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title: L'architetto come intellettuale
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author: Marco Biraghi
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date: 2019
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lang: it
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...
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> Ma ciò che ci appare necessario è sempre anche altamente improbabile.
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>
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> *Massimo Cacciari*
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# Introduzione
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La constatazione della crisi dell'intellettuale nell'epoca contemporanea
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è ormai talmente diffusa e generalizzata da essere divenuta un luogo
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comune; un argomento oggetto di facili ironie[^1] e oggi quasi "di
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moda", non fosse che l'intellettuale in quanto tale raramente si lascia
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rapportare alla moda.
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In realtà, la crisi dell'intellettuale ha origini ben più lontane e
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profonde, tanto da aver generato, a partire dalla seconda metà del
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Novecento, una lunga serie di diagnosi al capezzale del malato, vuoi per
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prescrivergli possibili rimedi, vuoi per preconizzarne il decesso ormai
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prossimo[^2].
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Come tutto ciò che viene insistentemente osservato o ripetuto, anche la
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categoria di "intellettuale" ha perduto, nel corso del tempo, il suo
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contenuto, o piuttosto ha visto progressivamente venir meno il suo
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senso, finendo per apparire un corpo svuotato. Lasciando da parte
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antichi e nuovi pregiudizi, per cercare di comprendere che cosa sia
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l'intellettuale, e quale possa essere il suo eventuale ruolo -- e, più
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nello specifico, quale possa essere il ruolo dell'architetto inteso come
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intellettuale -- nel mondo attuale, è opportuno ripartire dalla
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"classica" analisi fatta da Antonio Gramsci[^3]. Per questi,
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innanzitutto, "tutti gli uomini sono intellettuali", anche se "non tutti
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gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali"[^4]. Da
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ciò deriva che "non si può parlare di non-intellettuali, perché
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non-intellettuali non esistono. (...) Non c'è attività umana da cui si
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possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare
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l'*homo faber* dall'*homo sapiens*"[^5].
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Questa precisazione (o questa non-distinzione) risulta fondamentale per
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non confinare la categoria dell'"intellettuale" all'interno di una
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gabbia separata, dorata o meno che sia.
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> Ogni uomo (...), all'infuori della sua professione esplica una qualche
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> attività intellettuale, è cioè un "filosofo", un artista, un uomo di
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> gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea
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> di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una
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> concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare[^6].
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Il problema semmai per Gramsci consiste nella "creazione di un nuovo
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ceto intellettuale" che sia capace di
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> ... elaborare criticamente l'attività intellettuale che in ognuno
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> esiste in un certo grado di sviluppo, modificando il suo rapporto con
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> lo sforzo muscolare-nervoso verso un nuovo equilibrio e ottenendo che
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> lo stesso sforzo muscolare-nervoso, in quanto elemento di un'attività
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> pratica generale, che innova perpetuamente il mondo fisico e sociale,
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> diventi il fondamento di una nuova e integrale concezione del
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> mondo[^7].
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In questo senso Gramsci, al di là della figura dell'intellettuale
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"tradizionale", appartenente a una "categoria sociale
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cristallizzata"[^8] e legato alle funzioni culturali più consuete, vede
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un terreno d'azione più fertile per l'intellettuale nell'applicazione
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diretta di questi allo "sviluppo delle forme reali di vita"[^9]:
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> Nel mondo moderno l'educazione tecnica, strettamente legata al lavoro
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> industriale anche il più primitivo o squalificato, deve formare la
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> base del nuovo tipo di intellettuale.
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Di conseguenza,
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> ... il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere
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> nell'eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle
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> passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come
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> costruttore, organizzatore, "persuasore permanentemente".
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Con l'ulteriore avvertenza che tale tipo di intellettuale deve altresí
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oltrepassare la "tecnica-lavoro" per giungere "alla tecnica-scienza e
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alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane
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"specialista"".
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Non è un caso che per Gramsci l'effetto più immediato di tale ingresso
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nel mondo tecnico-scientifico (ma anche storico-umanistico) da parte
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degli intellettuali sia la relazione che questi istituiscono con la
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politica. Politica da intendersi nel senso più originario, come *technē
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politikē*, come arte-tecnica di indirizzo e gestione della *polis*, e
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più in generale della cosa pubblica. Se ciò dapprima produce una classe
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di "intellettuali di partito" "pronti a piegarsi in caso di necessità
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all'ineludibile disciplina richiesta dalla tattica e
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dall'organizzazione", come rileva Habermas[^10], in seguito -- e in
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particolare dopo il termine del secondo conflitto mondiale -- le cose
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cambieranno:
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> Gli intellettuali che si imposero dopo il 1945 -- come Camus e Sartre,
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> Adorno e Marcuse, Max Frisch e Heinrich Böll -- assomigliavano ai
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> modelli più antichi di scrittori e professori che assumevano sí
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> posizioni di parte, ma non erano politicamente legati a nessun
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> partito. Cogliendo una data occasione, senza essere stati richiesti o
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> averlo concordato con qualcuno, essi si inducevano, al di là della
|
||
> loro professione, a fare un uso pubblico del loro sapere
|
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> professionale. Senza pretendere alcuno *status* elitario, non si
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||
> richiamavano ad altra legittimazione che non fosse il loro ruolo di
|
||
> cittadino di uno Stato democratico[^11].
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All'interno dei rapporti tra intellettuali e politica -- cosí come
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ovviamente di quelli tra intellettuali e mondo della tecnica -- rientra
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a pieno titolo anche la figura dell'architetto. Vale la pena forse
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||
citare a questo proposito quanto scriveva Manfredo Tafuri nelle pagine
|
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finali di *Progetto e utopia*:
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||
> La riflessione sull'architettura, in quanto critica dell'ideologia
|
||
> concreta, "realizzata" dall'architettura stessa, non può che (...)
|
||
> raggiungere una dimensione specificamente politica. È solo a questo
|
||
> punto -- dopo, cioè, aver fatto ragione di ogni ideologia disciplinare
|
||
> -- che è lecito riproporre il tema dei ruoli nuovi del tecnico,
|
||
> dell'organizzatore dell'edilizia, del *planner*, nell'ambito delle
|
||
> nuove forme dello sviluppo capitalistico. E quindi, delle tangenze
|
||
> possibili o delle inevitabili contraddittorietà fra tale tipo di
|
||
> lavoro tecnico-intellettuale e le condizioni materiali della lotta di
|
||
> classe[^12].
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Quest'ultimo accenno non deve far perdere di vista l'attualità della
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notazione tafuriana. Il fatto che oggi la "lotta di classe" possa
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apparire un reperto archeologico (questione che verrà ridiscussa più
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oltre) non deve indurre l'idea che la relazione tra architetti e
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politica sia venuta meno; e lo stesso vale per quella tra architetti e
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sfera intellettuale.
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Che l'architetto sia un intellettuale è cosa evidente non soltanto
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nell'ottica della distinzione gramsciana tra "sforzo di elaborazione
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intellettuale-cerebrale e sforzo muscolare-nervoso"[^13]: lo è anche in
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un senso immediatamente intuitivo, almeno per "noi moderni". Ed è
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probabilmente inutile rispolverare le vecchie analisi marxiste sulla
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separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale[^14] per affermare
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qualcosa che risulta di per sé sufficientemente chiaro. Del resto, già
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la celeberrima definizione datane da Vitruvio ("Et ut litteratus sit,
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peritus graphidos, eruditus geometria, historias complures noverit,
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philosophos diligenter audierit, musicam scierit, medicinae non sit
|
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ignarus, responsa iurisconsultorum noverit, astrologiam caelique
|
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rationes cognitas habeat")[^15] fa emergere il carattere
|
||
iperintellettuale della preparazione dell'architetto, una somma di
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conoscenze "tecnico-scientifiche" e "storico-umanistiche", per dirla con
|
||
le parole di Gramsci.
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> Il sapere dell'architetto è ricco degli apporti di numerosi ambiti
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||
> disciplinari \[o "specialismi", come li si denominerebbe oggi\] e di
|
||
> conoscenze relative a vari campi, e al suo giudizio vengono sottoposti
|
||
> i risultati prodotti dalle altre tecniche[^16].
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Proprio quest'ultima considerazione vitruviana illumina il senso che ha
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per lui tale accumulazione di saperi, e di conseguenza il ruolo
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rivestito dall'architetto: non tanto quello dell'erudito, del
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multi-*connoisseur* fine a se stesso, quanto piuttosto quello del
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coordinatore, del supervisore, del regista (dal latino *regere*,
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dirigere); tutte attività per le quali necessita -- al di là delle
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singole competenze -- il possesso di uno sguardo ampio e di una visione
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sintetica. Una comprensione e un'organizzazione di molti elementi
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contemporaneamente, per le quali sono appunto richieste spiccate
|
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capacità intellettuali.
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E tuttavia, se l'architetto possiede storicamente una vocazione
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||
intellettuale, ciò non significa che il suo non sia anche -- e molto --
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un lavoro manuale. Basti solo pensare al disegno, o a tutte le attività
|
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che stanno dietro, e *dentro*, il compimento di un'opera di
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architettura, e che prevedono per l'appunto l'erogazione di un lavoro
|
||
ri-produttivo, vale a dire non squisitamente produttivo o
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"creativo"[^17]. All'interno di questa pluralità di attività svolte
|
||
dall'architetto, l'attività intellettuale non è distinguibile come una
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dimensione isolata e specifica: piuttosto, si tratta della modalità
|
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generale entro cui questi *comprende* tutte le proprie attività, incluse
|
||
quelle manuali come, appunto, il disegno (per Filarete "fondamento e via
|
||
d'ogni arte che di mano si faccia"[^18], vale a dire strumento per
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comunicare l'"idea"). Una modalità di *comprehendere* (letteralmente,
|
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di mettere insieme i particolari aspetti sensibili che una molteplicità
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di entità hanno tra loro in comune) che definisce in quanto tale il suo
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operare da architetto, ma che alcuni tra loro dimostrano di possedere in
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maniera più accentuata di altri. E lo stesso vale anche per alcune
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epoche. Ad esempio, in Italia -- dalla metà degli anni cinquanta fino
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all'incirca alla metà degli anni settanta, come si vedrà meglio più
|
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oltre -- la spiccata attitudine degli architetti a pensare e ad agire
|
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come intellettuali ha fortemente influenzato, nel bene e nel male, il
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quadro complessivo dell'epoca: da un lato concorrendo a dar vita a uno
|
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dei momenti più fecondi della recente storia disciplinare italiana,
|
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mediante la produzione di alcuni edifici di altissima qualità, cosí come
|
||
con l'elaborazione di altrettanto fondamentali contributi teorici;
|
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dall'altro facendo fin troppo spesso astrazione dal campo di
|
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applicazione concreto dell'architettura, e dando cosí spazio al fiorire
|
||
-- avvenuto precisamente in quel periodo -- della speculazione
|
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edilizia[^19] e al compiersi di un vero assalto ai territori italiani,
|
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di cui proprio la parte migliore dell'architettura italiana, arroccata
|
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in una posizione di aristocratica "separatezza", ha finito per rendersi
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involontariamente complice.
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Sono probabilmente i cascami di questa stagione della cultura
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architettonica italiana, intensa ma contraddittoria, ad aver lasciato in
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eredità alle fasi storiche successive -- in particolar modo nel nostro
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paese -- un'idea di architetto come prototipo per eccellenza
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dell'intellettuale fumoso e inconcludente: una sorta di Fuffas *ante
|
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litteram*, una figura un po' ridicola e un po' patetica,
|
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autoreferenziale e incapace di rapportarsi alla realtà. Questo modello
|
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pur parodistico dell'architetto intellettuale ha però sicuramente
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giocato un ruolo nella scarsa considerazione di cui la categoria nel suo
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complesso ha goduto in Italia nello scorso cinquantennio, e fors'anche
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nella collettiva "ritirata" degli architetti da posizioni di impegno
|
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politico e sociale, vale a dire, in una parola sola, intellettuale.
|
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D'altronde, la crisi dell'architetto intellettuale (cosí come quella
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dell'intellettuale *tout court*) va di pari passo con la crisi più
|
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generale -- ed epocale -- di un sistema di valori a cui tradizionalmente
|
||
il mondo degli intellettuali si rifaceva. E ciò su scala planetaria,
|
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non certo solo locale. Ed è sintomatico che sia proprio un architetto
|
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intellettuale -- Tomás Maldonado, d'origini argentine ma con lunghe
|
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frequentazioni europee e italiane -- a tornare a interrogarsi, nel 1995,
|
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sul mutevole significato della figura dell'intellettuale nel corso del
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tempo e sul suo incerto destino in quello attuale[^20]. Un'incertezza
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(o una "crisi d'identità")[^21] che troverebbe una sua spiegazione, tra
|
||
le altre possibili, nella "democratizzazione del sapere" e nella
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diffusione generalizzata del lavoro intellettuale (e -- andrebbe
|
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aggiunto -- nell'elevata taylorizzazione e proletarizzazione subita dai
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lavoratori di tali settori), che avrebbe come effetto la crescita
|
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smisurata di un "pensiero operante", vale a dire direttamente applicato
|
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ai contesti produttivi e comunicativi. Ciò che non impedisce tuttavia a
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Maldonado di chiudere la sua analisi sulle note di una "sorprendente"
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speranza in merito alla possibilità di una futura rinascita di un
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"pensiero discorrente", dialogico, capace in ultima analisi di tornare a
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||
"scompaginare (...) l'appiattimento della nostra visione del
|
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mondo"[^22].
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||
Gli eventi, almeno per il momento, non sembrano aver dato ragione alle
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attese di Maldonado. Il generalizzato ritorno in auge, in tempi più
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recenti, dell'architetto come professionista, ovvero come figura
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"semplicemente" dotata di capacità tecniche e di competenze specifiche,
|
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e disinteressata invece allo sviluppo di un proprio pensiero teorico,
|
||
sembra segnare un cambio di tendenza dal significato apparentemente
|
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inequivocabile e forse irrevocabile. Di ciò potrebbe costituire
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un'ulteriore conferma, da vent'anni circa a questa parte, l'imporsi del
|
||
fenomeno dell'*archistar* (o *star architect*, o *starchitect*)[^23]:
|
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una nuova forma di celebrità fortemente mediatizzata che non ha paragoni
|
||
con quella sperimentata da architetti di epoche precedenti, e che
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assimila invece l'architetto contemporaneo ad altri protagonisti dello
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||
*show business* globale (attori, personaggi televisivi, sportivi, ecc.).
|
||
Una notorietà originata assai più dall'aspetto spettacolare e
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sorprendente dei loro edifici che non dalla comprensione (ma in fondo si
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potrebbe anche dire: dalla sussistenza stessa) del loro "messaggio".
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Le conseguenze di questo fenomeno, anche dopo che esso pare avere ormai
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superato la sua fase più acuta, non hanno tardato a farsi sentire:
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l'architettura, nel corso degli ultimi due decenni, sembra avere
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accresciuto la propria popolarità presso un pubblico sempre più
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allargato. Non che ovviamente l'architettura di oggi sia più conosciuta
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o studiata di quella delle epoche precedenti: piuttosto, essa pare
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essere entrata nell'orizzonte percettivo di persone che per il resto
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continuano a non occuparsene affatto, almeno in maniera diretta e
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cosciente.
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Se tale impressione corrisponde effettivamente alla realtà, ciò è da far
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risalire, oltreché alla sporadica capacità dell'architettura attuale di
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"scandalizzare" i ben (poco) pensanti, a quella di dare forma e sostanza
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-- almeno in apparenza -- ai "desideri" della società contemporanea,
|
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vale a dire di rispondere soddisfacentemente alle sue "attese". Il
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discorso in realtà è un po' più complicato. Affermare che nel corso
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della sua storia l'architettura sia sempre stata espressione delle
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società in cui si è sviluppata è una verità tanto ovvia da rischiare di
|
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essere confutabile. Nella *polis* greca, il tempio, il teatro, persino
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gli edifici sportivi (si pensi a Olimpia, a Nemea o a Epidauro), ben al
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di là dall'essere semplici contenitori di funzioni sociali, svolgevano
|
||
il ruolo di riattivatori rituali di un fondamento rimosso da cui
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||
l'intera comunità originava. Nella città romana (soprattutto con
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l'espansione imperiale), gli edifici e gli spazi pubblici si facevano
|
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portatori di un messaggio politico che non era affatto espressione della
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realtà in cui si inserivano. Nella città rinascimentale, gli edifici
|
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rappresentavano frammenti di un ordine dotato di una ben precisa
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funzione ideologica, che spesso però è entrato in conflitto con la città
|
||
precedente. E altrettanto si potrebbe dire delle altre epoche.
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Rispetto alle attese cui architettura e città hanno saputo rispondere
|
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nel corso del Novecento (per la gran parte attese di tipo sociale:
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richieste di abitazioni per tutti, di servizi sociali, di spazi
|
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pubblici), quelle odierne possiedono un carattere ben diverso. In
|
||
realtà non tanto diverso da risultare imprevedibile. Lo spazio della
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città, nella storia, è stato teatro di una continua "contesa" tra idee
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di suo uso addirittura opposte:
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> Da un lato la città come un luogo di *otium*, luogo di scambio umano,
|
||
> sicuramente fattivo, attivo, intelligente, una dimora insomma, e da un
|
||
> altro il luogo dove poter sviluppare nel modo più efficace i
|
||
> *nec-otia*[^24].
|
||
|
||
Oggi all'architettura (e alla città) sembra non si chieda nulla di più
|
||
che dar forma visibile e tangibile ai *negotia*, agli affari, vale a
|
||
dire a quello "spirito commerciale" cui sono improntate nel modo più
|
||
profondo e completo le società -- e all'interno di esse, le *vite* --
|
||
occidentali[^25]. Ciò non va inteso in un senso ristretto,
|
||
limitatamente a quegli spazi destinati alla vendita di cui pure gli
|
||
architetti nell'ultimo secolo si sono intensamente occupati[^26].
|
||
Piuttosto, svettanti grattacieli e sfavillanti shopping center -- ma
|
||
anche edifici per l'intrattenimento e il tempo libero variamente
|
||
concepiti -- paiono rispondere perfettamente "a tono" alle più o meno
|
||
esplicite richieste dei cittadini-consumatori che non soltanto li
|
||
utilizzano, ma che addirittura sembrano aderire totalmente al programma
|
||
"ideologico" di cui questi edifici costituiscono l'oggettivazione. Un
|
||
programma "ideologico" -- quello disposto dal sistema capitalistico --
|
||
che si lascia assumere senza troppi pensieri, con leggerezza, e nel
|
||
quale i cittadini-consumatori paiono felici di rispecchiarsi.
|
||
|
||
Si potrebbe obiettare che tali domande "collettive" sono probabilmente
|
||
assai poco spontanee, poco realistiche, e che addirittura esse sono del
|
||
tutto irreali, nel senso che non sono formulate affatto dalla
|
||
maggioranza di coloro che usufruiscono delle città e dei suoi edifici; e
|
||
che piuttosto sono il prodotto della *simulazione di un desiderio* che
|
||
le forze economiche oggi dominanti nelle nostre società proiettano
|
||
sull'inconscio collettivo dei cittadini-consumatori, con un'intensità
|
||
tanto maggiore al crescere delle dimensioni dei contesti urbani[^27].
|
||
Ma, quale che sia la verità, questa "illusione di soddisfazione sociale"
|
||
nei confronti dell'architettura urbana per il momento funziona, e trova
|
||
una piena rispondenza negli architetti incaricati di realizzarla.
|
||
|
||
L'architetto -- oggi come nei momenti storici precedenti -- mette la
|
||
propria opera a disposizione della società in cui vive. Lo faceva
|
||
Filippo Brunelleschi con la Repubblica di Firenze, lo facevano Gian
|
||
Lorenzo Bernini e Francesco Borromini con il Papato di Roma, e lo fanno
|
||
gli architetti attuali con i loro committenti. In apparenza, non vi è
|
||
nessuna differenza; in realtà, i modi in cui gli architetti si sono
|
||
messi al servizio della società nel corso del tempo presentano tra di
|
||
loro difformità consistenti[^28]. L'architetto ha spesso rivestito un
|
||
ruolo di consigliere e di propositore, oltreché di realizzatore. E in
|
||
non poche occasioni è arrivato anche a calarsi -- in passato -- nei
|
||
panni del pensatore, dell'utopista, del sognatore, declinando
|
||
l'etimologia del progetto nel suo senso più diretto e immediato: quello
|
||
di un'evocazione -- qui e ora -- del futuro (*proiectus* in latino è
|
||
propriamente l'azione del gettare in avanti, e dunque del proiettare).
|
||
|
||
Oggi invece, almeno in una gran parte dei casi, l'architetto appare
|
||
preda di intricate dinamiche che, se da un lato le/gli vietano di porsi
|
||
in una posizione di "ingenua" neutralità, dall'altro la/lo portano a
|
||
vedere in maniera quasi "connaturata" ("naturalizzata", si potrebbe dire
|
||
in termini marxisti) il proprio ruolo di "operatore specializzato"
|
||
all'interno di un processo ben più vasto e composito di cui il proprio
|
||
progetto rappresenta con tutta evidenza soltanto un "momento". Ed è
|
||
degno di nota che, proprio in questo ambito, all'architetto sia
|
||
richiesto non soltanto di svolgere ruoli esecutivi, ma anche -- in
|
||
alcuni casi particolarmente complessi -- di fornire contributi
|
||
"ideativi", spingendosi al di là delle proprie "tradizionali competenze
|
||
disciplinari"[^29], in qualità di "suggeritore" di possibili funzioni e
|
||
utilizzi, sempre comunque inseriti in una logica complessiva che non
|
||
le/gli è dato in alcun modo di mettere in discussione, per non parlare
|
||
poi di criticarla apertamente. Ciò, ben lungi dal conferire
|
||
all'architetto un ruolo "decisionale" autonomo, finisce per attestarne
|
||
la posizione ancillare, riducendo il suo contributo a uno "scandaglio
|
||
preliminare di ipotesi formalizzate"[^30]. Ed è dunque palese come,
|
||
stando le cose in questo modo, la sua "massima aspirazione" possa essere
|
||
quella di limitarsi a farsi interprete di "programmi ideologici" già
|
||
stabiliti da altri, aggiungendovi al più il valore di un'effettiva o
|
||
presunta "originalità" della forma.
|
||
|
||
Quale sia il messaggio in questione, potrebbe risultare a questo punto
|
||
quasi enigmatico, se non fosse invece sin troppo evidente, trattandosi
|
||
dell'"eterna" (nella logica capitalistica) esortazione al consumo di cui
|
||
il sistema ha endemicamente bisogno; un consumo che non va inteso
|
||
esclusivamente nel senso dell'acquisizione di merci, di beni materiali,
|
||
ma anche in quello più astratto e generale dell'assunzione del sistema
|
||
in quanto tale come *valore*. In questo senso, l'esortazione al consumo
|
||
capitalistico -- consumo di sé, oltreché di ogni singola merce -- si
|
||
traduce immediatamente nell'*affermazione* (niente affatto nella
|
||
semplice "richiesta") di un *consenso* nei propri stessi confronti[^31]:
|
||
nei confronti delle proprie "regole", dei propri "valori". In
|
||
quest'opera cosí importante di persuasione, che il capitalismo conduce
|
||
in quel modo seduttivo e apparentemente non coercitivo che gli è
|
||
proprio, l'architettura ha l'incombenza fondamentale di tradurre tutto
|
||
ciò in oggetti, spazi e luoghi concreti.
|
||
|
||
A cinquant'anni di distanza dal saggio *Per una critica dell'ideologia
|
||
architettonica*[^32], e a poco meno dalla sua già citata rielaborazione
|
||
in forma di libro, in cui Tafuri stilava una lucida diagnosi in merito
|
||
ai "compiti che lo sviluppo capitalistico ha tolto all'architettura" --
|
||
primo e fondamentale fra questi, la dimensione utopica -- lasciando ad
|
||
essa soltanto il "dramma" di "vedersi obbligata a tornare *pura
|
||
architettura*, istanza di forma priva di utopia, nei casi migliori,
|
||
sublime inutilità"[^33], l'architetto si ritrova a fare i conti con una
|
||
condizione nella quale davvero la possibilità dell'utopia sembra essere
|
||
ormai tramontata, e in cui non rimane null'altro che la dimensione della
|
||
realtà (sublimemente inutile, o piuttosto pragmaticamente utilissima)
|
||
quale suo campo d'azione. Una realtà niente affatto neutrale, e che
|
||
anzi il suo stesso apporto -- insieme a quello di altre forze[^34] --
|
||
contribuisce a configurare nella sua forma consensuale.
|
||
|
||
Individuare le condizioni in cui l'architetto odierno si trova,
|
||
riconoscerne i limiti, cercare di comprendere i modi di un loro
|
||
possibile superamento, è quanto si prefigge il presente libro. A
|
||
partire dalla chiara consapevolezza che non è in ogni caso proponibile
|
||
alcuna inversione di rotta, alcun semplicistico e nostalgico "ritorno
|
||
alle origini". I percorsi della storia, per quanto tortuosi e
|
||
apparentemente (o effettivamente) poco logici, sono sempre e comunque
|
||
incontrovertibili. Ciò su cui dunque è necessario interrogarsi, dopo
|
||
avere debitamente esplorato il profilo e il campo d'azione degli
|
||
architetti di un passato lontano o recente che hanno esercitato il
|
||
proprio ruolo di intellettuali, è quale sia il senso oggi -- e, ancora
|
||
di più, quale potrà essere il senso *in futuro* -- di un architetto
|
||
capace di andare oltre l'esecuzione di incarichi assegnati, un
|
||
architetto che sappia farsi interprete *attivo* della realtà,
|
||
prefigurando per essa possibilità alternative, o quantomeno cercando di
|
||
metterla in crisi.
|
||
|
||
[^1]: Vedi ad esempio *Intello Academy* dell'economista e psicanalista
|
||
Corinne Maier, tradotto in italiano con l'imbarazzante titolo
|
||
*Intellettualoidi di tutto il mondo, unitevi!*, Bompiani, Milano 2007.
|
||
|
||
[^2]: Vedi, tra i molti altri, Elémire Zolla, *L'eclissi
|
||
dell'intellettuale*, Bompiani, Milano 1959; Zygmunt Bauman, *La
|
||
decadenza degli intellettuali. Da legislatori a interpreti*, Bollati
|
||
Boringhieri, Torino 2007; Frank Furedi, *Che fine hanno fatto gli
|
||
intellettuali?*, Cortina, Milano 2007.
|
||
|
||
[^3]: Antonio Gramsci, *Quaderni del carcere* (1929-35), 4 voll., a cura
|
||
di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 2014.
|
||
|
||
[^4]: Gramsci, *Quaderni del carcere* cit., vol. III, Quaderno 12
|
||
(XXIX), § 1, p. 1516.
|
||
|
||
[^5]: *Ibid.*, § 3, p. 1550.
|
||
|
||
[^6]: *Ibid.*, pp. 1550-51.
|
||
|
||
[^7]: *Ibid.*, p. 1551.
|
||
|
||
[^8]: *Ibid.*, Quaderno 11 (XVIII), § 16, p. 1406.
|
||
|
||
[^9]: *Ibid.*, vol III, Quaderno 12 (XXIX), § 3, p. 1551.
|
||
|
||
[^10]: Jürgen Habermas, *Il ruolo dell'intellettuale e la causa
|
||
dell'Europa*, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 7.
|
||
|
||
[^11]: *Ibid*. Su ciò vedi anche Michael Walzer, *L'intellettuale
|
||
militante. Critica sociale e impegno politico nel Novecento*, il
|
||
Mulino, Bologna 1991.
|
||
|
||
[^12]: Manfredo Tafuri, *Progetto e utopia. Architettura e sviluppo
|
||
capitalistico*, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 169-70.
|
||
|
||
[^13]: Gramsci, *Quaderni del carcere* cit., vol. III, Quaderno 12
|
||
(XXIX), § 3, p. 1550.
|
||
|
||
[^14]: Oltre a Karl Marx e Friedrich Engels, *L'ideologia tedesca*
|
||
(1845), Editori Riuniti, Roma 1971, p. 21 e *passim*, vedi, tra gli
|
||
altri, Alfred Sohn-Rethel, *Lavoro intellettuale e lavoro manuale. Per
|
||
la teoria della sintesi sociale*, Feltrinelli, Milano 1977.
|
||
|
||
[^15]: "... e che tu abbia una istruzione letteraria, che sia esperto
|
||
nel disegno, preparato in geometria, che conosca un buon numero di
|
||
racconti storici, che abbia seguito con attenzione lezioni di filosofia,
|
||
che conosca la musica, che abbia qualche nozione di medicina, che
|
||
conosca i pareri dei giuristi, che abbia acquisito le leggi
|
||
dell'astronomia": Vitruvio, *De Architectura*, 2 voll., Einaudi, Torino
|
||
1997, libro I.3, p. 14.
|
||
|
||
[^16]: *Ibid.*, libro I.1, p. 13.
|
||
|
||
[^17]: Per la distinzione tra "lavoro" e "opera" vedi Hannah Arendt,
|
||
*Vita activa. La condizione umana* (1958), Bompiani, Milano 2011,
|
||
pp. 58 sgg. Per un'applicazione di questa distinzione all'architettura,
|
||
vedi Pier Vittorio Aureli, *Labor and Work in Architecture*, in "Harvard
|
||
Design Magazine", n. 46, 2018, pp. 71-81.
|
||
|
||
[^18]: Antonio Averlino detto il Filarete, *Trattato di architettura*
|
||
(1464 circa), 2 voll., a cura di Anna Maria Finoli e Liliana Grassi, Il
|
||
Polifilo, Milano 1972, libro I, pp. 10-11.
|
||
|
||
[^19]: Emblematico al proposito è il racconto di Italo Calvino, *La
|
||
speculazione edilizia*, Einaudi, Torino 1963 (ma finito di scrivere nel
|
||
1957), il cui protagonista è un giovane intellettuale che, trascinato
|
||
dallo "spirito dell'epoca", si imbarca in un'operazione immobiliare
|
||
sulla Riviera ligure affiancato a un equivoco imprenditore edile.
|
||
|
||
[^20]: Tomás Maldonado, *Che cos'è un intellettuale? Avventure e
|
||
disavventure di un ruolo*, Feltrinelli, Milano 1995. Altrettanto
|
||
sintomatico, comunque, è il fatto che, tra tutti i nomi citati nel
|
||
libro, non ve ne sia neppure uno d'un architetto.
|
||
|
||
[^21]: *Ibid.*, p. 95.
|
||
|
||
[^22]: *Ibid.*, p. 94.
|
||
|
||
[^23]: Gabriella Lo Ricco e Silvia Micheli, *Lo spettacolo
|
||
dell'architettura. Profilo dell'archistar*^©^, Bruno Mondadori, Milano
|
||
2003.
|
||
|
||
[^24]: Massimo Cacciari, *La città*, Pazzini Editore, Rimini 2009,
|
||
p. 23.
|
||
|
||
[^25]: *The Harvard Design School Guide to Shopping*, a cura di Chuihua
|
||
Judy Chung, Jeffrey Inaba, Rem Koolhaas e Sze Tsung Leong, Taschen, Köln
|
||
2001.
|
||
|
||
[^26]: Vedi, ad esempio, Dario Scodeller, *Negozi. L'architetto nello
|
||
spazio della merce*, Electa, Milano 2007.
|
||
|
||
[^27]: Su ciò vedi Jean Baudrillard, *La società dei consumi. I suoi
|
||
miti e le sue strutture*, il Mulino, Bologna
|
||
2010. Al proposito vedi anche le ricerche condotte da Vanni Codeluppi,
|
||
*Lo spettacolo della merce. I luoghi del consumo dai 'passages' a
|
||
'Disney World'*, Bompiani, Milano 2000; Id., *La vetrinizzazione
|
||
sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della
|
||
società*, Bollati Boringhieri, Torino 2007; Id., *Metropoli e luoghi del
|
||
consumo*, Mimesis, Milano 2014.
|
||
|
||
[^28]: Spiro Kostof (a cura di), *The Architect. Chapters in the
|
||
History of the Profession*, University of California Press, Berkeley
|
||
2000, che tuttavia -- per quanto riguarda i periodi dal 1700 in avanti
|
||
-- si limita ad analizzare il contesto anglosassone e nordamericano.
|
||
|
||
[^29]: Manfredo Tafuri, *Storia dell'architettura italiana 1944-1985*,
|
||
Einaudi, Torino 1986, p. 206. Il "caso" in questione è quello del
|
||
Lingotto di Torino.
|
||
|
||
[^30]: *Ibid.*, p. 207. più in generale vedi anche -- per limitarsi alla
|
||
sola Italia -- il capitolo *"Reconversio urbis I": Venezia, Milano,
|
||
Torino, Firenze*, in Marco Biraghi e Silvia Micheli, *Storia
|
||
dell'architettura italiana 1985-2015*, Einaudi, Torino 2013, pp. 38-59.
|
||
|
||
[^31]: Interessante a questo proposito constatare come la società
|
||
capitalistica abbia il proprio modello nella fabbrica. E non a caso
|
||
proprio qui mutano -- con il passare del tempo -- i rapporti sociali,
|
||
indirizzandosi progressivamente verso l'ottenimento di un consenso.
|
||
Sull'argomento vedi il fondamentale Michael Burawoy, *Manufacturing
|
||
Consent: Changes in the Labor Process under Monopoly Capitalism*,
|
||
University of Chicago Press, Chicago 1979. "Per comprendere le dinamiche
|
||
sociali che avvengono nelle fabbriche a capitalismo sviluppato occorre
|
||
riconoscere che le politiche di produzione un tempo fondate unicamente
|
||
su metodi coercitivi si modificano e si ampliano in modo da rendere
|
||
possibile un progressivo coinvolgimento consensuale della manodopera nel
|
||
proprio lavoro. In altri termini, con l'evoluzione storica del
|
||
capitalismo, le politiche di produzione passano gradualmente dal
|
||
dispotismo all'egemonia. Con questa espressione, tratta da Gramsci,
|
||
Burawoy intende una politica che combina organicamente forza e
|
||
persuasione, coercizione e consenso, e che fornisce una base ideologica
|
||
di legittimazione al proprio esercizio che è accettata anche da coloro
|
||
su cui il potere è esercitato": Giuseppe Bonazzi, *Storia del pensiero
|
||
organizzativo*, Franco Angeli, Milano 2008, p. 145.
|
||
|
||
[^32]: Manfredo Tafuri, *Per una critica dell'ideologia architettonica*,
|
||
in "Contropiano", n. 1, 1969, pp. 31-79.
|
||
|
||
[^33]: Tafuri, *Progetto e utopia* cit., p. 3.
|
||
|
||
[^34]: Edward S. Herman e Noam Chomsky, *La fabbrica del consenso. La
|
||
politica e i mass media*, Il Saggiatore, Milano 2014.
|
||
|
||
# L'architettura come merce e l'architetto come "rifornitore"
|
||
|
||
Una trasformazione profonda, lenta e apparentemente inesorabile ha avuto
|
||
luogo con particolare intensità nel corso degli ultimi cento anni: la
|
||
trasformazione dell'architettura (intesa come fatto concreto, materiale,
|
||
tridimensionale) da "oggetto d'uso" a merce. Questo fenomeno non
|
||
costituisce nulla di sorprendente, o di anormale, considerato il
|
||
contesto generale nel quale si svolge. Ciò nondimeno, per chi se ne
|
||
occupa da un punto di vista "interno" (disciplinare o "scientifico" che
|
||
dir si voglia), cosí come per chi la osserva distrattamente da lontano,
|
||
da "fuori", l'architettura può risultare "strana" in queste vesti.
|
||
Perciò, provare a fissare brevemente tale fenomeno può valere a
|
||
intenderlo nell'ottica della disciplina e a cercare di comprendere le
|
||
sue conseguenze in un senso più generale.
|
||
|
||
Tale trasformazione in realtà ha avuto inizio ben da prima: in quanto
|
||
oggetto d'uso, l'architettura ha da gran tempo cessato di essere
|
||
prodotta da colei/colui cui era destinata, proprietario o fruitore che
|
||
fosse, e dunque il suo valore d'uso si è presto tramutato in valore
|
||
d'uso sociale; e in qualità di valore d'uso sociale è divenuto un
|
||
oggetto di scambio e ha acquisito un valore di scambio[^1]. Con ciò
|
||
l'architettura, come qualsiasi altro oggetto nelle società nelle quali
|
||
predomina il modo di produzione capitalistico, ha già virtualmente
|
||
compiuto la sua trasmutazione in merce: arrivando anzi a costituire --
|
||
come a tutti ben noto -- uno dei fondamenti stessi della ricchezza
|
||
pubblica e privata, e rappresentando valori economici spesso assai
|
||
cospicui, nella forma di proprietà immobiliari dotate di un proprio
|
||
specifico mercato.
|
||
|
||
Ma pur se tecnicamente avvenuto ormai da lungo tempo, il passaggio
|
||
dell'architettura da oggetto d'uso a merce è privo fino al principio del
|
||
XX secolo di un elemento fondamentale al suo definitivo compimento: il
|
||
trapassare del carattere di merce dal livello del puro valore di scambio
|
||
alla totalità dei suoi aspetti. Progettazione, rappresentazione,
|
||
costruzione, commercializzazione, sono tutti momenti del processo
|
||
produttivo dell'architettura che a vario titolo vengono sottoposti a una
|
||
più o meno palese e intensa mercificazione. La storia dell'architettura
|
||
del Novecento è, sotto molti riguardi, la storia del progressivo cammino
|
||
di questa, non tanto o soltanto verso una "modernità" genericamente o
|
||
stilisticamente intesa, quanto piuttosto verso il suo divenire *prodotto
|
||
di consumo*[^2]. L'abitazione, di questo processo, rappresenta il caso
|
||
forse maggiormente emblematico. Se si pone mente allo sviluppo della
|
||
residenza, in tutte le sue forme e a tutti i suoi livelli, nel corso
|
||
dell'ultimo secolo[^3], ad esempio, non si può che constatare il suo
|
||
completo coinvolgimento in questo processo: l'industrializzazione dei
|
||
metodi costruttivi, la standardizzazione e la prefabbricazione dei
|
||
componenti edilizi e degli elementi d'arredo, la serializzazione dei
|
||
"modelli" abitativi, le stesse tecniche di pubblicizzazione e di
|
||
vendita: non c'è campo in cui la residenza non abbia adottato le
|
||
medesime strategie utilizzate per gli altri prodotti di consumo. Ciò --
|
||
si badi bene -- ha avuto conseguenze tanto positive quanto negative.
|
||
Cosí, dagli inizi del Novecento in avanti, la residenza è stata spesso
|
||
oggetto di ricerche e di sperimentazioni tecnicamente e socialmente
|
||
all'avanguardia, volte a migliorarne le "prestazioni", e non di rado
|
||
anche a diminuirne i costi; ma è stata pure oggetto di sfruttamenti
|
||
intensivi e di operazioni a carattere puramente speculativo, oltreché
|
||
funzionali a precise politiche di ghettizzazione sociale, come risulta
|
||
evidente osservando quanto è accaduto nelle periferie delle città di
|
||
molti paesi occidentali, in particolare negli anni cinquanta e sessanta.
|
||
|
||
Non sono qui in discussione gli esiti di queste operazioni. E il
|
||
problema non è neppure quello di distribuire "promozioni e bocciature"
|
||
ai rispettivi architetti. La funzione dell'architettura rimane comunque
|
||
strutturale al sistema; e neppure il "mito riformista", che ha
|
||
lungamente attraversato l'Europa nel corso del Novecento, è riuscito ad
|
||
avere ragione delle sue contraddizioni.
|
||
|
||
A questa vicenda appartengono alcune delle migliori idee e realizzazioni
|
||
-- in termini di impegno politico sul piano urbano e di studio di
|
||
soluzioni innovative alla scala architettonica -- che si possano
|
||
annoverare nell'ambito del XX secolo. Si pensi ad esempio al caso della
|
||
Francoforte di Ernst May. Il lavoro svolto in qualità di assessore
|
||
all'edilizia, con la collaborazione di un ingente numero di architetti
|
||
che formeranno la cosiddetta "brigata May", rivela in pieno lo sforzo
|
||
per riscattare le condizioni di partenza -- in termini di possibilità
|
||
economiche e di standard dimensionali -- delle numerose *Siedlungen*
|
||
(per un ammontare totale di circa 12 000 appartamenti) progettate tra il
|
||
1926 e il 1930, mediante l'impiego di equipaggiamenti tecnologici e di
|
||
dispositivi di altra natura del tutto inusitato per quelle che sono e
|
||
rimangono a tutti gli effetti case popolari. Dovendo sottostare a
|
||
vincoli dimensionali alquanto esigui (40-45 mq per un alloggio per
|
||
quattro persone), May e i suoi collaboratori riservano una particolare
|
||
attenzione ai servizi (tra essi la famosa *Frankfurter Küche*, la
|
||
cucina-laboratorio ultra-efficente di Margarete Schütte-Lihotzky)[^4],
|
||
agli impianti, agli spazi comuni, agli edifici pubblici e alle
|
||
attrezzature collettive. In questo senso, la dotazione di impianti di
|
||
riscaldamento e di lavanderie centralizzati, di asili infantili, di
|
||
campi da gioco e di ricreazione, di centri sociali, e persino
|
||
l'installazione in ciascun complesso residenziale di impianti-radio
|
||
centrali per offrire "la possibilità di promuovere in futuro lo spirito
|
||
comunitario attraverso trasmissioni radiofoniche interne che abbracciano
|
||
la sfera di una *Siedlung*"[^5], pongono in evidenza l'importanza che
|
||
May assegna a tutto ciò che può fungere da fattore di connessione
|
||
sociale. Si tratta di una complessa operazione culturale e
|
||
organizzativa condotta sia con strumenti specificamente architettonici
|
||
(la standardizzazione delle componenti edilizie e l'utilizzo per la
|
||
costruzione di pannelli prefabbricati) sia con altri mezzi, tra cui --
|
||
oltre a quelli già citati -- la pubblicazione di una rivista mensile,
|
||
"Das neue Frankfurt", che tra il 1926 e il 1931 affronta una serie di
|
||
questioni cruciali come l'*Existenzminimum*, l'istruzione e l'igiene, ma
|
||
anche questioni a prima vista estranee alla cultura architettonica, come
|
||
la fotografia sperimentale, il teatro, il film documentario,
|
||
l'automobile utilitaria. Nonostante la molteplicità degli approcci,
|
||
ogni elemento messo in campo da May risulta riconducibile a una
|
||
concezione unitaria che pone al suo centro -- come ha scritto Giorgio
|
||
Grassi -- uno "stile di vita" ispirato "a una disciplina rigorosa, a una
|
||
norma morale"[^6]. È significativo che tutti questi accorgimenti si
|
||
connettano tra loro secondo una metodologia che attinge dal repertorio
|
||
della tecnica avanguardistica del "montaggio" (non a caso Tafuri, a
|
||
proposito della nuova Francoforte di May, evoca la "catena di
|
||
montaggio")[^7]. E tuttavia, questo "sogno di un "socialismo dal volto
|
||
umano" (...) mistifica il proprio essere tutto rivolto a stimolare i
|
||
processi produttivi"[^8]: un'anticipazione della "meccanizzazione" della
|
||
casa borghese.
