sono cosí definiti,
|
||
perché può capitare che il progetto venga rielaborato e modificato, anche
|
||
radicalmente, sotto un profilo strutturale, estetico o dei materiali, da altri
|
||
operatori, prima di arrivare alla fase costruttiva; la quale, anch'essa, è di
|
||
sovente frazionata dalla società capo-commessa in molteplici porzioni, ciascuna
|
||
delle quali eseguita da altre imprese mediante appalti separati. Un complesso
|
||
iter nello svolgersi del quale il progetto (o "servizio di progettazione", come
|
||
lo denomina ora il linguaggio burocratico italiano) viene variamente -- e da
|
||
svariati soggetti -- "processato"; termine, questo, che lascia involontariamente
|
||
intendere come il progetto venga sottoposto a revisioni nel corso delle quali --
|
||
di passaggio in passaggio -- perde via via ogni traccia di una paternità (o
|
||
maternità)[^vii24] che in altre epoche l'affiancarsi di altri nomi e competenze a
|
||
quelli dell'architetto poteva contribuire semmai a precisare, ma in nessun modo
|
||
mettere in dubbio.
|
||
|
||
Si tratta dunque di un "processo" -- frutto di una competizione più che di una
|
||
cooperazione -- che può portare anche alla completa alienazione dei "diritti"
|
||
sul progetto da parte del suo ideatore originario; sempre ammesso poi che abbia
|
||
ancora senso definire "autore" di un progetto chi, come accade in molte
|
||
circostanze, ne cede di fatto la proprietà materiale e intellettuale nel momento
|
||
stesso in cui questo passa di mano.
|
||
|
||
Il fatto che nell'epoca contemporanea il progetto -- dietro apparenze spesso
|
||
ingannevoli -- sia costitutivamente "in cerca di autore", dimostra quanto esso
|
||
sia indipendente dallo stesso architetto. Ma si tratta soltanto di una "spia"
|
||
che segnala una situazione di allarme più generale. È la prova che
|
||
l'architettura, ben lungi dall'essere il punto focale del progetto, è ormai
|
||
soltanto una "tappa" -- e a volte neppure la più rilevante -- di un percorso ben
|
||
più lungo e intricato. Ma proprio qui sta il problema: nell'accettare il lavoro
|
||
di architettura come mansione limitata, parziale, scorporabile da una lettura e
|
||
da un'interpretazione più complessiva e allargata della città e della società,
|
||
ovvero della politica e dell'economia -- nell'accettare l'architettura come
|
||
*mestiere specializzato*, come "comparto" operativo del capitale --,
|
||
l'architetto definisce la propria posizione rispetto a esso prima ancora di aver
|
||
compiuto qualsiasi "gesto" progettuale.
|
||
|
||
Certo, si è detto, l'architettura intesa come edificio materiale continua --
|
||
nonostante tutto -- a sussistere. E, a dispetto delle insidie di cui si fa
|
||
portatore ogni giorno il mondo virtuale, non è stato ancora trovato un valido
|
||
sostituto per gli edifici reali, in "carne e ossa". Pur attraversando fasi
|
||
altalenanti, dunque, il settore delle costruzioni rimane sempre uno dei comparti
|
||
migliori a cui affidare capitali in cerca di collocazioni sicure. Di
|
||
conseguenza, architetti e studi di architettura, nella misura in cui riescono a
|
||
sconfiggere una concorrenza che si presenta sempre più numerosa e agguerrita,
|
||
sembrano avere lavoro assicurato. Non tutti naturalmente se la cavano bene, ma
|
||
l'obiettivo comune alla gran parte di essi risulta ben chiaro: concorrere
|
||
ciascuno alla costruzione di un pezzo del mondo come lo conosciamo, *lasciandolo
|
||
cosí com'è* (con soltanto marginali aggiustamenti, nella maggioranza dei casi di
|
||
carattere estetico). Sono gli architetti "rifornitori". Ma che cosa ne è degli
|
||
architetti "produttori"? È cosí che Benjamin chiama coloro che trasformano *in
|
||
senso tecnico* l'apparato produttivo[^vii25].
|
||
|
||
Va chiarito immediatamente che non esistono architetti "rifornitori" e
|
||
architetti "produttori" *a priori*. È soltanto in relazione alla posizione che
|
||
ciascuno di essi assume nella realtà concreta dei processi produttivi
|
||
dell'architettura -- se li accetta passivamente facendosene semplice tramite o
|
||
se invece piuttosto li reinterpreta criticamente al punto da riuscire a
|
||
*trasformarli* sotto qualche profilo dall'interno[^vii26] -- che si determinerà il
|
||
loro essere "rifornitori" o "produttori". Esattamente la stessa posizione sulla
|
||
base della quale, nota ancora Benjamin, "può essere stabilito o meglio *scelto*
|
||
(...) il posto dell'intellettuale nella lotta di classe"[^vii27]. E qui è
|
||
necessario affrontare una questione essenziale: ha ancora senso questo discorso
|
||
*al di fuori* della prospettiva della "lotta di classe"? Vale a dire, al di
|
||
fuori di una prospettiva *rivoluzionaria* quale sussisteva per Benjamin? Non è
|
||
forse proprio la mancanza di questa -- o quantomeno di un'ideologia o di una
|
||
finalità condivisa, sia pur meno radicale -- a rendere difficile, se non
|
||
addirittura impossibile, attualizzare il discorso di Benjamin? Alla risposta più
|
||
apparentemente ovvia e immediata -- in assenza di una "lotta di classe" tale
|
||
discorso è *ipso facto* destituito di senso -- bisogna opporre una risposta più
|
||
meditata. L'attuale mancanza di un'alternativa politica al capitalismo è un
|
||
fatto assodato. Se mai ce ne fosse bisogno, sotto un profilo disciplinare questo
|
||
è "provato" dall'odierna rilettura in senso puramente "scientifico" (con Carl
|
||
Schmitt si potrebbe dire "neutralizzazione", ovvero *de-politicizzazione*)[^vii28]
|
||
dell'architettura, i cui obiettivi -- dall'edificio alla città, per giungere ad
|
||
*habitat* ancora più allargati -- sono umani e sociali, e dunque eminentemente
|
||
politici. Oggi, al posto degli obiettivi collettivi politicamente condivisi il
|
||
cui raggiungimento Benjamin poteva quantomeno indicare, si impongono interessi
|
||
individuali in cui, al di là di una pur significativa ma nella maggior parte dei
|
||
casi generica vocazione a "cambiare il mondo" con il proprio intervento,
|
||
prevalgono "obiettivi" come l'affermazione personale e l'ottenimento di maggiori
|
||
guadagni.
|
||
|
||
E tuttavia, a ben guardare, esiste un più che diffuso malessere nei confronti di
|
||
condizioni di vita e di lavoro che tocca punti di vista non soltanto
|
||
individuali. Si tratta di un disagio che trascende, in larga misura, la
|
||
singolarità di una visione soggettiva, limitata e parziale, e che coinvolge
|
||
ormai quella che Paolo Virno chiama una "moltitudine"[^vii29]. Pur essendo priva di
|
||
una prospettiva unitaria, la moltitudine ha in comune "il linguaggio,
|
||
l'intelletto, le comuni facoltà del genere umano"[^vii30]. I tanti soggetti
|
||
individuali che la compongono condividono tra loro aspirazioni e bisogni. E ciò
|
||
tanto più in un comparto ben definito qual è quello che ruota intorno al mondo
|
||
dell'architettura. All'interno di questo, da alcuni anni a questa parte, si sono
|
||
individuati non soltanto motivi d'insoddisfazione comuni (primo fra tutti,
|
||
condizioni di sfruttamento selvaggio dei lavoratori che spesso non hanno
|
||
paragoni nel panorama del lavoro intellettuale, e neppure di quello
|
||
manuale)[^vii31], ma anche forme di relazioni intersoggettive che, se non arrivano
|
||
certo a definire un vero e proprio soggetto politico, hanno però almeno la
|
||
capacità di inquadrare i problemi in modo analitico[^vii32], e istituire reti di
|
||
comunicazione e di scambio tra i soggetti coinvolti. Sono ancora lontani
|
||
dall'essere messi a fuoco, in tutto ciò, comportamenti solidali e rivendicazioni
|
||
condivise; ma soprattutto manca una vera e propria "coscienza di classe",
|
||
sostituita al momento da una più generica consapevolezza di appartenenza, di
|
||
compartecipazione a una medesima condizione o "destino". Al tempo stesso, però,
|
||
vi sono diffusi e ricorrenti segnali di un risveglio di attenzione e di
|
||
interesse nei confronti di una lettura politica della disciplina architettonica
|
||
nel suo complesso, in netta controtendenza rispetto all'orientamento ancora
|
||
dominante che vede in essa l'esclusiva espressione di una cultura
|
||
scientifico-tecnologica, cui corrispondere in termini "prestazionali" e
|
||
professionalistici. Ed è sulla strada -- pur lunga e difficoltosa --
|
||
dell'individuazione di strategie e dell'adozione di tattiche finalizzate
|
||
all'organizzazione di una maggior "resistenza" e di una lotta più efficace e
|
||
consapevole, che i testi di Benjamin -- e in particolare quello citato -- hanno
|
||
spesso rappresentato un fondamentale viatico per la cultura architettonica[^vii33].
|
||
Benché naturalmente al di fuori di qualsiasi realistica prospettiva di
|
||
rivoluzione, la *prospettiva rivoluzionaria* proposta da Benjamin --
|
||
specificamente rivolta al lavoro intellettuale -- ha fornito e continua a
|
||
fornire un impulso e una possibile "linea di condotta" per i soggetti coinvolti
|
||
a vario titolo nel processo produttivo dell'architettura. Distogliendo lo
|
||
sguardo dagli scenari più "eroici" della lotta di classe, per fissarlo
|
||
sull'obiettivo più circoscritto delle dinamiche interne ai rapporti di
|
||
produzione, il testo di Benjamin apre uno squarcio in un momento storico quasi
|
||
senza speranze. L'alternativa tra farsi "rifornitori" o "produttori" di tali
|
||
rapporti mantiene infatti la propria validità anche al di fuori di prospettive
|
||
politiche più radicali, offrendosi come opportunità per chi, pur essendo
|
||
*dentro* di essi, intenda porsi *contro* le logiche che li informano.
|
||
|
||
E proprio dal testo di Benjamin emerge un dato importante: le posizioni occupate
|
||
nel processo produttivo sono frutto di una *scelta*. Nessun ostacolo logico
|
||
esiste, di ordine trascendentale, che impedisca di posizionarsi nell'una o
|
||
nell'altra. Ciò non significa che sia una "libera" scelta: essa dipende comunque
|
||
da condizionamenti e congiunture, cosí come dipende dal punto a partire dal
|
||
quale viene compiuta. Vi sono fattori economici in gioco, ma anche culturali e
|
||
sociali, che vincolano tale scelta, orientandola in un senso o nell'altro. Ma
|
||
pur con tutti i limiti ipotizzabili ed entro condizioni storicamente
|
||
determinate, la scelta della propria posizione nel processo produttivo da parte
|
||
dell'architetto si presenta -- se non certo libera in assoluto -- quantomeno
|
||
*possibile*. Come in altre contingenze della vita individuale e sociale, è il
|
||
risultato della composizione, in positivo o in negativo, di convenzioni e
|
||
convenienze che possono influenzarla, quando non addirittura determinarla del
|
||
tutto. Ma ciò nondimeno è e rimane anche una *decisione*: un "taglio" netto,
|
||
deliberato, che risolve la *quaestio* in un modo o nell'altro. Come tutte le
|
||
decisioni, comporta un'assunzione di responsabilità e l'esercizio di una
|
||
convinzione[^vii34]. Non è insomma possibile -- di fronte all'occupazione dell'una
|
||
o dell'altra posizione -- invocare l'ineluttabilità delle circostanze o del
|
||
"fato", non comunque in una misura determinante.
|
||
|
||
Ma, come non esistono architetti "rifornitori" e architetti "produttori" *a
|
||
priori*, neppure esistono architetti "rifornitori" e architetti "produttori" una
|
||
volta per tutte. Ciascun architetto compie la propria scelta ogni giorno, in
|
||
ogni momento, spesso inconsapevolmente, e altrettanto di frequente in modo
|
||
inapparente, non dichiarato. Lo fa nell'ambito del proprio lavoro, accogliendo o
|
||
meno offerte che le/gli vengono fatte, soddisfacendo o meno condizioni che
|
||
le/gli vengono imposte, ridiscutendo progetti che le/gli vengono commissionati,
|
||
ponendosi o meno a disposizione nell'accettare compromessi o imposizioni.
|
||
|
||
Insomma, si tratta di casi molto frequenti e di scelte molto concrete, che
|
||
portano l'architetto a posizionarsi come "rifornitore" dell'apparato di
|
||
produzione, oppure piuttosto come "produttore". Ma produttore di che cosa? Come
|
||
va inteso esattamente questo termine? Non è forse anche l'architetto
|
||
"rifornitore" un produttore, nella misura in cui realizza per l'appunto
|
||
"prodotti"? Innanzitutto si può dire -- anzi ribadire -- che tutta
|
||
l'architettura è un prodotto, vale a dire una merce. La natura di merce
|
||
dell'architettura non è minimamente revocata, e neppure insidiata,
|
||
dall'intervento dell'architetto "produttore" invece che da quello
|
||
dell'architetto "rifornitore", o viceversa. Ma se l'architettura è senza dubbio
|
||
un prodotto nel caso di entrambi, in quello dell'architetto "produttore" si può
|
||
dire che essa è *anche* un prodotto, ma non solo: ovvero non è un
|
||
prodotto-e-basta. Essa è anche -- ed essenzialmente -- un *progetto*. Non però
|
||
quel "progetto" che l'architetto in quanto architetto produce (o meglio,
|
||
dovrebbe produrre, se altri operatori, altri "attori" -- come si è visto -- non
|
||
ne insidiassero il compito) in vista di una possibile realizzazione. Piuttosto
|
||
un progetto da intendersi come *idea*, come *finalità* (e non come semplice
|
||
presupposto) dell'architettura medesima.
|
||
|
||
L'avvicinamento di prodotto e progetto non è affatto inedito o sorprendente.
|
||
|
||
> Pro-durre e pro-getto sono termini solidali, rappresentano, nel nostro
|
||
> linguaggio, un'unica "famiglia". Il progetto è inteso come intrinsecamente
|
||
> produttivo: esso elabora modelli di produzione. Il pro-durre è compreso nel
|
||
> pro-getto che ne illumina il senso e il fine[^vii35].
|
||
|
||
In realtà, molto più di quanto si possa pensare, il progetto è distante da una
|
||
dimensione semplicemente produttiva-predittiva (idea che linearmente anticipa la
|
||
propria realizzazione), per aprirsi invece alla "massima (...) irruzione
|
||
dell'imprevedibile"[^vii36]. È questa idea di progetto che s'affaccia nella
|
||
produzione dell'architetto "produttore": dove dunque l'architettura *come
|
||
progetto* non indica il mero svolgimento di un'intenzione iniziale, l'attuazione
|
||
di qualcosa di interamente presente in essa, e perciò di perfettamente aderente
|
||
a un programma "dato" (e "dato" appunto dal processo produttivo come tale),
|
||
bensì qualcosa che "eccede" da esso, che si apre a possibilità ulteriori, non
|
||
previste, azzardate, che mettono in crisi il processo produttivo medesimo.
|
||
|
||
Architettura come progetto significa che l'architettura *nel suo complesso*,
|
||
come disciplina pratica *e* concettuale, in tutti i suoi aspetti e passaggi --
|
||
dall'elaborazione teorica all'organizzazione produttiva, passando naturalmente
|
||
anche per il progetto architettonico inteso in senso tradizionale, con tutti i
|
||
processi che ne rendono possibile la realizzazione -- è ripensata in una
|
||
prospettiva progettuale, nell'accezione "aperta", arrischiata al futuro,
|
||
enunciata poc'anzi.
|
||
|
||
Per rendere più facilmente comprensibile come ciò vada inteso (e per dissolvere
|
||
il possibile equivoco ingenerato dalla somiglianza formale delle espressioni
|
||
"architettura come progetto" e progetto architettonico, cui corrisponde nei
|
||
fatti un'abissale distanza), si potrebbe richiamare il senso che il termine
|
||
"progetto" assume allorché ci si riferisce a un progetto letterario o artistico
|
||
o, ancora, a un progetto politico, o a un progetto di vita; dove il "progetto"
|
||
in questione non ha palesemente nulla a che fare con pratiche relative a quegli
|
||
ambiti, come accade invece nel caso dell'architettura. Oppure, più propriamente,
|
||
si potrebbe richiamare l'uso che ne ha fatto Tafuri a proposito del "progetto"
|
||
storico[^vii37]; appare chiaro, infatti, in questo caso, come non soltanto il
|
||
lavoro storico in generale venga assimilato a un "progetto" ma come tale
|
||
"progetto" sia per molti versi assimilabile a quello aperto, arrischiato e
|
||
capace di mettere in crisi il proprio stesso processo produttivo descritto in
|
||
precedenza[^vii38]: un "progetto" che non a caso egli definisce "progetto di
|
||
crisi"[^vii39]. È lo stesso orizzonte a cui si riferisce Cacciari parlando della
|
||
tecnica in relazione al noto saggio di Benjamin: "Non si dà discorso autentico
|
||
sulle tecniche, finché non se ne *teorizza* la struttura di *crisi*: esse non
|
||
avvengono che in base a crisi -- a causa del trasformarsi degli assetti
|
||
culturali precedenti"[^vii40]. E ancora: "La crisi non è un momento che lo sviluppo
|
||
delle tecniche attraversa, ma la loro immanente struttura". Una "coincidenza"
|
||
niente affatto casuale, dal momento che è l'analisi dello stesso Cacciari a
|
||
"finire" per occuparsi proprio dell'*Autore come produttore*. Qui, quanto
|
||
precedentemente affermato in merito alla capacità del progetto di mettere in
|
||
crisi -- *trasformandoli* -- i processi produttivi, viene ulteriormente
|
||
illuminato: infatti
|
||
|
||
> \[La\] crisi non può essere operata speculativamente -- riflettendo
|
||
> *dall'esterno* sul processo di trasformazione. Essa deve essere *prodotta*.
|
||
> (...) Qualsiasi posizione intellettuale che non si ponga come *produttiva* è
|
||
> reazionaria. Ma *produttiva* significa: non soltanto integrata nel rapporto di
|
||
> produzione -- ma in grado di trasformarne-metterne in crisi l'apparato
|
||
> tecnico-linguistico[^vii41].
|
||
|
||
L'architettura come progetto non indica dunque un "progetto" *per* essa o *con*
|
||
essa: piuttosto indica l'essere progetto *essa stessa*. E un progetto non
|
||
semplicemente confermativo bensì effettivamente *trasformativo* degli apparati
|
||
produttivi; un progetto di crisi. Soggetto di tale progetto di crisi è
|
||
l'architetto come produttore, o per dir meglio, l'architetto che accetti di
|
||
calarsi *dentro* tali apparati, confrontandosi con essi, con le loro forme, i
|
||
loro linguaggi, e al tempo stesso scelga di criticarli, andando *contro* una
|
||
loro riproposizione immutata. Non si tratta affatto -- si badi bene -- di mere
|
||
"astrazioni". Piuttosto di ben precise *relazioni* sviluppabili all'interno
|
||
della catena di produzione attraverso i diversi anelli della quale il progetto
|
||
architettonico man mano transita: relazioni con gli altri soggetti e le altre
|
||
competenze della catena di produzione; relazioni con le amministrazioni
|
||
pubbliche, con le istituzioni e con i committenti privati; relazioni con le
|
||
imprese di costruzioni e con le maestranze; relazioni con i fornitori; relazioni
|
||
con l'utenza di un edificio e più in generale con la cittadinanza e con il
|
||
pubblico; relazioni con gli altri componenti dello studio; relazioni con gli
|
||
altri studi; relazioni con il mondo della comunicazione dell'architettura
|
||
(editoria, riviste, giornali, internet); relazioni infragenerazionali e con gli
|
||
studenti. Tali relazioni risultano naturalmente tanto più significative quanto
|
||
più i soggetti implicati sono disponibili a lasciarsi coinvolgere e a farsi
|
||
mutare, ma non escludono neppure il ricorso a modalità conflittuali[^vii42]; anzi,
|
||
spesso ciò è inevitabile.