|
||
|
||
Diverso il caso -- ma non diversi gli effetti -- delle proposte
|
||
residenziali avanzate da Le Corbusier a partire dai primi anni venti.
|
||
La *machine-à-habiter* è per lui lo strumento sociale per "evitare la
|
||
rivoluzione"[^9], ovvero per attuarla in termini architettonici, in modo
|
||
pacifico. Come l'automobile utilitaria (la stessa di cui si occupava
|
||
"Das neue Frankfurt"), l'architettura prodotta in serie gli appare
|
||
destinata a cambiare la vita dei suoi utenti, e non semplicemente a
|
||
mettere loro a disposizione le proprie prestazioni in una versione più
|
||
aggiornata. Quale diretta conseguenza di ciò, i tradizionali elementi
|
||
dell'edificio (pareti, finestre, coperture, ecc.) risultano
|
||
profondamente aggiornati, come lo sarebbero i pezzi di un meccanismo per
|
||
effetto di un'innovazione tecnologica, di un ruolo e di un funzionamento
|
||
differenti, e non per ragioni estetiche o di "gusto". Montandoli uno a
|
||
uno secondo un "sistema logico" che dalla cellula elementare della
|
||
Maison Dom-Ino giunge fino al complesso macchinario urbano della Ville
|
||
Radieuse, Le Corbusier pone in evidenza il necessario legame tra tutte
|
||
le parti -- o i "pezzi" -- della costruzione dello spazio sociale, da
|
||
quello privato a quello pubblico, e ne mostra la riducibilità a un unico
|
||
"discorso".
|
||
|
||
Che la "rivoluzione" architettonica attuata (o quantomeno, attuabile) in
|
||
questo modo sia concepita da Le Corbusier in termini del tutto
|
||
antirivoluzionari da un punto di vista politico -- com'è reso esplicito
|
||
dall'aut aut che egli stesso insistentemente propone: "Architettura o
|
||
rivoluzione" --, non la priva affatto di un carattere a propria volta
|
||
politico: infatti
|
||
|
||
> ... la strategia politica dietro questo progetto è chiara: la Maison
|
||
> Dom-Ino doveva risolvere la penuria di abitazioni per lavoratori, e i
|
||
> lavoratori erano intesi come i potenziali proprietari delle proprie
|
||
> abitazioni. Il modello Dom-Ino inscriveva la proprietà privata --
|
||
> ovvero il miglior modo, per il capitale, per controllare i lavoratori
|
||
> -- direttamente nel processo costruttivo della casa. Qui il legame
|
||
> tra forma urbana e investimento economico già stabilito dalla
|
||
> trasformazione di Parigi di Haussmann è perfezionato alla scala della
|
||
> singola abitazione[^10].
|
||
|
||
L'intento politico del ciclo che connette la cellula alla città va
|
||
dunque valutato nella sua interezza come espressione della volontà di
|
||
costruire un mondo nuovo per l'"uomo nuovo" prodotto dal capitalismo
|
||
(vale a dire per "l'uomo contemporaneo" di cui lo stesso Le Corbusier
|
||
parla, il quale "avverte (...) l'esistenza di un mondo che si va
|
||
elaborando regolarmente, logicamente, chiaramente, che produce con
|
||
purezza cose utili e utilizzabili")[^11]. E se le condizioni di
|
||
esistenza capitalistiche non risultano in alcun modo sovvertite bensì
|
||
casomai potenziate dal programma lecorbusieriano, è in ogni caso una
|
||
mutazione fondamentale quella di cui esso si fa interprete, come
|
||
riconosce anche Benjamin: "La *ville contemporaine* di Le Corbusier è
|
||
pur sempre un complesso edilizio lungo una strada maestra. Senonché,
|
||
col fatto che questa strada è ora percorsa da automobili e che nel
|
||
centro del complesso atterrano gli aerei, tutto si è trasformato"[^12].
|
||
Inoltre, in quanto "regolabile e movibile" e priva di "aura"[^13], la
|
||
*machine-à-habiter* costituisce "l'epilogo della "casa" come figurazione
|
||
mitologica"[^14]. Essa è pronta per diventare un prodotto di serie, un
|
||
dispositivo, vale a dire un prodotto dell'industria:
|
||
|
||
> La grande industria deve occuparsi della costruzione e produrre in
|
||
> serie gli elementi della casa. (...) Se si sradicano dal proprio cuore
|
||
> e dalla propria mente i concetti sorpassati della casa e si esamina la
|
||
> questione da un punto di vista critico e oggettivo, si arriverà alla
|
||
> casa-strumento, casa in serie, sana (anche moralmente) e bella
|
||
> dell'estetica degli strumenti di lavoro che accompagnano la nostra
|
||
> esistenza[^15].
|
||
|
||
Da qui alla casa-merce il passo è breve.
|
||
|
||
Tuttavia, nonostante i fervidi auspici di Le Corbusier, è soprattutto
|
||
sotto un profilo formale e figurativo che l'architettura mostra --
|
||
soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, e in modo ancora più
|
||
evidente negli ultimi trent'anni -- la sua integrale assimilazione a una
|
||
merce. È stato nel corso di questo periodo, infatti, che si è verificato
|
||
un sempre più rilevante processo di identificazione dell'architettura
|
||
con l'immagine. Facendo ricorso a diversi "espedienti", essa ha fatto
|
||
gradualmente registrare lo spostamento del proprio "baricentro" dalla
|
||
mitologia centrale del moderno, consistente essenzialmente nella
|
||
rappresentazione delle funzioni, a quella -- precipuamente postmoderna
|
||
-- della comunicazione e della mediatizzazione di se stessa. Nel
|
||
compiere questa "evoluzione" l'architettura si dichiara idonea, prima
|
||
che a ogni altra cosa, alla propria diffusione e circolazione. Ed è
|
||
precisamente in quest'ottica che va intesa la sua trasformazione in
|
||
immagine.
|
||
|
||
Già nel 1967, con sorprendente lucidità, Guy Debord aveva diagnosticato
|
||
il destino che attendeva "tutta la vita delle società nelle quali
|
||
predominano condizioni moderne di produzione"[^16], vale a dire il modo
|
||
di produzione capitalistico: trasformarsi in "un'immensa accumulazione
|
||
di spettacoli". Per Debord, nell'epoca del capitalismo avanzato, tutto
|
||
ciò che in precedenza "era direttamente vissuto si è allontanato in una
|
||
rappresentazione". In essa l'accumulazione del capitale è giunta a un
|
||
tale grado da farsi spettacolo, "da divenire immagine"[^17]. E se "lo
|
||
spettacolo (...) è l'equivalente generale astratto di tutte le
|
||
merci"[^18], nella proliferazione delle immagini dobbiamo riconoscere
|
||
null'altro che la proliferazione totale della merce. Anche il
|
||
rovesciamento dell'affermazione di Debord proposto più recentemente da
|
||
Matteo Pasquinelli ("Il capitale è spettacolo ad un tale grado di
|
||
accumulazione da trasformarsi in una skyline di cemento")[^19] non
|
||
sposta -- e anzi conferma -- la propensione del capitale a investire in
|
||
merce-architettura. Ed è proprio in quanto merce che essa persegue
|
||
l'obiettivo che accomuna tutte le merci nell'epoca moderna e
|
||
contemporanea: presentarsi come perenne novità. "La novità è una qualità
|
||
indipendente dal valore d'uso della merce"[^20]: non si potrebbe
|
||
esprimere in maniera più sintetica la relazione che interconnette merce,
|
||
nuovo e apparenza. Essa appartiene al regno dell'immaginario, non a
|
||
quello dell'utile.
|
||
|
||
Nonostante l'affermazione di Alois Riegl che il "valore di novità" sia
|
||
il *beatus possidens* di "un luogo occupato per millenni", esso ha fatto
|
||
il suo ingresso nell'ambito architettonico relativamente di
|
||
recente[^21]. L'apposizione del prefisso neo- di fronte alla parata
|
||
degli stili del passato, lungo tutto l'Ottocento, costituisce la prima
|
||
avvisaglia di un fenomeno in precedenza del tutto sconosciuto, almeno in
|
||
quei termini; mentre la denominazione di Art Nouveau, utilizzata tra
|
||
fine Ottocento e primo Novecento per indicare il complesso di
|
||
manifestazioni artistiche tese a segnare una svolta rispetto al passato,
|
||
da un lato, e a dare un volto alla classe borghese divenuta soggetto
|
||
ormai dominante sulla scena della storia, dall'altro, parla chiaramente
|
||
dell'ansia di arte e architettura di quel periodo di caratterizzarsi in
|
||
senso innovativo; anzi, di identificarsi *tout court* con il nuovo.
|
||
Cosí come -- in maniera se possibile ancora più esplicita -- è
|
||
significativo che negli anni venti e trenta, soprattutto in ambito
|
||
tedesco e olandese, vengano impiegate formule come "Neues Bauen", "Neue
|
||
Baukunst" o "Nieuwbouw" per riferirsi all'insieme delle esperienze
|
||
relative all'architettura moderna[^22]. Soltanto in seguito il termine
|
||
"nuovo" scomparirà dal lessico ufficiale dell'architettura, per
|
||
penetrare in compenso sempre più nel profondo della sua
|
||
ideologia. "Nuovo" a questo punto non è più l'attributo di una
|
||
determinata "famiglia" architettonica, comprendente edifici e progetti
|
||
contraddistinti da caratteri comuni e riconoscibili, riconducibili nel
|
||
loro complesso alla categoria di "moderno", quanto piuttosto quello di
|
||
ogni architettura dotata di una propria spiccata individualità, ovvero
|
||
-- per dirlo in modo più preciso -- di una propria *singolarità*;
|
||
un'architettura la cui "novità" è dunque fondamentalmente rappresentata
|
||
dalla propensione per una "differenza" che è spesso sinonimo di
|
||
stravaganza. Il "nuovo", in quest'ottica, serve all'architettura
|
||
soprattutto per distinguersi, per attrarre l'attenzione: un accorgimento
|
||
che essa ha evidentemente assimilato dalla pubblicità, e che, nel
|
||
rimarcare la sua riduzione a immagine, ne conferma in pieno il carattere
|
||
di merce. Cosí come, secondo Tafuri, per converso, "non è un caso che
|
||
il destino dei formalismi si concluda sempre nell'utilizzazione
|
||
"pubblicitaria" del *lavoro sulla forma*"[^23].
|
||
|
||
In realtà il potere delle immagini *sub specie architecturae* ha una
|
||
storia ben più lunga e prestigiosa. Anche volendo limitarsi al XX
|
||
secolo, si potrebbero ricordare i grandi edifici del potere politico nei
|
||
regimi totalitari, cosí come quelli del potere economico nelle
|
||
democrazie: edifici che, nell'adempimento delle proprie funzioni,
|
||
trasmettono un fascio di idee che comprendono variamente -- e spesso
|
||
contemporaneamente -- ufficialità, autorità, eternità, inattaccabilità,
|
||
solidità, stabilità. Del tutto diverso è invece il discorso per quanto
|
||
riguarda quegli edifici il cui "scopo" precipuo è rivestire il ruolo di
|
||
*icone*[^24]. Gli "edifici iconici", nella definizione che ne dà Pier
|
||
Vittorio Aureli,
|
||
|
||
> ... sono tipicamente landmarks singolari il cui scopo è interamente
|
||
> iscritto all'interno della logica dell'urbanizzazione. E infatti,
|
||
> l'obiettivo dell'edificio iconico è un'architettura post-politica
|
||
> spogliata da qualsiasi significato che non sia la celebrazione della
|
||
> performance economica aziendale[^25].
|
||
|
||
Prima di questa fase, l'iconicità ha rappresentato la caratteristica
|
||
distintiva di alcuni edifici eccezionali, nel senso che -- letteralmente
|
||
-- costituivano delle eccezioni. Nel corso del XX secolo edifici
|
||
iconici in un modo del tutto diverso da quelli successivi sono stati ad
|
||
esempio il Salomon R. Guggenheim Museum (1943-59) a New York di Frank
|
||
Lloyd Wright e l'Opera House (1957-73) di Sydney, di Jørn Utzon. In
|
||
entrambi i casi i loro autori hanno fatto ricorso a soluzioni formali
|
||
che sembrano aver tenuto conto della singolarità di cui essi ritenevano
|
||
fossero portatori i loro edifici. In realtà, nel caso del Guggenheim,
|
||
ciò che viene progressivamente emergendo dalla lunghissima gestazione
|
||
dell'edificio è -- più di ogni altra cosa -- una volontà
|
||
"iconoclasta"[^26], anziché iconica, e di conseguenza un autoritratto
|
||
della personalità del suo autore, di cui esso ha finito per diventare il
|
||
massimo emblema; mentre nel caso dell'Opera House -- pur tra le enormi
|
||
difficoltà progettuali e realizzative che hanno portato il suo autore a
|
||
disconoscerne la paternità[^27] -- è non soltanto Sydney ma addirittura
|
||
l'Australia intera a essere "condensata" nella sua celebre immagine.
|
||
|
||
Ma è forse con il Centre Georges Pompidou (1971-77) che architettura e
|
||
immagine sembrano arrivare a identificarsi perfettamente. E tuttavia,
|
||
ancora una volta, con molte radicali differenze rispetto non solo ai
|
||
suoi successori, ma anche a ogni banale pretesa simbolica. Per quanto
|
||
assai rilevante sotto molteplici punti di vista, infatti, il Centre
|
||
Pompidou non può certo ambire a rappresentare, come parte per il tutto,
|
||
il luogo in cui sorge -- Parigi o la Francia --, e neppure l'intera
|
||
opera dei suoi autori: Renzo Piano, Richard Rogers o Peter Rice. Esso
|
||
piuttosto rappresenta nella maniera più compiuta il tentativo delle
|
||
autorità francesi -- e del presidente Pompidou in primo luogo -- di dare
|
||
vita a un edificio che rispondesse, incorporandole, alle istanze del
|
||
Maggio '68 francese. Ciò di cui la grande "macchina per
|
||
comunicare"[^28] è la rappresentazione è la totale *autonomia* della sua
|
||
immagine rispetto a qualsiasi suo "contenuto". Come ha rilevato Jean
|
||
Baudrillard,
|
||
|
||
> ... con il suo intreccio di tubi (...) con la sua fragilità
|
||
> (calcolata?), che dissuade da ogni mentalità o monumentalità
|
||
> tradizionale,
|
||
|
||
la macchina Beaubourg
|
||
|
||
> ... proclama apertamente che il nostro tempo non sarà mai più quello
|
||
> della durata, che la nostra sola temporalità è quella del ciclo
|
||
> accelerato e del riciclaggio, quella del circuito e del transito di
|
||
> fluidi[^29].
|
||
|
||
In questo processo di trasmutazione il Centre Pompidou si afferma come
|
||
immagine, non certo dell'istituzione museale che nega di essere, bensì
|
||
della "rottura delle molecole culturali e \[del\] loro ricombinarsi in
|
||
prodotti di sintesi". Immagine dunque della frantumazione di
|
||
un'immagine, sostituita da un festoso apparato di strutture metalliche,
|
||
tubi colorati e spazi liberi (almeno nelle intenzioni) per usi diversi.
|
||
|
||
È interessante notare al proposito come -- attraverso un'operazione di
|
||
grande complessità, condotta in tempi rapidissimi (il bando di concorso
|
||
è messo a punto già nel 1970, ad appena due anni di distanza dall'acme
|
||
del movimento) e in cui sono coinvolti numerosissimi soggetti con
|
||
svariate competenze -- la "controcultura" del '68, ovvero la cultura
|
||
"alternativa" sviluppatasi in Francia e non solo in quell'intorno di
|
||
anni, venga fatta propria, integrata in un edificio sorto per volontà di
|
||
un potere destinato comunque ad affermare (e a confermare) la propria
|
||
indiscussa centralità. E non è meno sorprendente il fatto che il potere
|
||
compia un cosí vistoso "spostamento" dalla propria auto-rappresentazione
|
||
tradizionale di quanto lo sia il fatto che per farlo utilizzi le
|
||
medesime "armi" del nemico (tra essi, gli echi del progetto del Fun
|
||
Palace di Cedric Price per Joan Littlewood e dei disegni "tecno-utopici"
|
||
di Archigram). Ed è altresí interessante che le istanze di rinnovamento
|
||
e le aspirazioni di egemonia culturale dello Stato francese vengano
|
||
incanalate in una forma corrispondente a ciò che nuovamente Baudrillard
|
||
definirà un "ipermercato della cultura", ovvero "un oggetto da
|
||
consumare, (...) un edificio da manipolare"[^30]: dove i processi di
|
||
reificazione e di mercificazione sono ormai trasparenti.
|
||
|
||
Pur radicandosi sul medesimo "ceppo", la ramificazione del discorso
|
||
relativa agli *iconic buildings* si sviluppa in un modo differente, a
|
||
partire proprio dal ruolo da essi occupato all'interno dei rispettivi
|
||
contesti urbani. Il Guggenheim Museum di Bilbao (1991-97) di Frank O.
|
||
Gehry si è guadagnato il titolo di capostipite della famiglia degli
|
||
*iconic buildings* non soltanto per le sue forme vistose e sorprendenti
|
||
ma anche per lo studiato posizionamento in un punto strategico della
|
||
città, sulla riva del fiume Nervión[^31]. L'intera vicenda del
|
||
Guggenheim -- compresi gli articolati rapporti tra il governo dei Paesi
|
||
Baschi, il direttore della Solomon R. Guggenheim Foundation, Thomas
|
||
Krens, e l'architetto Gehry -- costituisce in questo senso un esempio da
|
||
manuale, che in molte altre occasioni in seguito si è cercato di
|
||
replicare[^32]. È soprattutto in queste ultime, tuttavia, che in modo
|
||
sempre più lampante emerge come le presunte "eccezioni" siano in realtà
|
||
funzionali a confermare la regola. Eccentricità formali e appariscenze
|
||
cromatiche propagano ai quattro venti il roboante annuncio che "tutto
|
||
rimarrà come prima", ovvero che non è in corso alcuna "rivoluzione", o
|
||
meglio ancora che l'"ordine costituito" non verrà minimamente smentito o
|
||
scalfito dal nuovo inserimento. "Piuttosto che essere forme agonistiche,
|
||
le "icone" contemporanee sono la manifestazione finale e celebrativa
|
||
della *Grundnorm* dell'urbanizzazione: la vittoria dell'ottimizzazione
|
||
economica sul giudizio politico"[^33]. Nell'estensione sconfinata delle
|
||
città contemporanee, gli edifici iconici assumono il valore di un
|
||
"richiamo" (da intendersi nel senso in cui la medicina utilizza il
|
||
termine: la re-inoculazione di una sostanza per consolidare uno stato
|
||
d'immunità. Dove l'immunità in questione è riferita a qualsiasi
|
||
cambiamento sostanziale da parte dell'"organismo" complessivo).
|
||
|
||
Ma che cosa ne è dell'architetto allorché l'architettura abbia fatto il
|
||
suo ingresso nel "circuito" della spettacolarizzazione capitalistica? Da
|
||
quel momento in avanti -- e poi con sempre maggiore frequenza -- si
|
||
trova a rivestire il ruolo del "creatore di spettacoli". Non si tratta
|
||
ovviamente di un ruolo inedito per lui: in svariati momenti della storia
|
||
agli architetti è spettato il compito di allestire feste, di mettere in
|
||
scena rappresentazioni e di progettare edifici effimeri di vario
|
||
genere[^34]; e la "festa del capitale", da questo punto di vista, non
|
||
pare discostarsi troppo dalla festa barocca. Ma anche nel vero e
|
||
proprio esercizio della loro professione gli architetti hanno avuto
|
||
spesso modo di conferire ai propri edifici caratteri altamente
|
||
spettacolari. Ciò di per sé non costituisce un problema, al di fuori di
|
||
quei casi in cui tale spettacolarità assume tratti del tutto gratuiti;
|
||
cosí come, per converso, non per forza di cose l'elemento che accomuna
|
||
tra loro gli edifici iconici contemporanei è un'esplicita
|
||
spettacolarità. In fondo, lo stesso fenomeno degli *iconic buildings*
|
||
costituisce soltanto il caso particolare (e forse oggi -- almeno in
|
||
parte -- esaurito, o comunque "attutito" rispetto ad alcuni anni fa) di
|
||
un discorso più vasto e generalizzato; la punta di un iceberg la cui
|
||
"spettacolarità" consente a esso di emergere con maggiore evidenza.
|
||
|
||
Sulla possibile reversibilità di questo aspetto hanno contato coloro che
|
||
-- in controtendenza rispetto all'orientamento più largamente diffuso --
|
||
hanno cercato di mettere in scacco tale spettacolarizzazione. Cercare
|
||
di farlo, tuttavia, può costringere a compiere "salti" singolari,
|
||
apportatori di illuminanti paradossi. Nel 2006 lo studio OMA ha
|
||
progettato il Dubai Renaissance, un bianco volume monolitico di 300
|
||
metri di altezza per 200 di larghezza, destinato a uffici, hotel e suite
|
||
residenziali. Nel testo di presentazione dell'edificio si legge:
|
||
|
||
> L'ambizione di questo progetto è di concludere la fase attuale
|
||
> dell'idolatria architettonica -- l'età dell'icona -- in cui
|
||
> l'ossessione del genio individuale supera di gran lunga l'impegno per
|
||
> lo sforzo collettivo necessario a costruire la città. Invece di
|
||
> un'architettura della forma e dell'immagine, abbiamo creato una
|
||
> reintegrazione di architettura e ingegneria, dove l'intelligenza non è
|
||
> investita in effetti, ma in una logica strutturale e concettuale, che
|
||
> offre un nuovo tipo di prestazioni e funzionalità[^35].
|
||
|
||
L'edificio che ne deriva s'ispira a una nuova Simplicity^TM^ (si badi
|
||
bene, affiancata dal *trademark*) che tra i suoi attributi enumera
|
||
qualità come *pure*, *straight*, *substantial*, *objective*,
|
||
*predictable*, *original*, *honest* e *fair*. Nonostante le sue "buone"
|
||
intenzioni, tuttavia, il Dubai Renaissance risulta soltanto una falsa
|
||
reazione all'"idolatria architettonica": come appare evidente dalla
|
||
tavola elaborata dallo stesso OMA, dove esso è messo a confronto con una
|
||
parata di "vanità" architettoniche (dalle Petronas Towers di César Pelli
|
||
a Kuala Lumpur, al Burj al-'Arab di Tom Wright nella stessa Dubai),
|
||
dalle quali in realtà si distingue soltanto per le sembianze candide e
|
||
per i lineamenti uniformi. Pur rinunciando all'espressività delle forme
|
||
e all'impatto dei colori, il Dubai Renaissance è animato dalla medesima
|
||
volontà di stupire presente negli altri edifici iconici che insieme a
|
||
esso compongono una surreale "città analoga" nel deserto arabico.
|
||
|
||
Affermare una "iconoclastia" in luogo di una "iconolatria", cosí come
|
||
vagheggiare una città post-iconica[^36] in un mondo post-iconico, da
|
||
questo punto di vista, appaiono tentativi ineffettuali destinati al
|
||
fallimento, o a essere rapidamente assorbiti nelle capaci fauci di un
|
||
onnivoro capitalismo.
|
||
|
||
Come già detto, comunque, il nocciolo della questione non sta
|
||
nell'"originalità" del ruolo degli architetti odierni rispetto a quello
|
||
rivestito da essi in passato; né nell'eccentricità dei loro progetti
|
||
rispetto alla "canonicità" (vera o presunta) di quelli di altre epoche
|
||
storiche. E non consiste neppure nella posizione oggi assunta dagli
|
||
architetti nei confronti della società in cui operano. Il vero problema
|
||
è piuttosto quale posizione occupino gli architetti nei processi
|
||
produttivi attuali. Non si tratta dunque di un problema soggettivo,
|
||
bensì di un problema -- come già ben compreso da Walter Benjamin negli
|
||
anni trenta[^37] -- *tecnico*. Detto in altri termini, il problema è se
|
||
-- e in quale misura -- gli architetti odierni, esercitando il loro
|
||
ruolo di "creatori di spettacoli", oppure piuttosto rivestendone un
|
||
altro, riescano a operare una *trasformazione* dell'apparato produttivo,
|
||
e se -- e quanto -- invece compiano nei confronti di questo un "semplice
|
||
rifornimento"[^38].
|
||
|
||
Come chiarisce lo stesso Benjamin,
|
||
|
||
> ... rifornire un apparato produttivo senza trasformarlo (nella misura
|
||
> del possibile) rappresenta un procedimento estremamente oppugnabile
|
||
> persino quando i contenuti di cui è rifornito questo apparato sembrano
|
||
> di natura rivoluzionaria.
|
||
|
||
In questa prospettiva, il "rifornitore" di un apparato produttivo è
|
||
colui che si limita a perpetuarlo, o che al più lo rinnova "dall'interno
|
||
(...) secondo la moda", di conseguenza "lasciandolo cosí com'è"[^39].
|
||
Significativamente, per indicare i "rifornitori", Benjamin fa ricorso
|
||
anche al termine francese *routiniers* (coloro che si conformano
|
||
all'abitudine, che ripetono stancamente il già noto), intendendo con
|
||
esso coloro che rinunciano ad apportare correzioni al sistema di
|
||
produzione[^40]. A ciò egli contrappone il *Produzent* (produttore):
|
||
non semplicemente colui che produce (o piuttosto, che banalmente
|
||
ri-produce), quanto piuttosto colui che trasforma in senso tecnico
|
||
l'apparato produttivo.
|
||
|
||
La domanda da porsi a questo punto è: sono in grado gli architetti
|
||
attuali, con il loro intervento, di trasformare l'apparato produttivo
|
||
nel quale sono inseriti?
|
||
|
||
Le trasformazioni verificatasi nell'architettura nel corso dell'ultimo
|
||
secolo -- e poi, in modo sempre più rapido, nel corso degli ultimi
|
||
decenni (trasformazioni che, al di là degli aspetti strutturali e di
|
||
quelli estetico-formali, hanno contrassegnato il suo progressivo
|
||
*divenir-merce*) -- hanno inesorabilmente modificato anche la posizione
|
||
occupata dagli architetti all'interno dell'apparato produttivo. Non che
|
||
in precedenza questi godessero di una maggiore indipendenza, ma ancora
|
||
nel corso degli anni venti e nei primi anni trenta, e successivamente
|
||
tra gli anni cinquanta e sessanta, vi sono stati tentativi -- pur spesso
|
||
conclusisi in delusioni, sconfitte, o in strategici ripiegamenti -- di
|
||
*spostare* sostanzialmente il senso del lavoro dell'architetto, a volte
|
||
anche a costo di scontri o di rinunce: si pensi ad esempio
|
||
all'impostazione della didattica del Bauhaus di Dessau da parte di
|
||
Hannes Meyer, tutta improntata a una "scientificizzazione spinta dei
|
||
processi architettonici"[^41]; o ai progetti radicali -- architettonici
|
||
e urbani -- di Ludwig Hilberseimer, rigorosi al punto da superare ogni
|
||
ipotesi funzionalista o formalista, e rivolgersi piuttosto a un soggetto
|
||
post-umanista[^42]; o al ripensamento profondo della stessa idea di
|
||
progetto -- e conseguentemente di oggetto -- architettonico da parte di
|
||
Cedric Price[^43]; o ancora, alla monumentale opera "minimale" compiuta
|
||
da Aldo van Eyck con la realizzazione di oltre settecento *playgrounds*
|
||
nell'ambito dell'intervento per la municipalità di Amsterdam[^44]. In
|
||
seguito, invece, una stessa "sorte" epocale sembra aver coinvolto molti
|
||
architetti, più ancora che a compiere una consapevole o prudente
|
||
ritirata verso posizioni più riparate, ad "accomodarsi" semplicemente
|
||
nei ruoli loro offerti da un intendimento sociale. Al punto che oggi
|
||
una delle loro funzioni preminenti, per dirla ancora una volta con le
|
||
parole di Benjamin, "è quella di rinnovare il mondo dall'interno -- in
|
||
altre parole: secondo la moda --, lasciandolo cosí com'è".
|
||
|
||
Ma se, come si è visto, la trasformazione dell'architettura in merce ha
|
||
quale suo necessario corollario la trasformazione dell'architetto in
|
||
"rifornitore" (*rifornitore di merci*), vi è però un'ulteriore ed
|
||
estrema trasformazione che questi subisce nel corso di tale processo, e
|
||
in diretta conseguenza di esso: la trasformazione dell'architetto stesso
|
||
in merce. Ciò può essere inteso in due accezioni diverse,
|
||
corrispondenti a due "profili" di architetti ritenuti -- nella gran
|
||
parte dei casi, a torto -- altrettanto diversi tra loro. La prima
|
||
accezione è quella che tende a identificare l'architetto contemporaneo
|
||
con un moderno demiurgo, dotato di spiccate doti autoriali e di una
|
||
forte riconoscibilità stilistica. Questa figura si confonde con il mito
|
||
dell'architetto-*archistar*. In qualità di merce -- e merce di "lusso"
|
||
-- l'architetto-*archistar* ha fama di essere molto prezioso, e perciò
|
||
anche altrettanto desiderato e "corteggiato"; inoltre, lo si ritiene
|
||
capace di disporre pienamente dei propri strumenti, delle proprie
|
||
tecniche, dei propri linguaggi, e ancora di più, di disporre di sé nel
|
||
senso più generale, di autodeterminarsi, ma al tempo stesso pure di
|
||
essere libero d'imporre le proprie scelte. Per tutte queste ragioni,
|
||
*in quanto merce*, l'architetto-*archistar* induce l'idea di non essere
|
||
"soggetto" al mercato, bensì piuttosto di occuparvi una posizione
|
||
privilegiata, se non addirittura di dominarlo. Questa prima accezione
|
||
-- che è la più largamente diffusa -- è al tempo stesso anche la più
|
||
facilmente falsificabile.
|
||
|
||
La seconda accezione è legata a una situazione come quella attuale, in
|
||
cui una grandissima sovrabbondanza di architetti disponibili sul mercato
|
||
fa aumentare a dismisura la concorrenza tra loro, costringendo molti ad
|
||
accettare condizioni di pesante deprezzamento del proprio lavoro.
|
||
L'architetto in questo modo finisce per vendere se stesso come una merce
|
||
svalutata. È il caso di moltissimi giovani architetti che lavorano
|
||
gratis, o sottopagati, senza contratto, senza orari, senza riposi
|
||
settimanali, senza ferie pagate, senza pensione. Di questi
|
||
architetti-lavoratori sfruttati e delle condizioni di produzione del
|
||
progetto negli studi contemporanei bisognerà tornare a parlare più
|
||
oltre. In questo caso come nell'altro, comunque, al di là delle
|
||
differenze più o meno apparenti, la mercificazione investe direttamente
|
||
l'architetto, il quale in tal modo -- oltre che delle proprie "merci" --
|
||
rifornisce il mercato anche di se stesso.
|
||
|
||
[^1]: Per le nozioni di valore d'uso, valore d'uso sociale, valore di
|
||
scambio, il riferimento è ovviamente Karl Marx, *Il Capitale*,
|
||
Editori Riuniti, Roma 1980, vol. I, pp. 67 e sgg.
|
||
|
||
[^2]: Per un'utile (per quanto episodica) lettura in tal senso vedi
|
||
*Architecture and Capitalism. 1845 to the Present*, a cura di Peggy
|
||
Deamer, Routledge, New York 2014.
|
||
|
||
[^3]: Sul tema vedi, tra gli altri, le interessanti raccolte *Housing in
|
||
Europa 1. 1900-1960* e *Housing in Europa 2. 1960-1979*, Luigi
|
||
Parma, Bologna 1978 e 1979; Roger Sherwood, *Modern Housing
|
||
Prototypes*, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1978; e
|
||
inoltre *Las formas de la residencia en la ciudad moderna*, a cura
|
||
di Carlos Martí Arís, Edicions UPC, Barcelona 2000.
|
||
|
||
[^4]: Vedi *Die Frankfurter Küche von Margarete Schütte-Lihotzky*, a
|
||
cura di Peter Neover, Ernst & Sohn, Berlin 1991.
|
||
|
||
[^5]: Ernst May, *Cinque anni di attività di edilizia residenziale a
|
||
Francoforte sul Meno*, in "Das neue Frankfurt", n. 2-3, 1930, ora in
|
||
G. Grassi (a cura di), *Das neue Frankfurt 1926-1931*, Edizioni
|
||
Dedalo, Bari 1975, p. 208.
|
||
|
||
[^6]: Giorgio Grassi, *Das neue Frankfurt e l'architettura della nuova
|
||
Francoforte*, in Grassi (a cura di), *Das neue Frankfurt 1926-1931*
|
||
cit., p. 9.
|
||
|
||
[^7]: Tafuri, *Progetto e utopia* cit., p. 107; Manfredo Tafuri e
|
||
Francesco Dal Co, *Architettura contemporanea*, Electa, Milano 1976,
|
||
p. 153.
|
||
|
||
[^8]: Francesco Dal Co, *Architetti e città -- Unione Sovietica
|
||
1917-1934*, in *Socialismo, città, architettura -- URSS 1917-1937.
|
||
Il contributo degli architetti europei*, testi di Alberto Asor Rosa,
|
||
Bruno Cassetti, Giorgio Ciucci, Francesco Dal Co, Marco De Michelis,
|
||
Rita Di Leo, Kurt Junghanns, Gerritt Oorthuys, Vítězslav Procházka,
|
||
Hans Schmidt, Manfredo Tafuri, Officina Edizioni, Roma 1971, p. 106.
|
||
|
||
[^9]: Le Corbusier, *Verso una architettura* (1923), Longanesi, Milano
|
||
1973, p. 243.
|
||
|
||
[^10]: Pier Vittorio Aureli, *Means to an End. The Rise and Fall of the
|
||
Architectural Project of the City*, in Id. (a cura di), *The City
|
||
as a Project*, Ruby Press, Berlin 2013, p. 37.
|
||
|
||
[^11]: Le Corbusier, *Verso una architettura* cit., pp. 241-43.
|
||
|
||
[^12]: Walter Benjamin, *Parigi capitale del* *XIX* *secolo*, Einaudi,
|
||
Torino 1986, p. 533.
|
||
|
||
[^13]: Vedi Walter Benjamin, *Esperienza e povertà* (1933), in Id.,
|
||
*Esperienza e povertà*, a cura di Massimo Palma, Castelvecchi, Roma
|
||
2018, p. 55.
|
||
|
||
[^14]: Benjamin, *Parigi capitale del* *XIX* *secolo* cit.
|
||
|
||
[^15]: Le Corbusier, *Verso una architettura* cit., p. 187.
|
||
|
||
[^16]: Guy Debord, *La società dello spettacolo* (1967), Sugarco, Milano
|
||
1990, p. 85.
|
||
|
||
[^17]: *Ibid.*, p. 97.
|
||
|
||
[^18]: Debord, *La società dello spettacolo* cit., p. 108.
|
||
|
||
[^19]: Matteo Pasquinelli, *Oltre le rovine della Città Creativa: la
|
||
fabbrica della cultura e il sabotaggio della rendita*, in Marco
|
||
Baravalle (a cura di), *L'arte della sovversione*, Manifestolibri,
|
||
Roma 2009, p. 152. L'affermazione originale di Debord recita "Lo
|
||
spettacolo è il capitale ad un tal grado di accumulazione da
|
||
divenire immagine".
|
||
|
||
[^20]: Benjamin, *Parigi capitale del* *XIX* *secolo* cit., p. 15.
|
||
|
||
[^21]: Alois Riegl, *Il culto moderno dei monumenti. Il suo carattere e
|
||
i suoi inizi* (1903), a cura di Sandro Scarrocchia, Abscondita,
|
||
Milano 2017, p. 55.
|
||
|
||
[^22]: Vedi, tra i molti altri, Ludwig Hilberseimer, *Internationale
|
||
Neue Baukunst*, Julius Hoffmann, Stuttgart 1927; Bruno Taut, *Die
|
||
neue Baukunst in Europa und Amerika*, Julius Hoffmann, Stuttgart
|
||
1929; Adolf Behne, *Neues Wohnen, neues Bauen*, Hesse & Becker,
|
||
Leipzig 1930; Jacobus Johannes Pieter Oud, *Nieuwe bouwkunst in
|
||
Holland en Europa*, De Driehoek, 's-Graveland 1935.
|
||
|
||
[^23]: Manfredo Tafuri, *Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico*,
|
||
in "Contropiano", n. 2, 1970, p. 268.
|
||
|
||
[^24]: Charles Jencks, *The Iconic Building. The Power of Enigma*,
|
||
Rizzoli, New York 2005.
|
||
|
||
[^25]: Pier Vittorio Aureli, *The Possibility of an Absolute
|
||
Architecture*, MIT Press, Cambridge (Mass.) 2011, p. XII.
|
||
|
||
[^26]: Francesco Dal Co, *The Guggenheim. Frank Lloyd Wright's
|
||
Iconoclastic Masterpiece*, Yale University Press, New Haven 2017.
|
||
|
||
[^27]: Françoise Fromonot, *Jørn Utzon architetto della Sydney Opera
|
||
House*, Electa, Milano 1998.
|
||
|
||
[^28]: Francesco Dal Co, *Centre Pompidou. Renzo Piano, Richard Rogers,
|
||
and the Making of a Modern Monument*, Yale University Press, New
|
||
Haven 2016.
|
||
|
||
[^29]: Jean Baudrillard, *L'effetto Beaubourg. Implosione e
|
||
dissuasione*, in Id., *Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg,
|
||
apparenze e altri oggetti*, a cura di Matteo G. Brega, Pgreco,
|
||
Milano 2008, pp. 27-44, e in particolare p. 31.
|
||
|
||
[^30]: Baudrillard, *L'effetto Beaubourg* cit., pp. 35 e 38.
|
||
|
||
[^31]: Coosje Van Bruggen, *Frank O. Gehry. Guggenheim Museum Bilbao*,
|
||
Guggenheim Museum Publ., New York 1999; John Rajchman, *Effetto
|
||
Bilbao*, in "Casabella", n. 673-74, 1999-2000, pp. 10-11.
|
||
|
||
[^32]: Vedi ad esempio Davide Ponzini e Michele Nastasi,
|
||
*Starchitecture. Scene, attori e spettacoli nelle città
|
||
contemporanee*, Allemandi, Torino 2011.
|
||
|
||
[^33]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit., p.
|
||
XII.
|
||
|
||
[^34]: Sul tema della festa barocca vedi, tra gli altri, Marcello
|
||
Fagiolo, *La festa barocca*, De Luca, Roma 1997, nonché Id. (a cura
|
||
di), *Le capitali della festa. Italia settentrionale e Italia
|
||
centrale e meridionale*, 2 voll., De Luca, Roma 2007-2008.
|
||
|
||
[^35]: Vedi http://www.oma.eu/projects/2006/dubai-renaissance/.
|
||
|
||
[^36]: Josep Lluís Mateo e altri (a cura di), *Iconoclastia. News from
|
||
a Post-Iconic World. Architectural Papers IV*, ETH --
|
||
Eidgenössische Technische Hochschule -- Ed. Actar, Zürich --
|
||
Barcelona 2009.
|
||
|
||
[^37]: Walter Benjamin, *L'autore come produttore* (1934), in Id.,
|
||
*Avanguardia e rivoluzione. Saggi sulla letteratura*, Einaudi,
|
||
Torino 1973, pp. 199-217 (ora in *Opere complete*, VI. *Scritti
|
||
1934-1937*, ivi 2004). Si tratta del medesimo saggio citato da
|
||
Manfredo Tafuri in *La sfera e il labirinto. Avanguardie e
|
||
architettura da Piranesi agli anni '70*, Einaudi, Torino 1980,
|
||
p. 352, a proposito delle ricerche architettoniche degli anni
|
||
sessanta e settanta. Sulle sue considerazioni al proposito si dovrà
|
||
tornare più oltre.
|
||
|
||
[^38]: Benjamin, *L'autore come produttore* cit., p. 207.
|
||
|
||
[^39]: *Ibid.*, p. 209.
|
||
|
||
[^40]: *Ibid.*, p. 208.
|
||
|
||
[^41]: Francesco Dal Co, *Hannes Meyer e la venerabile scuola di
|
||
Dessau*, in Hannes Meyer, *Scritti 1921-1942. Architettura o
|
||
rivoluzione*, a cura di F. Dal Co, Marsilio, Padova 1969, p. 38.
|
||
|
||
[^42]: K. Michael Hays, *Modernism and the Posthumanist Subject. The
|
||
Architecture of Hannes Meyer and Ludwig Hilberseimer*, The MIT
|
||
Press, Cambridge (Mass.) 1992.
|
||
|
||
[^43]: Stanley Mathews, *From Agit-Prop to Free Space: The Architecture
|
||
of Cedric Price*, Black Dog Publishing, London 2007.
|
||
|
||
[^44]: Liane Lefaivre e Ingeborg de Roode (a cura di), *Aldo van Eyck.
|
||
Playgrounds*, NAi Publishers, Rotterdam 2002.
|
||
|
||
# Il ruolo dell'architetto intellettuale
|
||
|
||
L'esordio della storia dell'architettura moderna viene fatto coincidere,
|
||
secondo il parere di molti studiosi, con la concezione della cupola di
|
||
Santa Maria del Fiore da parte di Filippo Brunelleschi[^1]. La nota
|
||
vicenda legata al completamento del Duomo di Firenze, risolvibile
|
||
tradizionalmente facendo ricorso all'impiego di armature (centine) di
|
||
legno, nella circostanza non applicabili a causa delle grandi dimensioni
|
||
dello spazio da voltare, diviene l'occasione per Brunelleschi non
|
||
soltanto per applicare il proprio sapere costruttivo, frutto dello
|
||
studio diretto dell'antico, ma anche per affermare e difendere, "per la
|
||
prima volta, (...) la "professionalità" dell'architetto contro il vago
|
||
"magistero" dell'artefice, la priorità dell'invenzione tecnica sulla
|
||
perizia del mestiere"[^2]. Non si tratta soltanto di una
|
||
"rivendicazione di categoria": nella distinzione tra il momento del
|
||
progetto e quello dell'esecuzione è in gioco anche la distinzione tra
|
||
un'attività "liberale" e un'attività "meccanica", e dunque l'assunzione
|
||
da parte dell'individuo colto del compito di organizzare e guidare la
|
||
società. È la nascita dell'intellettuale come soggetto attivo, oltreché
|
||
come figura speculativa.
|
||
|
||
Significativamente, Antonio Manetti, il primo biografo di Brunelleschi,
|
||
ne mette in rilievo sopra ogni altra cosa il grande e meraviglioso
|
||
"intelletto"[^3]. Un intelletto che non agisce certo nell'isolamento e
|
||
che necessita degli altri per poter compiere la propria "azione"[^4], ma
|
||
che al tempo medesimo pone se stesso e il proprio operare su un piano
|
||
completamente diverso rispetto a quello occupato dai suoi interlocutori.
|
||
Non a caso, tutte le sue biografie non mancano di riportare -- sia pure
|
||
in versioni differenti -- un episodio emblematico: nel 1430, in seguito
|
||
alle proteste dei "maestri di cazzuola" per le fatiche e i pericoli del
|
||
lavoro sulla cupola, egli decide di licenziarli e di sostituirli con
|
||
maestranze lombarde, salvo in seguito riassumerli tutti (tranne uno) a
|
||
un salario più basso[^5]. Si tratta della dimostrazione più evidente
|
||
del fatto che la supremazia dell'uomo d'intelletto si esercita in
|
||
termini di potere di comando e di controllo, ma assume anche
|
||
connotazioni che ne distinguono non tanto la mansione o il ruolo quanto
|
||
piuttosto l'appartenenza a una *classe*. Ciò che l'episodio fa emergere
|
||
impetuosamente -- cosí come l'intero intervento di Brunelleschi a Santa
|
||
Maria del Fiore -- è cioè "il tema della moderna divisione sociale del
|
||
lavoro"[^6].
|
||
|
||
La coincidenza del sorgere della figura dell'architetto come
|
||
intellettuale e del manifestarsi di rapporti di classe prefiguranti
|
||
quelli che si instaureranno con la rivoluzione industriale tra la
|
||
borghesia e il proletariato non è evidentemente casuale. Come rileva
|
||
ancora Tafuri, "l'intellettuale-architetto (...) rivendicando
|
||
l'autonomia del proprio ruolo, (...) si pone all'avanguardia delle nuove
|
||
classi al potere". E aggiunge: "tanto da poter persino entrare in
|
||
conflitto con esse là dove queste non siano disposte ad essere
|
||
conseguenti fino in fondo con le proprie premesse".
|
||
|
||
L'episodio a cui allude Tafuri è probabilmente quello riferito da
|
||
Vasari, secondo il quale, avendo ricevuto da Cosimo de' Medici
|
||
l'incarico di progettare un palazzo in piazza San Lorenzo, a Firenze,
|
||
Brunelleschi ne "fece un bellissimo e gran modello"; ma poi, "parendo a
|
||
Cosimo troppo sontuosa e gran fabbrica, più per fuggire l'invidia che la
|
||
spesa, lasciò di metterla in opera"; al che Brunelleschi, "intendendo la
|
||
resoluzione di Cosimo, che non voleva tal cosa mettere in opera, con
|
||
sdegno in mille pezzi il disegno ruppe"[^7].
|
||
|
||
Non sono tuttavia numerosi i casi in cui l'architetto si ribellerà -- o
|
||
addirittura, si opporrà concretamente -- al potere e ai potenti, nei
|
||
secoli successivi. E semmai un indizio della sempre maggiore
|
||
assimilazione degli architetti al sistema di potere di volta in volta
|
||
vigente si lascia rintracciare nel loro parallelo cercare rifugio in
|
||
un'attività che tende sempre meno a identificarsi -- come accadeva
|
||
ancora nel caso di Brunelleschi -- con il solo progetto architettonico,
|
||
e che si apre via via ad altre espressioni e linguaggi: dal disegno come
|
||
tecnica (almeno potenzialmente) affrancata dalla realizzazione concreta,
|
||
alla scrittura come pratica finalizzata non esclusivamente a
|
||
verbalizzare le "regole" dell'architettura ma anche a produrre su di
|
||
essa "discorsi" di natura diversa, spesso scopertamente soggettivi: non
|
||
più trattati, insomma, quanto piuttosto "punti di vista", "opinioni"
|
||
sull'architettura. Ciò che ne deriva è una forma di indipendenza
|
||
dell'architetto non solo nei confronti della committenza ma anche nei
|
||
confronti della propria stessa attività; sviluppando la *teoria* come
|
||
una dimensione al tempo stesso organica e autonoma di questa,
|
||
l'architetto porta a compimento il processo di autoaffermazione di sé
|
||
come intellettuale.
|
||
|
||
In questo senso, Leon Battista Alberti incarna al suo massimo grado la
|
||
figura dell'intellettuale-umanista che estende *anche* all'architettura
|
||
il proprio ambito d'interessi, tanto scrivendone (nella forma canonica
|
||
del trattato)[^8], quanto progettandola (senza però interessarsi
|
||
attivamente alle fasi costruttive)[^9]. E infatti nella definizione che
|
||
egli dà dell'architetto si preoccupa prima di ogni altra cosa di
|
||
sgombrare il campo dai possibili equivoci circa il ruolo di questi come
|
||
artista-intellettuale, distinguendolo nettamente da quello di altre
|
||
figure che si occupano in modo diverso di costruzioni, come il *faber
|
||
tignarius*:
|
||
|
||
> ... non prenderò certo in considerazione un carpentiere, per
|
||
> paragonarlo ai più qualificati esponenti delle altre discipline: il
|
||
> lavoro del carpentiere infatti non è che strumentale rispetto a quello
|
||
> dell'architetto[^10].
|
||
|
||
E invece
|
||
|
||
> ... architetto chiamerò colui che con metodo sicuro e perfetto sappia
|
||
> progettare razionalmente e realizzare praticamente, attraverso lo
|
||
> spostamento dei pesi e mediante la riunione e la congiunzione dei
|
||
> corpi, opere che nel modo migliore si adattino ai più importanti
|
||
> bisogni dell'uomo.
|
||
|
||
Dove anche il "realizzare praticamente" va inteso piuttosto come
|
||
capacità di compiere *reali* verifiche delle ipotesi progettuali
|
||
formulate che non come un diretto intervento dell'architetto nelle fasi
|
||
costruttive dell'edificio.
|
||
|
||
Pur non essendo possibile seguire analiticamente le avventure
|
||
dell'architetto intellettuale dal Rinascimento in avanti (in larga parte
|
||
coincidenti, del resto -- almeno fino a tempi abbastanza recenti --, con
|
||
la storia dell'architettura *tout court*), non si può mancare almeno di
|
||
ricordare il ruolo occupato all'interno di esse da Andrea Palladio: non
|
||
soltanto in qualità di progettista di un'imprescindibile "rete" di
|
||
edifici in terra veneta, ma soprattutto in quanto autore dei *Quattro
|
||
Libri dell'Architettura* (1570). Sono proprio questi ultimi a
|
||
costituire il perfetto paradigma -- a ben guardare mai eguagliato da
|
||
alcuno né prima né dopo di lui -- del tradursi *in atto* di
|
||
un'intellettualità architettonica. Fuggendo "la lunghezza delle
|
||
parole", limitandosi dunque a "quelle avvertenze, che mi parranno più
|
||
necessarie"[^11], e affiancandovi "alcuni disegni" di cui fornisce le
|
||
"misure, da' quali potrà ciascuno facilmente, secondo che se gli
|
||
offerirà l'occasione, esercitando l'acutezza del suo ingegno, pigliar
|
||
partito e far opera degna di esser lodata"[^12], Palladio consegue la
|
||
più compiuta sintesi tra testi e immagini raggiunta in un trattato: dove
|
||
i disegni "dicono" ciò a cui le parole alludono soltanto. La
|
||
sorprendente "perspicuità" dell'*opus* palladiano, se costituisce
|
||
l'irrefutabile presupposto della sua fortuna planetaria[^13], è anche lo
|
||
specchio ingannevole con il quale abbagliare coloro che non sono "in
|
||
tale arte istruiti". Ciò rende *I Quattro Libri*, al tempo stesso, "per
|
||
tutti e per nessuno", o perlomeno per quel numero ristretto
|
||
d'"intendenti" che sappia comprenderne e applicarne il codice sotteso.
|
||
Ed è straordinariamente significativo che sia proprio lo strumento del
|
||
disegno -- nella semplice forma della proiezione ortogonale in pianta,
|
||
sezione e alzato -- a rendere pienamente effettuale l'operazione
|
||
intellettuale compiuta dall'architetto. Con una notazione ulteriore:
|
||
pur raccogliendo opere esemplari realizzate da autori antichi e
|
||
"moderni" (tra questi ultimi, soltanto Donato Bramante, oltre a se
|
||
stesso), il trattato di Palladio richiede di essere letto come una
|
||
teoria generale della progettazione basata sul sistema degli ordini e
|
||
delle proporzioni; una teoria capace di approssimarsi tanto all'"idea"
|
||
da distanziarsi persino dalla realtà[^14].
|
||
|
||
Sarà Giovanni Battista Piranesi -- trecento anni più tardi -- a mostrare
|
||
invece come l'architetto possa ormai concepire se stesso in modo quasi
|
||
del tutto svincolato dalla produzione progettuale, senza con questo
|
||
cessare di considerarsi architetto a tutti gli effetti. Piranesi fa del
|
||
disegno qualcosa di più di un mezzo di prefigurazione o di
|
||
rappresentazione della realtà: e infatti, nelle *Antichità Romane*
|
||
(1756), come nelle *Vedute di Roma* (1778), esso ha il compito di
|
||
dissezionare e di catalogare in ogni sua parte il "corpo" della città,
|
||
al fine di farne non tanto un semplice rilievo, quanto piuttosto un
|
||
approfondito studio analitico-critico[^15]; nel caso delle *Carceri
|
||
d'invenzione* (1761) e del *Campo Marzio dell'Antica Roma* (1762),
|
||
invece, il disegno rimane volutamente incerto tra memoria archeologica e
|
||
progetto del nuovo, escludendo comunque dal proprio orizzonte qualsiasi
|
||
eventualità di realizzazione. In entrambi i casi, oltrepassa il valore
|
||
di strumento meramente tecnico, per divenire un vero e proprio
|
||
dispositivo che permette a Piranesi di definire senza condizionamenti il
|
||
proprio campo d'azione. Un'assenza di condizionamenti che si può
|
||
misurare innanzitutto sul piano intellettuale. Non per nulla, il testo
|
||
teorico più importante di Piranesi, il *Parere sull'Architettura*
|
||
(1765), è organizzato in forma *dialogica*, vale a dire la modalità
|
||
espressiva più lontana dalla prescrittività della trattatistica. Nella
|
||
composizione dialettica delle opinioni sostenute da Protopiro e
|
||
Didascalo è sintetizzabile il "parere" piranesiano, sostenitore del
|
||
"libero gioco della creatività, che si esprime nella sede "privilegiata"
|
||
dell'ornamento", ma anche della necessità di dotare quest'ultimo dei
|
||
"criteri compositivi" ispirati "ai metodi con i quali la natura crea e
|
||
dispone i propri fenomeni"[^16].
|
||
|
||
La libertà creativa individuale, sia pur temperata dal riferimento al
|
||
piano "oggettivo" e condivisibile della natura, è dunque la
|
||
manifestazione della presa di coscienza del ruolo ormai compiutamente
|
||
*intellettuale* dell'architetto. Ma è anche la chiara manifestazione di
|
||
una crisi. Mentre si emancipa progressivamente dalla "fisica" del
|
||
potere (soltanto più tardi scoprirà di essere inesorabilmente immerso
|
||
nella sua "microfisica")[^17], l'architetto intellettuale si trova
|
||
sempre di più al cospetto di una frantumazione che riguarda la
|
||
disciplina di cui si occupa non meno che il proprio io. Ancora una
|
||
volta, Piranesi è il precoce annunciatore di entrambi i fenomeni. Ma
|
||
più in generale, il fiorire -- tra XVII e XIX secolo -- di
|
||
polemiche[^18], pamphlet e saggi[^19] di ogni genere relativi
|
||
all'architettura è indice dell'affermarsi di certezze proclamate con
|
||
tanto più vigore e animosità quanto più si rivelano il frutto di una
|
||
costitutiva arbitrarietà e soggettività. Tramontata l'epoca in cui
|
||
poteva esercitare le sue funzioni ricorrendo *sola mente* ai lucidi
|
||
schemi desunti dagli *aeterna exempla* del classico, ora l'architetto è
|
||
costretto a ripiegarsi su se stesso per trovare frammenti di "verità"
|
||
individuali, ma sempre più spesso per nascondere la propria
|
||
inadeguatezza e per coprire i propri dubbi. La "personalità"
|
||
dell'architetto, in certi casi, inizia ad assumere maggiore importanza
|
||
della sua stessa opera.
|
||
|
||
L'affermarsi di una dimensione teorica ormai non più correlata con una
|
||
stretta normatività comporta la necessità di connotare fortemente
|
||
ciascuna teoria, al fine di differenziare l'una dall'altra, in un gioco
|
||
di prese di posizione e di distanza che in molti casi ha l'effetto di
|
||
radicalizzarle. Si ripensi all'*incipit* di *Architecture. Essai sur
|
||
l'art* di Étienne-Louis Boullée: "Che cos'è l'architettura? La definirò
|
||
forse con Vitruvio l'arte del costruire? No"[^20]. La "sacralità"
|
||
degli antichi -- e di Vitruvio quale massima autorità in materia
|
||
architettonica -- viene deliberatamente infranta. Per Boullée
|
||
l'architettura ha piuttosto a che fare con la "poesia", ovvero con il
|
||
"carattere" che ciascun tipo di costruzione deve esprimere, sulla base
|
||
di un preciso rapporto *analogico* tra forma e contenuto degli edifici:
|
||
"Le immagini che essi offrono ai nostri sensi dovrebbero suscitare in
|
||
noi sentimenti corrispondenti all'uso al quale essi sono
|
||
consacrati"[^21].
|
||
|
||
La radicalizzazione della teoria si manifesta però al suo massimo grado
|
||
nell'opera di un allievo di Boullée, Jean-Nicolas-Louis Durand. Nei due
|
||
libri del *Précis des leçons données à l'École Polytechnique*
|
||
(1802-809), la *raison* è ormai diventata un'*ideé fixe*, una vera e
|
||
propria ossessione; ed è nelle tavole che l'accompagnano (in particolar
|
||
modo della seconda parte), più ancora che nel testo, che essa trova la
|
||
sua più piena espressione: planimetrie e alzati le cui combinazioni e
|
||
permutazioni rigorosamente geometriche lasciano pochi dubbi in merito
|
||
alla "natura" della teoria sostenuta. Il cui autore, con altrettanta
|
||
chiarezza, risulta tramutato in un suo "sostenitore"[^22].
|
||
|
||
Ma è proprio a fronte dell'esasperazione delle posizioni e
|
||
dell'inoperatività che spesso vi si associa -- e al conseguente rischio
|
||
di isolamento nel quale con sempre maggiore frequenza incorre
|
||
l'architetto intellettuale -- che questi tende ad "aprire" la propria
|
||
visione a una dimensione più allargata, collettiva, caratterizzata non
|
||
di rado in senso spiccatamente utopico. A partire da *L'architecture
|
||
considérée sous le rapport de l'art, des moeurs et de la législation*
|
||
(1804) di Claude-Nicolas Ledoux, l'architetto si propone come
|
||
"pensatore" -- o "ripensatore" -- della città e della società.
|
||
Affiancandosi, o sostituendosi addirittura, alle tradizionali figure di
|
||
riferimento (il filosofo, il politico, l'industriale, il pedagogo, il
|
||
filantropo)[^23], l'architetto si appropria del mito riformista, sia
|
||
pure proiettato in un mondo soltanto immaginato, in senso grafico o
|
||
letterario. Gli esiti di questo passaggio si lasceranno rintracciare
|
||
ancora nella *Cité industrielle* (1917) di Tony Garnier[^24] e nella
|
||
*Ville contemporaine de trois millions d'habitants* (1922) di Le
|
||
Corbusier[^25].
|
||
|
||
Proprio Le Corbusier può essere considerato l'architetto intellettuale
|
||
più significativo e influente del XX secolo. Il suo apporto, in questo
|
||
senso, non è valutabile esclusivamente in termini produttivi, cosí come
|
||
non lo è neppure in chiave meramente progettuale, o almeno non
|
||
nell'accezione usuale del termine, come fase preparatoria "in vista"
|
||
della sua realizzazione concreta. Dalla Maison Dom-Ino alla Ville
|
||
Radieuse e oltre, Le Corbusier elabora un discorso articolato in varie
|
||
"puntate" ma unitario, le cui singole parti scaturiscono da un'*idea di
|
||
spazio* e da un'*idea di costruzione e struttura* ben precise, declinate
|
||
su scale diverse, fino a giungere a formulare una visione "totale",
|
||
completamente alternativa al mondo reale; una visione che affida
|
||
all'architettura il compito di ripensare radicalmente la società.
|
||
|
||
Anche sotto il profilo pubblicistico, non soltanto Le Corbusier si
|
||
rivela probabilmente il più prolifico scrittore di architettura del
|
||
secolo[^26], ma pure quello più di ogni altro capace di funzionalizzare
|
||
tale attività al ruolo autoassegnatosi di architetto intellettuale: che
|
||
non consiste né nell'assolvere a compiti puramente tecnici, di semplice
|
||
illustrazione e diffusione dei progetti, né nell'affermare valori
|
||
esclusivamente ideologici o letterari, l'intenzione del raggiungimento
|
||
dei quali potrebbe anche prescindere dallo svolgimento di un'attività
|
||
progettuale. Adottando via via la forma del manifesto, del pamphlet,
|
||
dello scritto polemico, i libri di Le Corbusier si presentano come vere
|
||
e proprie "crociate"[^27] combattute con le armi della critica, della
|
||
provocazione e dell'ironia; il tutto finalizzato a fornire ogni supporto
|
||
possibile a una concezione dell'architettura che -- come poc'anzi
|
||
rilevato -- è tanto ideale quanto concreta, ovvero traducibile in
|
||
termini spaziali e in termini costruttivo-strutturali: perfetta sintesi
|
||
del compito che per tutta la vita Le Corbusier ostinatamente persegue.
|
||
|
||
È nell'Italia del secondo dopoguerra, tuttavia, che la figura
|
||
dell'architetto intellettuale assume una forte connotazione sociale, e
|
||
in certi casi pure politica, con il conseguente riconoscimento del suo
|
||
ruolo anche al di fuori dell'ambito strettamente disciplinare.
|
||
Emblematico, in questo senso, è il caso di Bruno Zevi: laureatosi nel
|
||
1942 alla Graduate School of Design di Harvard diretta da Walter
|
||
Gropius, negli anni successivi Zevi torna in Italia dove lavora come
|
||
architetto, ma soprattutto si fa propagatore della "buona novella"
|
||
dell'architettura organica di Frank Lloyd Wright[^28]. Non meno
|
||
importante è la posizione da lui assunta all'interno di svariate
|
||
istituzioni, tra le quali l'Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), di
|
||
cui riveste la carica di segretario generale dal 1952 al 1968, e
|
||
l'IN/ARCH (Istituto Nazionale di Architettura), da lui stesso fondato
|
||
nel 1959. Un impegno civile che verrà profuso anche all'interno di
|
||
movimenti e partiti politici, a partire dalla militanza in Giustizia e
|
||
Libertà, negli anni della guerra e della Resistenza, per passare poi al
|
||
Partito d'Azione, a Unità Popolare, al Partito socialista unificato e
|
||
infine al Partito radicale, per il quale nel 1987 sarà eletto deputato
|
||
al parlamento e del quale diverrà presidente tra la fine degli anni
|
||
ottanta e i primi novanta[^29].
|
||
|
||
Ma è l'implicazione nel campo della produzione culturale direttamente
|
||
legata all'architettura ciò che caratterizza in modo particolare
|
||
l'azione di Zevi. Il forte coinvolgimento in qualità di redattore
|
||
dapprima e poi di condirettore nella rivista "Metron", tra il 1946 e il
|
||
1954, e la fondazione nel 1955 e la direzione fino al 2000 di
|
||
"L'architettura. Cronache e storia", insieme a una produzione libraria
|
||
qualitativamente e quantitativamente ragguardevole -- in cui spiccano,
|
||
tra i molti altri, titoli fondamentali quali *Saper vedere
|
||
l'architettura*, *Storia dell'architettura moderna*, *Poetica
|
||
dell'architettura neoplastica*, *Il linguaggio moderno
|
||
dell'architettura*[^30] -- sono i segni tangibili di un coinvolgimento
|
||
che va evidentemente oltre il consueto piano di lavoro dello studioso e
|
||
dello storico. È proprio *Verso un'architettura organica*, del resto,
|
||
che dà avvio a quello che a tutti gli effetti -- anche al di là del più
|
||
immediato riferimento wrightiano -- è un tentativo di portare un
|
||
contributo fattivo, da architetto e da intellettuale, alla ricostruzione
|
||
italiana. In quest'ottica va letta la *Prefazione*, datata febbraio
|
||
1944, in cui sottolinea che
|
||
|
||
> ... forse sarebbe stato più esatto intitolare questo libretto "verso
|
||
> un'edilizia organica", stabilendo cosí dall'inizio che, invece di fare
|
||
> una storia dell'arte, ci si accingeva al compito più modesto di
|
||
> trovare un indirizzo comune nel lavoro contemporaneo[^31].
|
||
|
||
Un concetto su cui ritorna più oltre con chiarezza ancora maggiore:
|
||
|
||
> Alla fine del conflitto mondiale, l'Italia avrà bisogno di pane e di
|
||
> case. Nelle sue terre distrutte, contadini, operai, intellettuali
|
||
> domanderanno case. L'opera degli architetti dovrà rispondere alle
|
||
> esigenze materiali e psicologiche dell'edilizia di un paese finalmente
|
||
> libero[^32].
|
||
|
||
Un'edilizia organica, nell'auspicio di Zevi: vale a dire che "ha alla
|
||
sua base un'idea sociale, non un'idea figurativa; (...) che vuole
|
||
essere, prima che umanistica, umana"[^33].
|
||
|
||
Nella medesima prospettiva va inscritto anche il suo coinvolgimento
|
||
nella realizzazione del *Manuale dell'architetto*[^34]: una complessa
|
||
operazione, a cui partecipano, tra gli altri, Gustavo Colonnetti, Mario
|
||
Ridolfi, Pier Luigi Nervi e Mario Fiorentino, che ha come scopo
|
||
l'"alfabetizzazione" degli architetti italiani in vista della
|
||
ricostruzione. Ed è appunto questa finalità *operativa* che
|
||
contraddistingue la totalità degli interventi di Zevi: dalla scrittura
|
||
all'insegnamento, dalla pratica professionale alla difesa del
|
||
territorio, nulla è concepito come impegno puramente "accademico";
|
||
piuttosto, come altrettante "cause" per le quali battersi con veemente
|
||
passione. Una finalità che non manca di toccare anche la storia, da lui
|
||
utilizzata per affermare le proprie convinzioni -- in campo progettuale
|
||
come in campo politico-ideologico --, oltreché per fini conoscitivi.
|
||
|
||
Tafuri, definendo tale attitudine storico-critica "operativa" come
|
||
|
||
> ... un'analisi dell'architettura (o delle arti in generale), che abbia
|
||
> come suo obiettivo non un astratto rilevamento, bensì la
|
||
> "progettazione" di un preciso indirizzo poetico, anticipato nelle sue
|
||
> strutture, e fatto scaturire da analisi storiche programmaticamente
|
||
> finalizzate e deformate[^35],
|
||
|
||
ha voluto criticarne gli intendimenti strumentali, non sufficientemente
|
||
distaccati a suo avviso dal raggiungimento di presunti propositi
|
||
esterni. Al "punto di incontro fra la storia e la progettazione, --
|
||
come scrive ancora Tafuri, -- la critica operativa *progetta* la storia
|
||
passata proiettandola verso il futuro". Tra coloro che egli vede come
|
||
"i più validi assertori, in Europa, di un rilancio ideologico rivolto a
|
||
colmare il salto fra impegno civile e azione culturale"[^36], nel
|
||
secondo dopoguerra, Tafuri cita tre soli nomi: Jean-Paul Sartre, Elio
|
||
Vittorini e -- appunto -- Bruno Zevi. E se quelli dei primi due, dal
|
||
punto di vista tafuriano, sembrano parlare legittimamente di un ruolo di
|
||
*engagement* intellettuale che mescola fino a fonderle del tutto
|
||
letteratura e politica, giungendo a un'"identificazione tra pensiero e
|
||
azione", il nome di Zevi -- in quella stessa ottica -- pare stare a
|
||
testimoniare piuttosto una "forzatura" di tale identificazione. Vi è
|
||
insomma un intento apertamente polemico nei confronti di Zevi *in
|
||
quanto* architetto intellettuale che si servirebbe della storia per
|
||
affermare il proprio credo progettuale. "La storia, -- scrive Tafuri, --
|
||
per sua natura, è un gioco di equilibrio, che la critica operativa forza
|
||
facendo precipitare la dimensione del presente"[^37]. In ciò dunque
|
||
consisterebbe ai suoi occhi l'"errore" di Zevi: nell'"*attualizzare* la
|
||
storia*"*, nel "renderla duttile strumento per l'azione*"*[^38].
|
||
|
||
Il più emblematico *casus* di attualizzazione storica zeviana (nonché
|
||
flagrante ragione di "rottura" tra i due) si verificherà in occasione
|
||
della Mostra critica delle opere michelangiolesche (Roma, Palazzo delle
|
||
Esposizioni, 1964). L'attualità di Michelangelo verrà "dimostrata" da
|
||
Zevi mediante letture volumetriche e spaziali che fanno dell'artista
|
||
rinascimentale a tutti gli effetti un "moderno"[^39]; e a ciò vanno
|
||
aggiunti i discussi "plastici critici" realizzati dagli studenti dello
|
||
IUAV di Venezia ed esposti in mostra. La censura nei confronti di
|
||
questi da parte di Tafuri non avviene però sulla base del presunto
|
||
"scandalo" che essi susciterebbero, bollato invece come "ingenuo";
|
||
piuttosto sulla base di una duplice incoerenza: da una lato la mancanza
|
||
di "sorveglianza" delle loro trasformazioni rispetto agli originali, e
|
||
dall'altro il tentativo (fallito) di "una dilettantesca traduzione del
|
||
linguaggio architettonico in astratti e astorici giochi scultorei"[^40].
|
||
|
||
La condanna tafuriana del modo di interpretare il ruolo dell'architetto
|
||
intellettuale da parte di Zevi non avrebbe in fondo particolare
|
||
rilevanza in questo contesto, se non fosse che lo stesso Tafuri
|
||
imprimerà una svolta decisiva alla propria carriera staccandosi --
|
||
intorno alla metà degli anni sessanta -- dallo studio AUA (Architetti
|
||
Urbanisti Associati)[^41], con cui aveva collaborato tanto da un punto
|
||
di vista teorico che progettuale, per dedicarsi interamente alla storia.
|
||
In realtà, già negli intendimenti del gruppo, composto da giovani
|
||
architetti romani (tra cui Giorgio Piccinato e Vieri Quilici), vi era
|
||
una presa di distanza dall'architettura come pratica professionale
|
||
separata dagli altri "piani d'azione" della realtà; e infatti in AUA,
|
||
nel nome e nei fatti, l'attività progettuale è affiancata da -- e
|
||
integrata con -- ricerche urbane[^42] e piani urbanistici.
|
||
|
||
> Il gruppo concepisce il proprio mestiere come una vera e propria
|
||
> militanza etica e politica. La professione architettonica, la critica
|
||
> e la storiografia, non sono intesi tanto come discipline tecniche,
|
||
> come mestieri o specialismi del mercato del lavoro, bensì come
|
||
> "impegno integrale", come componenti di un universo disciplinare che
|
||
> agisce allo stesso tempo politicamente e tecnicamente, contribuendo in
|
||
> maniera attiva alla trasformazione della città e della realtà. In tal
|
||
> senso, è comprensibile la vicinanza che il gruppo esprime nei
|
||
> confronti delle istanze riformatrici delle avanguardie degli anni
|
||
> venti, e come sembri evidente anche il riferimento alla figura
|
||
> dell'intellettuale organico nella celebre definizione di Antonio
|
||
> Gramsci[^43].
|
||
|
||
La storia praticata da Tafuri, però, sarà concepita in modo affatto
|
||
diverso rispetto a quella di Zevi: una storia caratterizzata dalla "più
|
||
totale indifferenza nei confronti dell'*azione positiva*"[^44] (ovvero
|
||
di quell'azione che cerchi di modellare l'architettura a propria
|
||
immagine, sulla base dell'autorità del passato), e impegnata piuttosto
|
||
in una "continua *contestazione del presente*"[^45], che si traduce in
|
||
una "minaccia (...) ai tranquillizzanti miti in cui si acquietano le
|
||
inquietudini e i dubbi degli architetti moderni"[^46]. Il compito
|
||
dell'intellettuale impegnato nel campo della storia dell'architettura,
|
||
in questo senso, diviene quello di "esasperare" la condizione di disagio
|
||
in cui versano l'architetto e l'architettura "di fronte alla dinamica
|
||
dello sviluppo capitalista"[^47], mostrando tutta la problematicità di
|
||
una situazione "assurda eppure reale".
|
||
|
||
> ... Ponendo di continuo in crisi gli obiettivi apparentemente
|
||
> avanzati su cui rischiano di acquietarsi la ricerca e il dibattito, il
|
||
> critico deve (...) -- con un rigore cui è obbligato dalle vicende
|
||
> storiche in cui opera -- (...) stimola\[re\] dubbi sempre più
|
||
> coscienti, dissensi sempre più costruttivi, disagi sempre più
|
||
> generalizzati.
|
||
|
||
L'attività storica diviene cosí per Tafuri ""critica delle ideologie
|
||
architettoniche", e, in quanto tale, attività "politica" -- anche se
|
||
mediatamente politica"[^48]; più che l'enunciazione di una vaga
|
||
intenzione, la formulazione di un vero e proprio "programma" che -- con
|
||
un anno di anticipo rispetto alla pubblicazione del saggio intitolato
|
||
precisamente *Per una critica dell'ideologia architettonica* -- ne
|
||
preannuncia a grandi linee i contenuti e, ancor di più, il disegno
|
||
strategico complessivo:
|
||
|
||
> La messa in luce di ciò che l'architettura è, *in quanto disciplina
|
||
> storicamente condizionata e istituzionalmente funzionale al
|
||
> "progresso" della borghesia precapitalistica prima, alle nuove
|
||
> prospettive della "Zivilisation" capitalistica poi*, va quindi
|
||
> riconosciuto come l'unico scopo rivestito di senso storico, da parte
|
||
> di chi intenda forzare il ruolo istituzionale assegnato agli
|
||
> intellettuali dall'Illuminismo in poi[^49].
|
||
|
||
Si tratta da un lato di un'opera di demistificazione, vale a dire del
|
||
disvelamento delle "incrostazioni" ideologiche che rivestono (spesso
|
||
arrivando a occultarla del tutto) la vicenda dell'architettura moderna,
|
||
a partire da Brunelleschi in avanti; e dall'altro del tentativo di
|
||
istituire rapporti positivi, costruttivi, con la funzione più
|
||
intrinsecamente politica della storia. Ciò che ne deriva non è soltanto
|
||
un "progetto" storico radicalmente diverso dalla "storia progettuale"
|
||
zeviana[^50], ma anche una figura di storico in grado di riappropriarsi
|
||
correttamente del proprio ruolo di intellettuale.
|
||
|
||
Ciò nondimeno, malgrado la presenza di almeno altre due personalità di
|
||
alto profilo intellettuale operanti nell'ambito degli studi
|
||
storico-architettonici -- Giulio Carlo Argan e Leonardo Benevolo[^51] --
|
||
non è prevalentemente dal punto di vista storico che l'architetto
|
||
intellettuale italiano giunge a occupare un posto di particolare rilievo
|
||
nel panorama architettonico degli anni cinquanta, sessanta e settanta. È
|
||
anzi proprio attraverso la pacifica e proficua convivenza e integrazione
|
||
di attività progettuale (architettonica o urbanistica) e attività
|
||
culturale (significativamente segnata, in molti casi, se non da una vera
|
||
e propria militanza, da una dichiarata *appartenenza* politica) che
|
||
alcuni dei principali protagonisti della scena italiana acquisiranno
|
||
autorevolezza a livello nazionale e internazionale, e conferiranno
|
||
all'Italia un singolare primato nella produzione di architetti
|
||
intellettuali.
|
||
|
||
Nel rilevare *"*la scissione tra architetti e intellettuali"[^52], a
|
||
partire dalla seconda metà del Novecento, con particolare riferimento
|
||
alla Francia, Jean-Louis Cohen ha nel contempo evidenziato l'esistenza
|
||
-- per converso -- di un intenso rapporto tra architetti e intellettuali
|
||
in Italia, ovvero "il fatto che gli architetti italiani siano degli
|
||
intellettuali"[^53]. Le ragioni individuate a supporto di questa
|
||
peculiare situazione sono molteplici:
|
||
|
||
> Se i rapporti tra intellettuali italiani e architetti sono cosí
|
||
> particolari, è senza dubbio prima di tutto perché gli architetti
|
||
> stessi, in linea con i pionieri dell'architettura razionale del
|
||
> periodo fascista, sono capaci di scrivere e di chiarire
|
||
> intellettualmente i loro punti di riferimento e il loro approccio
|
||
> progettuale[^54].
|
||
|
||
A ciò va aggiunta la specificità delle scuole di architettura italiane
|
||
in cui la gran parte di tali architetti sono inseriti, che reclutano i
|
||
propri insegnanti "sulla base della loro produzione culturale (articoli,
|
||
libri) tanto quanto su quella delle loro opere architettoniche"[^55].
|
||
Inoltre -- nota Cohen -- in assenza di un forte controllo statale delle
|
||
commesse pubbliche, come accade in Francia, il sistema politico e
|
||
amministrativo frammentato e spesso clientelare italiano favorisce lo
|
||
sviluppo di competenze da parte dell'architetto che esulano da quelle
|
||
puramente progettuali, ivi compresa una certa *"*aura culturale".
|
||
Infine in Italia, tra gli anni cinquanta e settanta, si riscontra una
|
||
vera e propria esplosione nel campo della produzione editoriale di
|
||
architettura, riguardante tanto i libri che le riviste[^56], cui si
|
||
aggiunge il contributo critico apportato da associazioni quali il
|
||
Movimento di Studi per l'Architettura (MSA), composto, tra gli altri, da
|
||
Franco Albini, Lodovico Belgiojoso, Piero Bottoni, Giancarlo De Carlo,
|
||
Ignazio Gardella, Marco Zanuso, o il Movimento Comunità di Adriano
|
||
Olivetti[^57], oltreché il citato APAO; senza dimenticare ambiti
|
||
culturali più ampi, qual è il Gruppo 63, con le riviste a esso correlate
|
||
come "Marcatré" e "Quindici"[^58]; o ancora, riviste apertamente
|
||
politiche come "Contropiano*",* diretta da Alberto Asor Rosa e Massimo
|
||
Cacciari (dopo l'abbandono di Antonio Negri all'indomani dell'uscita del
|
||
primo numero, a causa di insanabili dissidi sulla linea politica da
|
||
conferire alla rivista), espressione della corrente operaista nel
|
||
periodo a cavallo tra anni sessanta e settanta, cui collaborano, tra gli
|
||
altri, Manfredo Tafuri, Francesco Dal Co e Marco De Michelis. Tutto ciò
|
||
-- conclude Cohen -- rende la "qualità intellettuale del dibattito
|
||
italiano il frutto meno di un caso che di una necessità"[^59].
|
||
|
||
Dalla ricchezza complessiva di questo quadro si stagliano un ristretto
|
||
numero di individualità di grande rilevanza e influenza: Giuseppe
|
||
Samonà, Ludovico Quaroni, Ernesto Nathan Rogers, Vittorio Gregotti,
|
||
Carlo Aymonino, Aldo Rossi, per nominarne solo qualcuna. Significativo
|
||
è che per tutti costoro non soltanto la dimensione operativa si intrecci
|
||
costantemente con quella teorica, ma che per lo più la questione
|
||
architettonica sia affiancata dalla questione urbana. *L'urbanistica e
|
||
l'avvenire delle città*[^60], *La Torre di Babele*[^61], *Il problema
|
||
del costruire nelle preesistenze ambientali*[^62], *Il territorio
|
||
dell'architettura*[^63], *Origini e sviluppo della città moderna*[^64],
|
||
*L'architettura della città*[^65] sono soltanto una piccola
|
||
rappresentanza dei titoli di scritti che testimoniano l'interesse degli
|
||
architetti appena citati per la disciplina intesa in un senso che non è
|
||
mai restrittivamente localistico o settoriale, cosí come l'urbanistica
|
||
non vi è mai intesa come questione puramente tecnica o gestionale.
|
||
Persino nel caso di studi pubblicati in quegli anni, sotto la guida di
|
||
alcuni dei medesimi autori, dedicati all'analisi di luoghi o casi
|
||
specifici[^66], la circoscrizione e precisione del campo di ricerca non
|
||
vanno mai disgiunte dall'intenzione di dare a tali studi un carattere
|
||
emblematico e generalizzabile, in particolar modo da un punto di vista
|
||
metodologico.
|
||
|
||
Con tutto ciò, diversi rimangono gli approcci alla figura
|
||
dell'architetto *sub specie intellectualis*. Per Samonà è soprattutto
|
||
la direzione dell'Istituto Universitario di Architettura di Venezia
|
||
(IUAV) a divenire l'occasione per compiere una grande operazione
|
||
culturale, oltreché didattica: chiamando a raccolta, a partire dal
|
||
secondo dopoguerra, un corpo docente altamente qualificato --
|
||
comprendente personaggi del calibro di Franco Albini, Ignazio Gardella,
|
||
Saverio Muratori, Lodovico Belgiojoso, Giancarlo De Carlo, Luigi
|
||
Piccinato, Giovanni Astengo e Bruno Zevi, rinnovato poi nel corso degli
|
||
anni sessanta con l'immissione, tra gli altri, di Carlo Aymonino, Guido
|
||
Canella, Gino Valle, Gianugo Polesello, Luciano Semerani, Costantino
|
||
Dardi, Leonardo Benevolo, Manfredo Tafuri e Mario Manieri Elia -- egli
|
||
ha posto le fondamenta di quella che assumerà vasta notorietà
|
||
internazionale sotto il nome di "Scuola di Venezia"[^67].
|
||
|
||
Per Ludovico Quaroni i campi d'applicazione della particolare modalità
|
||
con cui egli declina il ruolo di architetto intellettuale sono
|
||
molteplici: quello di un impegno politico che incrocia, tra gli altri,
|
||
il Movimento Comunità di Adriano Olivetti, e che si connette
|
||
fattivamente ai numerosi piani urbanistici e ai progetti di quartieri
|
||
popolari da lui elaborati nel corso della sua carriera; quella di una
|
||
produzione saggistica che testimonia -- più che di una propensione
|
||
"teorica" nei confronti dell'architettura e della città -- di un'assidua
|
||
presenza nel dibattito vivo e attuale del suo tempo, spesso attuata per
|
||
mezzo di apparizioni su testate secondarie o comunque defilate rispetto
|
||
ai più consueti luoghi di elaborazione culturale[^68]; e infine quello
|
||
dell'insegnamento universitario (a Firenze, Napoli e Roma), vero e
|
||
proprio fronte di affermazione e verifica d'un atteggiamento dialettico
|
||
di cui beneficeranno intere generazioni di allievi (molti dei quali
|
||
destinati a loro volta a un illustre futuro)[^69], anziché luogo di
|
||
semplice esposizione di "certezze" disciplinari[^70].