|
||
|
||
A questo elenco si possono aggiungere l'organizzazione del lavoro interna allo
|
||
studio; il quadro legislativo entro il quale l'architetto si muove; il corpus
|
||
teorico disciplinare; le possibili analisi storiche, sociologiche, economiche,
|
||
politiche compiute su architettura e città; e ovviamente il progetto vero e
|
||
proprio, alle sue possibili scale diverse, architettonica e urbana, visto sotto
|
||
*tutti* i suoi aspetti, e in particolare sotto il profilo delle modalità
|
||
alternative di concepire e organizzare lo spazio, unico terreno di applicazione
|
||
e verifica della politica all'architettura. Si tratta di una molteplicità di
|
||
campi diversi, con cui -- in differenti modi e in vari momenti nel corso del suo
|
||
lavoro -- l'architetto viene a contatto. Agendo su uno o più di questi ambiti,
|
||
vale a dire mettendoli in crisi, modificandoli, per innovarli -- ma soprattutto
|
||
per *migliorarli* nella misura del possibile[^vii43] --, l'architetto propone se
|
||
stesso come intellettuale.
|
||
|
||
Nella condizione attuale, in modo nettamente contrastante rispetto ad altre
|
||
epoche storiche precedenti, la figura dell'intellettuale appare fortemente
|
||
screditata. In realtà, pur non risalendo a tempi troppo recenti, la condizione
|
||
di crisi non sembra affatto essere endemica per l'intellettuale: il quale, in un
|
||
passato più o meno distante, ha rivestito posizioni centrali non solo al fianco
|
||
di regnanti o potenti, né solo in qualità di membro della *respublica
|
||
litterarum*, ma anche in settori vitali e operanti della società[^vii44]. Non è
|
||
dunque qui il caso di ritornare sulla questione già accennata della sua
|
||
(presunta) "crisi", se non per far notare che curiosamente l'intellettuale,
|
||
stante quanto detto sin qui, sembrerebbe porsi in un duplice rapporto con la
|
||
crisi: da un lato come colei/colui che la patisce, dall'altro come colei/colui
|
||
che la impartisce. Al punto da far sorgere il dubbio che la crisi
|
||
dell'intellettuale, in ultima istanza, non sia nient'altro che il rovesciamento
|
||
su di sé della propria stessa attitudine a mettere in crisi. Ormai da tempo
|
||
affermatisi come ceto separato, con un'espressa funzione "contemplativa" -- di
|
||
osservatori privilegiati -- della società[^vii45], gli intellettuali sconterebbero
|
||
in tal modo la propria crescita ipertrofica, o sarebbero vittime di un "delirio
|
||
di onnipotenza", giungendo a rivolgere le proprie armi contro se stessi. O forse
|
||
piuttosto, agendo e "abitando" costantemente la crisi, la loro esistenza non è
|
||
contraddetta dalla presenza di questa.
|
||
|
||
Di certo comunque si può dire che il ruolo dell'intellettuale, oltre a quello
|
||
più ovvio di istruire la società propagandovi la cultura sotto varie forme,
|
||
consista nel "rompere" costellazioni di saperi consolidate, riconfigurandole
|
||
secondo altre strutture di senso[^vii46]. Quest'opera di "rottura" è sempre stata
|
||
fondamentale per l'intellettuale produttivo e progressivo. Ben lungi dal
|
||
confermare condizioni e opinioni già note e diffuse, questi si presenta come un
|
||
"quieto agitatore", il portatore di un conflitto che non è tuttavia frutto di
|
||
una "visione personale", bensì appartiene alle *cose stesse*. "Per "ritornare
|
||
alla cosa" occorre (...) saperla porre nel suo dissidio rispetto alle
|
||
altre"[^vii47]. L'intellettuale weberiano, da questo punto di vista, costituisce
|
||
forse il culmine della capacità di rendere continuamente presente il conflitto
|
||
che è nelle cose, con *disincanto*; una forma di distacco, quest'ultima, che non
|
||
può essere adottata però come un semplice "atteggiamento" e che è invece il
|
||
motore stesso del suo agire.
|
||
|
||
Per quanto concerne l'architettura, le figure analizzate in precedenza
|
||
rispondono perfettamente a questi caratteri: sia che -- come fa Aldo Rossi -- si
|
||
ridisegni a livello teorico il nesso tra architettura e città, facendo ampio
|
||
ricorso ad altre culture disciplinari[^vii48]; sia che -- come fa Aldo van Eyck --
|
||
si intervenga a livello urbano escogitando un intelligente riuso di un ingente
|
||
numero di spazi pubblici residuali e istituendo al tempo stesso una proficua
|
||
collaborazione con una municipalità[^vii49]; oppure, sfidando convenzioni sociali e
|
||
tipologiche, si offrano spazi di relazione davvero capaci di commisurarsi agli
|
||
utenti[^vii50], è sempre e comunque l'impronta di un architetto intellettuale
|
||
quella che qui si lascia riconoscere. Come da questi due esempi risulta
|
||
evidente, nell'entrare in rapporto con singoli ambiti o temi, i diversi
|
||
architetti citati utilizzano metodi e strumentazioni differenti: dalla ricerca
|
||
più tradizionale, svolta individualmente, a quella che prevede una pluralità di
|
||
contributi, che vanno dunque selezionati e coordinati tra loro, fino al diretto
|
||
intervento sulla città o su un edificio. E molti altri ancora sono e potrebbero
|
||
essere i mezzi impiegati. Con ciò si dimostra l'ampiezza dello spettro d'azione
|
||
dell'architetto intellettuale, ma anche la sua completa libertà da qualsiasi
|
||
"obbligo" culturalistico. Come avverte Gramsci nel Quaderno già ricordato[^vii51],
|
||
del resto, per il costruttore, per l'organizzatore -- e dunque anche per
|
||
l'architetto --, l'attività intellettuale si estrinseca non più nell'"eloquenza
|
||
(...) ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica". Nessun vuoto
|
||
"intellettualismo" è pertanto richiesto (e concesso) all'architetto che agisca
|
||
*sub specie intellectualis*. Semmai, a questo punto, ostentazioni di cultura e
|
||
fumose "astrattezze" divengono i migliori indici della presenza di ormai
|
||
intollerabili pseudo-intellettuali (architetti o altro che siano)! E come
|
||
l'architetto intellettuale non deve per forza disporre di capacità oratorie o
|
||
retoriche, cosí non per forza deve profondere il suo impegno su un terreno
|
||
diverso da quello dell'architettura.
|
||
|
||
Riletti in questa chiave, i "casi" più interessanti che emergono dalla storia
|
||
dell'architettura sono proprio quelli *produttori di crisi*, più che quelli
|
||
portatori di ordine (oppure quelli portatori di un ordine che mette in crisi a
|
||
sua volta). Sono i momenti di "rottura", più che i momenti di continuità. Sono
|
||
le opere che tolgono certezze, più che le opere che le confermano. Ovviamente
|
||
nella misura in cui ciò sia fondato. Da questo punto di vista, persino una
|
||
nozione pur pesantemente gravata da una matrice idealistica qual è quella di
|
||
"capolavoro" potrebbe essere recuperata a una critica produttiva. Idealistica,
|
||
nella categoria di "capolavoro", è la maniera di concepire l'opera d'arte (o di
|
||
architettura) come un prodotto eccezionale, isolato, frutto dell'intuizione
|
||
sublime di un genio; e idealistica è parimenti la presunzione dell'esistenza di
|
||
un rapporto di "continuità" tra il presunto "capolavoro" e la sua epoca, di cui
|
||
esso rappresenterebbe semplicemente il "culmine". In realtà, volendosi servire
|
||
ancora di questa vecchia categoria degradata, bisognerebbe riconoscere nel
|
||
"capolavoro" da un lato la piena implicazione nelle vicissitudini produttive del
|
||
proprio autore, e dall'altro una capacità -- questa sí davvero straordinaria --
|
||
di rompere con il proprio tempo, di mettere in crisi l'ordine precedente, e di
|
||
istituirne al suo posto uno nuovo. Da questo punto di vista, lungi dall'esserne
|
||
estraneo, il capolavoro ha a che fare con l'epoca nel preciso senso che esso *fa
|
||
epoca*, vale a dire che provoca un arresto del corso del tempo (*epoché*,
|
||
sospensione). Ma, nel "far epoca", il capolavoro mostra la propria attitudine
|
||
rivoluzionaria, non certamente l'opposta tendenza a occupare un posto centrale
|
||
all'interno d'un quadro lasciato però sostanzialmente immutato.
|
||
|
||
Per l'architetto come intellettuale, inoltre, al pari dell'autore come
|
||
produttore di Benjamin, "il progresso tecnico è la base del suo progresso
|
||
politico"[^vii52]. Tale discorso non va assolutamente confuso con un progresso
|
||
tecnologico. Per quanto rivesta un ruolo fondamentale per gli apporti che dà al
|
||
processo produttivo dell'architettura, la tecnologia non ha nulla a che fare con
|
||
la tecnica nel modo in cui Benjamin la intende in questo contesto. Parlando di
|
||
"progresso tecnico", egli si riferisce piuttosto al padroneggiamento di
|
||
competenze specifiche, nonché ai possibili avanzamenti rappresentati
|
||
dall'ulteriore acquisizione di esse. Ma soprattutto, per Benjamin il vero
|
||
"progresso tecnico" non consiste affatto nell'incremento delle potenzialità
|
||
degli strumenti che l'uomo ha a disposizione; esso piuttosto va inteso come
|
||
qualcosa di cui l'uomo di per sé dispone, ovvero -- ancora una volta -- la
|
||
capacità di intervenire sui processi produttivi in maniera tale da modificarli.