|
||
|
||
Per Ernesto Nathan Rogers, invece, lo strumento principale della propria
|
||
azione culturale sono le riviste: dapprima "Domus", di cui diviene
|
||
direttore subito dopo la guerra, e poi "Casabella", da lui diretta dal
|
||
1953 al 1964. È in special modo nella redazione di
|
||
"Casabella-Continuità" (secondo la nuova denominazione da lui data alla
|
||
testata) e attraverso i suoi editoriali che Rogers svolge un'opera di
|
||
"educazione" all'architettura moderna, rivista alla luce del rapporto
|
||
con la città storica e intesa come paradigma non soltanto estetico ma
|
||
anche *etico* per la ricostruzione dell'Italia dopo il secondo conflitto
|
||
mondiale e il ventennio fascista. In questo senso vanno intesi i numeri
|
||
di "Casabella-Continuità" che inquadrano tematiche più generali, spesso
|
||
relative a problematiche urbane e territoriali, all'interno delle quali
|
||
i singoli progetti di architettura si inseriscono non come semplice
|
||
vetrina per la vanità dell'architetto di turno[^71]. Ma è soprattutto
|
||
grazie a Rogers che ha luogo il decisivo incontro tra la cultura
|
||
architettonica del periodo e la corrente più avanzata della filosofia
|
||
italiana, rappresentata in quel momento da Antonio Banfi e da Enzo Paci.
|
||
Con quest'ultimo in particolare il dialogo tra architettura e filosofia
|
||
si fa serrato, apportando tangibili conseguenze sull'uno e sull'altro
|
||
fronte[^72]. Dal punto di vista dell'architettura, Rogers coglie dalla
|
||
lezione di Paci elementi che gli consentono di mettere a fuoco più
|
||
compiutamente un pensiero che già aveva sviluppato in modo embrionale
|
||
fin dal primo editoriale di "Casabella-Continuità":
|
||
|
||
> Noi crediamo nel fecondo ciclo *uomo-architettura-uomo* e vogliamo
|
||
> rappresentarne il drammatico svolgimento: le crisi; le poche,
|
||
> indispensabili certezze e i molti dubbi, ancor più necessari; siccome
|
||
> pensiamo che essere vivi significhi, soprattutto, accettare la fatica
|
||
> del quotidiano rinnovamento, col rifiuto delle posizioni acquisite,
|
||
> nell'ansia fino all'angoscia, nel perpetuarsi dell'agone,
|
||
> nell'allargare il campo dell'umana "simpatia"[^73].
|
||
|
||
Dall'acquisizione di una maggior consapevolezza filosofica derivano le
|
||
evoluzioni di tale pensiero, come dimostra l'utilizzo di concetti come
|
||
"esperienza"[^74] o di coppie di termini come "continuità-crisi", o
|
||
"discontinuità-continuità" al di fuori di una dimensione puramente
|
||
esistenziale e intuitiva. Cosí è, ad esempio, nella valutazione del
|
||
contributo dato dall'architettura moderna, non riducibile per Rogers a
|
||
semplici "apparenze figurative", e da ricondurre invece alle
|
||
|
||
> ... espressioni di un metodo che ha tentato di stabilire nuove e più
|
||
> chiare relazioni tra i contenuti e le forme, entro la fenomenologia di
|
||
> un processo storico-pragmatico, sempre aperto, che, come esclude ogni
|
||
> apriorismo nella determinazione di quelle relazioni, cosí non può
|
||
> essere giudicato per schemi[^75].
|
||
|
||
Nella prospettiva filosofica di Paci, d'altronde, la crisi
|
||
dell'architettura moderna è
|
||
|
||
> ... da addebitare a una troppo rigida e dogmatica interpretazione del
|
||
> razionalismo del Movimento Moderno che, saldandosi all'istanza
|
||
> tecnicista del processo di industrializzazione edilizia in atto, ha
|
||
> finito per produrre il declassamento dell'architettura da Arte ad un
|
||
> "insieme coerente e strumentale di operazioni tecniche"[^76].
|
||
|
||
Ma va inscritta anche in un discorso molto più ampio che riguarda la
|
||
"storicità" della crisi e la sua necessità per "prospettare un nuovo
|
||
orizzonte"[^77] nel quale il passato possa rivivere in forma
|
||
trasformata.
|
||
|
||
Questa prospettiva induce Rogers a una profonda revisione del senso
|
||
dell'architettura. Logica e ragione (ovvero le categorie che l'avevano
|
||
innervata ancora negli anni tra le due guerre) non sono più sufficienti
|
||
per lui a definire -- ma soprattutto a *incarnare* nella maniera più
|
||
compiuta -- un'architettura che, pur senza rinunciare alla sua
|
||
"missione" di modernità, debba però farsi carico di tutte le
|
||
contraddizioni che lo stesso sviluppo moderno ha incontrato sul suo
|
||
cammino. Ciò rende niente affatto semplice, e anzi del tutto
|
||
*drammatico*, il compito dell'architetto: "Fra gli altri uomini,
|
||
l'architetto rappresenta questa personalità singolare cui è devoluto il
|
||
compito di tentare la sintesi tra gli opposti poli"[^78]. Si tratta di
|
||
quella che Rogers concepisce come una vera e propria "lotta tra utilità
|
||
e bellezza". "Dobbiamo sentire in ogni momento creativo il dramma
|
||
fondamentale dell'esistenza perché la vita pone continuamente in
|
||
contraddizione i bisogni pratici e le aspirazioni spirituali"[^79]; un
|
||
dramma che l'architetto deve affrontare *operativamente*, lasciando che
|
||
le contraddizioni convivano "traducendole" in opera. Ma anche:
|
||
"Dobbiamo aspirare all'universale dando valore alle energie latenti
|
||
nella contingenza"[^80]. Ciò comporta una diversa concezione della
|
||
temporalità e della spazialità (intesa anche in senso allargato, come
|
||
ambiente o contesto) del progetto, portatrici entrambe di "occasioni"
|
||
che l'architetto non deve mancare di cogliere[^81].
|
||
|
||
Frutto non secondario dell'intenso lavoro svolto da Rogers in vista
|
||
della costruzione di un agire progettuale "in relazione", sarà uno
|
||
stuolo di seguaci cresciuti all'interno della stessa redazione di
|
||
"Casabella-Continuità", la cui precipua caratteristica è la libertà
|
||
intellettuale e la capacità di esercitarla in modi che non ricalcano
|
||
però quasi per nulla quelli del "maestro". Cosí Vittorio Gregotti ha
|
||
ereditato da Rogers la vocazione per la conduzione di riviste ("Edilizia
|
||
moderna", "Casabella", "Rassegna") come forma di militanza che trova
|
||
espressione nella scelta delle tematiche da affrontare e delle opere da
|
||
presentare, oltreché -- in maniera ancora più diretta ed esplicita --
|
||
attraverso gli editoriali da lui pubblicati mensilmente. A tale
|
||
cospicuo lavoro svolto nell'ambito dei periodici (cosí come pure dei
|
||
quotidiani) Gregotti ha affiancato nel corso degli anni una altrettanto
|
||
considerevole produzione libraria che, con ritmo cadenzato, ha
|
||
accompagnato il trascorrere delle diverse stagioni
|
||
dell'architettura[^82]. Senza dimenticare il suo ruolo di direttore
|
||
della sezione Arti visive e Architettura della Biennale di Venezia del
|
||
1976, preludio alle successive Biennali Internazionali di Architettura.
|
||
Tutti questi fattori hanno determinato l'indiscussa centralità di
|
||
Gregotti all'interno del panorama architettonico italiano e
|
||
internazionale, una centralità ribadita anche sotto il profilo
|
||
progettuale e costruttivo[^83].
|
||
|
||
Nel caso di Carlo Aymonino e Aldo Rossi -- a loro volta membri della
|
||
redazione della "Casabella-Continuità" rogersiana -- il modello cui
|
||
entrambi si ispirano è l'intellettuale culturalmente e politicamente
|
||
impegnato che domina la scena nell'Italia degli anni cinquanta,
|
||
discendente a sua volta dalla concezione gramsciana dell'"intellettuale
|
||
organico" inteso come "costruttore", e non come semplice "oratore",
|
||
disponibile a confrontarsi con la realtà, a "mescolarsi attivamente alla
|
||
vita pratica"[^84]; un intellettuale che però, proprio nel dopoguerra,
|
||
conosce una profonda crisi d'identità e di coscienza che lo porta spesso
|
||
a entrare in rotta di collisione con la linea dettata dal Partito
|
||
comunista italiano, che pure in questo campo costituisce per molti di
|
||
loro un punto di riferimento imprescindibile.
|
||
|
||
Strettamente legate al Pci sono le riviste "Critica marxista", "Il
|
||
Contemporaneo", "Società", "Voce comunista", su cui scrivono -- in
|
||
particolar modo nel periodo giovanile -- Aymonino e Rossi[^85]. Ma è
|
||
soprattutto con la produzione di ricerche all'interno dell'università,
|
||
che non di rado troveranno la via della pubblicazione come semplici
|
||
dispense[^86], che Aymonino e Rossi (ma con loro anche altri giovani
|
||
architetti e professori come Costantino Dardi, Luciano Semerani, Gianugo
|
||
Polesello, Guido Canella, Giorgio Grassi) giungono a definire l'esatta
|
||
"funzione" dell'architetto intellettuale italiano degli anni sessanta e
|
||
settanta: quella di mettere a punto un apparato teorico utilizzabile in
|
||
vista di un agire pratico, al di fuori però di qualsiasi prospettiva
|
||
"personale", soggettiva, e in grado piuttosto -- stante la "natura
|
||
collettiva dell'architettura"[^87] -- di essere condivisa dal maggior
|
||
numero di persone possibile, e dunque socializzabile. A questo fine
|
||
sono indispensabili una metodologia rigorosa, una strumentazione chiara
|
||
e obiettivi altrettanto riconoscibili. Si legga ad esempio quanto
|
||
scrive Rossi a introduzione del volume che raccoglie i contributi al
|
||
dibattito svoltosi all'interno del gruppo di ricerca da lui diretto alla
|
||
Facoltà di architettura del Politecnico di Milano nell'anno accademico
|
||
1968-69:
|
||
|
||
> La nostra ricerca si propone principalmente la costruzione di una
|
||
> teoria razionale dell'architettura. Tale costruzione è principalmente
|
||
> fondata sullo studio dei rapporti esistenti tra l'analisi urbana e la
|
||
> progettazione architettonica[^88].
|
||
|
||
Un metodo, appunto, il più possibile oggettivo e condivisibile.
|
||
|
||
E tuttavia, dietro la "scientificità" dell'approccio alla ricerca emerge
|
||
la determinazione da parte del giovane Rossi a ridare *necessità* al
|
||
processo progettuale, prendendo le distanze dall'empirismo
|
||
"professionalistico" imperante nell'Italia degli anni cinquanta e
|
||
sessanta, e al tempo stesso a riconquistare per l'architetto una
|
||
*libertà intellettuale* che la stretta osservanza dell'"ortodossia"
|
||
moderna non riusciva (più) a garantire. Per Rossi, come per gli altri
|
||
architetti animati da un'ideologia comunista, ciò che è in gioco è una
|
||
"visione del mondo"[^89] di cui l'architetto e l'architettura devono
|
||
farsi portatori, *oltre* le pratiche del mestiere e l'adempimento delle
|
||
funzioni.
|
||
|
||
È un'impostazione condivisa anche da Antonio Monestiroli (non a caso tra
|
||
i membri del gruppo di ricerca diretto da Rossi alla fine degli anni
|
||
sessanta): un architetto che alla costruzione di una "visione del mondo"
|
||
oggettiva e condivisa dedicherà il suo costante e coerente impegno
|
||
intellettuale.
|
||
|
||
> Questo legame stretto (...) fra il progetto e la collettività, fa sí
|
||
> che il progetto acquisti un senso compiuto quando è determinato
|
||
> esplicitamente da una volontà collettiva, quando cioè si manifesta
|
||
> generalmente la volontà di definizione da parte della collettività
|
||
> della città sua propria e dell'architettura. Questo è il motivo per
|
||
> cui, solo quando si verificano queste condizioni, l'architettura
|
||
> raggiunge il suo massimo sviluppo. Questo è anche il motivo per cui
|
||
> quando l'impegno della collettività nei confronti dell'architettura
|
||
> viene meno, questa o si riduce al suo aspetto tecnico-costruttivo, o
|
||
> ricerca nostalgicamente se stessa, o si deforma a criticare la realtà
|
||
> che la nega[^90].
|
||
|
||
Da ciò discende quasi logicamente la definizione che egli dà del
|
||
progetto di architettura, "che consiste nello *svelamento della sua
|
||
ragione collettiva*, del senso della sua appartenenza alla
|
||
collettività*"*[^91].
|
||
|
||
Ed è proprio la coscienza del valore e della necessità di una *visione
|
||
collettiva* che contraddistingue la stagione degli architetti
|
||
intellettuali italiani da quella immediatamente successiva, che
|
||
annovera, tra gli altri, teorici come Peter Eisenman e Rem Koolhaas. La
|
||
distanza che separa questi ultimi da una concezione *politica* del ruolo
|
||
dell'architetto è del tutto evidente, distanza non colmata neppure dal
|
||
fatto che loro "incubatore" sia stato l'Institute for Architecture and
|
||
Urban Studies di New York, strettamente legato all'Italia, e in
|
||
particolar modo allo IUAV, a partire dai primi anni settanta[^92]. Se
|
||
la "traduzione americana" della teoria si configura come un tentativo di
|
||
riscatto dell'architettura dal dominio dei grandi studi commerciali (il
|
||
cui unico "impegno" consiste nell'eterna ripetizione delle soluzioni
|
||
elaborate dal *Functionalist style*) e da una classe di architetti più
|
||
colti ma sin troppo compiacenti nel fornire risposte alle eterogenee
|
||
richieste del mercato attraverso il nuovo eclettismo *post-modern*, ciò
|
||
non può avvenire che a costo di uno "svuotamento" di senso: la riduzione
|
||
al "grado zero" di "ogni ideologia, ogni sogno di funzione sociale, ogni
|
||
residuo utopico", come ha lucidamente scritto Tafuri[^93]. È l'avvio di
|
||
una trasformazione radicale dell'architetto intellettuale che, anche
|
||
allorché sopravvive in quanto tale -- e ancor di più, proprio *per*
|
||
sopravvivere in quanto tale --, deve rinunciare a ogni possibilità di
|
||
connotare politicamente e socialmente il suo agire, ponendosi al centro
|
||
di un universo di discorso interamente autoriferito[^94]. Non a caso le
|
||
speculazioni eisenmaniane tendono verso la concettualizzazione e
|
||
l'astrazione[^95], tanto quanto -- simmetricamente -- le analisi di
|
||
Koolhaas provengono direttamente dalla realtà[^96].
|
||
|
||
Ma prima di analizzare quali siano gli apporti derivanti all'architetto
|
||
intellettuale da questi due autori, vale la pena ricordare come siano
|
||
Robert Venturi e Denise Scott Brown -- prima dello stesso Koolhaas -- a
|
||
spalancare allo sguardo degli architetti (e non solo, ovviamente) le
|
||
porte di una realtà che non è niente affatto "possibile" (e quindi
|
||
ancora potenziale) e "diversa dalla realtà che ci circonda"[^97], ma è
|
||
invece del tutto tangibile e verificabile. In qualità di esploratore
|
||
urbano armato di macchina fotografica, l'intellettuale scende
|
||
letteralmente in strada e si dispone a imparare da essa, senza più la
|
||
mediazione di quegli "apparati" che l'avevano tradizionalmente
|
||
supportato fin lí: i libri e -- si potrebbe dire, in una certa misura --
|
||
la stessa cultura. *Complexity and Contradiction in Architecture* (1966)
|
||
ma soprattutto *Learning from Las Vegas* (1972)[^98] si propongono come
|
||
nuovi canoni per letture degli edifici e della città che a questo punto
|
||
si aprono a una molteplicità di fenomeni, di stimolazioni, di
|
||
interferenze. Per parafrasare l'*incipit* di *Delirious New York* di
|
||
Rem Koolhaas, "una montagna di realtà priva di qualsiasi teoria"; e nel
|
||
momento in cui è la realtà a parlare, le teorie che se ne lasciano
|
||
dedurre si trovano inscritte direttamente nella materia. Dalle
|
||
intelligenti analisi di Venturi e Scott Brown nascerà un'intera
|
||
generazione di "detective dello spazio"[^99].
|
||
|
||
Per Koolhaas la realtà -- anche grazie allo studio OMA ("an
|
||
international practice operating within the traditional boundaries of
|
||
architecture and urbanism")[^100] e alla sua "costola" culturale AMO ("a
|
||
research and design studio, applies architectural thinking to domains
|
||
beyond ... AMO often works in parallel with OMA's clients to fertilize
|
||
architecture with intelligence from this array of disciplines") -- è la
|
||
base d'appoggio per costruire un'idea di architettura che si spinge
|
||
spesso assai oltre il semplice edificio, per divenire interpretazione di
|
||
singoli fenomeni, di complessi urbani o di interi territori[^101]. Lo
|
||
sguardo sfaccettato e disincantato adottato in queste letture -- che
|
||
intrecciano sociologia, economia, politica e arti -- è divenuto una
|
||
modalità di osservazione che ha rapidamente fatto scuola, pur con
|
||
rivisitazioni, deformazioni ed eccessi[^102].
|
||
|
||
Nonostante le evidenti difformità -- "stilistiche" non meno che
|
||
sostanziali --, Koolhaas risulta ancor oggi, all'interno del panorama
|
||
internazionale e in un'epoca qual è quella odierna inequivocabilmente
|
||
postmoderna, l'unico erede (non è dato sapere quanto volontario o
|
||
inconsapevole) di una tradizione intellettuale che affonda le sue radici
|
||
nel moderno; una tradizione fondamentalmente *critica*, che sottopone la
|
||
realtà al vaglio delle contraddizioni che essa stessa genera, senza con
|
||
questo ridurle all'unità. È in questa accettazione -- e utilizzazione --
|
||
della funzione produttiva della contraddizione che Koolhaas appare
|
||
finalmente libero dalla nostalgia per il feticcio della "coerenza";
|
||
anche se questo implica al tempo medesimo aver fatto piazza pulita di
|
||
ogni "ideologia", con tutte le distorsioni ma pure con le possibilità di
|
||
ancorarsi a un "cielo delle stelle fisse" dal punto di vista valoriale
|
||
che questa portava con sé. E anche se questo comporta -- per usare le
|
||
parole che Tafuri riserva a Venturi -- una "disincantata accettazione
|
||
della realtà fino al cinismo"[^103].
|
||
|
||
Indiscutibilmente moderno, almeno nei suoi presupposti, è altresí il
|
||
"progetto" eisenmaniano di fornire un contrappeso alla "insostenibile
|
||
leggerezza" di un'epoca in cui sembra essersi dissolta ogni necessità di
|
||
conferire "significato" alle cose. Finendo con l'incorrere, tuttavia,
|
||
nel problema opposto. L'intero operare di Eisenman, tanto progettuale
|
||
che teorico, pare irretito in un *entretien infini* con un inesauribile
|
||
numero di interpretazioni e di significati, in qualche modo tutti
|
||
equivalenti, tutti possibili[^104]. Ciò genera un gioco di specchi
|
||
tanto affascinante (si pensi al proposito all'intenso dialogo da lui
|
||
intrattenuto con Jacques Derrida)[^105] quanto sospetto di essere, alla
|
||
lunga, sterile. E dove quanto si afferma non è più una visione
|
||
complessiva -- o quantomeno estesa -- del mondo, oppure è una
|
||
*Weltanschauung sub specie architecturae*, e dunque esposta al rischio
|
||
di essere autoreferenziale.
|
||
|
||
Dalla frammentazione di cui Eisenman si fa portatore emerge però anche
|
||
una straordinaria ricchezza interpretativa, a testimonianza del fatto
|
||
che la pluralità dei punti di vista costituisce ormai uno strumento
|
||
intellettuale imprescindibile in una prospettiva postmoderna. La stessa
|
||
pluralità di punti di vista e ricchezza interpretativa che si può
|
||
rintracciare nelle pagine della rivista "Oppositions" che lo stesso
|
||
Eisenman -- affiancato dallo storico dell'architettura inglese Kenneth
|
||
Frampton e dal critico d'origini argentine Mario Gandelsonas -- dirige
|
||
dal 1973 al 1984[^106]. Fin dal nome, "Oppositions" preannuncia una
|
||
conflittualità che rimane tuttavia interamente confinata al piano della
|
||
teoria. Ma proprio su questo terreno si registrano contributi
|
||
significativi da parte di autori dagli sguardi molti diversi. Tra loro,
|
||
oltre a nomi già segnalati, si possono menzionare Rafael Moneo e Bernard
|
||
Tschumi, due autori che incarnano in senso diametralmente opposto la
|
||
figura dell'architetto intellettuale. Il primo, concentrando la propria
|
||
attenzione sulla materialità degli edifici, sul loro essere portatori di
|
||
una vita che eccede tanto quella di chi li frequenta e abita, quanto
|
||
quella di chi li ha progettati; ma anche interrogandosi -- da architetto
|
||
-- sulle opere e sul mestiere di altri architetti, animato dalla volontà
|
||
di andare al di là di quanto a loro riguardo potrebbe apparire
|
||
scontato[^107]. Il secondo, cercando di spostare l'architettura sul
|
||
piano dell'evento, e più in generale di spostarla rispetto ai piani sui
|
||
quali di consueto "riposa" da un punto di vista critico; una "messa in
|
||
allarme" della disciplina, che utilizza gli strumenti della
|
||
"disgiunzione", della "disgregazione" e della "violenza" per farla
|
||
reagire[^108].
|
||
|
||
Da questi affondi sia pure molto parziali si evidenzia una condizione di
|
||
crescente criticità -- con l'avvicinarsi al tempo presente --
|
||
nell'interpretare il ruolo dell'intellettuale da parte degli architetti;
|
||
criticità che trova conferma negli anni novanta del secolo scorso e nei
|
||
primi anni del Duemila, improntati a un generale ripiegamento verso
|
||
posizioni più pragmatiche, spesso coincidenti con un "isolamento" dentro
|
||
gli studi professionali. Se questo mutamento ha almeno in parte
|
||
carattere congiunturale (essendo cioè legato alla favorevole contingenza
|
||
economica di quel periodo), il riapparire -- in anni più recenti -- di
|
||
timidi segnali di inversione di tendenza si lascia forse interpretare
|
||
come una conseguenza del proliferare della crisi; una crisi (economica e
|
||
sociale) che in molte parti del mondo ha assunto una natura pressoché
|
||
endemica. È in ogni caso all'interno di condizioni di crisi evidente --
|
||
in cui il mercato del lavoro (anche nel settore dell'architettura)
|
||
subisce una significativa contrazione, e soprattutto risente degli
|
||
effetti dell'ingresso della produzione economica nella fase
|
||
post-fordista[^109] -- che una giovane generazione di architetti
|
||
sviluppa un rinnovato interesse per il pensiero radicale degli anni
|
||
sessanta e settanta, nelle sue diverse forme: da quello più latamente
|
||
politico, a quello dei *Radicals* italiani (Superstudio,
|
||
Archizoom)[^110] e di alcuni degli interpreti del neo-razionalismo, in
|
||
special modo l'Aldo Rossi dell'*Architettura della città* e il Giorgio
|
||
Grassi della *Costruzione logica dell'architettura* (ma anche Guido
|
||
Canella, Gianugo Polesello e altri)[^111]. Un *repêchage* che prende le
|
||
mosse da presupposti molto distanti da quelli originari, e che in larga
|
||
parte è anche estraneo alla cultura e all'ambito di appartenenza dei
|
||
"discendenti" più diretti di quei protagonisti.
|
||
|
||
Nel fatale incontro tra scarse opportunità lavorative e fascinazione per
|
||
i "maestri" di un'età precedente si compie il riavvicinamento alla
|
||
scrittura critica di molti architetti in quel momento spesso soltanto
|
||
ipotetici: se non già una vera e propria riattivazione della coscienza e
|
||
del ruolo dell'intellettuale, perlomeno il riaffiorare di questi alla
|
||
percezione di un'epoca che aveva finito per dimenticarli. Emblematica
|
||
di questo momento è una rivista come "San Rocco", ideata, tra gli altri,
|
||
da membri dei gruppi italiani 2A+P/A (Matteo Costanzo, Gianfranco
|
||
Bombaci) e baukuh (Pier Paolo Tamburelli, Vittorio Pizzigoni, Andrea
|
||
Zanderigo e altri) e del belga Office Kersten Geers David Van Severen, e
|
||
diretta da Matteo Ghidoni. Ad essa collaborano autori di generazioni e
|
||
di provenienze diverse (tra i quali architetti del calibro di Oliver
|
||
Thill, Mark Lee, Freek Persyn, Harry Gugger, Pascal Flammer, Job
|
||
Floris). Nel tempo per eccellenza della tirannia delle immagini, "San
|
||
Rocco" decide programmaticamente di limitare l'uso di queste (pur
|
||
enfatizzandole mediante uno studiatissimo impiego dell'assonometria),
|
||
dando spazio ai testi (ma omettendo dalla copertina il nome della
|
||
rivista). Inoltre opta per "non durare per sempre", predeterminando in
|
||
tal modo il proprio decesso.
|
||
|
||
Da tutti questi indizi è lecito desumere qualche considerazione: per gli
|
||
architetti nati nell'ultimo quarto del secolo scorso la riscoperta della
|
||
cultura degli anni sessanta e settanta -- e con essa degli architetti
|
||
intellettuali che vi fiorivano -- equivale a un ideale ritorno alle
|
||
origini; se non il recupero di un "rimosso", di certo un percorso a
|
||
ritroso per cercare di ritrovare un filo perduto. È poi significativo
|
||
che tale iniziativa abbia come "centro operativo" l'Italia. È proprio in
|
||
Italia infatti, più che in ogni altro luogo, che si è mantenuto uno
|
||
stretto legame, un dialogo, tra architettura, storia e teoria. Ed è
|
||
proprio l'Italia che può forse vantare la maggior concentrazione di
|
||
architetti intellettuali nel corso della sua storia. Pur discontinua,
|
||
tale presenza si lascia riscontrare anche in momenti difficili (si pensi
|
||
ad esempio a Edoardo Persico e a Giuseppe Pagano durante il fascismo).
|
||
Infine, le modalità secondo cui ciò avviene sono integralmente figlie
|
||
dell'epoca attuale, e non esistono vie rapide e agevoli per mettere in
|
||
connessione forme e contenuti di ora con forme e contenuti di allora.
|
||
|
||
Vi sono infatti alcune caratteristiche peculiari dell'architetto
|
||
intellettuale -- e dell'intellettuale *in generale* -- italiano degli
|
||
anni sessanta e settanta che difficilmente possono essere fatte oggetto
|
||
di illusorie rinascite, e che non casualmente sono scomparse nelle
|
||
epoche successive e in altri contesti: tra queste, la consapevolezza non
|
||
soltanto del proprio compito ma anche delle condizioni del proprio
|
||
operare, ovvero dei propri *limiti storici*. Per Franco Fortini,
|
||
scrittore, poeta, critico e saggista, fortemente impegnato in quegli
|
||
anni in una lucida analisi delle condizioni di lavoro all'interno
|
||
dell'"industria culturale", il ruolo da assegnare all'intellettuale
|
||
parte dalla constatazione che lo sviluppo capitalistico realizza la
|
||
progressiva distruzione della coscienza degli individui, ovvero -- come
|
||
è stato scritto -- la "trasformazione antropologica dell'uomo da
|
||
soggetto volitivo a merce, da essere dotato di pensiero, volontà,
|
||
desiderio e coscienza a precipitato inerte di tempo ed energia
|
||
inintenzionale"[^112]. In questa prospettiva, la trasformazione della
|
||
società in senso comunista da lui vagheggiata poteva avvenire soltanto
|
||
con il contributo di un lavoro intellettuale capace di concorrere alla
|
||
creazione di una coscienza del presente comune e condivisa. E tuttavia,
|
||
questo compito non potrebbe essere concepito per Fortini al di fuori di
|
||
una verifica attenta e continua dei "criteri di valore" adottati per
|
||
leggere la realtà. Cosí, ad esempio, l'"ordine storico, ideologico,
|
||
estetico" di un libro e di un autore deve essere continuamente
|
||
verificato "sul contesto sociale, produttivo, culturale, che quel libro,
|
||
quegli autori, producono e ricevono"[^113]; ciò che implica la necessità
|
||
-- come già Benjamin aveva compreso -- di non limitarsi a "schierarsi"
|
||
politicamente ma di cercare di modificare *dall'interno* le condizioni
|
||
politiche, ovvero i rapporti di produzione dell'epoca[^114]. Ma non
|
||
potrebbe essere concepito neppure al di fuori delle condizioni effettive
|
||
cui soggiace lo stesso lavoro intellettuale all'interno della società, e
|
||
della società capitalista nello specifico: condizioni che sono per molti
|
||
versi analoghe a quelle imposte al lavoro operaio. A partire dal fatto
|
||
che il lavoro intellettuale diventa sempre più dipendente dall'industria
|
||
culturale privata[^115], per giungere a quello -- diretta conseguenza
|
||
della "riduzione di ogni forma di lavoro a lavoro industriale"[^116] --
|
||
che anche il lavoro intellettuale, all'interno dello sviluppo
|
||
capitalistico, tende a divenire lavoro astratto, parcellizzandosi in
|
||
mansioni sempre più indifferenziate ed equivalenti tra di loro.
|
||
|
||
Qualche anno più tardi Tafuri dedicherà un saggio al lavoro
|
||
intellettuale che prende le mosse precisamente da questi presupposti:
|
||
|
||
> ... siamo in presenza di un costante aumento dell'estraneità
|
||
> dell'intellettuale al contenuto del proprio lavoro, che si realizza
|
||
> tanto più concretamente tanto più quest'ultimo si caratterizza
|
||
> esattamente come "lavoro": più esattamente, anzi, come lavoro
|
||
> salariato[^117].
|
||
|
||
Nel solco della linea "operaista" perseguita da Mario Tronti e dalla
|
||
rivista "Contropiano" su cui Tafuri scrive, tale tendenza non va
|
||
tuttavia rifiutata quanto piuttosto assecondata, portandola fino alle
|
||
sue conseguenze ultime:
|
||
|
||
> Leggere nelle condizioni attuali del lavoro intellettuale una concreta
|
||
> tendenza verso un'omogeneizzazione materiale, che passa attraverso i
|
||
> processi di ristrutturazione sociale e produttiva capitalistici,
|
||
> significa riconoscere nella massificazione e nella mobilità dei ruoli,
|
||
> nella perdita dei privilegi tradizionali riservati al lavoro
|
||
> intellettuale, nel distacco -- che avviene già nella fase di
|
||
> preparazione scolastica e universitaria -- dai contenuti del proprio
|
||
> lavoro, nell'estraneità che finalmente anche l'intellettuale è
|
||
> *obbligato* a sperimentare nei confronti dell'organizzazione
|
||
> capitalistica del lavoro, alcune delle condizioni *positive* da cui
|
||
> ripartire, per elaborare un programma di attacco al piano complessivo.
|
||
|
||
E ancora, più oltre:
|
||
|
||
> Non crediamo alle ripetute invenzioni di nuovi *alleati* della classe
|
||
> operaia. Ma sarebbe suicida non riconoscere che sono le stesse linee
|
||
> dello sviluppo capitalista a ricomporre, ai propri fini, una forza
|
||
> lavoro tendenzialmente omogenea, che è possibile far funzionare sotto
|
||
> il segno degli interessi diretti della classe operaia. Rovesciare
|
||
> quello che è stato, per troppo tempo, il disegno capitalista, quello
|
||
> che vede come proprio fine *una classe operaia organizzata dal
|
||
> capitale*: questo è l'obiettivo da raggiungere ponendosi come compito
|
||
> la gestione operaia delle rivendicazioni soggettive dei nuovi strati
|
||
> di lavoro intellettuale salariato.
|
||
>
|
||
> Ma ciò non è possibile se non battendo ogni illusione reazionaria,
|
||
> ogni proposta tesa a restituire *dignità* professionale a quegli
|
||
> intellettuali "degradati". Mostrare in concreto la reazionarietà di
|
||
> ogni discorso che voglia offrire prospettive "alternative" al lavoro
|
||
> intellettuale, significa quindi riconoscere che solo *all'interno* del
|
||
> ruolo oggettivo imposto dal dominio dello sviluppo è la condizione per
|
||
> utilizzare la lotta dei ceti intellettuali assorbiti direttamente
|
||
> nella produzione, in un attacco complessivo al piano del capitale: il
|
||
> che significa, essenzialmente, estendere l'uso politico della lotta
|
||
> *sul* salario a strati sociali sempre più ampi[^118].
|
||
|
||
L'intellettuale impegnato nella costruzione di un radicale ripensamento
|
||
della società a partire dalle condizioni esistenti, ma al tempo stesso
|
||
alla ricerca di un orizzonte di senso *autonomo* per il proprio operare
|
||
in quanto intellettuale, non può dunque che porsi nella posizione che
|
||
Tronti sintetizza nell'espressione "dentro e contro": "*dentro* la
|
||
società e *contro* di essa nello stesso tempo"[^119].
|
||
|
||
Le vicende storiche occorse dopo i primi anni settanta nella società
|
||
italiana, cosí come in quelle di molti altri paesi occidentali
|
||
industrializzati, porteranno a evoluzioni del tutto distanti da quelle
|
||
prefigurate, tra gli altri, da Tronti, Fortini e Tafuri e -- per quanto
|
||
riguarda il più specifico campo dell'architettura -- da Aymonino e
|
||
Rossi. Proprio quest'ultimo, forse più di ogni altro, diverrà
|
||
l'emblematico protagonista del brusco cambio di direzione impresso al
|
||
lavoro intellettuale nel corso di meno di un decennio: dalla ricerca di
|
||
un piano di lavoro condiviso come fondamento di un'alternativa alla
|
||
realtà capitalistico-borghese, alla conquista di una "scrittura"
|
||
privata, individuale, autobiografica. E non è probabilmente un caso che
|
||
questo passaggio coincida con la "scoperta" dell'America da parte di
|
||
Rossi[^120].
|
||
|
||
A partire da quel momento l'attitudine a essere "dentro e contro"
|
||
declinerà vistosamente, fino a scomparire del tutto; una sparizione cui
|
||
corrisponde un'altrettanto lunga eclissi della figura dell'architetto
|
||
come intellettuale. Le ragioni di questa duplice sparizione (o forse
|
||
sarebbe meglio dire "oscuramento") solo apparentemente sono
|
||
riconducibili *in toto* alle condizioni politiche e sociali verificatesi
|
||
in Italia e in buona parte del mondo dagli anni ottanta in avanti. In
|
||
realtà, proprio quelle condizioni costituiscono il compimento e la
|
||
conferma di quanto i migliori intellettuali dei decenni precedenti
|
||
avevano lucidamente preconizzato[^121]. Non deve quindi stupire che,
|
||
con il crescente imporsi di tali condizioni in tutte le società
|
||
occidentalizzate, sottoposte agli effetti sempre più penetranti di un
|
||
capitalismo al tempo stesso planetariamente esteso e minutamente
|
||
pervasivo, siano tornate a emergere (specialmente in Italia)[^122], a
|
||
partire dal principio del nuovo millennio, riflessioni filosofiche e
|
||
politiche incentrate su temi su cui la cultura si era interrogata nei
|
||
decenni precedenti[^123]. E che a fronte del "tutto dentro" del sistema
|
||
globalizzato[^124], sia ritornata attuale la possibilità di porsi --
|
||
rispetto a esso -- *dentro e contro*.
|
||
|
||
È alla luce di questa posizione che è forse possibile ripensare anche il
|
||
ruolo dell'architetto intellettuale, *oggi*.
|
||
|
||
[^1]: Su Brunelleschi vedi, tra gli altri, Piero Sanpaolesi,
|
||
*Brunelleschi*, Barbera, Firenze 1962; Frank D. Prager e Giustina
|
||
Scaglia, *Brunelleschi. Studies of His Technology and Inventions*, The
|
||
MIT Press, Cambridge (Mass.) 1970; Eugenio Battisti, *Filippo
|
||
Brunelleschi*, Electa, Milano 1976; Arnaldo Bruschi, *Filippo
|
||
Brunelleschi*, ivi 2006.
|
||
|
||
[^2]: Giulio Carlo Argan, *Brunelleschi*, Mondadori, Milano 1955, p. 44.
|
||
|
||
[^3]: Antonio Manetti, *Vita di Filippo Brunelleschi*, Edizioni Il
|
||
Polifilo, Milano 1976, pp. 44 e 88.
|
||
|
||
[^4]: Arendt, *Vita activa* cit., pp. 137 sgg.
|
||
|
||
[^5]: Manetti, *Vita di Filippo Brunelleschi* cit., pp. 96-97; Giorgio
|
||
Vasari, *Vita di Filippo Brunelleschi*, in *Le vite de' più eccellenti
|
||
pittori, scultori ed architetti*, Einaudi, Torino 1986, pp. 316-17;
|
||
Cesare Guasti, *La Cupola di Santa Maria del Fiore illustrata con i
|
||
documenti dell'archivio dell'Opera secolare*, Barbèra Bianchi, Firenze
|
||
1857, pp. 229-30.
|
||
|
||
[^6]: Manfredo Tafuri, *L'architettura dell'Umanesimo*, Laterza, Bari
|
||
1969, p. 19.
|
||
|
||
[^7]: Vasari, *Vita di Filippo Brunelleschi* cit., p. 324.
|
||
|
||
[^8]: Il *De re ædificatoria* di Leon Battista Alberti, scritto intorno
|
||
alla metà del XV secolo, verrà pubblicato per la prima volta nel 1485 in
|
||
latino; vedi *L'architettura*, a cura di Giovanni Orlandi, Edizioni Il
|
||
Polifilo, Milano 1988.
|
||
|
||
[^9]: Alberto Giorgio Cassani, *La fatica del costruire. Tempo e
|
||
materia nel pensiero di Leon Battista Alberti*, Edizioni Unicopli,
|
||
Milano 2000; Massimo Bulgarelli, *Leon Battista Alberti 1404-1472.
|
||
Architettura e storia*, Electa, Milano 2008.
|
||
|
||
[^10]: Alberti, *L'architettura* cit., p. 6.
|
||
|
||
[^11]: Andrea Palladio, *I Quattro Libri dell'Architettura*, Domenico
|
||
de' Franceschi, Venezia 1570, vol. I, *Proemio ai lettori*, p. 6.
|
||
|
||
[^12]: *Ibid.*, vol. III, cap. V, p. 12.
|
||
|
||
[^13]: Vedi, tra gli altri, Rudolf Wittkower, *Palladio e il
|
||
palladianesimo*, Einaudi, Torino 1984.
|
||
|
||
[^14]: Sintomatico -- ma non certo unico -- il caso della Basilica di
|
||
Vicenza: "La pianta della Basilica riprodotta nei *Quattro Libri* è solo
|
||
un'invenzione, un singolare esempio di progetto ideale e irrealizzabile
|
||
di un edificio già costruito in altro modo: in essa Palladio elimina
|
||
proprio quelle difficoltà da cui era nato il proprio progetto e senza le
|
||
quali il suo intervento non sarebbe stato neppure richiesto": James
|
||
Ackerman, *Palladio*, Einaudi, Torino 1972, p. 45.
|
||
|
||
[^15]: Su Piranesi, vedi John Wilton-Ely, *Giovanni Battista Piranesi
|
||
1720-1778*, Electa, Milano 2008.
|
||
|
||
[^16]: Pierluigi Panza, *Piranesi architetto*, Guerini Studio, Milano
|
||
1998, p. 35.
|
||
|
||
[^17]: Michel Foucault, *Microfisica del potere*, Einaudi, Torino 1977.
|
||
|
||
[^18]: La più nota è probabilmente la "Querelle des anciens et des
|
||
modernes" che, riprendendo la più nota disputa in campo letterario (vedi
|
||
Marc Fumaroli, *Le api e i ragni. La disputa degli Antichi e dei
|
||
Moderni*, Adelphi, Milano 2005), oppone Claude Perrault e François
|
||
Blondel: cfr. Hanno-Walter Kruft, *Storia delle teorie architettoniche.
|
||
Da Vitruvio al Settecento*, Laterza, Roma 1988, in particolare il
|
||
cap. *La fondazione dell'Accademia di architettura e la crisi del
|
||
dogmatismo accademico*, pp. 159-76; Anthony Gerbino, *François Blondel:
|
||
Architecture, Erudition, and the Scientific Revolution*, Routledge,
|
||
Abingdon-on-Thames 2010.
|
||
|
||
[^19]: Tra i più celebri e influenti, l'*Essai sur l'architecture*
|
||
(1753) di Marc-Antoine Laugier e il *Saggio sopra l'architettura*
|
||
(1757) di Francesco Algarotti, basato sulle idee (sia pur criticate) di
|
||
Carlo Lodoli, denominato il "Socrate" dell'architettura per non aver
|
||
lasciato tracce scritte della sua teoria: vedi Andrea Memmo, *Elementi
|
||
d'architettura lodoliana*, Pagliarini, Roma 1786.
|
||
|
||
[^20]: Étienne-Louis Boullée, *Architettura. Saggio sull'arte*, a cura
|
||
di Alberto Ferlenga, Einaudi, Torino 2005, p. 5.
|
||
|
||
[^21]: *Ibid.*, p. 3.
|
||
|
||
[^22]: Jean-Nicolas-Louis Durand, *Lezioni di architettura*, a cura di
|
||
Ernesto D'Alfonso, CLUP, Milano 1986.
|
||
|
||
[^23]: Tra questi vanno ricordati, tra gli altri, Charles Fourier,
|
||
Robert Owen, William Morris, Étienne Cabet, Jean-Baptiste Godin; sul
|
||
tema vedi Françoise Choay, *La città. Utopie e realtà*, Einaudi, Torino
|
||
1973.
|
||
|
||
[^24]: Tony Garnier, *Una città industriale*, a cura di Riccardo
|
||
Mariani, Jaca book, Milano 1990.
|
||
|
||
[^25]: Le Corbusier, *Urbanistica* (1925), Il Saggiatore, Milano 1967.
|
||
|
||
[^26]: Catherine de Smet, *Le Corbusier Architect of Books*, Lars Müller
|
||
Publishers, Baden 2005.
|
||
|
||
[^27]: In particolare, vedi Le Corbusier, *Croisade ou le Crépuscole des
|
||
Académies*, Éditions Crés, Paris 1933.
|
||
|
||
[^28]: A tale azione si connettono strettamente da parte di Bruno Zevi
|
||
la fondazione nel 1944 dell'APAO (Associazione per l'Architettura
|
||
Organica) e la pubblicazione di *Verso un'architettura organica. Saggio
|
||
sullo sviluppo del pensiero architettonico negli ultimi cinquant'anni*,
|
||
Einaudi, Torino 1945.
|
||
|
||
[^29]: Roberto Dulio, *Introduzione a Bruno Zevi*, Laterza, Roma-Bari
|
||
2008.
|
||
|
||
[^30]: Bruno Zevi, *Saper vedere l'architettura*, Einaudi, Torino 1948;
|
||
Id., *Storia dell'architettura moderna*, ivi 1950; Id., *Poetica
|
||
dell'architettura neoplastica*, Tamburini, Milano 1953; Id., *Il
|
||
linguaggio moderno dell'architettura*, Einaudi, Torino 1973.
|
||
|
||
[^31]: Zevi, *Verso un'architettura organica* cit., p. 13.
|
||
|
||
[^32]: *Ibid.*, p. 150.
|
||
|
||
[^33]: *Ibid.*, p. 75.
|
||
|
||
[^34]: *Manuale dell'architetto*, a cura del Consiglio Nazionale delle
|
||
Ricerche (CNR) -- United States Information Service (USIS), Roma 1946.
|
||
|
||
[^35]: Manfredo Tafuri, *Teorie e storia dell'architettura*, Laterza,
|
||
Bari 1968, p. 161.
|
||
|
||
[^36]: Tafuri, *Teorie e storia dell'architettura* cit., p. 172.
|
||
|
||
[^37]: *Ibid.*, p. 176.
|
||
|
||
[^38]: *Ibid.*, p. 173.
|
||
|
||
[^39]: Bruno Zevi, *Introduzione: Attualità di Michelangiolo
|
||
architetto*, in *Michelangiolo architetto*, a cura di Paolo Portoghesi e
|
||
Bruno Zevi, Einaudi, Torino 1964, pp. 14-16. Vedi anche *Mostra critica
|
||
delle opere michelangiolesche*, catalogo della mostra, Roma -- Palazzo
|
||
delle Esposizioni, De Luca, Roma 1964.
|
||
|
||
[^40]: Tafuri, *Teorie e storia dell'architettura* cit., p. 126.
|
||
|
||
[^41]: Giorgio Ciucci, *Gli anni della formazione*, in "Casabella",
|
||
n. 619-20, 1995, pp. 12-25.
|
||
|
||
[^42]: Giorgio Piccinato, Vieri Quilici e Manfredo Tafuri, *La città
|
||
territorio. Verso una nuova dimensione*, in "Casabella-Continuità",
|
||
n. 270, 1962, pp. 6-16; Enrico Fattinnanzi e Manfredo Tafuri,
|
||
*Un'ipotesi per la città-territorio di Roma*, in "Casabella-Continuità",
|
||
n. 274, 1963, pp. 27-36.
|
||
|
||
[^43]: Luka Skansi, *Architettura come "oggetto trascurabile". Note a
|
||
margine di una discussione di Manfredo Tafuri su realismo e utopia*, in
|
||
Alessandro De Magistris e Aurora Scotti (a cura di), *Utopiae finis?
|
||
Percorsi tra utopismi e progetto*, Accademia University Press, Torino
|
||
2018, p. 219.
|
||
|
||
[^44]: Tafuri, *Teorie e storia dell'architettura* cit., p. 270.
|
||
|
||
[^45]: *Ibid.*, p. 266.
|
||
|
||
[^46]: *Ibid.*, pp. 266-67.
|
||
|
||
[^47]: *Ibid.*, p. 269.
|
||
|
||
[^48]: *Ibid.*, p. 270.
|
||
|
||
[^49]: *Ibid*.
|
||
|
||
[^50]: Su ciò vedi Marco Biraghi, *Progetto di crisi. Manfredo Tafuri e
|
||
l'architettura contemporanea*, Christian Marinotti Edizioni, Milano
|
||
2005. Vedi anche il fondamentale saggio di Manfredo Tafuri, *Il
|
||
"progetto" storico*, in "Casabella", n. 429, 1977, pp. 11-18 (poi come
|
||
*Introduzione* a Id., *La sfera e il labirinto* cit., pp. 3-30).
|
||
|
||
[^51]: Su Argan, vedi Claudio Gamba (a cura di), *Giulio Carlo Argan.
|
||
Intellettuale e storico dell'arte*, Electa, Milano 2012. La figura di
|
||
Benevolo attende invece ancora una adeguata storicizzazione.
|
||
|
||
[^52]: Jean-Louis Cohen, *La coupure entre architectes et intellectuels,
|
||
ou les enseignements de l'italophilie*, Mardaga, Bruxelles 2015.
|
||
|
||
[^53]: Cohen, *La coupure entre architectes et intellectuels* cit.,
|
||
p. 69.
|
||
|
||
[^54]: *Ibid.*, p. 100.
|
||
|
||
[^55]: *Ibid.*, p. 101.
|
||
|
||
[^56]: Per quanto riguarda i libri vedi Fiorella Vanini, *La libreria
|
||
dell'architetto. Progetti di collane editoriali 1945-1980*, Franco
|
||
Angeli, Milano 2012; per le riviste vedi Marco Mulazzani, *Le riviste di
|
||
architettura. Costruire con le parole*, in *Storia dell'architettura
|
||
italiana. Il secondo Novecento (1945-1996)*, a cura di Giorgio Ciucci e
|
||
Giorgio Muratore, Electa, Milano 1997, pp. 430-43.
|
||
|
||
[^57]: Sul MSA vedi Matilde Baffa, Corinna Morandi, Sara Protasoni e
|
||
Augusto Rossari, *Il Movimento di Studi per l'Architettura 1945-1961*,
|
||
Laterza, Roma-Bari 1995. Sull'ideologia "comunitaria" olivettiana
|
||
esistono moltissimi contributi, oltre ai libri dello stesso Olivetti;
|
||
per una sua esposizione sintetica ma approfondita vedi il capitolo
|
||
*Aufklärung I. Adriano Olivetti e la 'communitas' dell'intelletto*, in
|
||
Tafuri, *Storia dell'architettura italiana 1944-1985* cit., pp. 47-54.
|
||
|
||
[^58]: Renato Barilli, *La neoavanguardia italiana. Dalla nascita del
|
||
"Verri" alla fine di "Quindici"*, il Mulino, Bologna 1995; Andrea
|
||
Cortellessa, *Volevamo la Luna*, in *Quindici. Una rivista e il
|
||
Sessantotto*, a cura di Nanni Balestrini, Feltrinelli, Milano 2008,
|
||
pp. 451-72.
|
||
|
||
[^59]: Cohen, *La coupure entre architectes et intellectuels* cit.,
|
||
p. 101. In merito vedi anche Cina Conforto, Gabriele De Giorgi,
|
||
Alessandra Muntoni e Marcello Pazzaglini, *Il dibattito architettonico
|
||
in Italia 1945-1975*, Bulzoni, Roma 1977.
|
||
|
||
[^60]: Giuseppe Samonà, *L'urbanistica e l'avvenire delle città*,
|
||
Laterza, Bari 1959. Dello stesso autore è essenziale pure *L'unità
|
||
architettura-urbanistica. Scritti e progetti 1929-1973*, a cura di
|
||
Pasquale Lovero, Franco Angeli, Milano 1975. Su Samonà vedi Carlo
|
||
Aymonino, Giorgio Ciucci, Francesco Dal Co e Manfredo Tafuri, *Giuseppe
|
||
Samonà 1923-1975. Cinquant'anni di architetture*, Officina, Roma 1975.
|
||
|
||
[^61]: Ludovico Quaroni, *La Torre di Babele*, Marsilio, Padova 1967.
|
||
Di Quaroni vedi anche *Immagine di Roma*, Laterza, Bari 1969, e
|
||
*Progettare un edificio. Otto lezioni di architettura*, Mazzotta,
|
||
Milano 1977. Su Quaroni vedi Manfredo Tafuri, *Ludovico Quaroni e lo
|
||
sviluppo dell'architettura moderna in Italia*, Edizioni di Comunità,
|
||
Milano 1964; Pippo Ciorra, *Ludovico Quaroni 1911-1987. Opere e
|
||
progetti*, Electa, Milano 1989.
|
||
|
||
[^62]: Ernesto Nathan Rogers, *Il problema del costruire nelle
|
||
preesistenze ambientali*, in "L'Architettura", n. 22, 1957 (ora in Id.,
|
||
*Esperienza dell'architettura*, a cura di Luca Molinari, Skira, Milano
|
||
1997, pp. 286-91). Alle tematiche delle preesistenze ambientali -- e
|
||
più in generale al rapporto architettura-città -- sono dedicati numerosi
|
||
degli editoriali pubblicati da Rogers su "Casabella", raccolti, oltreché
|
||
in *Esperienza dell'architettura*, in *Editoriali di architettura*,
|
||
Einaudi, Torino 1968; ora a cura di Gabriella Lo Ricco e Mario Viganò,
|
||
Zandonai, Rovereto 2009.
|
||
|
||
[^63]: Vittorio Gregotti, *Il territorio dell'architettura*,
|
||
Feltrinelli, Milano 1966.
|
||
|
||
[^64]: Carlo Aymonino, *Origini e sviluppo della città moderna*,
|
||
Marsilio, Padova 1965. Vedi inoltre Id., *Il significato della città*,
|
||
Laterza, Bari 1975.
|
||
|
||
[^65]: Aldo Rossi, *L'architettura della città*, Marsilio, Padova
|
||
1966. Sul libro e le sue implicazioni vedi *Aldo Rossi, la storia di un
|
||
libro. L'architettura della città, dal 1966 ad oggi*, a cura di
|
||
Fernanda De Maio, Alberto Ferlenga e Patrizia Montini Zimolo, Il
|
||
Poligrafo - IUAV, Padova-Venezia 2014.
|
||
|
||
[^66]: Vedi, ad esempio, *La città di Padova. Saggio di analisi
|
||
urbana*, scritti di Carlo Aymonino, Manlio Brusatin, Gianni Fabbri,
|
||
Mauro Lena, Pasquale Lovero, Sergio Lucianetti e Aldo Rossi, Officina,
|
||
Roma 1970.
|
||
|
||
[^67]: Giovanni Marras e Marco Pogacnik (a cura di), *Giuseppe Samonà e
|
||
la Scuola di Architettura a Venezia*, Il Poligrafo, Padova 2006.
|
||
|
||
[^68]: Ludovico Quaroni, *La città fisica*, a cura di Antonino
|
||
Terranova, Laterza, Roma-Bari 1981.
|
||
|
||
[^69]: Tra loro va ricordato almeno Franco Purini, il cui contributo
|
||
alla definizione del profilo dell'architetto intellettuale italiano a
|
||
partire dagli anni sessanta -- attraverso la sua "opera di pensiero",
|
||
che contempera architettura, disegno e parola -- è fondamentale; tra gli
|
||
altri suoi lavori, vedi *Comporre l'architettura*, Laterza, Roma-Bari
|
||
2000; *La misura italiana dell'architettura*, Laterza, Roma-Bari 2008.
|
||
|
||
[^70]: Su ciò vedi in particolar modo Tafuri, *Ludovico Quaroni e lo
|
||
sviluppo dell'architettura moderna in Italia* cit., pp. 13-14.
|
||
|
||
[^71]: Fra le tematiche più generali trattate vanno ricordate, tra le
|
||
altre: i Centri Direzionali Italiani (n. 264, 1962), Città e Regione
|
||
(n. 270, 1962), i Problemi di Roma (n. 279, 1963), il Piano
|
||
Intercomunale Milanese (n. 282, 1963), le Coste Italiane (nn. 283 e 284,
|
||
1964), il Fabbisogno del Verde in Italia (n. 286, 1964), i Problemi USA
|
||
(n. 294-95, 1964-65).
|
||
|
||
[^72]: Vedi, tra l'altro, *Enzo Paci. Architettura e filosofia*, in
|
||
"aut aut", n. 333, 2007, numero dedicato al filosofo. Va ricordato che
|
||
nel 1946, con Banfi, Vittorini, Einaudi e altri, Rogers è membro
|
||
fondatore della Casa della cultura di Milano. Enzo Paci farà invece
|
||
parte del comitato di redazione di "Casabella-Continuità" a partire dal
|
||
numero 215 del 1957.
|
||
|
||
[^73]: Ernesto N. Rogers, *Continuità*, in "Casabella-Continuità",
|
||
n. 199, 1953-54, p. 2.
|
||
|
||
[^74]: In particolare Rogers si rifà all'uso che John Dewey (studiato in
|
||
quel periodo da Paci) ne fa in *Esperienza e educazione* (La Nuova
|
||
Italia, Firenze 1949) e in *L'arte come esperienza* (ivi 1951). La
|
||
prima raccolta degli editoriali di Rogers si intitola *Esperienza
|
||
dell'architettura*, Einaudi, Torino 1958.
|
||
|
||
[^75]: Ernesto N. Rogers, *Continuità o crisi?*, in
|
||
"Casabella-Continuità", n. 215, 1957, p. 3.
|
||
|
||
[^76]: Enzo Paci, *Fenomenologia e architettura contemporanea*, in Id.,
|
||
*Relazioni e significati. Critica e dialettica*, Lampugnani Nigri,
|
||
Milano 1966, p. 175.
|
||
|
||
[^77]: Enzo Paci, *La crisi della cultura e la fenomenologia
|
||
dell'architettura contemporanea*, in "La Casa", n. 6, 1959, p. 356.
|
||
|
||
[^78]: Ernesto N. Rogers, *Il dramma dell'architetto* (1948), in Id.,
|
||
*Esperienza dell'architettura* cit., p. 221.
|
||
|
||
[^79]: *Ibid.*, p. 223.
|
||
|
||
[^80]: *Ibid.*, p. 225.
|
||
|
||
[^81]: Massimo Canzian, *Orizzonti del fare architettonico. Progetto
|
||
Estetica Teoria nel dibattito italiano del dopoguerra*, Guerini e
|
||
Associati, Milano 1995, nonché l'*Introduzione* di Massimo Cacciari,
|
||
pp. 11-17.
|
||
|
||
[^82]: Oltre al citato *Il territorio dell'architettura*, vedi, tra i
|
||
molti altri, Vittorio Gregotti, *Dentro l'architettura*, Bollati
|
||
Boringhieri, Torino 1991; Id., *Identità e crisi dell'architettura
|
||
europea*, Einaudi, Torino 1999; Id., *L'architettura del realismo
|
||
critico*, Laterza, Bari 2004; Id., *L'architettura nell'epoca
|
||
dell'incessante*, ivi 2006; Id., *Contro la fine dell'architettura*,
|
||
Einaudi, Torino 2008; Id., *Architettura e postmetropoli*, ivi 2011;
|
||
Id., *Il sublime al tempo del contemporaneo*, ivi 2013; Id., *I racconti
|
||
del progetto*, Skira, Milano 2018.
|
||
|
||
[^83]: Manfredo Tafuri, *Vittorio Gregotti. Progetti e architetture*,
|
||
Electa, Milano 1982; Guido Morpurgo (a cura di), *Il territorio
|
||
dell'architettura. Gregotti e Associati 1953-2017*, Skira, Milano 2017.
|
||
|
||
[^84]: Gramsci, *Quaderni del carcere* cit., vol. III, Quaderno 12
|
||
(XXIX), § 3, p. 1551.
|
||
|
||
[^85]: Giovanni Durbiano, *I Nuovi Maestri. Architetti tra politica e
|
||
cultura nel dopoguerra*, Marsilio, Venezia 2000, pp. 55-98.
|
||
|
||
[^86]: Per quanto riguarda i corsi di Carlo Aymonino allo IUAV di
|
||
Venezia, cui collaborano, tra gli altri, anche Aldo Rossi, Costantino
|
||
Dardi e Gianni Fabbri, vedi *Aspetti e problemi della tipologia
|
||
edilizia. Documenti del Corso di caratteri distributivi degli edifici.
|
||
Anno accademico 1963-1964*, Libreria Cluva, Venezia 1964; *La formazione
|
||
del concetto di tipologia edilizia. Atti del Corso di caratteri
|
||
distributivi degli edifici. Anno accademico 1964-1965*, ivi 1965;
|
||
*Rapporti tra la tipologia edilizia e la morfologia urbana. Documenti
|
||
del Corso di caratteri distributivi degli edifici. Anno accademico
|
||
1965-1966*, ivi 1966.
|
||
|
||
[^87]: Aldo Rossi, *Tipologia, manualistica e architettura*, in
|
||
*Rapporti tra la tipologia edilizia e la morfologia urbana* cit., p. 69.
|
||
|
||
[^88]: Aldo Rossi, *L'obiettivo della nostra ricerca*, in *L'analisi
|
||
urbana e la progettazione architettonica. Contributi al dibattito e al
|
||
lavoro di gruppo nell'anno accademico 1968-69. Gruppo di ricerca
|
||
diretto da Aldo Rossi*, Clup, Milano 1970, p. 13.
|
||
|
||
[^89]: Durbiano, *I Nuovi Maestri* cit., p. 62.
|
||
|
||
[^90]: Antonio Monestiroli, *L'architettura della realtà* (1979),
|
||
Allemandi, Torino 2004, p. 21.
|
||
|
||
[^91]: *Ibid.*, p. 22.
|
||
|
||
[^92]: Joan Ockman, *Venice and New York*, in "Casabella", n. 619-20,
|
||
1995, pp. 56-65; Ernesto Ramon Rispoli, *Ponti sull'Atlantico.
|
||
L'Institute for Architecture and Urban Studies e le relazioni
|
||
Italia-America (1967-1985)*, Quodlibet, Macerata 2012.
|
||
|
||
[^93]: Tafuri, *La sfera e il labirinto* cit., p. 323.
|
||
|
||
[^94]: D'altronde, la tendenza a unificare azione intellettuale e
|
||
attività politica sembra appartenere costitutivamente alla cultura
|
||
italiana, che l'ha ereditata da Benedetto Croce. Al proposito vedi
|
||
Eugenio Garin, *Intellettuali italiani del* *XX* *secolo*, Editori
|
||
Riuniti, Roma 1996, in particolare il capitolo *Benedetto Croce o della
|
||
"separazione impossibile" tra politica e cultura*, pp. 47-67.
|
||
|
||
[^95]: Peter Eisenman, *Inside Out. Scritti 1963-1988*, Quodlibet,
|
||
Macerata 2014; Id., *Written into the Void. Selected Writings
|
||
1990-2004*, Yale University Press, New Haven 2007.
|
||
|
||
[^96]: Rem Koolhaas, *Delirious New York* (1978), a cura di Marco
|
||
Biraghi, Electa, Milano 2001; Id., *Junkspace*, a cura di Gabriele
|
||
Mastrigli, Quodlibet, Macerata 2006; Id., *Singapore Songlines*, a cura
|
||
di Manfredo di Robilant, Quodlibet, Macerata 2010.
|
||
|
||
[^97]: Monestiroli, *L'architettura della realtà* cit., p. 29.
|
||
|
||
[^98]: Robert Venturi, *Complessità e contraddizioni nell'architettura*,
|
||
Edizioni Dedalo, Bari 1993; Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven
|
||
Izenour, *Imparare da Las Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma
|
||
architettonica*, Quodlibet, Macerata 2010.
|
||
|
||
[^99]: Vedi, tra gli altri, Mirko Zardini (a cura di), *Paesaggi ibridi.
|
||
Un viaggio nella città contemporanea*, Skira, Milano 1996; Stefano
|
||
Boeri, *I detective dello spazio*, in "Il Sole -- 24 Ore", supplemento,
|
||
16 marzo 1997; Id., *Atlanti eclettici*, in Multiplicity, *USE-Uncertain
|
||
States of Europe -- Viaggio nell'Europa che cambia*, Skira, Milano 2003,
|
||
pp. 425-45.
|
||
|
||
[^100]: Vedi http://oma.eu/office.
|
||
|
||
[^101]: Vedi, tra gli altri, AMO, *History of Europe and The European
|
||
Union*, Archis, rivista a unico numero, Amsterdam 2005; Rem Koolhaas,
|
||
Ole Bouman e Mitra Khoubrou (a cura di), *Al Manakh: Dubai Guide, Gulf
|
||
Survey, Global Agenda*, Archis, Amsterdam 2007; Todd Reisz (a cura di),
|
||
*Al Manakh: Gulf Continued*, ivi 2010; *Roadmap 2050. A practical Guide
|
||
to a Prosperous, Low-carbon Europe*, OMA, Amsterdam 2010; vedi anche
|
||
www.roadmap2050.eu/project/roadmap-2050.
|
||
|
||
[^102]: Vedi ad esempio MVRDV, *Farmax. Excursions on Density*, 010
|
||
Publishers, Rotterdam 1998; Id., *KM3. Excursions on Capacity*, Actar,
|
||
Barcelona 2005; BIG -- Bjarke Ingels Group, *Yes Is More. An Archicomic
|
||
on Architectural Evolution*, Taschen, Köln 2009; Id., *Hot to Cold. An
|
||
Odyssey of Architectural Adaptation*, ivi 2015.
|
||
|
||
[^103]: Tafuri, *La sfera e il labirinto* cit., p. 349.
|
||
|
||
[^104]: Rimando a questo proposito a Marco Biraghi, *Eisenman o
|
||
dell'interpretazione*, in Pier Vittorio Aureli, Marco Biraghi e Franco
|
||
Purini, *Peter Eisenman. Tutte le opere*, Electa, Milano 2007,
|
||
pp. 22-37.
|
||
|
||
[^105]: Per le conversazioni tra Eisenman e Derrida, e per i testi di
|
||
quest'ultimo su Eisenman, vedi Jacques Derrida, *Adesso l'architettura*,
|
||
a cura di Francesco Vitale, Libri Scheiwiller, Milano 2008, pp. 181-238;
|
||
vedi anche *Un matrimonio sfortunato. Derrida e l'architettura*, a cura
|
||
di Peter Bojanić e Damiano Cantone, in "aut aut", n. 368, 2015.
|
||
|
||
[^106]: K. Michael Hays (a cura di), *Oppositions Reader. Selected
|
||
Readings from a Journal for Ideas and Criticism in Architecture
|
||
1973-1984*, Princeton Architectural Press, New York 1998.
|
||
|
||
[^107]: Rafael Moneo, *La solitudine degli edifici e altri scritti*, 2
|
||
voll., I. *Questioni intorno all'architettura*; II. *Sugli architetti e
|
||
il loro lavoro*, a cura di Andrea Casiraghi e Daniele Vitale, Allemandi,
|
||
Torino 1999-2004; Id., *Inquietudine teorica e strategia progettuale
|
||
nell'opera di otto architetti contemporanei*, Electa, Milano 2005.
|
||
|
||
[^108]: "Nelle sue disgregazioni e disgiunzioni, nella sua
|
||
caratteristica frammentazione e dissociazione, l'attuale situazione
|
||
culturale suggerisce la necessità di abbandonare le categorie di
|
||
significato e le storie contestuali stabilite. Varrebbe quindi la pena
|
||
di rinunciare a qualunque nozione di architettura postmoderna in favore
|
||
di una architettura "postumanista", che evidenzi non solo la dispersione
|
||
del soggetto e della forza delle regole sociali, ma anche l'effetto di
|
||
questo decentramento sull'intera nozione di forma architettonica
|
||
unificata e coerente": Bernard Tschumi, *Disgiunzioni* (1987), in Id.,
|
||
*Architettura e disgiunzione*, a cura di Ruben Baiocco e Giovanni
|
||
Damiani, Pendragon, Bologna 1996, p. 164.
|
||
|
||
[^109]: Su ciò vedi, ad esempio, Maurizio Lazzarato, *Immaterial Labor*,
|
||
in Paolo Virno e Michael Hardt (a cura di), *Radical Thought in Italy.
|
||
A Potential Politics*, University of Minnesota Press, Minneapolis 2006,
|
||
pp. 132-46.
|
||
|
||
[^110]: Gianni Pettena (a cura di), *Radicals. Architettura e Design
|
||
1960-1975*, La Biennale di Venezia -- Il Ventilabro, Firenze 1996;
|
||
Andrea Branzi, *Modernità debole e diffusa*, Skira, Milano 2006.
|
||
|
||
[^111]: Giorgio Grassi, *La costruzione logica dell'architettura*,
|
||
Marsilio, Venezia 1967. Per una rilettura "aggiornata" di Rossi e di
|
||
Grassi, vedi baukuh, *Due saggi sull'architettura*, Sagep editori,
|
||
Genova 2012.
|
||
|
||
[^112]: Daniele Balicco, *Non parlo a tutti. Franco Fortini
|
||
intellettuale politico*, Manifestolibri, Roma 2006, p. 43.
|
||
|
||
[^113]: Franco Fortini, *Verifica dei poteri* (1960), in Id., *Verifica
|
||
dei poteri*, Garzanti, Milano 1974, pp. 54-55.
|
||
|
||
[^114]: Rimando a Benjamin, *L'autore come produttore* cit., p. 201.
|
||
|
||
[^115]: Franco Fortini, *Astuti come colombe* (1962), in Id., *Verifica
|
||
dei poteri* cit., pp. 66-87.
|
||
|
||
[^116]: Mario Tronti, *La fabbrica e la società*, in "Quaderni Rossi",
|
||
n. 2, 1962, p. 21.
|
||
|
||
[^117]: Tafuri, *Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico* cit.,
|
||
pp. 241-81, a p. 280.
|
||
|
||
[^118]: *Ibid.*, p. 281.
|
||
|
||
[^119]: Mario Tronti, *Operai e capitale*, Einaudi, Torino 1966, p. 14.
|
||
|
||
[^120]: Oltre al forte incremento nella produzione di quadri e di
|
||
disegni rossiani in corrispondenza dei suoi viaggi negli Stati Uniti e
|
||
sotto la spinta del mercato americano, nella seconda metà degli anni
|
||
settanta, va ricordato che la prima edizione dell'*Autobiografia
|
||
scientifica* è stata pubblicata proprio negli Stati Uniti: Aldo Rossi,
|
||
*Scientific Autobiography*, The MIT Press, Cambridge (Mass.) 1981.
|
||
|
||
[^121]: Su tutti va ricordato ancora il fondamentale Debord, *La società
|
||
dello spettacolo* cit.
|
||
|
||
[^122]: Roberto Esposito, *Pensiero vivente. Origine e attualità della
|
||
filosofia italiana*, Einaudi, Torino 2010; Dario Gentili, *Italian
|
||
Theory. Dall'operaismo alla biopolitica*, il Mulino, Bologna 2012;
|
||
Dario Gentili e Elettra Stimilli (a cura di), *Differenze italiane*,
|
||
DeriveApprodi, Roma 2015.
|
||
|
||
[^123]: Vedi ad esempio Paolo Virno, *Grammatica della moltitudine. Per
|
||
una analisi delle forme di vita contemporanee*, DeriveApprodi, Roma
|
||
2009; Mario Tronti, *Noi operaisti*, DeriveApprodi, Roma
|
||
2009. Un'interessante incursione nel territorio disciplinare è
|
||
rappresentato da Marco Assennato, *Linee di fuga. Architettura, teoria,
|
||
politica*, :duepunti edizioni, Palermo 2011.
|
||
|
||
[^124]: Michael Hardt e Antonio Negri, *Impero. Il nuovo ordine della
|
||
globalizzazione*, Rizzoli, Milano 2002.
|
||
|
||
# Le strategie del distacco
|
||
|
||
> The education of a great intellectual often includes at the moment of
|
||
> its beginnings not only the seeds of that person's future development,
|
||
> but also the final result[^1].
|
||
|
||
È sulla scia di questi tentativi che un architetto come Pier Vittorio
|
||
Aureli ha ripreso le fila del discorso avviato ormai cinquant'anni fa da
|
||
alcuni degli autori citati più sopra -- "*dentro* la società e *contro*
|
||
di essa nello stesso tempo" -- con l'evidente intento di analizzarlo non
|
||
tanto o soltanto da un punto di vista storico, quanto piuttosto in
|
||
un'ottica odierna, e di applicarlo all'ambito dell'architettura e della
|
||
città. Nel farlo, Aureli riporta l'attenzione del dibattito
|
||
architettonico sul languente fronte della teoria, rendendo quest'ultima
|
||
il proprio piano *operativo*. E qui bisogna subito fare attenzione: non
|
||
si tratta infatti né di una teoria fine a se stessa, chiusa nel proprio
|
||
universo autoreferenziale, né di una teoria dipendente dalla sua
|
||
attuazione, dal suo tradursi in "pratica". Tra il piano della teoria e
|
||
quello del progetto vi è un'incessante dialettica, in cui entrambe
|
||
cooperano per il raggiungimento di un unico fine. Che non è in ogni
|
||
caso quello della "realizzazione". Come si vedrà meglio in seguito,
|
||
l'operatività del progetto si dispone per Aureli su un terreno
|
||
programmaticamente diverso da quello della realtà, almeno in una prima
|
||
fase del suo lavoro: una rinuncia a vederne i frutti concreti, o meglio
|
||
piuttosto una sua "sottrazione" all'assoggettamento alle dinamiche del
|
||
mercato che gli consente di sviluppare il progetto nella pienezza della
|
||
sue capacità dimostrative, senza obbligarlo a scendere a compromessi.
|
||
|
||
Fin dalla sua formazione, compiuta tra lo IUAV di Venezia e il Berlage
|
||
Institute di Rotterdam[^2], Aureli dimostra il proprio grado di
|
||
consapevolezza nei confronti dei limiti e delle difficoltà che si trova
|
||
a dover affrontare un giovane architetto al cospetto di un panorama
|
||
contemporaneo di certo non rassicurante da un punto di vista lavorativo.
|
||
La sua scelta di lasciare l'Italia per completare i propri studi
|
||
all'estero, in questo senso, rappresenta l'espressione di una chiarezza
|
||
di idee, di un *progetto* che inizia fin da allora a delinearsi. La
|
||
stessa che gli farà raggiungere, nel giro di pochi anni, prestigiose
|
||
posizioni di insegnamento: tra le altre, alla Columbia University di New
|
||
York, alla Yale School of Architecture di New Haven e all'Architectural
|
||
Association School di Londra.
|
||
|
||
Una chiarezza confermata anche dall'ampiezza di vedute con cui s'accosta
|
||
alle tematiche architettoniche. I suoi interessi si appuntano dapprima
|
||
sullo studio dei principî insediativi urbani, poi sul concetto di "città
|
||
arcipelago", quindi sul tentativo di definizione di un'architettura
|
||
*assoluta*[^3]. Fin da subito, l'architettura è concepita non come una
|
||
disciplina separata bensì come un crocevia dove si incontrano questioni
|
||
sociali, politiche, storiche ed estetiche. Ma soprattutto, prima ancora
|
||
che nell'affermazione di un'architettura specifica, vale a dire
|
||
nell'elaborazione di una *propria* architettura, l'impegno di Aureli va
|
||
in direzione della comprensione delle condizioni di *pensabilità*
|
||
dell'architettura in generale nel contesto della città esistente. E ciò
|
||
nondimeno, nessun approccio generico all'architettura, nessun suo
|
||
inquadramento all'interno di una "mitica" interezza e astoricità. Al
|
||
contrario, nell'accostarsi a una sua formulazione teorica, Aureli ne
|
||
compie un ripensamento analitico che si muove lungo i solchi della
|
||
storia. Raccogliendo la lezione impartita da Manfredo Tafuri nei suoi
|
||
corsi universitari allo IUAV e nei suoi libri, Aureli rilegge i momenti
|
||
e le opere della storia dell'architettura (e non solo), dei quali si
|
||
avvale con un atteggiamento che non ha nulla di vuotamente ostensivo, e
|
||
neppure di semplicemente confermativo delle interpretazioni correnti.
|
||
Pur non essendo la storia il suo campo d'azione, Aureli fa propria la
|
||
concezione storica tafuriana (e benjaminiana) di un passato mai
|
||
definitivamente passato, mai "dato per giudicato" una volta per tutte,
|
||
bensì piuttosto assimilabile a un campo di forze le cui potenzialità
|
||
sono riattivabili e in grado di trasformare ("inquietare", diceva
|
||
Tafuri)[^4] il presente.
|
||
|
||
Ma vi è un altro elemento che Aureli sembra desumere dagli insegnamenti
|
||
tafuriani: la necessità di una distanza critica. "La distanza è
|
||
fondamentale per la storia"[^5]: è essa che aiuta a non cadere vittime
|
||
dell'immedesimazione e delle altre deformazioni derivanti dall'assenza
|
||
di "mediazioni". Nel caso di Aureli non si tratta evidentemente di una
|
||
distanza da mantenere o da applicare in senso storico: è invece il tempo
|
||
presente quello con il quale -- nella misura del possibile -- evitare
|
||
d'immedesimarsi, e rispetto al quale dunque cercare di interporre un
|
||
"filtro", una forma di "mediazione". Si legga nuovamente Tafuri:
|
||
|
||
> Lo storico che prende in esame un lavoro contemporaneo deve creare una
|
||
> distanza *artificiale*. (...) Il modo che abbiamo di distanziarci
|
||
> dalla nostra epoca, e di darci cosí una prospettiva, è quello di
|
||
> confrontare le differenze che essa presenta con il passato.
|
||
|
||
Rispetto all'apparentemente inevitabile immediatezza del tempo presente
|
||
Aureli prova a adottare delle forme di *distacco*[^6]. Come si vedrà,
|
||
nulla che abbia a che fare con un disinteresse, un disimpegno o
|
||
un'estraneazione, e ancor meno con una illusoria mancanza di inerenza
|
||
alle condizioni presenti, con una velleitaria "libertà" dai
|
||
condizionamenti. La dimensione in cui si colloca il distacco di Aureli
|
||
-- ben lungi dall'immaginare alcuna possibile "neutralità" o "alterità"
|
||
rispetto alle condizioni presenti -- è quella stessa del "problematico"
|
||
in cui si colloca il "progetto" storico tafuriano[^7]. E non è forse un
|
||
caso che sia altrettanto in una prospettiva progettuale -- oltreché
|
||
teorica -- che Aureli cerchi di declinare il proprio distacco. Anzi, è
|
||
proprio in nome di un distacco che in lui trovano un punto di
|
||
unificazione attività teorica e attività progettuale, quest'ultima
|
||
svolta nell'ambito dello studio Dogma ("L'architettura è come un dogma,
|
||
una deliberata decisione sull'indecidibile, una dottrina senza
|
||
prova")[^8], fondato nel 2002 insieme a Martino Tattara; uno studio che
|
||
elegge programmaticamente a propria sede Bruxelles, in quanto città
|
||
"baricentrica" in Europa, oltreché sua capitale[^9]. È proprio questo
|
||
impegno progettuale a rendere ancora più significativo lo sforzo di
|
||
praticare un distacco; cosí come pure, per converso, è soltanto a
|
||
contatto con un'attività operativa che tale distacco acquisisce
|
||
pienamente il suo senso.
|
||
|
||
L'attenzione di Dogma si è appuntata -- in special modo nella fase
|
||
iniziale della sua attività -- su progetti a grande scala, culminati con
|
||
*Stop City* (2007)[^10], proposta per un modello urbano teorico, e con
|
||
*A Simple Heart* (2011)[^11], studio urbano sull'area metropolitana del
|
||
nord-ovest dell'Europa. L'aspetto letteralmente sorprendente del primo
|
||
progetto -- e tanto più al momento della sua pubblicazione -- consiste
|
||
nel modo apparentemente lieve con cui *Stop City* torna a ragionare su
|
||
ciò che l'architettura deve avere *in comune* per essere considerata
|
||
parte costituente della città. Dopo decenni di architettura che si è
|
||
limitata semplicemente a imporre la propria individualità alla città, o
|
||
che -- in alternativa -- ha tentato disperatamente di ridarle
|
||
un'identità ormai perduta, *Stop City* ha il coraggio (o la
|
||
sfrontatezza) d'impostare la questione dell'architettura sul piano della
|
||
città, anziché di risolvere la questione della città sul piano
|
||
dell'architettura. Lo fa assumendo gli effetti sociali della città
|
||
contemporanea (sradicamento, genericità) come propri "attributi politici
|
||
(...) ovvero come la forma stessa del "contropiano" dentro e contro la
|
||
città post-fordista"[^12].
|
||
|
||
*A Simple Heart* prende invece esplicitamente spunto dalle riflessioni
|
||
sugli effetti della società post-fordista condotte da Paolo Virno e
|
||
Giorgio Agamben[^13]. Nel corpo vivo di città come Amsterdam,
|
||
Bruxelles, Düsseldorf, Dogma innesta un'enorme cornice quadrata di 800 ×
|
||
800 m e alta 20 piani che ha lo scopo di "inquadrare" le condizioni
|
||
urbane vigenti (ovvero la trasformazione della città contemporanea in
|
||
una "fabbrica sociale" basata sul lavoro vivo, e dunque sui rapporti che
|
||
si istituiscono al suo interno tra i lavoratori), facendone al tempo
|
||
stesso il dispositivo che rende esplicite tali condizioni. Una
|
||
radicalizzazione della situazione esistente, piuttosto che un tentativo
|
||
di modificarla, che non si mantiene però indifferente nei suoi
|
||
confronti. Ed è interessante che Dogma evochi (come peraltro già fatto
|
||
a proposito di *Stop City*) il concetto di *kathecon* (letteralmente,
|
||
"ciò che trattiene") desunto dal contesto teologico-politico e qui
|
||
reinterpretato come una forza oscillante tra due polarità opposte che
|
||
non si oppone al compimento di un processo ma che lo frena aderendo a
|
||
esso, "proprio come il concavo aderisce (cosí definendolo) al
|
||
convesso"[^14].
|
||
|
||
In maniera tanto chiara da risultare programmatica, in questi progetti
|
||
non c'è né utopia né ironia: lungi dall'essere ipotesi di vita
|
||
alternative a quella corrente sulla base di differenti presupposti
|
||
sociali o architettonici, o dall'essere invece esasperazioni
|
||
caricaturali delle forme di vita metropolitana attuale, essi
|
||
costituiscono riflessioni per parole e immagini sul rapporto tra
|
||
architettura e città, ovvero sulla possibilità che l'architettura torni
|
||
ad avere senso e ruolo nella costruzione della città, e non la città a
|
||
rappresentare il luogo di mera accumulazione dell'architettura. Nel
|
||
fare ciò Aureli e Tattara evitano accuratamente di caricare
|
||
l'architettura da loro proposta di qualsiasi "valore": nessuna
|
||
ridondanza estetica, nessuna articolazione morfologica, al di fuori
|
||
dell'ossessiva ripetizione di forme elementari e perentorie; e
|
||
soprattutto, nessun riguardo per le circostanze effettive del progetto,
|
||
nessuna analisi strutturale o distributiva, quasi nessun dettaglio.
|
||
Nella misura del possibile, un'*astensione* dall'atto progettuale, o
|
||
forse -- ancor meglio -- un'*astrazione* da esso (nel senso in cui si
|
||
usa l'espressione "fare astrazione da qualcosa", intendendo cosí di
|
||
prescindervi); astensione o astrazione che vale però al tempo stesso
|
||
come precisa indicazione del problema: il quale -- con sempre maggiore
|
||
frequenza e insistenza negli ultimi decenni -- può essere identificato
|
||
nella tendenza a ridurre l'architettura a "oggetto" funzionale
|
||
esclusivamente alla creazione -- o al consolidamento -- di un consenso
|
||
intorno a operazioni di natura essenzialmente finanziaria; un oggetto la
|
||
cui inconfondibile "maschera" assume di sovente le fattezze di
|
||
un'iconicità del tutto autoreferenziale.
|
||
|
||
Da questo punto di vista, la rinuncia a una forma "identitaria" a favore
|
||
di una forma "generica" ("un'architettura senza qualità, (...) liberata
|
||
dall'immagine, dallo stile, dall'obbligo della stravaganza, dall'inutile
|
||
invenzione di nuove forme")[^15], assume per Dogma il valore di una
|
||
presa di posizione che non ha nulla a che fare con l'estetica:
|
||
piuttosto, l'esortazione a recuperare all'architettura una dimensione
|
||
urbana, tornando a farne l'elemento di definizione della *forma* della
|
||
città.
|
||
|
||
Non a caso i due autori, a proposito di *Stop City*, parlano di
|
||
"architettura non-figurativa", esattamente come faceva Archizoom a
|
||
proposito di *No-Stop City* (1970-71)[^16]: non un'architettura priva di
|
||
forma, o di "figura", dunque, quanto piuttosto di "figuratività", ossia
|
||
di un'immagine convenzionalmente riconoscibile; in altri termini, si
|
||
potrebbe dire, un'architettura non-rappresentativa, non-oggettiva,
|
||
proprio come lo è l'arte astratta, che è priva di relazioni con le
|
||
apparenze del mondo sensibile; ovvero, nel caso dell'architettura -- in
|
||
quanto arte non mimetica -- con le apparenze del mondo architettonico.