|
||
A questo fine -- in qualità di architetto -- può anche servirsi di dispositivi
|
||
informatici e digitali, ma non solo: oltre alle tecniche tradizionali di
|
||
rappresentazione legate al progetto e alla pianificazione (dallo schizzo al
|
||
disegno, fino alla fotografia e al video), un "buon" architetto sa -- o dovrebbe
|
||
sapere -- impiegare, almeno entro certi limiti, competenze strutturali,
|
||
estimative, giuridiche, sociologiche, psicologiche, politiche e di altre
|
||
discipline ancora. Nel fare tutto ciò egli si avvale della parola (in forma
|
||
scritta o verbale), strumento massimamente duttile e diversificato che offre a
|
||
chi la usa coscientemente la possibilità di fare ricorso a un vasto numero di
|
||
"tecniche". Ed è su questo terreno che si lasciano misurare le capacità
|
||
*produttive* dell'architetto intellettuale. Al di là del suo essere mezzo di
|
||
comunicazione oggi eccessivamente abusato, infatti, la parola è -- o dovrebbe
|
||
essere -- anche e soprattutto suprema "innescatrice" di relazioni e
|
||
impareggiabile apportatrice di potenzialità inventive e trasformative. Non
|
||
"vuote" parole, destinate di conseguenza a cadere nel vuoto, dunque, bensì
|
||
parole corpose, precise, circostanziate, la cui fondamentale missione si
|
||
presenta quella di ridefinire ogni volta il senso della disciplina nei suoi
|
||
diversi aspetti, ma anche quella di renderne partecipi gli altri ambiti, il
|
||
"resto del mondo", che troppo spesso ne rimane all'oscuro.
|
||
|
||
Rispetto al lavoro di *routine* svolto dal semplice "rifornitore", a quello
|
||
dell'architetto intellettuale è richiesto qualcosa di più: a esso non è
|
||
sufficiente ripetere soluzioni già note; piuttosto deve sperimentare soluzioni
|
||
inventive, conquistando cosí nuovi territori e nuovi rapporti da esplorare. In
|
||
questo senso, "contro" può significare anche contro il lavoro assegnato,
|
||
prestabilito, contro le convenzioni, contro le abitudini non più verificate.
|
||
Nell'ottica del lavoro intellettuale, del resto, proprio il tema della
|
||
"verifica" è fondamentale, come già ricordato in precedenza con parole di Franco
|
||
Fortini che presentano forse inconsapevoli risonanze benjaminiane[^vii53]. Non si
|
||
dà lavoro autenticamente produttivo senza un'attenta verifica delle sue
|
||
implicazioni e ricadute. E come esso non può "confidare" su un atto puramente
|
||
ri-produttivo, cosí il suo autore non può "pretendersi" libero dalla necessità
|
||
di dare continuità al proprio operato: soltanto cosí si comprova il suo ruolo.
|
||
La sua attendibilità di "produttore" dipende da essa e va parimenti sottoposta a
|
||
verifica. E in ogni caso, nulla vieta che l'architetto "produttore" torni
|
||
nuovamente a "rifornire". Alla libertà della sua scelta è data anche la
|
||
possibilità dell'incoerenza.
|
||
|
||
Può questo *idealtypus* dell'architetto intellettuale -- portatore di
|
||
inquietudine e di "sconvolgimenti" (*produttore di crisi*) nel cuore stesso del
|
||
proprio lavoro, destinato per sua essenza a "edificare" (*ædes facere*), o
|
||
quantomeno a occuparsi di *rerum ædificatoriarum*[^vii54] -- aderire all'architetto
|
||
attuale? Ovvero, corrispondono gli architetti *reali* a questa figura ideale? Si
|
||
potrebbe rispondere che è certamente possibile, come lo è stato in momenti e in
|
||
epoche precedenti, a patto naturalmente di non idealizzare la realtà in modo
|
||
eccessivo. Ma la vera questione qui non è dare volti e nomi reali a un profilo
|
||
ideale; né compilare liste di eletti e di proscritti, che per di più sarebbero
|
||
comunque soggettive e parziali. Alla "famiglia" degli architetti infatti
|
||
appartengono non soltanto i "grandi" nomi ma anche i nomi "normali", e le
|
||
miriadi di "anonimi" che compiono il loro lavoro quotidiano negli studi, coloro
|
||
che svolgono le stesse mansioni in altre posizioni, coloro che insegnano, coloro
|
||
che per perversione o passione si dedicano alla storia e alla critica...[^vii55].
|
||
Insomma, una "famiglia" molto vasta e complessa, tutta impegnata nel suo insieme
|
||
in un'attività intellettuale, ma all'interno della quale non tutti i suoi membri
|
||
risultano *produttivi* nel senso indicato. La vera questione insomma non è
|
||
individuale ("non esistono più gli architetti intellettuali di una volta...")
|
||
bensì collettiva. Detto in altri termini, la vera questione su cui interrogarsi
|
||
è la funzione storica dell'architetto intellettuale *nel momento attuale*.
|
||
|
||
Se un tratto specifico sembra contrassegnare il momento attuale (vale a dire una
|
||
società neoliberalista), esso potrebbe essere identificato con un'assoluta
|
||
"refrattarietà" da parte di questa per qualsiasi tipo di critica. La mentalità
|
||
dominante pare costitutivamente lontana da uno spirito critico, cosí come lo è
|
||
dall'elaborazione di un pensiero critico (un pensiero *di crisi*). Lungi
|
||
dall'essere una caratteristica accidentale o neutrale, tale mancanza risponde
|
||
invece -- almeno in prima istanza -- a una precisa volontà di autoaffermazione
|
||
apodittica. La stessa spasmodica ricerca del consenso va letta precisamente in
|
||
questa ottica: come massima avversità per la crisi (il fatto poi che la crisi si
|
||
ripresenti ciclicamente sotto forma "economica", non diminuisce di certo -- e
|
||
semmai anzi aumenta -- tale avversità). Ma al tempo stesso, è proprio in
|
||
quest'epoca apparentemente priva di spirito critico che si può sviluppare uno
|
||
spirito critico, sia pure sporadico e disorganizzato, e complessivamente
|
||
estraneo alle logiche dominanti. Si tratta di uno sviluppo *non imprevisto*;
|
||
esso cioè non soltanto è tollerato ma in qualche modo finisce anche per essere
|
||
funzionale al sistema. In una società come quella attuale, infatti,
|
||
|
||
> ... la tensione antagonistica tra diversi punti di vista è appiattita nella
|
||
> pluralità dei punti di vista indifferenti. "Contraddizione" perde cosí il
|
||
> proprio significato sovversivo: in uno spazio di permissivismo globalizzato,
|
||
> punti di vista incoerenti coesistono cinicamente[^vii56].
|
||
|
||
Inoltre, essendo il capitalismo in quanto tale *sviluppo*[^vii57], esso ingloba al
|
||
suo interno e *sfrutta* in una certa misura le critiche avanzate nei suoi stessi
|
||
confronti; al punto che -- come è stato affermato -- il fattore principale di
|
||
trasformazione del capitalismo sarebbe la critica stessa[^vii58].
|
||
|
||
Con tutto ciò -- che piaccia o meno -- questo è il momento attuale. E se
|
||
all'interno di esso l'intellettuale (e l'architetto intellettuale) può avere un
|
||
suo ruolo, per quanto esposto a rischi di fraintendimenti e di
|
||
strumentalizzazioni, è questa la partita che è chiamato a giocare: senza alcun
|
||
vano "principio speranza" ma anche senza alcuna preventiva disillusione. Semmai
|
||
con il disincanto -- e/o il distacco -- più sopra evocati. Tentativi in tal
|
||
senso ci sono, e alcuni di essi sono stati oggetto di analisi nelle pagine
|
||
precedenti. In linea generale, comunque -- si potrebbe affermare --, tali
|
||
tentativi appaiono oggi meno strutturati, e fors'anche meno "impegnati",
|
||
rispetto a quelli compiuti in altre epoche. Sicuramente minore appare la loro
|
||
efficacia, se l'architetto come intellettuale può risultare pressoché del tutto
|
||
sparito dall'orizzonte attuale, e neppure entrare a far parte -- stando a
|
||
"impressioni" potenzialmente anche ingannevoli -- dell'agenda dei maggiori
|
||
esponenti della disciplina. Ma forse non è lí che bisogna cercare. In una
|
||
situazione come quella attuale, difficoltosamente costretta tra crisi e
|
||
sviluppo, il mondo dell'architettura sembra per una parte accontentarsi di
|
||
quello che ha, e per la parte restante aspirare a ciò che non ha, mostrando
|
||
segni di sfiducia e stanchezza nei confronti della possibilità di cambiare
|
||
qualcosa. Si tratta certo di una situazione difficile, magari persino *più*
|
||
difficile di quelle storicamente attraversate sinora. Ma -- come scrive
|
||
Hölderlin citato da Heidegger -- "là dove c'è il pericolo, cresce anche ciò che
|
||
salva"[^vii59]. E proprio la storia dimostra come, in condizioni e momenti
|
||
cruciali, non soltanto le difficoltà non si presentino affatto come un
|
||
impedimento al raggiungimento dei risultati auspicati, ma come a volte questi
|
||
stessi possano essere ottenuti proprio grazie alla presenza di esse. Un caso
|
||
emblematico in tal senso -- vale a dire una lampante dimostrazione di come ogni
|
||
occasione possa essere "buona" per chi operi come "produttore", anziché
|
||
accontentarsi di essere un "rifornitore" -- è rappresentata dal complesso
|
||
realizzato per "The Economist Group" (1959-64) a Londra dai coniugi Alison e
|
||
Peter Smithson. Ottenuto grazie alla vittoria di un concorso a inviti,
|
||
l'incarico prevedeva la realizzazione della sede dell'importante settimanale
|
||
economico inglese, fondato nel 1843 dal banchiere e uomo d'affari James Wilson.
|
||
Da quel momento in avanti la testata ha sempre sostenuto una posizione
|
||
liberalista, avente come propri fondamenti la proprietà privata e l'economia di
|
||
mercato. Dovendo inserirsi in un lotto non distante dalla City, prospiciente St
|
||
James Street, ma confinante anche con un club preesistente costruito alla metà
|
||
del XVIII secolo, gli Smithson hanno disposto i tre edifici (la sede di "The
|
||
Economist", una banca e un edificio residenziale, rispettivamente di 15, 4 e 8
|
||
piani) su un plateau quadrato sopraelevato rispetto alla quota della città
|
||
circostante. Pur richiamandosi a strutture presenti nella zona (dai vicoli alle
|
||
*arcades* e ai cortili che penetrano negli edifici), la soluzione trovata dai
|
||
due architetti rappresenta una vera e propria "rottura" rispetto agli interventi
|
||
urbani precedenti: la *plaza* pedonale, rivestita di pietra arenaria, si offre
|
||
come un'isola di tranquillità all'interno della densa e caotica rete di strade
|
||
della capitale britannica. Né l'intervento manca pure di una lucida coscienza
|
||
del proprio significato strategico e del ruolo che potrebbe assumere in una
|
||
prospettiva urbana più allargata. Nelle parole dei suoi stessi autori, esso
|
||
|
||
> ... offre uno spazio di "pre-ingresso", in cui c'è il tempo di riordinare la
|
||
> propria sensibilità, preparandosi a entrare negli uffici per una visita o per
|
||
> lavoro. La città è lasciata al di fuori dei limiti dell'area e le si aggiunge
|
||
> un altro tipo di spazio "intermedio"; se, come nel passato, più proprietari
|
||
> contribuissero a realizzare queste "pause", allora altri modelli di movimento
|
||
> sarebbero possibili; l'uomo per strada potrebbe scegliere di cercare il
|
||
> proprio percorso "segreto" attraverso la città, potrebbe ulteriormente
|
||
> sviluppare una sensibilità urbana, elaborando il proprio contributo alla
|
||
> qualità d'uso[^vii60].
|
||
|
||
E ancora:
|
||
|
||
> The Economist costituisce un insieme "didattico", volutamente asciutto, di
|
||
> edifici. E questo, fra duecento anni, potrà sembrare un errore; ma nella
|
||
> nostra situazione non c'è altra strada se non quella di "costruire" e di
|
||
> "dimostrare". La lezione non sta solo in ciò che abbiamo fatto, ma in ciò che
|
||
> non abbiamo fatto[^vii61].
|
||
|
||
Nel sottolineare il significato "pedagogico" del loro intervento (a proposito
|
||
dei "produttori", Benjamin ne rimarca proprio il "comportamento
|
||
didattico")[^vii62], gli Smithson rivelano in pieno la sua natura *politica*: un
|
||
frammento di "arcipelago" urbano *dentro e contro* nel cuore del maggior centro
|
||
finanziario internazionale. E infatti, in perfetto accordo con ciò, il *corretto
|
||
uso* di questo spazio è indicato dalla scena iniziale del film *Blow up* (1966)
|
||
di Michelangelo Antonioni: una jeep carica di una compagnia di mimi mascherati
|
||
fa improvvisamente irruzione nella *plaza*; dopo un breve giro dello spazio
|
||
deserto tra gli edifici, la jeep viene abbandonata e la compagnia di giovani
|
||
festanti si sparge a piedi per le vie di Londra. La città del capitale è cosí
|
||
riletta come palcoscenico di un gran teatro dell'assurdo; il seme a "reazione
|
||
ludica" che vi viene impiantato diviene generatore di comportamenti "eversivi"
|
||
in cui si colgono echi surrealisti e situazionisti.
|
||
|
||
A fronte di un "caso" come questo viene da chiedersi se ci troviamo in un'epoca
|
||
in cui una simile "immagine del mondo" è ancora possibile. Non è forse un caso
|
||
che oggi gli incarichi più allettanti, in termini economici e di prestigio,
|
||
finiscano in larga parte nelle mani degli architetti più propensi a "rifornire"
|
||
(o per dir meglio, trovino adeguati studi e progetti a cui affidare il proprio
|
||
sicuro "rifornimento"). Di questo "materiale" sono fatte in prevalenza le città
|
||
contemporanee: gigantesche confezioni regalo senza sorprese. E qui non bisogna
|
||
lasciarsi ingannare dai facili effetti di carattere estetico: la *sostanza*
|
||
rimane quella di una spesso elegante salvaguardia dell'ordine costituito. Ma non
|
||
sono solo gli incarichi importanti quelli con cui un architetto "produttore"
|
||
deve misurarsi per potersi mostrare all'altezza del compito: il ruolo di
|
||
intellettuale pubblico e mediatizzato, con tutte le responsabilità che ne
|
||
conseguono. Né è in questa chiave soltanto che va valutato il suo possibile
|
||
ruolo di intellettuale. Esistono -- per limitarsi all'esclusivo piano
|
||
progettuale -- operazioni di dimensioni assai più misurate, a volte persino di
|
||
dimensioni modeste, che costituiscono però un valido banco di prova per
|
||
effettuare sperimentazioni e innovazioni capaci di originare trasformazioni
|
||
produttive. Si tratta di operazioni in cui l'architetto è spesso chiamato a
|
||
ruoli di "supplenza" che lo impegnano nell'elaborazione di programmi che devono
|
||
variamente tener conto di condizioni locali particolari, di fruizioni insolite,
|
||
di soggetti deboli, di situazioni economiche d'emergenza. Ma soprattutto si
|
||
tratta di una questione di "mentalità". Si pensi ai molti interventi compiuti
|
||
negli ultimi vent'anni da Lacaton & Vassal (Anne Lacaton e Jean Philippe
|
||
Vassal), dal Palais de Tokyo di Parigi (2001-14) al FRAC (Fond régional d'art
|
||
contemporain) Nord-Pas de Calais a Dunkerque (2009-15), differenti tra loro per
|
||
genere e dimensioni, ma tutti ugualmente improntati alla medesima volontà di
|
||
offrire qualcosa di più e di diverso rispetto alle attese. Arrivando anche a
|
||
"forzare" le richieste poste dai bandi[^vii63], i progetti degli architetti
|
||
francesi si segnalano per la "generosità" dei loro spazi, spesso
|
||
quantitativamente maggiori di quelli previsti, e per la contemporanea rinuncia
|
||
ad assumere un ruolo da protagonisti, per lasciare piuttosto la scena alle
|
||
azioni destinate a installarvisi[^vii64]. O ancora, ai pochi interventi di Maria
|
||
Giuseppina Grasso Cannizzo, tanto misurati quanto attenti a ogni minimo
|
||
dettaglio: con ammirevole caparbietà e semplicità l'architetta siciliana produce
|
||
le proprie opere -- la Torre di controllo nel porto turistico di Marina di
|
||
Ragusa (2008-2009) e un esiguo numero di case private in Sicilia[^vii65] --
|
||
controllandone per intero il processo progettuale ed esecutivo secondo una
|
||
modalità "artigianale" apparentemente appartenente ad altri tempi.
|
||
|
||
Denominare questo tipo di interventi "architettura responsabile"[^vii66] significa
|
||
mettere in evidenza la loro capacità di rispondere a domande socialmente
|
||
complesse, ma anche singolarmente essenziali, anziché perdersi in vaniloqui o in
|
||
narcisistici rispecchiamenti. E non meno rilevante, sotto il profilo della
|
||
dimostrazione di "responsabilità", è il fatto che per conquistare il "diritto a
|
||
esistere" a questi interventi, l'architetto -- in ciò "produttore" davvero
|
||
straordinario di conflitti per buone cause -- sia non di rado costretto a
|
||
ingaggiare vere e proprie battaglie *contro* tutte le circostanze che dovrebbero
|
||
invece renderli attuabili.
|
||
|
||
In altri casi -- e per altri livelli e posizioni -- sono sufficienti gesti
|
||
invisibili, dal basso, destinati a non passare alla Storia. "Aggiustamenti",
|
||
"riconfigurazioni", "rimodulazioni", che possono riguardare i rapporti interni a
|
||
determinate condizioni lavorative od organizzative. Modalità silenziose di agire
|
||
in senso migliorativo, uguali e contrarie a quelle solitamente adottate dagli
|
||
apparati produttivi, che cambiano nel concreto il modo di operare al suo
|
||
interno, predisponendo a un *minor* sfruttamento e a una *maggior* condivisione
|
||
di saperi.