|
||
|
||
In questo duplice principio di "astrazione" è contenuto, sia pure sotto
|
||
forma differente, il medesimo atteggiamento di distacco che -- come
|
||
detto -- caratterizza la ricerca teorica di Aureli: anzi, si può dire
|
||
che ne sia la precisa controparte "operativa". In entrambi i casi la
|
||
"presa-di-distanza" che implicano equivale a una presa di coscienza dei
|
||
presupposti che sono loro sottesi. Detto altrimenti, per Aureli non vi
|
||
può essere progetto -- teorico cosí come architettonico -- che non
|
||
soltanto non analizzi nel modo quanto più obiettivo possibile i processi
|
||
sui quali esso ineluttabilmente si radica, ma che non rifletta al tempo
|
||
stesso sulla propria condizione di necessario distacco/presa-di-distanza
|
||
da essi. Infatti, un progetto che aderisse immediatamente (senza alcuna
|
||
mediazione, ovvero senza alcuna *meditazione*) ai processi, insomma un
|
||
progetto che non si ponesse in una posizione critica (letteralmente: di
|
||
messa in crisi) nei confronti dei loro fondamenti, sarebbe un progetto
|
||
non soltanto radicato in essi ma interamente determinato, *condizionato*
|
||
da essi.
|
||
|
||
A partire da questo punto si sviluppa la riflessione teorica di Aureli:
|
||
affrontando anzitutto la questione dell'autonomia come prima forma di
|
||
distacco. Nel primo libro da lui pubblicato, *The Project of Autonomy*
|
||
(2008), il tema è sviluppato, non a caso, comprendendo in un unico
|
||
abbraccio politica e architettura "Within and Against Capitalism"[^17].
|
||
L'autonomia, di questa simultanea e contraddittoria condizione, è
|
||
l'incarnazione più esatta: al tempo stesso immersa dentro i processi, e
|
||
tuttavia separata da essi. In quanto dotata di un suo proprio *nomos*,
|
||
di una norma regolativa sua propria, l'autonomia garantisce il
|
||
mantenimento di un'indipendenza, anzi, in una certa misura è la forma
|
||
stessa dell'indipendenza, *dentro e contro*.
|
||
|
||
Oggetto di *The Project of Autonomy* sono le modalità secondo cui si
|
||
sono andate determinando posizioni o affermazioni di "autonomia", in
|
||
ambito politico e architettonico, intorno agli anni sessanta e settanta.
|
||
La simultaneità di tali fenomeni non riveste un ruolo secondario
|
||
nell'economia dell'analisi aureliana ma l'aspetto primario è
|
||
rappresentato dalle ragioni che hanno portato a fare dell'autonomia uno
|
||
strumento -- o in certi casi addirittura un'"arma" -- di lotta,
|
||
essenziale all'interno di un ben preciso momento storico.
|
||
|
||
Per quanto riguarda l'ambito politico, la pratica dell'autonomia è
|
||
strettamente conseguente al tentativo di gruppi di intellettuali -- e,
|
||
in misura proporzionalmente assai minore, di lavoratori e studenti -- di
|
||
conferire nuovo rigore e vigore alla lotta di classe, in un momento
|
||
politicamente delicato qual è stato quello attraversato dall'Italia tra
|
||
la fine degli anni cinquanta e i primi sessanta, incertamente teso tra
|
||
boom economico e apertura di un lungo ciclo di crisi. I luoghi in cui
|
||
tale dibattito si sviluppa sono in special modo le riviste
|
||
dell'operaismo "classico": in primo luogo "Quaderni Rossi", nata
|
||
all'inizio degli anni sessanta e segnata nella sua breve vita dalla
|
||
precoce scomparsa del suo fondatore e direttore, Raniero Panzieri[^18];
|
||
quindi "Classe operaia", uscita a partire dal gennaio 1964, in seguito
|
||
alla scissione da "Quaderni Rossi" da parte di Mario Tronti, cui si
|
||
affiancano Alberto Asor Rosa, Sergio Bologna, Massimo Cacciari, Rita Di
|
||
Leo e Antonio Negri; infine "Contropiano", diretta (come già detto) da
|
||
Asor Rosa e Cacciari tra il 1968 e il 1971.
|
||
|
||
In questo frangente storico-politico, l'autonomia si presenta
|
||
innanzitutto come tattica presa di distanza dalle organizzazioni
|
||
ufficiali del movimento operaio: il Partito comunista italiano e i
|
||
sindacati, sopra tutti gli altri. Facendo proprio "il punto di vista
|
||
operaio"[^19], gli operaisti (cui si è già fatto cenno nel capitolo
|
||
precedente) intendevano prendere e dare coscienza della condizione di
|
||
sfruttamento della forza lavoro all'interno del sistema capitalistico,
|
||
non limitata però soltanto alla classe operaia ma estesa anche alla
|
||
borghesia e allo stesso lavoro intellettuale. Al fine di raggiungere
|
||
tale obiettivo, se la riappropriazione dei processi produttivi da parte
|
||
dei lavoratori -- in termini di auto-organizzazione della cooperazione
|
||
del lavoro e di controllo operaio dell'uso delle macchine[^20] --
|
||
inquadra ancora i rapporti tra capitale e forza lavoro entro il recinto
|
||
chiuso della fabbrica, la "strategia del rifiuto"[^21] del lavoro -- e
|
||
dunque l'*autonomia* rispetto a esso -- estende la lotta alla dimensione
|
||
sociale e *totale* che è propria del capitalismo compiuto, e al tempo
|
||
stesso vale come strumento di riconoscimento da parte della forza lavoro
|
||
della propria vera natura. È la separazione della classe lavoratrice
|
||
(non della sola classe operaia) dal lavoro, e quindi dal capitale.
|
||
Ovvero, come afferma Tronti, "è la separazione della forza politica
|
||
dalla categoria economica"[^22]. E non è un caso che, nel processo di
|
||
estensione delle dinamiche originariamente interne alla fabbrica
|
||
all'intera società, si passi dall'*autonomia operaia* (intesa tanto come
|
||
esito di tale separazione quanto come vero e proprio movimento politico
|
||
sorto dalle ceneri dell'operaismo) all'*autonomia del politico*[^23],
|
||
elaborata dallo stesso Tronti "come possibilità di concepire la storia
|
||
della classe operaia (e dunque del Capitale) non solo dal punto di vista
|
||
dell'economia politica, ma anche da quello della politica *tout
|
||
court*"[^24].
|
||
|
||
A tale piano di applicazione del concetto e della pratica dell'autonomia
|
||
corrispondono secondo Aureli altri piani, non tutti direttamente
|
||
collegati all'ambito politico, e ciò nondimeno in un modo o nell'altro a
|
||
esso relazionabili. In tal senso in *The Project of Autonomy* egli
|
||
riconsidera il modo in cui il progetto dell'autonomia ha preso forma
|
||
all'interno del dibattito sull'architettura e sulla città negli anni
|
||
sessanta e settanta attraverso il lavoro teorico di Manfredo Tafuri,
|
||
Aldo Rossi e Archizoom.
|
||
|
||
> Per quanto radicalmente differenti, le posizioni di queste tre figure
|
||
> centrali dell'architettura italiana degli ultimi cinquant'anni hanno
|
||
> condiviso alcuni punti essenziali spesso dimenticati nelle trattazioni
|
||
> storiche che hanno affrontato il loro lavoro. Tra i punti che intendo
|
||
> mettere in evidenza c'è soprattutto la critica alla
|
||
> *professionalizzazione* dell'architettura e al suo ruolo politicamente
|
||
> e culturalmente passivo nei confronti delle dinamiche urbane che
|
||
> allora segnavano l'impetuoso sviluppo economico italiano ed europeo.
|
||
> Inoltre, in modi assai diversi e arrivando a conclusioni opposte tra
|
||
> loro, le teorie di Rossi, Tafuri e Archizoom misero in discussione, in
|
||
> modi più o meno espliciti, l'orizzonte riformista delle politiche
|
||
> urbane del welfare-state, nonché i miti tecnocratici della
|
||
> "programmazione economica" e della città-territorio[^25].
|
||
|
||
In modo particolare, il contributo di Tafuri a un "progetto
|
||
dell'autonomia" può essere fatto risalire al periodo in cui
|
||
"Contropiano" s'impegna in una vasta e approfondita analisi critica dei
|
||
riflessi dello sviluppo capitalistico su diversi contesti e settori
|
||
sociali, inserita all'interno di una prospettiva di classe[^26]. In
|
||
questo quadro s'inscrive il lungo saggio tafuriano *Per una critica
|
||
dell'ideologia architettonica* (1969). "Critica dell'ideologia", in
|
||
questo contesto, significa disvelamento dei meccanismi di assimilazione
|
||
dell'architettura e della città alle leggi della produzione
|
||
capitalistica, ma anche -- e soprattutto -- critica dell'"architetto
|
||
moderno *progressista*, ovvero colui che in buona fede credeva fosse
|
||
possibile riformare la città capitalista senza fare i conti fino in
|
||
fondo con le condizioni in cui essa stessa viene prodotta"[^27]. Alla
|
||
constatazione che "la cultura architettonica ha funzionato
|
||
consapevolmente o inconsapevolmente come forma di sublimazione delle
|
||
sempre più pressanti contraddizioni dello sviluppo urbano"[^28], si
|
||
accompagna dunque per Tafuri la presa di coscienza della necessità di
|
||
rendere la ricerca storica "autonoma dai condizionamenti ideologici
|
||
della professione, soprattutto da quella politicamente
|
||
"impegnata""[^29].
|
||
|
||
Non a caso, in *Per una critica dell'ideologia architettonica* (e poi
|
||
nel successivo *Progetto e utopia* che ne costituisce l'evoluzione in
|
||
volume), Tafuri riserva una particolare attenzione alla figura e
|
||
all'opera di Ludwig Hilberseimer, fino a quel momento marginalizzate
|
||
dalla storiografia architettonica. È in esse infatti che egli scorge il
|
||
superamento delle "illusioni" legate alla produzione di edifici come
|
||
"oggetti" isolati e il riconoscimento della città quale "unità reale del
|
||
ciclo di produzione"[^30]: a fronte della quale, per Hilberseimer,
|
||
"unico compito adeguato per l'architetto è quello dell'*organizzatore*
|
||
di quel ciclo". Alla luce di ciò, "autonomia" giunge a significare
|
||
capacità di affrontare radicalmente le condizioni in cui il capitalismo
|
||
produce se stesso, senza pensare di poterle eludere.
|
||
|
||
Differente la concezione dell'autonomia per Aldo Rossi. Nel 1966, con
|
||
*L'architettura della città*, egli propone "una teoria della città dal
|
||
punto di vista dell'architettura"[^31], secondo l'interpretazione di
|
||
Aureli. Non si tratta di una semplice rivendicazione disciplinare,
|
||
quanto piuttosto del tentativo di rileggere la realtà della città
|
||
attraverso un'"evidenza" storica apparentemente venuta meno agli occhi
|
||
dei suoi contemporanei: l'evidenza dei "fatti urbani" come insieme di
|
||
oggetti concreti, finiti, definiti, costituiti in ultima analisi di
|
||
"materia" architettonica. Detto con le parole di Rossi:
|
||
"... l'architettura non rappresenta che un aspetto di una realtà più
|
||
complessa, di una particolare struttura, ma nel contempo, essendo il
|
||
dato ultimo verificabile di questa realtà, essa costituisce il punto di
|
||
vista più concreto con cui affrontare il problema"[^32] della città. Da
|
||
ciò discende un modo di intendere l'autonomia dell'architettura che Ezio
|
||
Bonfanti, primo esegeta di Rossi, interpreterà correttamente non come
|
||
"libertà dell'architettura" bensì come libertà *per* l'architettura,
|
||
ovvero come "liberazione della città all'architettura"[^33].
|
||
|
||
Il progetto dell'autonomia rossiano, in questo senso, va considerato un
|
||
progetto *politico*, che prende posizione, e perciò niente affatto
|
||
neutrale; un progetto in cui decisione politica e forma urbana
|
||
dovrebbero coincidere, in cui l'architettura dovrebbe entrare "come
|
||
*parte* contro il *tutto* organico della città". Una "città fatta di
|
||
*luoghi*, di fatti singolarmente individuati dentro il piano continuo
|
||
dell'urbanizzazione"[^34]. Il concetto di luogo assume un ruolo
|
||
determinante nella teoria rossiana della città proprio in virtú del suo
|
||
carattere "discretizzante": il luogo si distingue sempre per la propria
|
||
finitezza e parzialità, e in quanto portatore di *differenze*. Per
|
||
Rossi il luogo -- il *locus* -- è il prodotto del rapporto esistente
|
||
"tra una certa situazione locale e le costruzioni che stanno in quel
|
||
luogo"[^35]. Tale rapporto -- definito da Rossi "singolare eppure
|
||
universale" -- ha a che vedere con la memoria collettiva tanto quanto,
|
||
per altri versi, ha a che vedere con il monumento. Ed è in questa
|
||
chiave che Aureli rilegge il progetto *Locomotiva 2* di Rossi, Polesello
|
||
e Luca Meda per il Centro direzionale di Torino (1962): un grande
|
||
edificio a corte (una forma chiusa, emblematicamente contrapposta alle
|
||
forme aperte cui si ispiravano le megastrutture e i progetti legati alla
|
||
"grande dimensione" e alla "città-territorio" elaborati in quel
|
||
periodo)[^36] che si impone all'interno della città per la sua natura di
|
||
monumento, associato non a caso alla Mole Antonelliana e al Lingotto di
|
||
Giacomo Mattè-Trucco.
|
||
|
||
> Il colossale edificio sospeso su una grande piazza non solo
|
||
> concentrava l'intero programma in una forma chiusa che non avrebbe
|
||
> permesso la sua eventuale espansione, ma, attraverso le sue dimensioni
|
||
> e la sua forma cosí singolarmente individuata, rendeva esplicita la
|
||
> posizione e il significato del nuovo centro direzionale della
|
||
> città[^37].
|
||
|
||
Per quanto non immune da nostalgie "neoclassiciste" o da tentazioni
|
||
"totalitarie", il progetto *Locomotiva 2* è la dimostrazione del modo in
|
||
cui, secondo Rossi, l'architettura avrebbe potuto farsi al tempo stesso
|
||
luogo e monumento, tornando cosí ad assumere il valore di architettura
|
||
*della* città, capace di esprimere la propria positiva autonomia[^38].
|
||
|
||
Nel caso del gruppo fiorentino Archizoom, infine, la questione
|
||
dell'autonomia dell'architettura si mescola esplicitamente alla
|
||
riflessione sull'autonomia politica elaborata nel corso degli anni
|
||
sessanta e settanta dal pensiero operaista, che essi provano a tradurre
|
||
in una proposta progettuale, sia pur estrema. Il presupposto da cui
|
||
muove Archizoom è che "la città moderna "nasce nel Capitale" e si
|
||
sviluppa all'interno della sua logica"[^39]. Pertanto i progetti del
|
||
gruppo mostrano un'"adesione totale ed enfatica alle condizioni
|
||
esistenti della città capitalista nella quale l'architettura non doveva
|
||
riformare, bensì radicalizzare le condizioni esistenti"[^40]. Si tratta
|
||
in una certa misura di un'attitudine *realista*, nel senso in cui lo è
|
||
-- nota Aureli -- la pop art che gli stessi membri di Archizoom
|
||
riprendono esplicitamente, soprattutto nei loro primi progetti: "Per
|
||
Archizoom la pop art rappresentava l'emergere di una cultura estetica
|
||
distruttiva dentro e contro l'estetica borghese". Ed è proprio un
|
||
"realismo pop", ossessivamente ripetitivo, di stampo warholiano (in
|
||
nulla imparentato, dunque, con il *neo*-realismo prevalente in Italia
|
||
nel corso del ventennio precedente) quello che Archizoom utilizza per
|
||
caratterizzare il Piano abitativo continuo e i Residential Parkings
|
||
della *No-Stop City*:
|
||
|
||
> L'estensione infinita dei "parcheggi residenziali" rappresentava il
|
||
> compimento estremo dello sviluppo capitalista e, al tempo stesso, il
|
||
> momento in cui lo sviluppo -- con la sua sovrabbondanza di merci e di
|
||
> conoscenza connessa ai processi di produzione -- avrebbe messo in
|
||
> crisi proprio la dipendenza dal lavoro salariato e dal suo apparato
|
||
> sociale e politico. Per questo la *No-Stop City* era proposta da
|
||
> Archizoom come l'antitesi dell'edilizia sociale che, dietro la
|
||
> facciata benevola dell'assistenza sociale, manteneva un regime di
|
||
> scarsità calcolata, strumentale a preservare la necessità del lavoro.
|
||
> La *No-Stop City* avrebbe dovuto essere intesa non come un'utopia ma
|
||
> come un esperimento nel quale tendenze già in atto venivano portate
|
||
> alle estreme conseguenze per verificarne gli effetti politici. La
|
||
> *No-Stop City* era dunque un progetto *propositivo* solo nella misura
|
||
> in cui rendeva intelligibili le condizioni stesse della città
|
||
> capitalista[^41].
|
||
|
||
La riproduzione infinita delle residenze assimilate a "parcheggi", cosí
|
||
come quella degli altri spazi che compongono la *No-Stop City*,
|
||
direttamente desunti dai modelli per eccellenza della società
|
||
capitalista -- la fabbrica e il supermarket --, nel costituirne
|
||
l'apparente affermazione, significa in realtà per Archizoom liberare la
|
||
città dall'architettura (ovvero l'esatto contrario di quanto affermato
|
||
da Bonfanti, citato in precedenza). Liberarsi dell'architettura
|
||
equivale a rifiutarne ogni valore simbolico-rappresentativo,
|
||
riportandola esclusivamente ai meccanismi della sua produzione; ciò che
|
||
comporta far evolvere la città capitalista fino alle sue conseguenze
|
||
ultime. "Solo in questo modo -- afferma Archizoom -- possiamo
|
||
interrompere la continuità del sistema produttivo e l'insieme dei suoi
|
||
collegamenti"[^42]. Al massimo di integrazione (vale a dire di
|
||
alienazione) sarebbe dunque corrisposto il massimo di possibilità di
|
||
libertà.
|
||
|
||
Di non minore importanza, agli occhi di Aureli -- e in realtà
|
||
strettamente connesso alle questioni precedenti -- è il fatto che
|
||
Archizoom, come per altri versi Tafuri,
|
||
|
||
> ... aprirono per l'architettura lo spazio di una critica irriducibile,
|
||
> ovvero di un'autonomia della critica dall'ideologia della città che,
|
||
> (...) nel caso di Archizoom, divenne autonomia del progetto dalla sua
|
||
> realizzazione costruita[^43].
|
||
|
||
Ed è proprio nella "validità in sé del progetto come *teoria*"[^44] che
|
||
per Aureli pare racchiudersi il senso più profondo del progetto
|
||
dell'autonomia: l'autonomia stessa della teoria. Nelle pagine finali di
|
||
*The Project of Autonomy*, Aureli si pone -- e pone al lettore -- una
|
||
domanda: "Perché tornare a considerare *il progetto
|
||
dell'autonomia*?"[^45]. La domanda apre ad alcune considerazioni che
|
||
(retrospettivamente) cercano di porre la lettura del libro in una
|
||
corretta prospettiva. Innanzitutto, spiega Aureli, il libro non va
|
||
letto in chiave post-moderna, come celebrazione della post-politica che
|
||
ha trionfato a partire dalla fine degli anni settanta. Nel prendere le
|
||
distanze da questa possibile interpretazione, egli dichiara la propria
|
||
affinità con le figure trattate nel libro e la propria adesione alle
|
||
posizioni da loro sostenute. Tale "presa di partito" sposta
|
||
completamente il significato di *The Project of Autonomy*, che
|
||
altrimenti potrebbe essere letto come un saggio storico distaccato,
|
||
"oggettivo", teso semplicemente a ricostruire un periodo circoscritto
|
||
della recente vicenda italiana e, all'interno di esso, una specifica
|
||
"attitudine" politica declinata in vari ambiti e secondo modalità
|
||
differenti. E invece, a fianco di tale ricostruzione, che impegna in
|
||
realtà la gran parte della trattazione, nelle righe finali del libro
|
||
Aureli riconosce la *sconfitta* che il progetto dell'autonomia ha dovuto
|
||
subire; una sconfitta impartitagli
|
||
|
||
> ... dal capitalismo che negli ultimi anni ha costretto la sinistra ad
|
||
> abbandonare tutto il suo bagaglio storico e culturale, a cominciare
|
||
> dalle sue parole chiave come conflitto, classe e, appunto,
|
||
> capitalismo[^46].
|
||
|
||
Non è compito né intento di Aureli analizzare le cause e le conseguenze
|
||
di questa sconfitta. Ciò che si ripromette è invece qualcosa di ancora
|
||
più difficile: provare a individuare una via d'uscita dall'impasse di
|
||
una cultura (politica non meno che architettonica) che si trovi a fare i
|
||
conti con la scomparsa di qualsiasi ideale alternativo alla realtà del
|
||
capitalismo, e conseguentemente al trionfo di quest'ultimo. Per farlo,
|
||
scrive, "diventa urgente e necessario cercare nuovi modi di pensare e
|
||
costruire una nuova soggettività politica". Ed è alla luce di ciò che
|
||
la lezione dell'operaismo (comprese le sue rielaborazioni in ambito
|
||
architettonico compiute nel corso degli anni sessanta e settanta), da
|
||
cui il filone principale del progetto dell'autonomia discende, torna a
|
||
essere utile:
|
||
|
||
> La lezione che oggi possiamo trarre dal lavoro di Tafuri, Rossi e
|
||
> Archizoom va al di là di facili *repêchage* e indica che nella
|
||
> *teoria* vi è qualcosa di irriducibile alla pratica dell'architettura
|
||
> come professione[^47].
|
||
|
||
L'autonomia della teoria, in questo senso, non vale soltanto come
|
||
un'indicazione metodologica ma assume un valore paradossalmente
|
||
*operativo*. All'interno del "contesto" del capitalismo quale unico
|
||
orizzonte di realtà attualmente possibile, la teoria assume la
|
||
fondamentale funzione di disinnescare la "coazione ad agire" e a
|
||
svilupparsi in concreto, che è propria di questo, fornendo una
|
||
prospettiva diversa, quantomeno pensabile. Da questo punto di vista,
|
||
l'architettura intesa in senso teorico può rappresentare una "forma di
|
||
conoscenza", un "modo di comprendere le cose" in cui è in gioco la
|
||
possibilità di pensare, criticare e persino "cambiare lo spazio in cui
|
||
viviamo". *Dentro* la realtà del capitalismo e al tempo stesso *contro*
|
||
di esso.
|
||
|
||
Il secondo libro pubblicato da Aureli, *The Possibility of an Absolute
|
||
Architecture*[^48], declina in una seconda accezione la tematica del
|
||
distacco. Lo fa avendo il coraggio di riaccostarsi ancora una volta ai
|
||
luoghi *più* comuni della disciplina architettonico-urbanistica;
|
||
mantenendosi distante dall'usanza, assai diffusa negli ultimi anni, di
|
||
"creare" nuovi concetti per cercare di spiegare una realtà contemporanea
|
||
spesso vista come inesorabilmente "mutante" rispetto al passato, e
|
||
dunque del tutto inconciliabile con questo; ma al tempo stesso senza
|
||
cedere alla tentazione -- altrettanto diffusa e frequente -- di
|
||
rifugiarsi nella sterile negazione della realtà, o di farsi paladino di
|
||
una critica programmaticamente "contro"[^49].
|
||
|
||
Non soltanto la gran parte dei progetti e degli oggetti architettonici
|
||
scelti da Aureli per sostenere il proprio discorso sono tra i più noti e
|
||
citati dalla storia e dalla critica architettonica, ma anche i concetti
|
||
e i termini a cui egli fa ricorso sono tra i più "basilari" e consueti
|
||
in questo settore: a partire dal campo stesso d'indagine da lui preso in
|
||
considerazione, il territorio che abbraccia architettura e città.
|
||
|
||
È proprio su questo terreno che si lasciano misurare fin da subito il
|
||
coraggio e la "portata" del libro di Aureli: esso infatti prova a
|
||
ristabilire un nesso intrinseco tra architettura e città, non più però
|
||
sulla scorta delle "ragioni" morfologico-tipologiche che ormai
|
||
cinquant'anni fa avevano guidato le ricerche, tra gli altri, di Aldo
|
||
Rossi e Carlo Aymonino. E neppure lo fa ricorrendo ad alcuna delle
|
||
tante "sociologie della città" (o della metropoli) correnti ai nostri
|
||
giorni. È piuttosto dalle categorie del "politico" e del "formale" --
|
||
categorie fondative e in una certa misura "preliminari" rispetto al
|
||
campo considerato -- che il suo discorso prende le mosse. Nel primo
|
||
capitolo, *Toward the Archipelago*, lasciando momentaneamente da parte
|
||
gli "avanzamenti" e gli "aggiornamenti" disciplinari, Aureli fa ritorno
|
||
ai fondamenti. E sono le parole, anzitutto, che egli interroga alla
|
||
ricerca del loro senso perduto, o rimosso. A partire dall'etimologia di
|
||
*ab-solutus* (sciolto da), l'aggettivo che qualifica la sua *idea* di
|
||
architettura: "qualcosa che è risolutamente se stesso dopo che è stato
|
||
"separato" dal suo altro"[^50]. Da ciò discende che "la condizione
|
||
effettiva della forma architettonica è di separare ed essere separata".
|
||
|
||
Aureli palesemente non è interessato all'aspetto formale
|
||
dell'architettura in senso estetico-figurativo: ciò che vuole mettere in
|
||
luce è la natura finita della *form*, non la sua *shape*. Il problema
|
||
della forma è dunque quello stesso del *limite*. Come già cent'anni fa
|
||
rilevava Georg Simmel:
|
||
|
||
> Il segreto della forma sta nel fatto che essa è confine; essa è la
|
||
> cosa stessa, e nello stesso tempo, il cessare della cosa, il
|
||
> territorio circoscritto in cui l'Essere e il Non-più-essere sono una
|
||
> cosa sola[^51].
|
||
|
||
Assumere come punto di partenza del discorso su architettura e città la
|
||
questione della forma *in quanto limite* significa additare come
|
||
fondamentale la questione delle *differenze*. I limiti infatti *sono*
|
||
le differenze. "Nel suo separare ed essere separata, l'architettura
|
||
rivela *in uno* l'essenza della città e la propria stessa essenza come
|
||
forma politica: la città come composizione di parti (separate)"[^52].
|
||
Il legame tra architettura e città, allora, non è qualcosa che
|
||
scaturisce dall'assunzione di uno specifico punto di vista interno alla
|
||
disciplina, quanto piuttosto qualcosa che appartiene già da sempre --
|
||
*ontologicamente* -- alla relazione dialettica che connette tra loro le
|
||
componenti che vi entrano in gioco. Questo legame si dà nella forma
|
||
della "composizione delle differenze"[^53]. In ciò consiste, in
|
||
definitiva, la città: architetture conviventi nel loro radicale
|
||
differire. E qui le differenze non vanno intese tanto in senso
|
||
tipologico o funzionale bensì in senso *formale*, come *oggettivazione
|
||
di un limite*.
|
||
|
||
Per Aureli l'idea di un'architettura *assoluta* si traduce
|
||
"concretamente" in una serie di isole chiare e distinte, relazionate tra
|
||
loro nella forma dell'*arcipelago*. La parola "arcipelago" non è certo
|
||
inedita nell'ambito del discorso architettonico e urbano degli ultimi
|
||
anni. Prima di lui l'avevano utilizzata tra gli altri -- a diverso
|
||
titolo e con diverse accezioni -- architetti come Oswald Mathias Ungers,
|
||
il giovane Koolhaas, studiosi come Colin Rowe, ma pure filosofi come
|
||
Massimo Cacciari[^54]. E tuttavia, nell'impiego che egli ne fa non vi è
|
||
traccia di alcuna sudditanza nei confronti di tali autori (che pure
|
||
cita), né alcuna dipendenza da "ricuperi" più o meno recenti o alla moda
|
||
di essi; anzi, proprio il fatto di impiegarla dimostra la sua totale
|
||
indifferenza nei confronti di questi.
|
||
|
||
D'altronde, per lui quella dell'arcipelago non è affatto una metafora,
|
||
un'espressione figurata da lasciar cadere non appena questa abbia finito
|
||
di svolgere il compito di portare là dove si voleva essere condotti.
|
||
Semmai egli intende l'arcipelago come un "archetipo", un paradigma
|
||
spaziale che, fin dalla Grecia antica, esprime una ben precisa (benché
|
||
non aprioristicamente definita) relazione tra corpi: una pluralità di
|
||
enti differenti (sia pure tra di loro congeneri), più o meno raggruppati
|
||
o sparpagliati, ma in qualunque caso *discontinui*: "Il concetto
|
||
dell'arcipelago descrive una condizione in cui le parti sono separate
|
||
ancorché unite dal terreno comune della loro giustapposizione"[^55]. È
|
||
questa condizione topologica che Aureli pensa come nesso essenziale tra
|
||
architettura e città, e in ultima analisi come forma stessa della città.
|
||
|
||
Ma in quale senso va inteso quest'ultimo termine? Ben lungi dall'essere
|
||
utilizzato in modo casuale o generico, anche il termine "città", nel
|
||
libro di Aureli, viene vagliato sotto il profilo etimologico nelle sue
|
||
diverse versioni: *polis*, *civitas* e *urbs*. E se la *polis* greca
|
||
raccoglie entro i suoi limiti dati i *polites* che la abitano come una
|
||
comunità omogenea per *genos*, *logos* ed *ethos*; se la *civitas*
|
||
romana equivale alla somma dei suoi *cives*, che hanno tra loro in
|
||
comune il "diritto" di occupare lo spazio che li ospita, è invece
|
||
l'*urbs* a incarnare nel modo più compiuto la costruzione materiale
|
||
della città:
|
||
|
||
> Mentre la *polis* greca era la città strettamente circoscritta entro
|
||
> il suo perimetro murato, l'*urbs* romana non era pensata per essere
|
||
> limitata, e di fatto si è espansa nella forma di un'organizzazione
|
||
> territoriale, in cui le strade hanno giocato un ruolo cruciale[^56].
|
||
|
||
Sarà proprio l'*urbs*, infatti, a divenire nel corso della storia la
|
||
"specie" di città planetariamente dominante, e addirittura l'unico
|
||
modello di aggregazione umana apparentemente possibile. Ildefons Cerdà,
|
||
l'ingegnere e urbanista iberico del XIX secolo, ha introdotto per la
|
||
prima volta il termine "urbanizzazione" per esprimere la condizione di
|
||
illimitatezza e la completa integrazione di movimento e comunicazione
|
||
determinata dal capitalismo. È questo "vasto e turbinante oceano di
|
||
persone, di cose, di interessi di ogni sorta, di migliaia di elementi
|
||
diversi"[^57], secondo le sue parole, che definisce con esattezza la
|
||
realtà delle città odierne, il loro *status* di metropoli *oltre* la
|
||
metropoli, senza più centro o periferia.
|
||
|
||
> L'essenza dell'urbanizzazione è dunque la distruzione di ogni limite,
|
||
> confine o forma che non sia l'infinita, compulsiva ripetizione della
|
||
> propria stessa riproduzione e il conseguente meccanismo di controllo
|
||
> totalizzante che garantisce questo processo di infinitezza[^58].
|
||
|
||
È in opposizione al mare dell'urbanizzazione, dilagante a macchia d'olio
|
||
e di fatto ormai sconfinata, che Aureli propone la sua idea di città:
|
||
che, se non si limita a confermare le condizioni attualmente esistenti,
|
||
non coltiva però neanche alcuna illusione di poter ricreare le
|
||
condizioni di esistenza di una *polis* organica. La città-arcipelago
|
||
non è pensata in alternativa alla realtà dell'urbanizzazione ("non c'è
|
||
via di ritorno dall'urbanizzazione")[^59]: semmai come integrativa di
|
||
essa. In questo senso, nella concezione di Aureli, la città-arcipelago
|
||
risulta inevitabilmente immersa nel mondo dell'urbanizzazione, e
|
||
affiorante da esso nella forma di un sistema discreto di architetture
|
||
finite, limitate, distinte; isole, appunto, che non arrivano mai
|
||
tuttavia a costituire un intero.
|
||
|
||
Si tratta di un'idea di architettura che reagisce criticamente alla
|
||
realtà dell'urbanizzazione, un'idea per formulare la quale Aureli arriva
|
||
a equiparare le categorie -- tra di loro apparentemente estranee -- del
|
||
"politico" e del "formale"[^60] quali espressioni entrambe del *limite*.
|
||
|
||
> Il politico ha luogo nella decisione in merito a come articolare la
|
||
> relazione, lo spazio *infra*, lo spazio *in between*. Lo spazio *in
|
||
> between* è un aspetto costitutivo del concetto di forma, fondato sulla
|
||
> contrapposizione delle parti. Cosí come non c'è un modo per pensare
|
||
> il politico all'interno dell'uomo stesso, non c'è neppure un modo per
|
||
> pensare lo spazio *in between* in se stesso. Lo spazio *in between*
|
||
> può materializzarsi soltanto come uno spazio di confronto tra le
|
||
> parti. La sua esistenza può essere decisa soltanto dalle parti che
|
||
> formano i suoi margini[^61].
|
||
|
||
A un capitolo a carattere eminentemente teoretico e fondativo ne seguono
|
||
altri quattro dedicati ad altrettanti "casi" storici: l'architettura di
|
||
Palladio e il progetto di una città anti-ideale; il Campo Marzio di
|
||
Piranesi *versus* la pianta di Roma del Nolli; l'architettura di Boullée
|
||
come "stato di eccezione"; l'idea di *City within the City* in Ungers e
|
||
Koolhaas. In questi capitoli Aureli mostra una solida conoscenza
|
||
dell'architettura e della sua storia. Ma non è strettamente da questo
|
||
punto di vista che vanno letti. La ragione di tali approfondimenti non
|
||
è quella di presentare documenti "inediti" o di fornire nuove
|
||
interpretazioni di cose già note. Essi piuttosto sono funzionali al
|
||
discorso di Aureli, che in questo modo cerca nel passato gli "indizi
|
||
probatori" -- o piuttosto gli adeguati "sostegni" -- della propria
|
||
teoria.
|
||
|
||
Non mancano, in questi capitoli, alcune forzature (basti pensare -- a
|
||
titolo esemplificativo -- all'applicazione alle architetture disegnate
|
||
di Boullée della categoria schmittiana-agambeniana dello "stato di
|
||
eccezione")[^62]. Sarebbe tuttavia pedante, oltreché in fondo inutile,
|
||
rimproverare ad Aureli un uso troppo disinvolto della storia, dal
|
||
momento che è proprio un uso troppo rigido e poco interessante della
|
||
storia che si può e si *deve* spesso rimproverare agli storici "di
|
||
professione". Le "forzature" di Aureli vanno dunque lette come
|
||
positivamente strumentali alla sua costruzione teorica, non diversamente
|
||
da quanto si potrebbe fare con alcuni testi di Robert Venturi, Peter
|
||
Eisenman o Rem Koolhaas, dove la storia è dichiaratamente -- e in fondo
|
||
non illegittimamente -- reinterpretata in chiave contemporanea.
|
||
|
||
La *finitio* classica palladiana, la sommatoria di edifici privi di
|
||
"tessitura" urbana del Campo Marzio piranesiano, la sequenza di edifici
|
||
pubblici monumentali di Boullée come "progetto per una metropoli", la
|
||
città "fatta di isole" dei progetti di Ungers, servono tutte ad Aureli
|
||
per dimostrare l'esistenza storica del rapporto tra architettura e città
|
||
nel medesimo senso in cui egli stesso lo afferma.
|
||
|
||
L'indicazione immediata che scaturisce da tutto ciò è la necessità di un
|
||
radicale ripensamento dell'architettura rispetto alla logica che informa
|
||
gli edifici "iconici" contemporanei: *landmarks* "solisti" che si
|
||
inseriscono perfettamente nella trama senza fine dell'urbanizzazione.
|
||
Contro tale logica, Aureli propone come modello di architettura per la
|
||
città-arcipelago l'isolamento e l'innalzamento dell'edificio sopra un
|
||
basamento (*plinth*), come dimostrativamente illustrato nel progetto
|
||
koolhaasiano *The City of the Captive Globe* (1972), o come
|
||
insistentemente ribadito nella gran parte dei progetti e degli edifici
|
||
di Mies van der Rohe. È proprio da una rilettura in tal senso delle
|
||
opere miesiane -- dal Padiglione di Barcellona (1929) alla
|
||
Nationalgalerie di Berlino (1962-68), passando per il Seagram Building
|
||
di New York (1954-58) -- che Aureli trae il miglior paradigma
|
||
*realizzato* della propria teoria e che la tesi del libro trova una sua
|
||
persuasiva conferma: "I basamenti di Mies reinventano lo spazio urbano
|
||
come un arcipelago di artefatti urbani definiti"[^63]. E ancora:
|
||
|
||
> Il basamento introduce un arresto nella fluidità dello spazio urbano,
|
||
> evocando cosí la possibilità di comprendere lo spazio urbano non come
|
||
> ubiquo, pervasivo e tirannico, bensì come qualcosa che può essere
|
||
> inquadrato, limitato, e in tal modo potenzialmente situato come cosa
|
||
> tra altre cose[^64].
|
||
|
||
La lezione di Mies viene cosí assunta per la sua capacità di definire
|
||
un'architettura che è al tempo stesso "un'attitudine particolare nei
|
||
confronti della città". Secondo Aureli, questa attitudine a inquadrare
|
||
e a delimitare deve essere sviluppata "sia come forma materiale di
|
||
architettura sia come principio politico di progettazione"[^65].
|
||
|
||
È una tale attitudine che, opponendosi alla generalizzata
|
||
omogeneizzazione contemporanea, ovvero alla "confusione" delle
|
||
differenze (o piuttosto, alla loro insistente e colpevole negazione),
|
||
rende possibile quella *composizione delle differenze* che si è citata
|
||
più sopra. In questo senso,
|
||
|
||
> ... l'architettura assoluta come forma finita non è semplicemente
|
||
> l'affermazione tautologica dell'oggetto in quanto tale; è anche il
|
||
> paradigma per una città non più guidata da un *ethos* di espansione e
|
||
> inclusione bensì dall'idea positiva di limiti e confronto[^66].
|
||
|
||
È su questo piano che architettura e città tornano a trovare un punto di
|
||
incontro necessario:
|
||
|
||
> La parte è *assoluta*; essa sta in solitudine, ma assume una posizione
|
||
> rispetto al tutto dal quale è stata separata. L'architettura
|
||
> dell'arcipelago deve essere un'architettura assoluta, un'architettura
|
||
> definita dalla -- e che rende chiara la -- presenza dei *limiti* che
|
||
> definiscono la città[^67].
|
||
|
||
Ed è ugualmente su questo piano che "formale" e "politico" s'incontrano
|
||
e dimostrano di poter costituire una cosa sola.
|
||
|
||
> Invece di sognare una società perfettamente integrata che può essere
|
||
> ottenuta soltanto come supremo compimento dell'urbanizzazione e del
|
||
> suo *avatar*, il capitalismo, un'architettura assoluta deve
|
||
> riconoscere la separatezza politica che potenzialmente si può
|
||
> manifestare, nel mare dell'urbanizzazione, attraverso i confini che
|
||
> definiscono la possibilità della città.
|
||
|
||
È qui -- più e meglio che altrove -- che si lascia riconoscere il già
|
||
ricordato coraggio di Aureli: nell'affermare, oggi, la *separatezza*
|
||
(ovvero, ancora una volta, la differenza) come un valore *politico*, non
|
||
*anti*-politico: l'unico -- l'ultimo -- modo, forse, per poter stare
|
||
*insieme* davvero. L'identico coraggio che lo porta a sostenere,
|
||
nell'ormai completo e generalizzato asservimento delle idee alla loro
|
||
"verifica" pratica, l'*autonomia della teoria*. In questo senso, se con
|
||
*The Possibility of an Absolute Architecture* egli definisce con tutta
|
||
evidenza il campo operativo in cui si muove come architetto, è
|
||
significativo però che rinunci a presentare nel libro i propri progetti:
|
||
una rinuncia che è nel contempo la miglior "dimostrazione" *in azione*
|
||
del suo stesso discorso sul limite.
|
||
|
||
La terza riflessione che Aureli affida a un sia pur piccolo volume ruota
|
||
intorno ai medesimi concetti di distacco e rinuncia, declinati con
|
||
accenti ancora una volta diversi. Rispetto ai due precedenti, *Less Is
|
||
Enough* è non soltanto un libro molto più agile, ma anche assai meno
|
||
focalizzato sull'architettura; questo aspetto però -- ben lungi dal
|
||
rappresentare un'indebita deviazione dal "percorso principale", o
|
||
addirittura una negazione di esso -- costituisce invece la riprova
|
||
dell'ampiezza del discorso *intellettuale* di Aureli[^68].
|
||
|
||
"Per molti anni *less is more* è stato il tormentone del
|
||
minimalismo"[^69]: l'*incipit* del libro prende le mosse dalla notissima
|
||
frase citata da Ludwig Mies van der Rohe nel corso di un'intervista del
|
||
1959. La ragione per cui Aureli ritorna su un *topos* tanto frequentato
|
||
e tanto citato (spesso a sproposito) dalla cultura architettonica è
|
||
quella che "in anni recenti, e specialmente a partire dalla recessione
|
||
economica del 2008, l'attitudine per il *less is more* è nuovamente
|
||
tornata di moda". Non a caso, dopo i fasti degli anni novanta e
|
||
dell'inizio del XXI secolo, segnato dalla proliferazione di edifici
|
||
iconici, la riduzione delle risorse e dei budget si è tradotta per
|
||
alcuni architetti nella scelta di una maggiore austerità formale, e per
|
||
altri in un approccio più attento al sociale. Ciò che accomuna tali due
|
||
atteggiamenti -- pur tra di loro diversi -- è l'opportunità di "fare di
|
||
più con meno", ciò che rende il *less is more* un imperativo economico,
|
||
più ancora che estetico.