|
||
|
||
Anche queste ultime modalità d'intervento, cosí come le prime -- per non dire
|
||
poi di quelle di carattere più direttamente culturale --, prevedono sempre, al
|
||
fine di poter essere produttive, uno studio, una conoscenza, un'applicazione, un
|
||
*impegno* che, se non può propriamente essere definito politico, si connota però
|
||
di sovente in un senso civile. Tutto ciò deve avvenire -- quando avviene --
|
||
senza dar luogo a illusioni di false liberazioni o rivoluzioni; spesso piuttosto
|
||
come un'ardua e oscura "opera di resistenza" all'interno delle condizioni date e
|
||
nei confronti di esse. E non deve stupire che questo terreno, alla fine, possa
|
||
essere non soltanto parimenti difficile ma addirittura *più* difficile ancora
|
||
per *star architects* e altri cacciatori di esposizione mediatica che non per
|
||
gli architetti "normali", animati da una reale voglia di cambiare e dal coraggio
|
||
e dalla pazienza di farlo. Per chiunque intraprenda questo cammino, comunque, il
|
||
percorso non manca di rivelarsi accidentato e irto di pericoli: innanzitutto
|
||
quello di "perdersi" nella propria stessa immagine di "architetto
|
||
intellettuale"; inoltre, di tradire il proprio "mandato", ritenendolo
|
||
erroneamente una "delega" conferita e ricevuta in modo permanente, e non invece
|
||
da riguadagnare ogni volta da capo, con la credibilità delle proprie "azioni"; e
|
||
ancora, di incorrere in vuote e sterili ripetizioni di se stesso,
|
||
nell'affermazione -- e più di frequente nella difesa -- di posizioni
|
||
(professionali, culturali) ormai superate ed esaurite. Da questo punto di vista,
|
||
sono sempre esistite forme di lotta "intestina" fra intellettuali per la
|
||
conquista dell'egemonia in un determinato ambiente e in un certo periodo; e
|
||
queste, per quanto siano il segnale di una "volontà di potere" più e oltre ogni
|
||
legittima "volontà di sapere", possono costituire a loro volta un auspicabile
|
||
fattore di rinnovamento. Ciò, nello specifico ambito architettonico, riguarda
|
||
gli spesso difficoltosi ricambi generazionali, e dunque l'inevitabile scontro
|
||
tra vecchi e nuovi baricentri intellettuali[^vii67]: dove i primi tendono a
|
||
perpetuare se stessi sulla base delle posizioni acquisite, dell'autorità
|
||
guadagnata, cosí come pure di sterili arroccamenti a protezione del proprio
|
||
universo di riferimenti, concepito come l'unico e il solo possibile; mentre i
|
||
secondi si propongono come nuova "intelligenza" del mondo, incardinata su altri
|
||
"punti archimedici", portatori non soltanto di punti di vista ma anche di saperi
|
||
diversi, alla ricerca del riconoscimento di una piena dignità culturale. A ben
|
||
guardare, allorché esuli da contrapposizioni puramente personali, questo scontro
|
||
costituisce a sua volta un elemento capace di far avanzare il dibattito,
|
||
sottoponendo a critica antiche tesi "incrostate" e passando al vaglio ipotesi
|
||
inedite. Per entrambi -- anziani e giovani rappresentanti dell'ambizione a
|
||
detenere l'egemonia intellettuale --, comunque, rimane da esercitare una
|
||
sorveglianza reciproca a fronte del pericolo ulteriore di vecchi e nuovi
|
||
accademismi. Non soltanto quello che si verifica all'interno delle scuole, dove
|
||
gli architetti insegnanti -- già in un non lontano passato ma nuovamente anche
|
||
oggi -- rischiano sempre di risultare "scollati" dalle problematiche
|
||
attuali[^vii68]; ma pure il pericolo di una "stilizzazione" dei propri prodotti, di
|
||
qualunque tipo essi siano; pericolo che si concretizza ad esempio nella consueta
|
||
tendenza, da parte degli uni, a "sterilizzare" la propria grammatica e sintassi
|
||
progettuale, e nell'insorgente (ma già sufficientemente affermato) orientamento,
|
||
da parte degli altri, verso l'esercizio di un disegno completamente scollegato
|
||
dalla prassi, nonché soprattutto da qualsiasi fondamento teorico.
|
||
|
||
Nella scelta che l'architetto *può* sempre compiere -- va rammentato ancora una
|
||
volta -- vi sono in gioco obiettivi e azioni *reali*, non utopie o chimere. Ciò
|
||
a patto naturalmente che dimostri di possedere alcune capacità basilari: tra
|
||
queste, innanzitutto la capacità di pensare e fare *insieme*, in modo coerente,
|
||
come differenti espressioni di un'*unica* intenzione; poi la capacità di
|
||
compiere ricerche, di cui i propri progetti siano la conseguenza, e non già il
|
||
presupposto; la capacità di usare la storia con piena consapevolezza, perché
|
||
possiede un'idea, sa a che cosa questa le/gli serve, ancora una volta in vista
|
||
dei propri progetti; la capacità di interrogare parole, concetti, forme, figure,
|
||
anche basilari, che l'architettura utilizza, per riverificarne il senso in vista
|
||
di un loro possibile uso; la capacità di incrociare saperi diversi, tutti
|
||
indispensabili a una comprensione del quadro complesso in cui il proprio lavoro
|
||
si colloca; la capacità di pensare la relazione concreta tra lo *spazio* e la
|
||
*vita*, che in ultima analisi è l'oggetto e lo scopo del suo intero lavoro;
|
||
infine la capacità di tradurre tutto ciò in spazio.
|
||
|
||
Quanto più l'architetto intellettuale è padrone dei mezzi che ha -- o che
|
||
dovrebbe avere -- a propria disposizione, tanto più "tecnicamente" sa
|
||
intervenire sui processi produttivi. Per fare che cosa? Da un lato, si potrebbe
|
||
rispondere, per produrre grandi o piccoli mutamenti nel mondo che lo circonda. E
|
||
non è tanto importante che si tratti di grandi o di piccole visioni; non è la
|
||
dimensione che conta. Ovvero (si potrebbe anche dire), obiettivo dell'architetto
|
||
come intellettuale dovrebbe essere di avere grandi visioni anche in piccole
|
||
dimensioni. Se non è più tempo per le utopie, lo è però sempre ancora per i
|
||
*progetti*; progetti mirati, circoscritti, anche minimi, ma in ogni caso
|
||
progetti nel senso più sopra indicato, aventi per *soggetto* l'architettura
|
||
nella sua accezione più onnicomprensiva. Dall'altro, per far diventare quegli
|
||
stessi processi e il mondo in cui si collocano più comprensibili; non per
|
||
rivoluzionarli, forse, ma almeno per portarli alla luce, per renderli
|
||
riconoscibili. In questa prospettiva, l'opera dell'architetto intellettuale si
|
||
presenta (o dovrebbe presentarsi) anche sempre come un "disvelamento", un lavoro
|
||
di scavo all'interno delle condizioni date per recuperare da esse qualcosa di
|
||
sottratto a un sapere collettivo. Perché quella che persegue è una causa
|
||
collettiva, non individuale.
|
||
|
||
Conoscere, far conoscere, demistificare, progettare, condividere. Espresso in
|
||
questo modo il programma di un architetto che voglia produrre se stesso come un
|
||
intellettuale apparirà più che improbo: una molteplicità di prospettive, anche
|
||
contraddittorie tra loro, troppo gravose per un singolo individuo. Ma è qui che
|
||
gli effetti della condivisione, "spezzando" la falsa naturalità della divisione
|
||
del lavoro e dei processi produttivi, possono farsi sentire.
|
||
|
||
> L'unico modo per riguadagnare una propensione ad agire è quello di trovare
|
||
> nuove forme di cooperazione nella progettazione architettonica che
|
||
> metterebbero allo stesso livello tutte le professioni che fanno parte del
|
||
> progetto e del processo di costruzione: architetti, costruttori e ingegneri,
|
||
> cosí come educatori, storici, critici, grafici, editori, fotografi e tecnici.
|
||
> Coinvolgendo conoscenze condivise, anziché specializzate, questo approccio
|
||
> collaborativo all'architettura potrebbe portare a una maggiore forza
|
||
> professionale e una maggior equità economica, in cui i compiti lavorativi
|
||
> potrebbero essere ugualmente e non più gerarchicamente distribuiti. Ciò
|
||
> porterebbe con sé una nuova definizione istituzionale di architettura che non
|
||
> sarebbe più basata su relazioni gerarchiche e di sfruttamento e su autorialità
|
||
> singole ma sulla cooperazione dei lavoratori come co-produttori di
|
||
> architettura[^vii69].
|
||
|
||
Potrebbe essere questa *trasformazione* (non morte!) il futuro
|
||
dell'architettura? Oppure il futuro dell'architettura (come le condizioni
|
||
attuali sembrerebbero far presagire) sarà più spettrale? Un'architettura non
|
||
solo prefabbricata ma addirittura preconfezionata? Un'architettura
|
||
*prêt-à-porter*? La semplice risultante della complicata equazione "problema =
|
||
soluzione"? Un vero paradiso per i "rifornitori" a venire...
|
||
|
||
La risposta però potrebbe non essere già scritta, potrebbe passare anche
|
||
attraverso una decisione, una *scelta*, pur nei limiti delle comuni
|
||
"alienazioni". La scelta di scacciare i fantasmi affrontando le questioni.
|
||
|
||
Potrà essere l'architetto intellettuale a farsene carico? O forse piuttosto
|
||
qualcuno che -- come Foucault -- avrà il coraggio e la lucidità di riferirsi a
|
||
se stesso come "un mercante di strumenti, un fabbricante di ricette, un
|
||
suggeritore di obiettivi, un cartografo, un rilevatore di piani, un
|
||
armaiolo..."[^vii70].
|
||
|
||
[^vii1]: Tafuri, *Progetto e utopia* cit., pp. 166-67.
|
||
|
||
[^vii2]: *Ibid.*, p. 2. Vedi anche R. Amirante, F. Dumontet, M. Perriccioli e S.
|
||
Pone, *Fortuna critica della "Tendenza"*, in "Op.cit.", n. 50, 1981, pp.
|
||
5-20, in cui gli autori accennano alla "nota tesi tafuriana della "morte
|
||
dell'architettura"", cui Tafuri replica con una lettera ("Op. cit.", n. 51,
|
||
1981, p. 83) in cui definisce la frase citata "una vulgata da cui mi è
|
||
persino superfluo prendere le distanze". Aggiungendo subito dopo: "Non
|
||
ricordo (\...) di aver mai cantato su tombe inesistenti. (\...) Ma di
|
||
estinzione di ruoli per vecchie discipline ho certo parlato".
|
||
|
||
[^vii3]: Vedi ad esempio l'intervista di Hans van Dijk a Rem Koolhaas, in cui si
|
||
legge tra l'altro: "Ho la netta impressione che Tafuri e i suoi amici
|
||
abbiano in odio l'architettura. Costoro dichiarano morta l'architettura. Per
|
||
lui l'architettura è una schiera di cadaveri all'obitorio": Hans van Dijk,
|
||
*Rem Koolhaas Interview*, in "Wonen-TA/BK", n. 11, 1978, p. 18.
|
||
|
||
[^vii4]: Paolo Portoghesi, *Autopsia o vivisezione dell'architettura?*, in
|
||
"Controspazio", n. 6, 1969, p. 7. La lunga recensione di Portoghesi è
|
||
comunque la più lucida nel criticare e -- in parte -- nel decostruire le
|
||
posizioni tafuriane.
|
||
|
||
[^vii5]: Tafuri, *Progetto e utopia* cit., p. 3.
|
||
|
||
[^vii6]: *Ibid.*, p. 169.
|
||
|
||
[^vii7]: Come noto, Leon Battista Alberti nel *De re ædificatoria* definisce
|
||
*lineamenta* quello che potrebbe essere definito altrettanto "disegno" che
|
||
"progetto"; vedi Alberti, *L'architettura* cit., vol. I, pp. 18-19.
|
||
|
||
[^vii8]: "Il ruolo dell'architetto è quello di mediatore tra il cliente o
|
||
committente, cioè la persona che decide di costruire, e la forza lavoro con
|
||
i suoi supervisori, che potremmo chiamare collettivamente i costruttori":
|
||
Spiro Kostof, *Preface*, in Id. (a cura di), *The Architect* cit., p. XVII.
|
||
|
||
[^vii9]: Tafuri, *Per una critica dell'ideologia architettonica* cit., p. 77.
|
||
|
||
[^vii10]: Tafuri, *Progetto e utopia* cit., p. 167.
|
||
|
||
[^vii11]: De Carlo, *L'architettura della partecipazione* (1973) cit., pp. 76-77.
|
||
La sezione a cui appartiene il brano citato s'intitola significativamente *È
|
||
morta l'architettura: Viva l'architettura!*
|
||
|
||
[^vii12]: *Ibid.*, p. 77.
|
||
|
||
[^vii13]: De Carlo, *L'architettura della partecipazione* cit., p. 78. più in
|
||
generale va ricordato l'impegno di De Carlo in questa direzione attraverso
|
||
la rivista "Spazio e Società", da lui fondata e diretta dal 1978 al 2000:
|
||
vedi Isabella Daidone, *Giancarlo De Carlo. Gli editoriali di Spazio e
|
||
Società*, Gangemi, Roma 2018.
|
||
|
||
[^vii14]: Si rammenti la già citata definizione vitruviana. Interessante tuttavia
|
||
notare come il ruolo di "controllore" delle forze produttive impegnate sul
|
||
cantiere assegnato all'architetto, affermato nel 1567 da Philibert Delorme
|
||
nel suo *Premier tome de l'architecture* (e, un secolo prima prima di lui,
|
||
da Leon Battista Alberti), appaia ancora "sorprendente" nella Francia del
|
||
XVI secolo: vedi il bel saggio di Catherine Wilkinson, *The New
|
||
Professionalism in the Renaissance*, in Kostof (a cura di), *The Architect*
|
||
cit., pp. 124-60, in particolare p. 131.
|
||
|
||
[^vii15]: Carl W. Condit, *The Chicago School of Architecture. A History of
|
||
Commercial and Public Building in the Chicago Area, 1875-1925*, The
|
||
University of Chicago Press, Chicago 1964.
|
||
|
||
[^vii16]: Otto Antonia Graf, *Otto Wagner: Das Werk des Architekten 1860-1918*, 2
|
||
voll., Bölhau, Wien 1994; Robert Trevisiol, *Otto Wagner*, Laterza,
|
||
Roma-Bari 2006.
|
||
|
||
[^vii17]: Su ciò vedi Riccardo M. Villa, *L'architetto e la fabbrica*, in GIZMO,
|
||
*Backstage. L'architettura come lavoro concreto*, a cura di Florencia
|
||
Andreola, Mauro Sullam, Riccardo M. Villa, Franco Angeli, Milano 2016, pp.
|
||
17-27. più in generale, sul tema dell'evoluzione del lavoro di architettura
|
||
nell'epoca della digitalizzazione, vedi Peggy Deamer e Phillip G. Bernstein
|
||
(a cura di), *Building (in) the Future. Recasting Labor in Architecture*,
|
||
Yale School of Architecture - Princeton Architectural Press, New Haven --
|
||
New York 2010.
|
||
|
||
[^vii18]: A ciò per costoro si aggiungono di sovente orari molto pesanti, ben oltre
|
||
le otto ore giornaliere, una "flessibilità" dell'orario che si traduce in
|
||
serate e nottate occupate, un'estensione del lavoro ai sabati e alle
|
||
domeniche. Il tutto all'interno di un quadro in cui le ferie sono un sogno,
|
||
il trattamento di fine rapporto un miraggio e la pensione una chimera. Di
|
||
questi temi mi sono occupato in *L'architettura come mestiere*, in
|
||
[www.gizmoweb.org/2012/03/larchitettura-come-mestiere/](http://www.gizmoweb.org/2012/03/larchitettura-come-mestiere/),
|
||
25 marzo 2012, e *Architettura e lotta di classe*, in
|
||
[www.gizmoweb.org/2014/05/architettura-e-lotta-di-classe/](http://www.gizmoweb.org/2014/05/architettura-e-lotta-di-classe/),
|
||
4 maggio 2014.
|
||
|
||
[^vii19]: Aureli, *Labor and Work in Architecture* cit., p. 72.
|
||
|
||
[^vii20]: *Ibid.*, p. 74.
|
||
|
||
[^vii21]: Carlo Vercellone (a cura di), *Capitalismo cognitivo. Conoscenza e
|
||
finanza nell'epoca postfordista*, Manifestolibri, Roma 2006.
|
||
|
||
[^vii22]: Pier Vittorio Aureli, *History, Architecture and Labour: A Program for
|
||
Research*, in Aaron Cayer, Peggy Deamer, Sben Korsh, Eric Peterson e Manuel
|
||
Shvartzberg (a cura di), *Asymmetric Labors: The Economy of Architecture in
|
||
Theory and Practice*, The Architecture Lobby, New York 2016, p. 158.
|
||
|
||
[^vii23]: Giulio Barazzetta, *Che fare*, in GIZMO, *Backstage. L'architettura come
|
||
lavoro concreto* cit., p. 50.
|
||
|
||
[^vii24]: Filarete, *Trattato di architettura* cit., libro II, pp. 39-41.
|
||
|
||
[^vii25]: Benjamin, *L'autore come produttore* cit., pp. 207 sgg.
|
||
|
||
[^vii26]: In realtà, come scrive Massimo Cacciari, *Introduzione* a Max Weber, *Il
|
||
lavoro intellettuale come professione*, Mondadori, Milano 2018, p. XXVII,
|
||
"... per quest'epoca, non si dà (...) interpretazione che non sia
|
||
trasformazione".
|
||
|
||
[^vii27]: Benjamin, *L'autore come produttore* cit., p. 207 (il corsivo è mio).
|
||
|
||
[^vii28]: Carl Schmitt, *L'epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni*
|
||
(1929), in Id., *Le categorie del "politico"* cit., pp. 167-83.
|
||
|
||
[^vii29]: Virno, *Grammatica della moltitudine* cit.
|
||
|
||
[^vii30]: *Ibid.*, p. 14.
|
||
|
||
[^vii31]: Su ciò rimando al mio *L'architettura come lavoro concreto*, in GIZMO,
|
||
*Backstage. L'architettura come lavoro concreto* cit., pp. 7-10.
|
||
|
||
[^vii32]: Oltre ai lavori citati in precedenza, vedi Peggy Deamer (a cura di), *The
|
||
Architect as Worker. Immaterial Labor, The Creative Class and the Politics
|
||
of Design*, Bloomsbury, London 2015. Sul tema, in senso più allargato, vedi
|
||
anche *IWW: Immaterial Workers of the World*, in "DeriveApprodi", n. 18,
|
||
numero monografico, 1999.
|
||
|
||
[^vii33]: Non è letteralmente possibile dar conto del numero delle citazioni di
|
||
*Der Autor als Produzent* nel dibattito architettonico, dapprima degli anni
|
||
settanta, e poi nuovamente in quello più recente, quasi sempre però senza
|
||
adeguate storicizzazioni di esso. Sulle possibili ambiguità del suo impiego,
|
||
basti ricordare che i medesimi passi del saggio sono utilizzati *contra*
|
||
Tafuri da Portoghesi, *Autopsia o vivisezione dell'architettura?* cit.
|
||
(recensione a *Per una critica dell'ideologia architettonica*), e poi dallo
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stesso Tafuri con altre finalità in *L'Architecture dans le Boudoir. The
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language of criticism and the criticism of language*, in "Oppositions", n.
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3, 1974, pp. 37-62, dove nota tra l'altro che "qui Benjamin si rivela
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ambiguo e può prestarsi a diverse interpretazioni" (p. 62).
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[^vii34]: Il rimando è evidentemente a Max Weber, *La politica come professione*
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(1919), in *Il lavoro intellettuale come professione* cit., pp. 49-130.
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[^vii35]: Massimo Cacciari, *Progetto*, in "Laboratorio Politico", n. 2, 1981, p.
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88.
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||
[^vii36]: *Ibid.*, p. 114.
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||
[^vii37]: Tafuri, *Il "progetto" storico* cit., pp. 3-30.
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[^vii38]: Scrive Tafuri, *ibid.*, p. 13: "L'autentico problema è come progettare
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una critica capace di porre di continuo in crisi se stessa mettendo in crisi
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il reale".
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[^vii39]: "Il "progetto" storico è sempre "progetto di una crisi"": *ibid.*, p. 5.
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Su ciò vedi Biraghi, *Progetto di crisi* cit., pp. 9-53.
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||
[^vii40]: Massimo Cacciari, *Di alcuni motivi in Walter Benjamin*, in "Nuova
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Corrente", n. 67, 1975, p. 238. Il saggio di Benjamin cui si fa riferimento
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è *L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica* (1936).
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||
[^vii41]: Cacciari, *Di alcuni motivi in Walter Benjamin* cit., p. 241.
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||
[^vii42]: Vedi al proposito la concezione della "relazione" in Enzo Paci,
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*Dall'esistenzialismo al relazionismo*, D'Anna, Messina-Firenze 1957.
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[^vii43]: Sugli effetti "migliorativi" delle trasformazioni dei rapporti di
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produzione, vedi Benjamin, *L'autore come produttore* cit., p. 212.