|
||
|
||
> All'interno della storia del capitalismo *less is more* definisce i
|
||
> vantaggi della riduzione dei costi di produzione. I capitalisti hanno
|
||
> sempre cercato di ottenere di più con meno. Il capitalismo non è
|
||
> soltanto un processo di accumulazione ma anche, e specialmente,
|
||
> l'incessante ottimizzazione del processo produttivo verso una
|
||
> situazione in cui *meno* investimento di capitale equivale a più
|
||
> accumulazione di capitale[^70].
|
||
|
||
In una situazione di crisi economica, ciò che il capitale domanda è più
|
||
lavoro per meno denaro, più creatività con meno sicurezza sociale.
|
||
|
||
La condizione di ristrettezza economica e la propensione estetica per il
|
||
*less is more* sembrano convergere nella tradizione dell'ascetismo.
|
||
Questo termine (dal greco *askein*, esercizio, auto-addestramento)
|
||
indica comunemente, in ambito religioso, il ritiro dal mondo, la pratica
|
||
dell'astinenza dai piaceri mondani, propria degli eremiti e dei monaci.
|
||
In anni più recenti "l'ascetismo è stato invece identificato come la
|
||
fonte ideologica e morale dell'idea di austerità"[^71]. In senso
|
||
secolare, l'ascetismo equivale alla libertà dalle distrazioni mondane al
|
||
fine di dedicarsi interamente all'etica del lavoro e della produzione.
|
||
Questa seconda versione dell'ascetismo per Max Weber sta a fondamento
|
||
dell'etica del capitalismo[^72]. Come egli spiega, con il calvinismo si
|
||
registra l'uscita dell'ascetismo dai confini del monastero e la sua
|
||
trasformazione in una mentalità diffusa nelle città. L'ascetismo si
|
||
avvia in tal modo a divenire la disciplina di una razionalità etica
|
||
destinata a costituire il fondamento dello stile di vita borghese, e in
|
||
quanto tale a rappresentare il vero "spirito" del capitalismo.
|
||
|
||
Pur considerando questa lettura dell'ascetismo, Aureli ne abbraccia una
|
||
differente: "proprio perché la pratica dell'ascetismo persegue la
|
||
trasformazione del sé, sostengo che esso può essere sia un mezzo di
|
||
oppressione che una forma di resistenza al potere soggettivo del
|
||
capitalismo"[^73]. Nell'ascetismo i soggetti si focalizzano sulla loro
|
||
vita come il cuore della loro pratica, strutturandola in accordo con una
|
||
forma autodeterminata fatta di specifiche abitudini e regole. Di
|
||
conseguenza anche l'architettura che è connessa con questa pratica non è
|
||
focalizzata sulla rappresentazione ma sulla vita stessa, sul *bios*,
|
||
come il più generico substrato dell'esistenza umana. Lo stesso sviluppo
|
||
dell'architettura moderna, attenta all'igiene, al comfort e al controllo
|
||
sociale, è stata guidata da una logica biopolitica. Ma è soprattutto
|
||
nella storia del monachesimo, dove l'architettura del monastero era
|
||
espressamente progettata per definire la vita in tutti i suoi dettagli
|
||
più immanenti, che l'ascetismo trova il suo più significativo
|
||
compimento. Alle origini il principale proposito dell'ascetismo
|
||
monastico era di ottenere "una forma di reciprocità tra soggetti liberi
|
||
dal contratto sociale imposto dalle forme di potere"[^74], ed è sulla
|
||
scorta di questa possibilità che Aureli si domanda se l'ascetismo possa
|
||
condurci a un tipo di vita differente da quella imposta oggi dalle
|
||
società dominanti.
|
||
|
||
Nel prendere in considerazione questa possibilità, Aureli evidenzia come
|
||
l'ascetismo sia una pratica del sé, prima ancora di essere
|
||
esplicitamente rivolta al culto religioso; una pratica che in modo
|
||
intrinseco mette in questione le condizioni sociali e politiche date,
|
||
alla ricerca di un modo differente di vivere la propria vita. Del
|
||
resto, anche la scelta della vita monacale costituiva "un modo di
|
||
rifiutare l'integrazione della fede cristiana nelle istituzioni di
|
||
potere"[^75]. La radicale critica del potere condotta dal monachesimo
|
||
delle origini si manifestava sotto forme di opposizione non violenta:
|
||
come il rifiuto della casa e di qualsiasi ruolo all'interno della
|
||
società, e più in generale come un pacifico distacco.
|
||
|
||
Nell'evoluzione del monachesimo si registra il passaggio dalla
|
||
solitudine eremitica alla vita cenobitica (cenobio = *koinos bios*, vita
|
||
comune), in cui i monaci vivono nello stesso luogo e condividono la
|
||
stessa regola. Nel monastero la vita in comune non contraddice la
|
||
possibilità di stare da soli. "La rigorosa organizzazione del monastero
|
||
non intendeva rimpiazzare la vita con una regola, ma piuttosto rendere
|
||
la regola cosí coerente con la forma di vita scelta dai monaci che la
|
||
regola avrebbe potuto addirittura scomparire"[^76]. Da una tale
|
||
condizione deriva una forma di reciprocità fraterna in cui nessuno tende
|
||
a prevalere sugli altri; ed è proprio nell'organizzazione fisica del
|
||
monastero che si lascia rintracciare una possibile traduzione spaziale
|
||
della già citata *convivenza delle differenze*.
|
||
|
||
Da notare la convergenza di interessi sul tema dell'organizzazione
|
||
dell'architettura monastica tra Aureli e Rossi. Scrive infatti
|
||
quest'ultimo in un quaderno dell'inizio degli anni settanta, rimasto
|
||
inedito:
|
||
|
||
> La forma tipologica del convento è importantissima perché ci offre un
|
||
> tipo di abitazione dove la questione tipologica costituisce la stessa
|
||
> struttura organizzativa e dove, forse per la prima volta, vediamo
|
||
> sorgere un edificio collettivo potendone seguire tutta la genesi. La
|
||
> tipologia conventuale è riportabile a due soluzioni fondamentali: la
|
||
> prima quella benedettina e la seconda, più tarda, quella certosina.
|
||
> (...) Le due concezioni entrambe di straordinario interesse permangono
|
||
> vive come riferimento al mondo moderno e come da un lato accolgono
|
||
> tradizioni antiche, dall'altro sono il nucleo formale per le ipotesi
|
||
> moderne più avanzate nel campo della forma della città[^77].
|
||
|
||
Ma altrettanto significativo è che, approfondendo il discorso sugli
|
||
ordini monastici, Aureli si soffermi piuttosto su quello francescano.
|
||
Come sottolineato da Agamben[^78], i primi francescani rigettavano
|
||
l'idea della proprietà privata, non soltanto nella forma del possesso
|
||
individuale di beni ma anche in quanto possesso di capitale potenziale,
|
||
sotto forma di terra o di strumenti per lavorarla o, ancora, di possesso
|
||
del lavoro altrui. La forma di vita a cui aderivano i francescani,
|
||
modellata sulla vita evangelica, prevedeva semplicità, castità e
|
||
povertà; un'*altissima paupertas* che si estendeva anche a ciò che
|
||
comunemente è considerato appartenente "di diritto" al soggetto
|
||
individuale: la propria persona (affidata totalmente a Dio), il proprio
|
||
tempo (gestito dai superiori e dai confratelli), il proprio cibo
|
||
(soltanto consumato e non accumulato). In luogo della proprietà
|
||
privata, dunque, i francescani delle origini si limitavano a usare, vale
|
||
a dire ad appropriarsi temporaneamente di ciò che serviva loro. Ed è
|
||
proprio nell'uso come condivisione di qualcosa che si dà la forma
|
||
suprema del vivere in comune.
|
||
|
||
Per Aureli tali pratiche possono tornare ad assumere un senso nel mondo
|
||
contemporaneo, al di fuori di una prospettiva religiosa. Già negli anni
|
||
trenta Walter Benjamin, a seguito di quanto descrive come un
|
||
"impoverimento dell'esperienza", effetto tra i più devastanti della
|
||
prima guerra mondiale, parla di una "nuova barbarie", e si domanda: "A
|
||
cosa mai è indotto il barbaro dalla povertà di esperienza? È indotto a
|
||
ricominciare da capo; a iniziare dal nuovo; a farcela con il poco"[^79].
|
||
Benjamin dunque identifica gli aspetti più tragici dell'esperienza
|
||
moderna -- lo sradicamento culturale e territoriale e la precarietà
|
||
della vita in generale -- e li trasforma in una forza emancipante che
|
||
egli definisce "carattere distruttivo": "Il carattere distruttivo
|
||
conosce solo una parola d'ordine: creare spazio; una sola attività: far
|
||
pulizia. Il suo bisogno di aria fresca e di uno spazio libero è più
|
||
forte di ogni odio"[^80].
|
||
|
||
Spinto da circostanze storiche ed esistenziali, ma anche dall'adesione a
|
||
un modello di vita che Charles Baudelaire (suo beneamato e ammirato
|
||
"eroe") gli aveva ispirato, Benjamin vive in prima persona la condizione
|
||
di sradicamento e di precarietà. Come un monaco mendicante, Benjamin
|
||
riduce al minimo i suoi beni personali per usare la città stessa come
|
||
una vasta abitazione.
|
||
|
||
A ideale *pendant* di questa condizione di vita, Aureli pone la Co-op
|
||
Zimmer elaborata da Hannes Meyer in occasione della Mostra delle
|
||
cooperative a Gent (1924): un progetto concepito nella prospettiva di
|
||
una società senza classi, in cui ogni membro dovrebbe avere a
|
||
disposizione la medesima dotazione economica minima. Anche
|
||
l'arredamento è ridotto allo strettamente essenziale in questo perfetto
|
||
esemplare di *Existenzminimum*: poche mensole, due sedie pieghevoli, un
|
||
letto singolo. Soltanto la presenza di un grammofono dimostra che non
|
||
si tratta di "uno spazio dettato esclusivamente dalla "necessità", ma
|
||
anche predisposto per un tempo "improduttivo""[^81]. Questa stanza è
|
||
realizzata da Meyer non come forma di possesso bensì come spazio minimo
|
||
individuale che prevede di condividere altri spazi collettivi. "Qui la
|
||
vita privata (*privacy*) non è la proprietà (*property*), bensì
|
||
piuttosto la possibilità di godere di uno stato di solitudine e di
|
||
concentrazione"[^82]. Diversamente da Mies van der Rohe, dunque, per
|
||
Meyer "less is not more, less is just enough"[^83]. Per lui la povertà
|
||
non costituisce semplicemente una privazione, ma può arrivare a
|
||
rappresentare addirittura un valore, una condizione paradossalmente
|
||
lussuosa, che suggerisce "un senso di calma e di edonistico godimento".
|
||
|
||
Ma anche nella situazione sociale attuale, in cui da un lato per far
|
||
ripartire l'economia viene "suggerito" di consumare di più ma dall'altro
|
||
vengono diminuiti i salari e tagliate le forme di protezione sociali,
|
||
l'ascetismo può "ridefinire ciò che è realmente necessario e cosa non lo
|
||
è, al di là del regime di scarsità imposto dal mercato"[^84]. È in
|
||
questo contesto che l'ascetismo può rappresentare la possibilità di
|
||
riconquistare una miglior condizione di vita, vivendo con meno, senza
|
||
trasformare tale "meno" in un'ideologia: "less is *not* more, less is
|
||
just less". Soltanto oltrepassando la sua aura ideologica, il meno può
|
||
divenire il punto di partenza per una forma di vita alternativa che
|
||
superi al tempo stesso i falsi bisogni imposti dal mercato e le
|
||
politiche di austerità imposte dal debito. In questa prospettiva "*less
|
||
is enough* è un tentativo di definire un modo di vivere che vada oltre
|
||
la promessa di crescita e la minacciosa retorica della scarsità"; un
|
||
modo di vivere ascetico che pone al centro se stessi, ma che offre anche
|
||
la possibilità di una condivisione di spazi con altri.
|
||
|
||
Ed è forse proprio questa la condizione corrispondente a quello che Marx
|
||
definisce l'"essere sociale" dell'individuo[^85]\: una condizione che
|
||
questi vede insidiata dalla proprietà privata e che -- all'opposto --
|
||
può essere pienamente riattivata da una forma di reciprocità basata non
|
||
sul possesso ma sulla condivisione: dove il meno che si ha in termini di
|
||
possesso, diviene il più che si ha da condividere.
|
||
|
||
> Dire *enough* (anziché *more*) significa ridefinire ciò di cui abbiamo
|
||
> realmente bisogno al fine di vivere (...) una vita distaccata
|
||
> dall'ethos sociale della proprietà, dall'ansia della produzione e del
|
||
> possesso, e dove *less is just enough*[^86].
|
||
|
||
Autonomia, assolutezza, ascetismo: questi tre concetti, e i relativi
|
||
riflessi che essi hanno nella vita concreta, nei rapporti sociali,
|
||
nell'organizzazione spaziale, hanno tutti in comune -- come già rilevato
|
||
-- una forma di *distacco*. Una simile condizione si rivela
|
||
indispensabile per chi, come Aureli, intenda accostarsi alle questioni
|
||
contemporanee (non soltanto quelle relative al ristretto ambito
|
||
architettonico, bensì tutte quelle a cui quest'ambito sia in qualche
|
||
modo rapportabile) senza farsene "assorbire"; non limitandosi
|
||
semplicemente a ripetere e a far proprie opinioni diffuse e consolidate
|
||
a loro riguardo, e cercando piuttosto di affrontarle *ripensandone le
|
||
condizioni dall'interno*. È precisamente questa attitudine che
|
||
caratterizza l'architetto intellettuale, e l'intellettuale in generale:
|
||
la capacità di penetrare nelle cose mantenendosene però distaccato
|
||
abbastanza da poterle *mettere in prospettiva*, come avvertiva Tafuri,
|
||
ovverosia da poterle osservare da un punto di vista al tempo medesimo
|
||
interno ed esterno. L'uso consapevole della tecnica della prospettiva
|
||
richiede tanto una visione "da fuori" dello spazio da rappresentare,
|
||
quanto un minuzioso controllo di ogni parte di esso, vale a dire della
|
||
sua perfetta misurabilità; dove vedere "da fuori" non equivale in alcun
|
||
modo a una possibilità di "uscita" dallo spazio; e dove renderlo
|
||
misurabile non significa affatto aderire immediatamente a esso. Nell'un
|
||
caso come nell'altro, interno ed esterno vanno considerati come punti di
|
||
vista del tutto relativi: relativi alle possibilità di movimento di cui
|
||
chi utilizza la prospettiva dispone.
|
||
|
||
A questo posizionamento teorico da parte di Aureli corrisponde, sul
|
||
piano dell'attività progettuale, un progressivo cambio di scala nei
|
||
progetti di Dogma[^87]. Dalla genericità del *framework* che
|
||
abbracciava la foresta in *Stop City*, o dallo "spazio (...)
|
||
completamente sussunto dalla produzione"[^88] in *A Simple Heart*, si
|
||
passa ora a un'analisi focalizzata sulla casa in quanto "apparato per la
|
||
riproduzione della vita"[^89], ovvero come teatro di una vasta serie di
|
||
azioni e funzioni. In progetti come *Ladders* (2011), *Frame(s)*
|
||
(2011), *Every Day is Like Sunday* (2015), ma soprattutto *Communal
|
||
Villa* (2015) e *Like a Rolling Stone* (2016), Dogma concentra la
|
||
propria attenzione sull'abitazione come ambito in cui sempre di più vita
|
||
e produzione coincidono. Affiancati da una parallela ricerca storica
|
||
condotta dallo studio[^90], ma anche dagli esiti dell'attività didattica
|
||
laboratoriale svolta da Aureli con i suoi studenti[^91], questi progetti
|
||
si sforzano di ripensare radicalmente -- vale a dire fino ai fondamenti
|
||
-- le condizioni di possibilità di un'abitazione che sia luogo di
|
||
convivenza di spazi domestici e spazi lavorativi; convivenza che la
|
||
contemporaneità ha in realtà ereditato ma che ha però fortemente
|
||
esacerbato. *Like a Rolling Stone*, in tal senso, prende le mosse dallo
|
||
studio delle *boarding houses* (case-pensione) realizzate in Inghilterra
|
||
e in America tra la seconda metà del XIX secolo e la prima parte del XX,
|
||
per approdare a nuovi progetti di *boarding houses* per Londra, il cui
|
||
nucleo tematico ruota intorno al rapporto tra stanze destinate a singoli
|
||
individui e servizi condivisi[^92].
|
||
|
||
Il medesimo tema era stato già affrontato in *Communal Villa*, proposta
|
||
per uno spazio di vita e di lavoro rivolto ad artisti da collocarsi a
|
||
Berlino, sviluppato in collaborazione con Realism Working Group[^93].
|
||
Nel definire con precisione le circostanze del progetto (posizionamento
|
||
dell'edificio lungo assi infrastrutturali, urbani o suburbani;
|
||
individuazione per esso di sistemi costruttivi prefabbricati, in acciaio
|
||
o in cemento armato), gli autori non intendono sancirne la "veridicità":
|
||
piuttosto s'impegnano a fissarne le condizioni di fattibilità mediante
|
||
l'identificazione di soluzioni che ne consentano il massimo abbattimento
|
||
dei costi. Ma è ancora una volta nell'organizzazione spaziale che il
|
||
progetto prova a compiere un significativo "spostamento" delle
|
||
condizioni imposte dal mercato, misurandosi con la precarietà in cui di
|
||
sovente si trovano, nell'epoca contemporanea, categorie "deboli" come
|
||
quelle degli artisti. Attraverso una riduzione al minimo degli spazi
|
||
individuali e una dotazione di ampi spazi comuni (studi, sale riunioni,
|
||
cucine, spazi di gioco per i bambini e altri servizi), la *Communal
|
||
Villa* cerca di superare la consueta strutturazione abitativa basata sul
|
||
nucleo familiare, integrando in una comunità individui uniti tra loro da
|
||
interessi, uso di strumentazioni e modi di vita comuni. Lungi dal
|
||
confermare la tradizionale articolazione della casa (fatta assurgere in
|
||
questa circostanza addirittura a "villa", con tutte le risonanze
|
||
simboliche che questo termine porta con sé), il progetto di Dogma e
|
||
Realism Working Group è pensato per una forma di vita alternativa a
|
||
quella consueta, più flessibile e fors'anche più sostenibile di quanto
|
||
lo sia quest'ultima.
|
||
|
||
Come nel caso del monastero, da cui palesemente discende, questa forma
|
||
di vita si fonda sul presupposto che l'unico modo per vivere insieme sia
|
||
avere nel contempo la possibilità di vivere da soli. Solitudine e
|
||
comunità, da questo punto di vista, costituiscono due polarità non
|
||
banalmente opposte bensì complementari tra loro, proprio come lo sono
|
||
architettura e città. Ed è proprio nel riportare il dominio
|
||
dell'economia (nel senso originario dell'*oikonomia*, l'amministrazione
|
||
della casa) al dominio politico (inteso nel modo in cui lo intendeva
|
||
Carl Schmitt, come dimensione di un antagonismo)[^94] che Dogma dimostra
|
||
di saper ripensare il progetto nella sua prospettiva più propria. Il
|
||
medesimo obiettivo che tenacemente e con lucidità persegue lo stesso
|
||
Aureli in qualità di architetto intellettuale: far emergere --
|
||
attraverso le sue riletture, cosí come attraverso la sua pratica -- la
|
||
*dimensione politica dell'architettura*.
|
||
|
||
[^1]: Pier Vittorio Aureli, *The Difficult Whole. Typology and the
|
||
Singularity of the Urban Event in Aldo Rossi's Early Theoretical
|
||
Work. 1953-1964*, in "Log", n. 9 (inverno-primavera 2007), p. 42.
|
||
|
||
[^2]: Aureli si laurea nel 1999 allo IUAV; nel 2001 ottiene il master in
|
||
Architettura al Berlage Institute; nel 2003 consegue il dottorato di
|
||
ricerca in Pianificazione urbana allo IUAV e nel 2005 il PhD in
|
||
Architettura al Berlage Institute di Delft (Rotterdam).
|
||
|
||
[^3]: Pier Vittorio Aureli, *Schemi di città. La costruzione del
|
||
principio insediativo*, tesi di laurea, relatore Bernardo Secchi, IUAV,
|
||
a.a. 1997-98; Id., *La città arcipelago e il suo progetto*, tesi di
|
||
dottorato, relatori Elia Zenghelis e Bernardo Secchi, IUAV,
|
||
a.a. 2001-2002; Id., *The Possibility of Absolute Architecture*, PhD
|
||
Thesis, relatore Elia Zenghelis, Berlage Institute, Technische
|
||
Universiteit, Delft-Rotterdam, a.a. 2004-2005. Vedi Gabriele Mastrigli,
|
||
*Commanders of the Field: Notes on the Architecture of Dogma*, in
|
||
*Dogma: 11 Projects*, Architectural Association Publications, London
|
||
2013, pp. 109-13.
|
||
|
||
[^4]: Manfredo Tafuri, *Ricerca del Rinascimento*, Einaudi, Torino 1992,
|
||
p. XXI.
|
||
|
||
[^5]: Manfredo Tafuri, *Non c'è critica, solo storia*, intervista con
|
||
Richard Ingersoll, in "Casabella", n. 619-20, 1995, p. 96 (intervista
|
||
pubblicata per la prima volta nel 1986 su "Design Book Review").
|
||
|
||
[^6]: Di "distacco", riferito ai contenuti del lavoro intellettuale
|
||
svolto all'interno dell'organizzazione capitalistica, parla anche Tafuri
|
||
nel passo riportato al termine del capitolo precedente; una condizione
|
||
in apparenza "negativa", che tuttavia a suo avviso -- mediante uno
|
||
strategico rovesciamento -- deve essere riconosciuta come condizione
|
||
*positiva* "da cui ripartire, per elaborare un programma di attacco al
|
||
piano complessivo": Tafuri, *Lavoro intellettuale e sviluppo
|
||
capitalistico* cit., p. 280.
|
||
|
||
[^7]: Vedi al proposito, oltre ovviamente a Tafuri, *Il "progetto"
|
||
storico* cit., il saggio-recensione di Cacciari (*Eupalinos o
|
||
l'architettura*, in "Nuova Corrente", n. 76-77, 1978, p. 422) a
|
||
Manfredo Tafuri e Francesco Dal Co, *L'architettura contemporanea*,
|
||
Electa, Milano 1976.
|
||
|
||
[^8]: Dogma, *Dogma*, in *Portfolio*, Heverlee 2011, p. 5.
|
||
|
||
[^9]: Su ciò vedi la successiva ricerca di Pier Vittorio Aureli e
|
||
Martino Tattara, *Brussels: A Manifesto. Towards the Capital of
|
||
Europe*, a cura di Joachim Deklerck, Martino Tattara e Veronique
|
||
Patteeuw, NAi Publishers, Rotterdam 2007.
|
||
|
||
[^10]: Dogma, *Stop City* (2007), in *Dogma: 11 Projects* cit.,
|
||
pp. 10-19.
|
||
|
||
[^11]: Dogma, *A Simple Heart* (2011), in *Dogma: 11 Projects* cit.,
|
||
pp. 20-31.
|
||
|
||
[^12]: Dogma, *Stop City: per una architettura non-figurativa della
|
||
città (dopo la città post-fordista)*, in GIZMO, *MMX. Architettura zona
|
||
critica*, Zandonai, Rovereto 2011, p. 159.
|
||
|
||
[^13]: Paolo Virno, *Virtuosity and Revolution: The Political Theory of
|
||
Exodus*, in Virno e Hardt (a cura di), *Radical Thought in Italy* cit.,
|
||
pp. 189-212; Id., *Mondanità. L'idea di "mondo" tra esperienza
|
||
sensibile e sfera pubblica*, Manifestolibri, Roma 1994; Giorgio Agamben,
|
||
*Signatura rerum. Sul metodo*, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
|
||
|
||
[^14]: Dogma, *A Simple Heart*, in *Dogma: 11 Projects* cit., p. 22.
|
||
Sul concetto di *kathecon* vedi Massimo Cacciari, *Il potere che frena*,
|
||
Adelphi, Milano 2013, ma anche Giorgio Agamben, *Il mistero del male.
|
||
Benedetto XVI e la fine dei tempi*, Laterza, Roma-Bari 2013.
|
||
|
||
[^15]: Dogma, *Stop City*, in *Dogma: 11 Projects* cit., p. 10.
|
||
|
||
[^16]: "Ipotesi di linguaggio architettonico non-figurativo": Archizoom
|
||
Associati, *No-Stop City* (1970), in Roberto Gargiani, *Archizoom
|
||
Associati, 1966-1974. Dall'onda pop alla superficie neutra*, Electa,
|
||
Milano 2007, pp. 169-73.
|
||
|
||
[^17]: Pier Vittorio Aureli, *The Project of Autonomy. Politics and
|
||
Architecture Within and Against Capitalism*, Princeton Architectural
|
||
Press, New York 2008; trad. it. *Il progetto dell'autonomia. Politica e
|
||
architettura dentro e contro il capitalismo*, Quodlibet, Macerata 2016.
|
||
|
||
[^18]: Al proposito vedi *Raniero Panzieri e i "Quaderni Rossi"*, in
|
||
"aut aut", n. speciale (149-50), 1975, con contributi, tra gli altri, di
|
||
Antonio Negri e Massimo Cacciari.
|
||
|
||
[^19]: Questa espressione ricorre di sovente nelle pagine di "Quaderni
|
||
Rossi", "Classe Operaia" e "Contropiano": vedi Steve Wright, *L'assalto
|
||
al cielo. Per una storia dell'operaismo*, Edizioni Alegre, Roma 2008.
|
||
|
||
[^20]: Raniero Panzieri, *Sull'uso capitalistico delle macchine nel
|
||
neocapitalismo*, in "Quaderni Rossi", n. 1, 1961, pp. 53-72.
|
||
|
||
[^21]: Mario Tronti, *Marx, forza-lavoro, classe operaia* (1965), in
|
||
Id., *Operai e capitale* cit., pp. 259-63.
|
||
|
||
[^22]: *Ibid.*, p. 260.
|
||
|
||
[^23]: Mario Tronti, *Sull'autonomia del politico*, Feltrinelli, Milano
|
||
1977.
|
||
|
||
[^24]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 65.
|
||
|
||
[^25]: *Ibid.*, p. 25.
|
||
|
||
[^26]: Tra gli altri, vedi Massimo Cacciari, *Sviluppo capitalistico e
|
||
ciclo delle lotte. La Montedison di Porto Marghera 1. La "fase"
|
||
1950-1966*, in "Contropiano", n. 3, 1968, pp. 579-627; Id., *Sviluppo
|
||
capitalistico e ciclo delle lotte. La Montedison di Porto Marghera. 2.
|
||
La "fase" 1966 -- estate 1969*, ivi, n. 2, 1969, pp. 397-447; Umberto
|
||
Coldagelli, *Forza-lavoro e sviluppo capitalistico*, ivi, n. 1, 1969,
|
||
pp. 81-127; Enzo Schiavuta, *Ricerca scientifica e sviluppo
|
||
capitalistico*, ivi, n. 2, 1970, pp. 285-309; Mario Tronti, *Classe
|
||
operaia e sviluppo*, ivi, n. 3, 1970, p. 471. A questa analisi Tafuri
|
||
dà il suo contributo con *Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico*
|
||
cit. (1970).
|
||
|
||
[^27]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 79.
|
||
|
||
[^28]: *Ibid.*, p. 80.
|
||
|
||
[^29]: *Ibid.*, p. 87.
|
||
|
||
[^30]: Tafuri, *Per una critica dell'ideologia architettonica* cit.,
|
||
p. 60.
|
||
|
||
[^31]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 95.
|
||
|
||
[^32]: Rossi, *L'architettura della città* cit., p. 23.
|
||
|
||
[^33]: Ezio Bonfanti, *Autonomia dell'architettura*, in "Controspazio",
|
||
n. 1, 1969, p. 29.
|
||
|
||
[^34]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 102.
|
||
|
||
[^35]: Rossi, *L'architettura della città* cit., p. 117.
|
||
|
||
[^36]: Reyner Banham, *Le tentazioni dell'architettura. Megastrutture*,
|
||
Roma-Bari, Laterza 1980; ILSES (Istituto lombardo per gli studi
|
||
economici e sociali), *Relazioni del Seminario "La nuova dimensione
|
||
della città -- La città-regione"*, Atti del convegno, Stresa, 19-21
|
||
gennaio, Milano 1962; *La città territorio. Un esperimento didattico
|
||
sul centro direzionale di Centocelle in Roma*, Leonardo da Vinci
|
||
Editrice, Bari 1964.
|
||
|
||
[^37]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 110. Vedi anche
|
||
Id., *Aldo Rossi: Locomotiva 2, Competition Entry for a Directional
|
||
Centre, Turin, Italy*, in Brett Steele e Francisco Gonzalez de Canales
|
||
(a cura di), *First Works: Emerging Architectural Experimentation of the
|
||
1960s and 1970s*, Architectural Association Publications, London 2009,
|
||
pp. 88-89.
|
||
|
||
[^38]: Al progetto di Rossi, Polesello e Meda si rifà esplicitamente il
|
||
progetto di Dogma, *Locomotiva 3*, una proposta per l'area denominata
|
||
Spina 4 a Torino, elaborata nel 2010; vedi *Dogma: 11 Projects* cit.,
|
||
pp. 74-81.
|
||
|
||
[^39]: Archizoom Associati, *Città catena di montaggio del sociale.
|
||
Ideologia e teoria della metropoli*, in "Casabella", n. 350-51, 1970,
|
||
p. 44.
|
||
|
||
[^40]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 118.
|
||
|
||
[^41]: *Ibid.*, pp. 115-16.
|
||
|
||
[^42]: Archizoom Associati, *Città catena di montaggio del sociale*
|
||
cit., p. 8.
|
||
|
||
[^43]: Aureli, *Il progetto dell'autonomia* cit., p. 131.
|
||
|
||
[^44]: *Ibid.*, p. 127.
|
||
|
||
[^45]: *Ibid.*, pp. 139-40.
|
||
|
||
[^46]: *Ibid.*, p. 140.
|
||
|
||
[^47]: *Ibid.*, p. 141.
|
||
|
||
[^48]: Pier Vittorio Aureli, *The Possibility of an Absolute
|
||
Architecture*, The MIT Press, Cambridge (Mass.) 2011.
|
||
|
||
[^49]: Vedi, ad esempio, Franco La Cecla, *Contro l'architettura*,
|
||
Bollati Boringhieri, Torino 2008; Id., *Contro l'urbanistica*, Einaudi,
|
||
Torino 2015.
|
||
|
||
[^50]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit., p.
|
||
IX.
|
||
|
||
[^51]: Georg Simmel, *Metafisica della morte* (1910), in Id.,
|
||
*Metafisica della morte e altri scritti*, a cura di Lucio Perucchi, SE,
|
||
Milano 2012, pp. 9-10.
|
||
|
||
[^52]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit., pp.
|
||
IX-X.
|
||
|
||
[^53]: *Ibid.*, p. 32.
|
||
|
||
[^54]: Massimo Cacciari, *L'arcipelago*, Adelphi, Milano 1997.
|
||
|
||
[^55]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit., p.
|
||
XI.
|
||
|
||
[^56]: *Ibid.*, p. 4.
|
||
|
||
[^57]: Ildefons Cerdà, *Teoría general de la urbanización* (1867),
|
||
citato *ibid.*, p. 9.
|
||
|
||
[^58]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit.,
|
||
p. 16.
|
||
|
||
[^59]: *Ibid.*, p. 32.
|
||
|
||
[^60]: Su ciò vedi anche Pier Vittorio Aureli, *City as Political Form:
|
||
Four Archetypes of Urban Transformation*, in "Architectural Design",
|
||
vol. 81, n. 1, 2011, pp. 32-37.
|
||
|
||
[^61]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit.,
|
||
p. 27.
|
||
|
||
[^62]: Carl Schmitt, *Teologia politica: quattro capitoli sulla dottrina
|
||
della sovranità* (1922), in Id., *Le categorie del "politico". Saggi di
|
||
teoria politica*, a cura di Gianfranco Miglio e Pierangelo Schiera, il
|
||
Mulino, Bologna 1972, pp. 27-86; Giorgio Agamben, *Lo stato di
|
||
eccezione*, Bollati Boringhieri, Torino 2003.
|
||
|
||
[^63]: Aureli, *The Possibility of an Absolute Architecture* cit.,
|
||
p. 37.
|
||
|
||
[^64]: *Ibid.*, pp. 40-41.
|
||
|
||
[^65]: *Ibid.*, p. 41.
|
||
|
||
[^66]: *Ibid.*, p. 42.
|
||
|
||
[^67]: *Ibid.*, p. 45.
|
||
|
||
[^68]: Pier Vittorio Aureli, *Less Is Enough*, Strelka Press, Moscow
|
||
2013.
|
||
|
||
[^69]: *Ibid.*, p. 7.
|
||
|
||
[^70]: Aureli, *Less Is Enough* cit., p. 8.
|
||
|
||
[^71]: *Ibid.*, p. 9.
|
||
|
||
[^72]: Max Weber, *L'etica protestante e lo spirito del capitalismo*
|
||
(1905), Rizzoli, Milano 1991.
|
||
|
||
[^73]: Aureli, *Less Is Enough* cit., pp. 11-12.
|
||
|
||
[^74]: *Ibid.*, p. 13.
|
||
|
||
[^75]: *Ibid.*, p. 16.
|
||
|
||
[^76]: Aureli, *Less Is Enough* cit., p. 24.
|
||
|
||
[^77]: Aldo Rossi, *Quaderno inedito (Varie 1 -- Milano -- Arch. Veneta
|
||
- Abitazione -- Pref. II ed. L'arch. della città -- Politecnico)*,
|
||
1969-70, citato in Gianni Braghieri, *Presentazione*, in "Soundings",
|
||
n. 1, 2017, numero monografico dedicato a Aldo Rossi, a cura di Lamberto
|
||
Amistadi e Ildebrando Clemente, p. 68.
|
||
|
||
[^78]: Giorgio Agamben, *Altissima povertà. Regole monastiche e forme
|
||
di vita*, Neri Pozza, Vicenza 2011.
|
||
|
||
[^79]: Benjamin, *Esperienza e povertà* cit., p. 53.
|
||
|
||
[^80]: Walter Benjamin, *Il carattere distruttivo* (1931), in Id.,
|
||
*Esperienza e povertà* (2018), a cura di Massimo Palma, cit., p. 41.
|
||
|
||
[^81]: Aureli, *Less Is Enough* cit., p.
|
||
40. Vedi anche Id., *A Room Without Ownership*, in *Hannes Meyer: Co-op
|
||
Interieur*, Spector Book, Leipzig 2015, pp. 33-39.
|
||
|
||
[^82]: Aureli, *Less Is Enough* cit., pp. 40-41.
|
||
|
||
[^83]: *Ibid.*, p. 41.
|
||
|
||
[^84]: *Ibid.*, p. 58.
|
||
|
||
[^85]: Karl Marx, *Manoscritti economici-filosofici del 1844*, a cura di
|
||
Norberto Bobbio, Einaudi, Torino 2018, p. 113.
|
||
|
||
[^86]: Aureli, *Less Is Enough* cit., p. 59.
|
||
|
||
[^87]: Su questo passaggio di scala vedi Pier Vittorio Aureli e Martino
|
||
Tattara, *A Limit to the Urban: Notes on Large-Scale Design*, in *Dogma:
|
||
11 Projects* cit., pp. 42-45, e Id., *Barbarism Begins at Home: Notes on
|
||
Housing*, *ibid.*, pp. 86-90.
|
||
|
||
[^88]: Dogma, *A Simple Heart*, in *Dogma: 11 Projects* cit., p. 22.
|
||
|
||
[^89]: Aureli e Tattara, *Barbarism Begins at Home* cit., p. 86.
|
||
|
||
[^90]: Svolta a partire dal 2013, la ricerca *Living/Working* ha avuto
|
||
come esito la pubblicazione di Dogma, *The Room of One's Own*, Black
|
||
Square Press, Milano 2017.
|
||
|
||
[^91]: Pier Vittorio Aureli e Maria S. Giudici, *The Grand Domestic
|
||
Revolution. Revisiting the Architecture of Housing*, Diploma 14,
|
||
Architectural Association School, London, a.a. 2013-14; Pier Vittorio
|
||
Aureli e altri, *How to Live Together. Homes for Houston*, Advanced
|
||
Design Studio -- Yale School of Architecture, New Haven (primavera)
|
||
2014.
|
||
|
||
[^92]: Dogma + Black Square, *Like a Rolling Stone. Revisiting the
|
||
Architecture of the Boarding Houses*, Black Square Press, Milano 2016.
|
||
|
||
[^93]: Dogma + Realism Working Group, *Communal Villa. Production and
|
||
Reproduction in Artists' Housing*, Spector Books, Leipzig 2016. Realism
|
||
Working Group è un collettivo di artisti che opera nella capitale
|
||
tedesca.
|
||
|
||
[^94]: Carl Schmitt, *Il concetto di "politico"* (1932), in Id., *Le
|
||
categorie del "politico"* cit., pp. 101-65.
|
||
|
||
# Architettura dentro e contro
|
||
|
||
"L'arte di costruire è la volontà dell'epoca \[*Zeitwille*\] tradotta in
|
||
spazio"[^1]. La nota affermazione di Ludwig Mies van der Rohe, da lui
|
||
enunciata e ribadita in più circostanze[^2], potrebbe a prima vista
|
||
apparire la più compiuta espressione del totale asservimento
|
||
dell'architettura alle forze operanti nel tempo in cui questa nasce e si
|
||
colloca. E in effetti, proprio il "servire" costituisce per Mies van
|
||
der Rohe il compito essenziale dell'architettura: "L'opera degli
|
||
architetti deve servire la vita \[*dem Leben dienen*\]. Soltanto la
|
||
vita deve essere la loro guida"[^3]. Parrebbe cosí giustificarsi
|
||
concettualmente, per voce di uno dei più lucidi e profondi architetti
|
||
del secolo scorso, l'attitudine dell'architettura a "mettersi al
|
||
servizio" della società e dei "soggetti" agenti al suo interno; ciò che
|
||
finirebbe con il ridurre l'architettura -- almeno in una certa misura --
|
||
a un semplice "riflesso" di questi, delle loro dinamiche e "volontà",
|
||
appunto.
|
||
|
||
Ma come va inteso esattamente il "servire la vita" di Mies van der Rohe?
|
||
In un saggio di straordinaria intensità Massimo Cacciari ha interpretato
|
||
in maniera forse definitiva la connessione tra *dem Leben dienen* e
|
||
*Zeitwille* nel pensiero dell'architetto tedesco:
|
||
|
||
> ... si cadrebbe grossolanamente in errore ritenendo che tale servizio
|
||
> si riferisca soltanto alla "vita" in quanto somma di esigenze,
|
||
> domande, imperativi. Se cosí fosse, non saremmo agli antipodi, ma nel
|
||
> bel mezzo dell'idea funzionalistica del progetto (...) Ben altro
|
||
> timbro ha *das Leben* per Mies. Vita e Ergon, Vita *e* trascendenza
|
||
> dell'idea dell'opera formano un insieme indissolubile. Si serve la
|
||
> vita soltanto servendo l'opera -- si è al servizio del proprio tempo
|
||
> (...) soltanto se si è capaci di "immaginare" l'opera[^4].
|
||
|
||
Il servizio alla vita, dunque, non è affatto un semplice assoggettarsi
|
||
ai "doveri" quotidiani, mondani, cui l'architettura è comunque
|
||
destinata, e neppure ai compiti più eccezionali, "di facciata", dei
|
||
quali a volte essa è investita, tanto quanto l'essere in accordo con la
|
||
volontà dell'epoca non si lascia in alcun modo ridurre a un semplice
|
||
rispecchiamento di ciò che l'epoca "si aspetta" dall'opera.
|
||
|
||
> Vita è sempre intesa come en-érgheia, vita nel e dell'ergon: molto più
|
||
> che un mero dato di fatto, la vita, di cui Mies parla, è quella vita
|
||
> in cui l'ergon si manifesta, in cui può aver luogo la verità
|
||
> dell'ergon. Vita compiuta, perciò,
|
||
|
||
ma compiuta nel suo essere in-atto, en-érgheia. E ancora:
|
||
|
||
> Vita, per Mies, è sempre spirituale decisione nei confronti dell'opera
|
||
> -- distacco (...) da ogni vita "immediata", da ogni vita
|
||
> naturalisticamente-immediatamente intesa[^5].
|
||
|
||
Ancorché sancire un legame deterministico, l'affermazione miesiana che
|
||
mette in correlazione volontà dell'epoca e architettura sottende la
|
||
precisa condizione che le lega l'una all'altra: tradurre la volontà
|
||
dell'epoca in spazio, vale a dire "immaginare" l'opera, non è mai
|
||
un'operazione meccanica, meramente servile; piuttosto implica una
|
||
*potenza*, una *en-*érgheia, appunto, che è quella derivante dall'opera
|
||
stessa, che l'epoca non può semplicemente prevedere o prescrivere.