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Ovviamente, nel suo caso, tale "miglioramento" va inteso in relazione alla
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funzione didattico-organizzativa della produzione in vista di una
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rivoluzione comunista. Nella situazione odierna ogni "miglioramento" degli
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apparati citati va invece valutato alla luce della sua capacità di apportare
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una maggiore equità al loro interno e di fornire migliori condizioni ai loro
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fruitori.
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[^vii44]: Per quanto limitato alla sola Italia, è interessante *Intellettuali e
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potere* (*Storia d'Italia Einaudi. Annali 4*, a cura di Corrado Vivanti,
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||
Torino 1981), in cui la figura dell'intellettuale si frange in molteplici
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soggetti che, a seconda dei contesti sociali e storici, sono impegnati in
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settori e a livelli tra di loro molto differenti (medicina, pedagogia, arte,
|
||
religione, ecc.). Vedi inoltre Alberto Asor Rosa, *Intellettuali*, in
|
||
*Enciclopedia Einaudi*, Torino 1979, vol. VII, pp. 801 sgg.
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||
[^vii45]: Corrado Vivanti, *Presentazione*, in *Intellettuali e potere* cit., pp.
|
||
XIX-XX.
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[^vii46]: Sull'intellettuale come "destabilizzatore" e "risvegliatore di coscienze"
|
||
(da Socrate a Heinrich Heine -- ma anche, si potrebbe aggiungere, a Karl
|
||
Kraus e oltre), vedi Maldonado, *Che cos'è un intellettuale?* cit., pp.
|
||
92-95. Inoltre vedi Edward W. Said, *Dire la verità. Gli intellettuali e il
|
||
potere*, Feltrinelli, Milano 2014.
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||
[^vii47]: Cacciari, *Introduzione* cit., p. XI.
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||
[^vii48]: Il riferimento è a Rossi, *L'architettura della città* cit. Per
|
||
un'analisi delle fonti rossiane del libro, vedi Elisabetta Vasumi Roveri,
|
||
*Aldo Rossi e "L'architettura della città". Genesi e fortuna di un testo*,
|
||
Allemandi, Torino 2010.
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||
[^vii49]: Ci si riferisce ai *playgrounds* realizzati da van Eyck ad Amsterdam per
|
||
conto dell'amministrazione pubblica tra il 1947 e il 1978\. Oltre a Lefaivre
|
||
(a cura di), *Aldo van Eyck. Playgrounds* cit., vedi anche Anna van Lingen e
|
||
Denisa Kollarova, *Aldo van Eyck. Seventeen Playgrounds*, Lecturis,
|
||
Eindhoven 2016, e Merijn Oudenampsen, *Aldo van Eyck and the City as
|
||
Playground*, in *Urbanacción 07/09*, a cura di Ana Mendez de Andés, La Casa
|
||
Encendida, Madrid 2010, pp. 25-39.
|
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|
||
[^vii50]: È il caso dell'Orphanage di Amsterdam (1955-60) dello stesso van Eyck, su
|
||
cui vedi Francis Strauven, *Aldo Van Eyck's Orphanage. A Modern Monument*,
|
||
NAi Publishers, Rotterdam 1997.
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|
||
[^vii51]: Gramsci, *Quaderni del carcere* cit., vol. III, Quaderno 12 (XXIX), § 3,
|
||
p. 1551.
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||
|
||
[^vii52]: Benjamin, *L'autore come produttore* cit., p. 209.
|
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||
[^vii53]: Fortini, *Verifica dei poteri* cit., pp. 41-57.
|
||
|
||
[^vii54]: Va qui rammentata l'ambiguità del titolo albertiano *De re ædificatoria*,
|
||
che esclude deliberatamente l'uso dell'ovvio vocabolo vitruviano
|
||
*architectura* per i suoi dieci libri, scegliendone uno più "edificante".
|
||
Per un'accurata analisi di tale titolo, vedi Leon Battista Alberti, *Prologo
|
||
al 'De re ædificatoria'*, a cura di Elisabetta Di Stefano, Edizioni ETS,
|
||
Pisa 2012, pp. 9-17.
|
||
|
||
[^vii55]: Tra coloro che con maggior costanza e serietà si sono impegnati in questi
|
||
anni in una lettura dei ruoli rivestiti dall'architetto e dallo storico
|
||
dell'architettura nel corso del Novecento vi è Carlo Olmo: vedi in
|
||
particolare *Architettura e Novecento. Diritti, conflitti, valori*,
|
||
Donzelli, Roma 2010, e *Architettura e storia. Paradigmi della
|
||
discontinuità*, Donzelli, Roma 2013.
|
||
|
||
[^vii56]: Slavoj Žižek, *Il parallasse architettonico. Pennacchi e altri fenomeni
|
||
di lotta di classe*, in Id., *Il trash sublime*, a cura di Marco Senaldi,
|
||
Mimesis, Sesto San Giovanni 2013, pp. 56-57.
|
||
|
||
[^vii57]: Come scrive Raniero Panzieri (in *Relazione sul neocapitalismo* (1961),
|
||
in Id., *La ripresa del marxismo-leninismo in Italia*, Nuove Edizioni
|
||
Operaie, Roma 1977, pp. 170-71), "si potrebbe dire che i due termini
|
||
capitalismo e sviluppo sono la stessa cosa".
|
||
|
||
[^vii58]: Luc Boltanski e Ève Chiapello, *Il nuovo spirito del capitalismo*,
|
||
Mimesis, Sesto San Giovanni 2014.
|
||
|
||
[^vii59]: Martin Heidegger, *La questione della tecnica* (1953), in Id., *Saggi e
|
||
discorsi*, a cura di Gianni Vattimo, Mursia, Milano 1980, p. 22. L'inno da
|
||
cui è tratto il verso citato di Friedrich Hölderlin è *Patmos* (1803).
|
||
|
||
[^vii60]: Alison Smithson e Peter Smithson, *The Charged Void: Architecture*, The
|
||
Monacelli Press, New York 2001, p. 248.
|
||
|
||
[^vii61]: Alison Smithson e Peter Smithson, in Marco Vidotto, *A + P Smithson*,
|
||
Sagep Editrice, Genova 1991, p. 35. Sul carattere "didattico" del progetto
|
||
per "The Economist" insiste anche Kenneth Frampton, *The Economist and the
|
||
Hauptstadt*, in "Architectural Design", n. 194, 1965, p. 62.
|
||
|
||
[^vii62]: E aggiunge: "La migliore tendenza è falsa se non insegna quale
|
||
atteggiamento si deve tenere per soddisfarla": Benjamin, *L'autore come
|
||
produttore* cit., p. 212.
|
||
|
||
[^vii63]: È il caso, tra gli altri, dell'École d'Architecture di Nantes (2003-2009)
|
||
dove, "come uno strumento pedagogico, il progetto mette in discussione il
|
||
programma e le pratiche della scuola tanto quanto le norme, le tecnologie e
|
||
il proprio processo di elaborazione": vedi
|
||
www.lacatonvassal.com/index.php?idp=55#.
|
||
|
||
[^vii64]: Antonio Lavarello, *Indifferenza come forma di impegno politico*, in
|
||
www.gizmoweb.org/2015/12/indifferenza-come-forma-di-impegno-politico-edifici-e-spazi-pubblici-nellopera-di-lacaton-vassal/#\_ftn14,
|
||
24 dicembre 2015.
|
||
|
||
[^vii65]: Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, *Loose Ends*, a cura di Sara Marini,
|
||
Lars Muller Publishers, Zürich 2014; Sara Marini, *Sull'autore. Maria
|
||
Giuseppina Grasso Cannizzo e le sue foreste di cristallo*, Quodlibet,
|
||
Macerata 2017.
|
||
|
||
[^vii66]: Vedi il capitolo *L'architettura responsabile*, in Biraghi e Micheli,
|
||
*Storia dell'architettura italiana 1985-2015* cit., pp. 329-52.
|
||
|
||
[^vii67]: Su ciò rimando ai miei *L'ultima resistenza ovvero la lotta degli anziani
|
||
contro i giovani*, in GIZMO, *MMX. Architettura zona critica* cit., pp.
|
||
15-21, e *Non si può fare meno dell'architettura*, in Chiara Baglione (a
|
||
cura di), *Ernesto Nathan Rogers 1909-1969*, Franco Angeli, Milano 2012, pp.
|
||
196-98.
|
||
|
||
[^vii68]: Vedi il capitolo *Dall'architettura disegnata all'architettura insegnata:
|
||
l'accademia della composizione*, in Biraghi e Micheli, *Storia
|
||
dell'architettura italiana 1985-2015* cit., pp. 183-95. Sempre valida -- pur
|
||
con i necessari adeguamenti -- rimane la critica condotta da Massimo Scolari
|
||
in *Una generazione senza nomi*, in "Casabella", n. 606, 1993, pp. 45-47.
|
||
|
||
[^vii69]: Aureli, *Labor and Work in Architecture* cit., p. 81.
|
||
|
||
[^vii70]: Foucault, *Disciplina e democrazia. Intervista di J.-L. Ezine* cit., p.
|
||
90.
|
||
|
||
|
||
---
|
||
lang: sl
|
||
references:
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||
- type: book
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||
id: biraghi2019larchitetto
|
||
author:
|
||
- family: Biraghi
|
||
given: Marco
|
||
title: "L'architetto come intellettuale"
|
||
publisher-place: Torino
|
||
publisher: Einaudi
|
||
issued: 2019
|
||
language: it
|
||
- type: chapter
|
||
id: benjamin2016avtor
|
||
author:
|
||
- family: Benjamin
|
||
given: Walter
|
||
title: "Avtor kot proizvajalec"
|
||
container-title: "Usoda in značaj"
|
||
publisher-place: Ljubljana
|
||
publisher: Beletrina
|
||
issued: 2016
|
||
page: 81-96
|
||
language: sl
|
||
- type: book
|
||
id: battisti1981brunelleschi
|
||
author:
|
||
- family: Battisti
|
||
given: Eugenio
|
||
title: "Filippo Brunelleschi"
|
||
publisher-place: New York
|
||
publisher: Rizzoli
|
||
issued: 1981
|
||
language: en
|
||
# vim: spelllang=sl,en,it
|
||
...
|