|
||
Anzi, nel caso di un'opera come quella di Mies che ritiene decisiva
|
||
l'"essenza dell'arte di costruire"[^6], questa non può derivare da una
|
||
semplice "invenzione" soggettiva, e a rigore neppure da una
|
||
intenzionalità progettante, bensì deve "limitarsi" a
|
||
presentare-manifestare la verità che la precede e la trascende.
|
||
|
||
Concepire il rapporto tra opera e epoca in termini non deterministici
|
||
implica dunque da parte dell'architetto una comprensione effettiva della
|
||
struttura dell'epoca in cui è immerso, comprensione da cui scaturisce
|
||
quella "potenza immaginativa" che nulla ha a che vedere con la fantasia
|
||
o con la creatività, e che piuttosto richiede un "ascolto" dell'opera.
|
||
|
||
Quale sia la struttura della *sua* epoca -- e in quale misura essa si
|
||
differenzi sostanzialmente da quella delle epoche precedenti -- appare
|
||
molto chiaro agli occhi di Mies:
|
||
|
||
> Da tempo la macchina è diventata padrona della produzione. Questa era
|
||
> approssimativamente la situazione prebellica. Sebbene il ritmo di
|
||
> questo sviluppo sia stato ridotto dallo scoppio della guerra, la sua
|
||
> direzione è rimasta immutata. Anzi, la situazione si è persino
|
||
> acutizzata. Se prima per mille motivi l'economia era praticata in
|
||
> modo libero, attualmente altrettanti motivi costringono alle più
|
||
> serrate riflessioni. Quanto già prima della guerra la vita fosse
|
||
> legata all'economia, ci è apparso del tutto evidente soltanto nel
|
||
> periodo post-bellico. Ora esiste "soltanto" l'economia. Essa domina
|
||
> ogni cosa, la politica e la vita[^7].
|
||
|
||
Esattamente negli stessi termini, oggi si potrebbe affermare che "esiste
|
||
"soltanto" l'economia". Ciò che non impedisce, a chi sia dotato di
|
||
capacità di comprensione e di ascolto, di servire la vita liberando la
|
||
potenza immaginativa dell'opera, proprio come fa Mies van der Rohe.
|
||
|
||
In un'epoca come quella attuale, in cui sempre di più predomina
|
||
l'economia e declina la politica (non tanto in termini di governo,
|
||
quanto di capacità di affermazione di idee o di presa di posizione su
|
||
questioni di interesse generale), diventa indubbiamente difficile
|
||
distaccarsi dalla vita in senso "immediato" e servire invece la vita in
|
||
un senso superiore, come quello appena indicato. Ma ancora più
|
||
difficile, in una condizione del genere, risulta resistere -- o
|
||
addirittura opporsi apertamente -- alla "volontà dell'epoca". E ciò
|
||
tanto più poi quando si cerchi di far coincidere le forme di
|
||
"resistenza" o di "opposizione" con quelle architettoniche.
|
||
|
||
Per cercare almeno di nominare le condizioni che rendono possibile
|
||
assumere tali posizioni può essere utile tornare a osservare in
|
||
quest'ottica alcuni momenti o episodi, in certi casi anche largamente
|
||
noti, di un più o meno recente passato.
|
||
|
||
Quando Benjamin menziona il mutismo di coloro che ritornavano dai campi
|
||
di battaglia della prima guerra mondiale come sintomo dell'inaridirsi
|
||
della loro capacità di comunicare le esperienze vissute, quando
|
||
sottolinea la "miseria del tutto nuova" che "ha colpito gli uomini (...)
|
||
con questo immenso sviluppo della tecnica"[^8], appare del tutto chiaro
|
||
come per lui una simile "povertà di esperienza" vada intesa non nel
|
||
senso che manchi loro qualcosa, "come se gli uomini anelassero a una
|
||
nuova esperienza"[^9], bensì piuttosto nel senso che "essi desiderano
|
||
essere esonerati dalle esperienze". La "povertà di esperienza" è la
|
||
reazione a un eccesso: quelle persone "hanno "divorato" tutto, la
|
||
*Kultur* e l'"uomo", e ne sono divenuti più che sazi e stanchi"[^10].
|
||
La conseguenza di ciò è lo svilupparsi di quel "nuovo positivo concetto
|
||
di barbarie"[^11] già citato in precedenza, da cui chi ne risulta
|
||
soggetto "è indotto a ricominciare da capo; a iniziare dal nuovo; a
|
||
farcela con il poco; a costruire a partire dal poco". Si potrebbe
|
||
considerarla una rinuncia; ma si tratta anche di
|
||
un'opportunità. "Ricominciare da capo", cosí come "far pulizia, (...)
|
||
creare spazio"[^12], sono azioni che hanno tra loro in comune la
|
||
liberazione da qualcosa, si tratti di oggetti oppure di forme e schemi
|
||
mentali ormai invecchiati. Distaccarsene, abbandonarli, dimenticarli
|
||
comporta sempre una nuova apertura.
|
||
|
||
Non sarà forse casuale che, nello stesso contesto del primo dopoguerra
|
||
tedesco, all'interno dell'appena nato Staatlisches Bauhaus di Weimar, il
|
||
primo insegnamento cui vengono sottoposti gli studenti (il corso
|
||
preparatorio, il cosiddetto *Vorkurs*), affidato da Gropius all'artista
|
||
svizzero Johannes Itten, consista in una radicale rifondazione della
|
||
loro grammatica percettiva e cognitiva mediante una serie di esercizi
|
||
che hanno lo scopo fondamentale di cancellare quanto da essi
|
||
precedentemente imparato o conosciuto, per predisporli a nuove
|
||
esperienze di apprendimento. La didattica di Itten deve molto agli
|
||
insegnamenti impartitigli dal pedagogo Ernst Schneider presso la Scuola
|
||
di formazione per insegnanti di Berna-Hofwil. Il metodo di Schneider
|
||
prevedeva tra l'altro l'impiego delle teorie psicoanalitiche junghiane e
|
||
di pratiche pedagogiche progressiste che tendevano a non correggere il
|
||
lavoro creativo degli studenti per non reprimerne le inclinazioni. A
|
||
questi principî Itten affianca quelli appresi dalla frequentazione della
|
||
scuola del pittore tedesco Adolf Hölzel a Stoccarda, negli anni
|
||
precedenti la guerra, basati su accostamenti cromatici contrastanti e
|
||
sulla loro applicazione a forme elementari, ma anche su attività fisiche
|
||
di rilassamento da svolgere in stretta connessione con il lavoro
|
||
creativo. Prendendo spunto da tutto ciò e combinando esercizi corporei
|
||
e gestuali, respirazione ritmica, reinterpretazioni delle opere degli
|
||
antichi maestri, indottrinamento filosofico-religioso ispirato alla
|
||
religione neo-zoroastriana Mazdaznan, dieta vegetariana, rivoluzione nel
|
||
vestiario e altro ancora[^13], il corso preliminare di Itten mirava a
|
||
conferire una nuova "unità" allo studente, risvegliandolo al tempo
|
||
stesso dal "sonno del mondo".
|
||
|
||
> Fondamentale per il corso propedeutico al Bauhaus appariva l'obiettivo
|
||
> di liberare le energie creative e l'autonomia degli studenti,
|
||
> esaltandone capacità e soggettive predilezioni. "Si trattava -- per
|
||
> Itten -- di costruire l'uomo nella sua interezza come un essere
|
||
> creativo" capace di affrontare con successo la complessità di un
|
||
> "progetto figurativo" che pretendeva la sinergia di forze e capacità
|
||
> diverse, fisiche, morali, spirituali, intellettuali[^14].
|
||
|
||
D'altronde, pur con accenti e "stili" diversi da quelli di Itten ("Itten
|
||
vuol fare del Bauhaus un monastero, con tanto di santi e di monaci",
|
||
scrive Oskar Schlemmer in una lettera del 1921)[^15], anche Walter
|
||
Gropius, con il corso di studi del Bauhaus, intende restituire
|
||
integralità all'architetto, attraverso l'apprendimento di teorie,
|
||
tecniche e materiali che soltanto in un momento finale avrebbero dovuto
|
||
sintetizzarsi nella pratica progettuale vera e propria. Un architetto
|
||
-- quello uscito dal Bauhaus -- il cui "obiettivo programmatico"
|
||
potrebbe essere fatto coincidere esattamente con il benjaminiano
|
||
"ricominciare da capo", "iniziare dal nuovo", "farcela con il poco".
|
||
L'emancipazione dalle incrostazioni di una cultura sino a quel momento
|
||
tramandata e passivamente accettata conduce cosí a una trasformazione
|
||
radicale, e dischiude la possibilità di costruire *davvero* per la
|
||
propria epoca.
|
||
|
||
Tra i "costruttori" barbarici citati da Benjamin -- insieme a René
|
||
Descartes, Albert Einstein, Paul Klee, Paul Scheerbart, Adolf Loos e Le
|
||
Corbusier -- vi è anche il Bauhaus[^16]. Loro comune segno distintivo è
|
||
"una totale mancanza d'illusioni nei confronti dell'epoca e ciò
|
||
nonostante un pronunciarsi senza riserve per essa"[^17]. La stessa
|
||
fusione di coinvolgimento e distacco che si lascia rilevare anche in
|
||
Mies van der Rohe.
|
||
|
||
Ma in quale misura -- è lecito chiedersi -- ci si potrebbe giovare oggi
|
||
di questo insegnamento? Nell'"età dell'inconsistenza"[^18] in cui ci
|
||
troviamo, non meno che nel primo dopoguerra tedesco, gli uomini sono
|
||
vittime di un eccesso, di qualche cosa di "troppo"; non meno di allora,
|
||
sentono -- *sentiamo* -- di avere "divorato" tutto, e di esserne "più
|
||
che sazi e stanchi". E ancora una volta in maniera analoga a quella
|
||
circostanza, ciò appare causato da un "immenso sviluppo della tecnica".
|
||
|
||
Nella nostra epoca, la sensazione di sazietà e di stanchezza costituisce
|
||
una reazione a un "eccesso dell'Eguale", come lo denomina Byung-Chul
|
||
Han[^19], derivante da una "sovrapproduzione", da un "eccesso di
|
||
prestazione o di comunicazione"[^20]. Gli eccessi dell'Eguale generano
|
||
una condizione saturativa. Troppe immagini, troppi eventi, troppe
|
||
possibilità. La stanchezza che ne deriva è il prodotto di un
|
||
esaurimento, un'estenuazione psichica a fronte della quale non vi sono
|
||
facili rimedi.
|
||
|
||
Ma vi è anche un altro genere di stanchezza: quella che suggerisce di
|
||
rallentare il passo, di non far seguire un'azione alle azioni già
|
||
compiute in precedenza; una stanchezza che induce al riposo, al
|
||
non-fare, all'ascolto, alla contemplazione. È lo stesso tipo di stato
|
||
che provoca la "povertà di esperienza" di cui parla Benjamin:
|
||
|
||
> ... agli occhi della gente, stancatasi delle complicazioni senza fine
|
||
> della vita quotidiana e per la quale il fine della vita affiora solo
|
||
> come un lontanissimo punto di fuga in un'infinita prospettiva di
|
||
> mezzi, appare liberante un'esistenza che in ogni frangente basta a se
|
||
> stessa nel modo più semplice e contemporaneamente più
|
||
> confortevole[^21].
|
||
|
||
Per ottenerlo bisogna rinunciare a qualcosa, prendere tempo, "creare
|
||
spazio", retrocedere, rilassarsi, oziare.
|
||
|
||
D'altra parte, nota ancora Han, "la pura frenesia non crea nulla di
|
||
nuovo, ma riproduce e accelera ciò che è già disponibile"[^22]. È
|
||
interessante che il filosofo sudcoreano introduca questa considerazione
|
||
in relazione a quanto affermato da Benjamin a proposito della "noia
|
||
profonda" come presupposto di un'attenzione profonda, contemplativa, in
|
||
un saggio di poco successivo a quello appena citato e ad esso
|
||
strettamente connesso[^23]. Lo stato di distensione spirituale di cui
|
||
per Benjamin la noia costituisce il culmine ("La noia è l'uccello
|
||
incantato che cova l'uovo dell'esperienza"), per Han è l'esatto rovescio
|
||
della forma attuale della concentrazione: l'"iper-attenzione", vale a
|
||
dire un'attenzione dispersa tra troppi obiettivi simultaneamente: "un
|
||
rapido cambiamento di focus tra compiti, sorgenti d'informazioni e
|
||
processi diversi"[^24] che si traduce nel vano iperattivismo
|
||
contemporaneo.
|
||
|
||
"Farcela con il poco", "costruire a partire dal poco", cessano a questo
|
||
punto di risuonare come formule vuote e si presentano invece come
|
||
*soluzioni concrete* per coloro i quali -- al pari dei "costruttori"
|
||
additati da Benjamin ("uomini che del radicalmente nuovo hanno fatto la
|
||
loro causa e lo hanno fondato su comprensione e rinuncia")[^25] -- siano
|
||
pronti a sottrarre il proprio agire agli eccessi di lavoro e produzione,
|
||
all'iperattivismo frenetico contrabbandato per "dovere" sociale (e
|
||
spesso giustificato ai propri stessi occhi in nome del denaro) per
|
||
assumere in alternativa un comportamento ispirato a una contemplazione
|
||
attiva, a una "distensione" che sia al tempo stesso operante.
|
||
|
||
Potrebbe sembrare un'evenienza impossibile, oppure completamente
|
||
distante da ogni applicazione architettonica. In realtà, esiste un
|
||
tentativo compiuto in tal senso in un passato relativamente recente:
|
||
quello dell'Internationale Situationniste, organizzazione (e rivista)
|
||
attiva tra la fine degli anni cinquanta e i sessanta. Per Guy Debord,
|
||
Asger Jorn, Constant Nieuwenhuys, Gilles Ivain e per gli altri
|
||
componenti del gruppo, "l'architettura è il mezzo più semplice per
|
||
*articolare* il tempo e lo spazio, per *modellare* la realtà, per far
|
||
sognare", come si legge nel primo fascicolo della rivista. Ma con una
|
||
ben precisa avvertenza:
|
||
|
||
> Non si tratta solamente di articolazione e di modulazione plastica,
|
||
> espressione di una bellezza passeggera. Ma di una modulazione
|
||
> influenzale che si inscrive nella curva eterna dei desideri umani e
|
||
> dei progressi nella realizzazione di questi desideri[^26].
|
||
|
||
Tradotto in un linguaggio meno altisonante, i situazionisti rifiutano
|
||
fin da subito di intervenire in modo trasformativo nei confronti della
|
||
realtà, negandosi lo strumento del progetto come mezzo attuativo
|
||
concreto, ma pure come semplice ipotesi alternativa, come fuga dal reale
|
||
(e infatti la fuoriuscita di Constant dall'Internationale
|
||
Situationniste, nel 1960, sarà causata proprio dai dissapori legati a
|
||
*New Babylon*, il suo progetto di città utopica, e in particolar modo
|
||
alla contrapposizione tra la maniera in cui egli lo sviluppa,
|
||
maggiormente legata alle componenti strutturali e alle forme
|
||
architettoniche, e quella richiesta dagli altri situazionisti, più
|
||
strettamente connessa ai contenuti)[^27]. A partire da questo
|
||
presupposto le pratiche situazioniste si svilupperanno, anziché in
|
||
direzione della costruzione architettonica nel senso tradizionale del
|
||
termine, in quella della *costruzione di situazioni*; dove per
|
||
"situazione" -- secondo la definizione che essi stessi ne danno -- va
|
||
inteso un "momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito
|
||
mediante l'organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un
|
||
gioco di avvenimenti"[^28]. La rinuncia a compiere interventi materiali
|
||
e durevoli non equivale automaticamente a una riduzione al mutismo o
|
||
all'inazione; piuttosto comporta uno spostamento del punto di vista
|
||
sulla realtà, un "lavoro" su di essa che ne produce di fatto una
|
||
*risemantizzazione*. Per i situazionisti ciò si traduce in "azioni"
|
||
denominate *derive*: attraversamenti casuali dello spazio urbano
|
||
finalizzati unicamente a rileggerlo in modo imprevisto, mettendone in
|
||
luce aspetti alternativi, dimenticati o nascosti. Alla città borghese
|
||
(o a parti -- o anche a semplici frammenti o dettagli -- di essa)
|
||
vengono cosí attribuiti nuovi significati e nuovi "usi" ai margini
|
||
dell'utile.
|
||
|
||
Un tale genere di atteggiamento nei confronti della città e della realtà
|
||
potrebbe apparire del tutto inefficace. Non producendo frutti immediati
|
||
e tangibili risulta a prima vista completamente superfluo. Tuttavia, è
|
||
proprio in una rimessa in discussione dei valori socialmente condivisi
|
||
in quel determinato momento storico che affonda le proprie radici
|
||
l'analisi -- e la critica -- situazionista. Si equivocherebbe il senso
|
||
di tale operare scambiandolo (come spesso è stato fatto in periodi più
|
||
recenti) per una produzione di performance artistiche. In realtà tutte
|
||
le elaborazioni situazioniste -- dai rilievi psico-geografici delle
|
||
città alle derive, passando per i materiali pubblicati sulla rivista --
|
||
hanno un intento profondamente e inequivocabilmente *politico*, anche
|
||
dietro le mentite spoglie della leggerezza e dell'ironia. Ed è proprio
|
||
a partire da una riconsiderazione politica delle categorie dell'utile e
|
||
dell'inutile, cosí come del lavoro produttivo e del gioco, che i
|
||
situazionisti impostano le loro esperienze. Le quali sono sí
|
||
caratterizzate da una programmatica impermanenza e aleatorietà; ma al
|
||
tempo stesso vengono assoggettate dai componenti del gruppo a un certo
|
||
"rigore" metodologico che le rende comunicabili e scambiabili, e dunque
|
||
anche condivisibili. Fondamentale per i situazionisti, da questo punto
|
||
di vista, è che le derive da essi compiute non rimangano delle
|
||
esperienze isolate, soggettive, ma vengano invece sempre socializzate.
|
||
Soltanto cosí l'opera di risignificazione di alcuni luoghi della città
|
||
può giungere a compimento; e in questo modo avviare un processo di
|
||
"riqualificazione" (anche solo virtuale) dei medesimi luoghi. Il fatto
|
||
che questo processo si attui in una prospettiva ludica -- ovvero nella
|
||
dimensione in cui l'*homo ludens* si sostituisce all'*homo faber*[^29]
|
||
-- non lo rende per questo meno pensabile: semmai meno facilmente
|
||
realizzabile, vale a dire realizzabile soltanto a costo di forzare i
|
||
consueti termini della realtà, infrangendo cioè il patto che questa
|
||
tacitamente istituisce con un modo "serio" di intendere la società e il
|
||
mondo.
|
||
|
||
È verso la fine del Settecento, rileva Johan Huizinga, nel momento in
|
||
cui si sviluppano simultaneamente classe borghese, rivoluzione
|
||
industriale e Illuminismo, che "lavoro e produzione assurgono a ideale,
|
||
anzi quasi a idolo"[^30]. Si tratta dell'infanzia dell'epoca odierna. È
|
||
in quel momento infatti che, secondo lo storico olandese, sorge
|
||
|
||
> ... \[l'\]equivoco secondo il quale le forze economiche e l'interesse
|
||
> economico determinerebbero e dominerebbero il corso del mondo. La
|
||
> sopravvalutazione del fattore economico nella società e nello spirito
|
||
> umano era in certo senso il frutto naturale del razionalismo e
|
||
> dell'utilitarismo.
|
||
|
||
Il ritorno -- o l'approdo -- a una società ludica, per i situazionisti,
|
||
corrisponde appunto alla messa in crisi del razionalismo e
|
||
dell'utilitarismo, cioè a dire del capitalismo. Il rifiuto di
|
||
quest'ultimo è il rifiuto innanzitutto di una logica produttiva in senso
|
||
economico, non della produzione *tout court*. È in questa logica che
|
||
essi pongono il "gioco" al centro del proprio interesse. Pur se
|
||
improduttivo in senso economico, il gioco in compenso produce
|
||
divertimento. Ed è precisamente quest'ultimo che si prefiggono di
|
||
"produrre" i situazionisti. Un divertimento che non costituisce una
|
||
semplice evasione dalle consuete regole sociali, una pausa dalla
|
||
"serietà" altrimenti dominante, bensì il fondamento stesso di una
|
||
società basata sul gioco anziché sul lavoro, sull'avventura anziché
|
||
sulla noia; una società nomade anziché stanziale, proprio come la *New
|
||
Babylon* di Constant immaginava di esserlo[^31].
|
||
|
||
Ma non è soltanto nel progetto di Constant che il gioco assume un ruolo
|
||
centrale nella costruzione di situazioni urbane alternative a quelle
|
||
esistenti. Il concetto di "urbanismo unitario" formulato
|
||
dall'Internationale Situationniste, ovvero la "costruzione integrale di
|
||
un ambiente in legame dinamico con esperienze di comportamento"[^32], è
|
||
al tempo stesso una critica alla città del capitale e la prefigurazione
|
||
di uno spazio sociale inteso nella prospettiva del ludico:
|
||
|
||
> L'urbanismo unitario non è una dottrina urbanistica ma una critica
|
||
> dell'urbanistica. (...) Nessuna disciplina separata può essere
|
||
> accettata in sé, noi andiamo verso una creazione globale
|
||
> dell'esistenza. L'urbanismo unitario è distinto dai problemi
|
||
> dell'habitat e tuttavia è destinato ad inglobarli; a maggior ragione è
|
||
> distinto dagli attuali scambi commerciali. In questo momento prende
|
||
> in considerazione un campo di esperienza per lo *spazio sociale* delle
|
||
> città future. Non è una reazione contro il funzionalismo, ma il suo
|
||
> superamento: si tratta di realizzare, al di là dell'utilità immediata,
|
||
> un ambiente funzionale appassionante. (...) Cosí come l'habitat,
|
||
> l'urbanismo unitario è distinto dai problemi estetici. Va contro lo
|
||
> spettacolo passivo, principio della nostra cultura in cui
|
||
> l'organizzazione dello spettacolo si estende tanto più scandalosamente
|
||
> quanto più aumentano i mezzi dell'intervento umano. Mentre oggi le
|
||
> stesse città vengono offerte come un penoso spettacolo, un supplemento
|
||
> ai musei, per i turisti trasportati su corriere di vetro, l'urbanismo
|
||
> unitario prende in considerazione l'ambiente urbano come terreno di un
|
||
> gioco di partecipazione. L'urbanismo unitario non è idealmente
|
||
> separato dall'attuale terreno della città. Si è formato
|
||
> dall'esperienza di questo terreno e a partire dalle costruzioni
|
||
> esistenti. Noi dobbiamo sia sfruttare gli attuali scenari con
|
||
> l'affermazione di uno spazio urbano ludico quale lo fa riconoscere la
|
||
> deriva, sia costruirne di totalmente inediti. (...) L'urbanismo
|
||
> unitario si contrappone alla fissazione delle città nel tempo. (...)
|
||
> L'urbanismo unitario è contro la fissazione delle persone in dati
|
||
> punti di una città. È lo zoccolo di una civiltà del tempo libero e del
|
||
> gioco[^33].
|
||
|
||
Le "tecniche" situazioniste, pur in apparenza estremamente elementari, e
|
||
certamente assai modeste se confrontate con quelle impiegate dalle forze
|
||
loro antagoniste, si fondano tuttavia su una lucida comprensione delle
|
||
dinamiche in campo; una comprensione che consente loro di "anticipare"
|
||
le mosse dell'avversario, o in certi casi addirittura di appropriarsi
|
||
dei meccanismi regolativi di tali dinamiche. L'esempio più emblematico
|
||
è proprio quello relativo alla spettacolarizzazione della città e della
|
||
società capitaliste, presagita con largo anticipo e criticata nella sua
|
||
natura "passiva" dai situazionisti, prima di essere approfonditamente
|
||
analizzata, anni più tardi, da Guy Debord, in *La Société du Spectacle*
|
||
(1967). Lungi dall'essere semplicemente rifiutata, la nozione di
|
||
spettacolo è invece assunta e direttamente (e coscientemente) impiegata
|
||
anche in alcune delle pratiche situazioniste. Si pensi ad esempio
|
||
all'uso delle immagini -- sorprendenti e a volte provocatorie -- nelle
|
||
pagine della rivista, a corredo di ponderosi saggi con i quali esse non
|
||
intrattengono palesemente alcun rapporto; o alle copertine della rivista
|
||
stessa, tutte diversamente colorate e metallizzate in modo tale da
|
||
renderle specchianti, una lavorazione complessa e costosa all'epoca, il
|
||
cui unico scopo è evidentemente quello di rendere i fascicoli -- appunto
|
||
-- più spettacolari, e dunque attraenti. D'altronde, al di là della
|
||
singolarità di questi esempi, quanto si offre come lezione più generale
|
||
e durevole dal caso dell'Internationale Situationniste è che per
|
||
combattere efficacemente qualcosa bisogna penetrarvi in profondità e, da
|
||
tale posizione interna, capirne le regole, giungendo al limite persino a
|
||
impiegarle. L'essere *dentro* -- anche nella sovversiva logica
|
||
situazionista -- non è dunque soltanto una condizione fattuale imposta
|
||
da ostili circostanze "esterne", bensì l'irrinunciabile presupposto per
|
||
poter essere *contro*.
|
||
|
||
A fronte di ciò si potrebbe obiettare che le "azioni" situazioniste --
|
||
ovvero le situazioni --, essendo per loro natura impersistenti e del
|
||
tutto prive di sostanzialità, non lasciano alcuna traccia dietro di sé,
|
||
o perlomeno non tracce abbastanza tangibili da poter essere oggettivate,
|
||
e di conseguenza disgiunte, fatte altro da chi le ha vissute. La
|
||
rinuncia alla produttività delle proprie azioni parrebbe dunque lo
|
||
"scotto" che l'Internationale Situationniste è costretta a pagare per
|
||
mantenere dal proprio punto di vista una posizione "politicamente
|
||
corretta". In realtà la prospettiva dei situazionisti è radicalmente
|
||
opposta: affidare per intero il proprio operare a un "lavoro
|
||
improduttivo" significa implicitamente sottrarlo alla possibilità di
|
||
trasformarsi in merce. Rifiutando di farsi "opera" (la cui produttività
|
||
"aggiunge nuovi oggetti al mondo umano artificiale")[^34], la situazione
|
||
-- come la forza lavoro -- "non "produce" altro che vita". Una vita che
|
||
non a caso i situazionisti definiscono correttamente in termini di
|
||
"esperienza".
|
||
|
||
L'"improduttività" situazionista non è comunque l'unico modo per
|
||
liberarsi dal carico di valori sociali da lungo tempo assunti come
|
||
"naturali". Non sono pochi i casi in cui gli architetti hanno cercato
|
||
almeno di infrangere il "cerchio magico" che racchiude in un unico
|
||
abbraccio progetto e realtà; rinunciando deliberatamente a quest'ultima
|
||
ed esonerando in questo modo il progetto dal compito di dover fare i
|
||
conti con essa. Ciò non spezza, sia chiaro, l'equazione architettura =
|
||
merce, dal momento che ogni progetto incarna, almeno potenzialmente,
|
||
entrambe. Di progetti non realizzati, ovviamente, ne esiste un numero
|
||
sterminato, senza che questo comporti una altrettanto alta ricorrenza di
|
||
casi in cui i progetti intendano opporsi intenzionalmente alla realtà.
|
||
Anzi, si potrebbe facilmente affermare che la maggior parte dei progetti
|
||
che rimangono tali anelerebbe sopra ogni altra cosa a essere realizzata.
|
||
Quanto invece qui interessa sono quegli assai più rari casi -- in tutti
|
||
i sensi "eccezioni" -- in cui il progetto mette in difficoltà, e
|
||
addirittura impedisce, ostacola letteralmente, la possibilità della
|
||
propria realizzazione, arrivando a *progettare* le condizioni della
|
||
propria irrealizzabilità.
|
||
|
||
Sarebbe fin troppo facile citare al proposito i molti progetti utopici
|
||
prodotti dalla cultura architettonica tra la seconda metà del Settecento
|
||
e gli ultimi decenni del Novecento: ai quali progetti tuttavia difetta,
|
||
nella gran parte di casi, la consapevolezza (o forse sarebbe meglio
|
||
dire, la disillusione) di essere inevitabilmente "dentro" per poter
|
||
essere davvero contro. La vera debolezza delle utopie, in questo senso,
|
||
non è tanto quella di non poter essere realizzate, quanto piuttosto
|
||
d'illudersi di non essere condizionate dalla realtà, di porsi come una
|
||
vera alternativa rispetto a quest'ultima. Ciò che è utopico in tali
|
||
progetti è proprio questa chimerica speranza. Cosí come ciò che in essi
|
||
finisce per essere davvero ineffettuale, più che il tentativo di
|
||
osservare il mondo con uno sguardo diverso, è la persuasione che tale
|
||
sguardo non appartenga comunque a "questo mondo", che possa esistere in
|
||
esso, nonostante esso.
|
||
|
||
Al di fuori delle utopie architettoniche e delle ideologie che
|
||
inevitabilmente vi sono connesse[^35], è in una dimensione meno carica
|
||
di "messianiche attese" che l'allontanamento del progetto dalla realtà
|
||
(ovvero dal rispetto delle condizioni per una sua realizzazione almeno
|
||
possibile) produce esiti più interessanti. Con intenti che si
|
||
presentano comunque critici o polemici -- anche se espressi a volte in
|
||
maniera silenziosa o sottile -- nei confronti del contesto economico,
|
||
sociale, politico, insomma del complessivo panorama valoriale in cui si
|
||
inseriscono (o che piuttosto rifiutano).
|
||
|
||
Tra i tanti che si potrebbero citare, un caso estremamente affascinante
|
||
da questo punto di vista è quello di John Hejduk. Dopo gli studi
|
||
compiuti in diverse università americane, come la Cooper Union di New
|
||
York e la Harvard University, viene chiamato a insegnare alla School of
|
||
Architecture di Austin (Texas), dove -- insieme ad altri colleghi tra i
|
||
quali Colin Rowe, Robert Slutzky, Werner Seligmann e Bernhard Hoesli --
|
||
dà vita al gruppo dei Texas Rangers[^36]. Anche grazie all'influenza
|
||
del lavoro astratto-geometrico -- grafico e pittorico -- di Josef Albers
|
||
(allievo e poi maestro del Bauhaus -- nonché insegnante del *Vorkurs*,
|
||
già tenuto da Itten -- prima dell'emigrazione negli Stati Uniti, quindi
|
||
direttore del Black Mountain College in North Carolina e del
|
||
dipartimento di Design alla Yale University) il gruppo sviluppa un
|
||
approccio al progetto architettonico tendente a marginalizzare i
|
||
problemi concreti come il programma, la funzione o gli aspetti
|
||
costruttivi, focalizzandosi invece su principî visuali e su
|
||
un'architettura intesa come disciplina autonoma. È in questo contesto
|
||
che Hejduk esplora le possibilità insite nella *nine-square grid*, la
|
||
griglia di nove quadrati come matrice per infinite variazioni
|
||
compositive. Su questi esercizi si basano le sette "Texas Houses",
|
||
elaborate tra il 1954 il 1963[^37]. Dopo diverse esperienze lavorative
|
||
presso studi di qualificati professionisti quali I. M. Pei and
|
||
Partners, nel 1965 Hejduk apre un proprio studio di architettura a New
|
||
York. Nei progetti che produce a cavallo di questi anni -- serie
|
||
Diamond (1963-67), serie 1/4, 1/2, 3/4 (1968-74), Wall Houses
|
||
(1971-73)[^38] --, il tema insistentemente affrontato è quello della
|
||
casa: tema che tuttavia, contrariamente a quanto non accada di norma,
|
||
esclude dal proprio orizzonte qualsiasi ipotesi di fattibilità. Facendo
|
||
ricorso a diverse "strategie" compositive (rotazioni, concentrazioni,
|
||
dimezzamenti, prolungamenti), Hejduk pone sul cammino del progetto
|
||
differenti generi d'impedimenti, tali da mantenere quanto più lontano
|
||
possibile da esso lo "spettro" della costruibilità. Si tratta con tutta
|
||
evidenza di un'architettura preoccupata di rispondere a requisiti
|
||
puramente teorici. Ma una "teoria" che ha ben poco di positivo da
|
||
dimostrare. Al di là di elementari figure geometriche e di forme
|
||
puriste di esplicita discendenza lecorbusieriana, questi progetti di
|
||
case o di altri tipi di spazi non contengono altro che l'esatto
|
||
contrario di quanto comunemente si potrebbe ritenere comodo, agevole,
|
||
funzionale. In questo senso va inteso, ad esempio, il lunghissimo
|
||
corridoio che collega-e-divide le stanze poste alle due estremità della
|
||
3/4 House; o che si "tende" all'infinito nella Gunn House; o ancora, che
|
||
fa da "spina" centrale nella Extension House: vere e proprie "barriere"
|
||
architettoniche che s'interpongono beffardamente all'usabilità della
|
||
casa; la quale, in tal modo, più che un rifugio, appare un luogo di
|
||
pena. Ed effetti analoghi si lasciano riscontrare nei progetti della
|
||
serie Diamond (Diamond House A, Diamond House B, Diamond Museum C), dove
|
||
lo spazio quadrato è recintato e scandito internamente da pareti
|
||
ortogonali o da forme curvilinee "libere" soltanto di rendere possibile
|
||
la circolazione dentro quella che si rivela essere a tutti gli effetti
|
||
una prigione.
|
||
|
||
Ha certamente ragione Manfredo Tafuri nel ritenere John Hejduk "il più
|
||
empirico e il meno intellettualistico"[^39] dei componenti del gruppo
|
||
dei New York Five, al quale aderisce in occasione dell'incontro
|
||
organizzato da Kenneth Frampton nell'ambito della Conference of
|
||
Architects for the Study of Environment, svoltosi al MoMA nel 1969[^40].
|
||
E tuttavia, tale empirismo dei suoi progetti teorici non si lascerebbe
|
||
definire meglio che come un tentativo di minare alle basi idee e
|
||
consuetudini che vogliono l'architettura (e in particolar modo quella
|
||
della casa) come qualcosa di lontano dalle insidie delle vuote
|
||
speculazioni, tutta assorbita dallo svolgimento di compiti utili, e la
|
||
cui perfetta integrazione alle regole del mercato è garantita dal
|
||
sistema stesso che la detiene e controlla. In forma essenziale, quasi
|
||
elementare, i progetti impossibili di Hejduk sembrano costituire
|
||
un'opposizione a tale sistema; un'opposizione niente affatto aggressiva,
|
||
bensì condotta con le "armi" di una serissima ironia e di un poetico
|
||
candore. Né d'altronde risulta inverosimile, nell'ottica della seconda
|
||
metà degli anni sessanta, ribellarsi alle logiche del professionismo
|
||
spersonalizzato dei grandi studi americani, dominati -- più che dagli
|
||
*architects* -- dai *builders*, occupati perlopiù in stanche repliche
|
||
degli stilemi dell'*International Style*. E farlo doveva essere tanto
|
||
più significativo dalla particolare prospettiva newyorkese.
|
||
|
||
Allorché Hejduk nel 1965 apre uno studio di architettura e inizia a
|
||
produrre i propri progetti lo fa non già per integrarsi a tale sistema,
|
||
bensì piuttosto per sottrarsi a esso. E anche in seguito -- con rare
|
||
eccezioni rappresentate dai pochi progetti realizzati, tutti accomunati
|
||
da un gusto per la giocosità e da un'irriverente irrisione nei confronti
|
||
del "buon senso" (dai surreali interventi effettuati all'interno della
|
||
Cooper Union School, a New York, alla "macchina celibe" dello Studio for
|
||
a Musician, fino agli stranianti edifici costruiti a Berlino nell'ambito
|
||
dell'Internationale Bauausstellung 1987)[^41] -- egli persisterà nella
|
||
sua volontaria "astensione" dalla realtà e in una ricerca del senso
|
||
dell'architettura al di là della sua costruzione, spostando
|
||
preferenzialmente la propria attenzione sul terreno del disegno e della
|
||
poesia. Rompendo i limiti dell'oggettività e fissità tradizionali, gli
|
||
edifici diventano cosí personaggi, oggetti-soggetti protagonisti di un
|
||
"viaggio" che da Venezia li porta via via a Praga, Berlino, Riga,
|
||
Vladivostok[^42]. Negli espressivi e infantili disegni che compongono i
|
||
libri-avventure di Hejduk rivivono lo spirito surrealista e
|
||
situazionista, ma soprattutto si agita uno spirito che nel rifiuto della
|
||
dimensione costruttiva-costrittiva dell'architettura non identifica la
|
||
sua negazione, quanto piuttosto vede la sua libertà dal reale come un
|
||
valore.
|
||
|
||
Sulla medesima lunghezza d'onda dell'"esposizione lucida e perversa
|
||
dell'inutilità del gioco intrapreso"[^43] dai progetti di Hejduk si
|
||
pongono le speculazioni sull'architettura elaborate da Peter Eisenman.
|
||
Il loro carattere è molto più intellettuale; la loro volontà
|
||
dimostrativa molto più stringente, e tuttavia non dissimili sono il
|
||
contesto in cui questi si muove e gli obiettivi che lo animano. In
|
||
particolar modo nel noto ciclo delle Houses I-X, progettate e in parte
|
||
realizzate tra il 1967 e il 1976, il tema centrale è quello delle
|
||
variazioni compiute su operazioni compositive ed elementi semplici e
|
||
lineari, ma via via resi sempre più complessi nelle loro relazioni: una
|
||
sorta di *ars combinatoria*, o di "grammatica trasformazionale" *à la*
|
||
Chomsky, alla quale peraltro Eisenman si rifà esplicitamente. Come già
|
||
nel caso dei progetti di Hejduk, anche qui l'architettura vive una vita
|
||
propria staccata dalla realtà: essa *parla di se stessa*, del proprio
|
||
sistema di segni privati di senso, autoreferenziali, tautologici. Ma
|
||
appunto, nell'affermare il linguaggio come perfettamente fine a se
|
||
stesso, si sancisce la separazione della forma architettonica dalla
|
||
dimensione esperienziale. Scrive Eisenman a proposito della House III
|
||
(1969-71), realizzata a Lakeville (Connecticut):
|
||
|
||
> Quando entra nella "propria casa", il proprietario è un intruso che
|
||
> tenta di prenderne possesso e, di conseguenza, distrugge, seppur in
|
||
> senso positivo, l'unità e la completezza iniziale della struttura
|
||
> architettonica[^44].
|
||
|
||
E Tafuri:
|
||
|
||
> La spietata operazione di Eisenman consiste nel riconoscere che non si
|
||
> dà lingua architettonica se non al di fuori della prassi, che il
|
||
> laboratorio sintattico evocato da oggetti perfettamente circoscritti
|
||
> nel colloquio dei segni fra loro *non ammette intrusi*[^45].
|
||
|
||
"Al di fuori della prassi": ancora una volta si ripresenta la non
|
||
accettazione dell'architettura come semplice "cosa pratica", come mera
|
||
*machine à fonctionner*. Ma ciò a cui s'oppone Eisenman, a ben
|
||
guardare, è qualcosa di più che il funzionamento o l'uso
|
||
dell'architettura: piuttosto è il destino di superfluità, di
|
||
"inoperatività" che ai suoi occhi l'architettura finisce per assumere
|
||
nell'epoca del capitalismo maturo. Ridotta a oggetto solo-funzionale,
|
||
essa rischia di diventare paradossalmente un oggetto inutile. Di tale
|
||
inutilità -- o per meglio dire, di tale *intransitività* -- le stesse
|
||
case di Eisenman, da lui stesso battezzate *Cardboard Architecture*
|
||
(architettura di cartone)[^46], sono la pur esile prova. Nella House
|
||
VI, ad esempio, realizzata con il nome di House Frank a Cornwall
|
||
(Connecticut, 1972-75), l'incrocio di piani verticali perpendicolari tra
|
||
loro produce una costruzione gremita di contraddizioni spaziali:
|
||
passaggi interdetti, collegamenti imprevisti, scale che finiscono nel
|
||
nulla. Le aporie dello spazio, concepite come parti inerenti al
|
||
sistema, ridanno alla casa un imprevisto interesse "autonomo": la casa
|
||
diviene interessante *in sé*, non in quanto capace di essere comoda o
|
||
funzionale, o per il suo valore di mercato.
|
||
|
||
Applicata al corpo concreto dell'architettura, tuttavia, la teoria
|
||
eisenmaniana dello "svuotamento di senso dei segni" si espone a
|
||
possibili "cadute"; o quantomeno, in certi casi risulta essere un piano
|
||
pericolosamente inclinato, come lo sono le pareti della House X (1975),
|
||
l'ultima della serie: una casa concepita come un'assonometria
|
||
tridimensionale, in cui la realtà è virtualmente "piegata" alla sua
|
||
rappresentazione e nella quale di conseguenza vivere sarebbe
|
||
letteralmente impossibile (e infatti non verrà realizzata). O come lo
|
||
sono -- ancora di più -- alcune sue opere degli anni ottanta e novanta
|
||
(Uffici della Koizumi Sangyo Corporation, Tokyo, 1988-90; Aronoff Center
|
||
for Design and Art, Cincinnati, 1988-96; Sede centrale della Nunotani
|
||
Corporation, Tokyo, 1990-92, tutte realizzate), in cui singoli
|
||
elementi e interi volumi si presentano storti al punto da mettere
|
||
quasi a repentaglio il loro stesso utilizzo. È proprio qui che
|
||
l'incursione della teoria all'interno dei territori della realtà
|
||
mostra la sua debolezza. Fuori dalla zona di costitutiva ambiguità
|
||
tra astrazione e realtà in cui vivevano i suoi primi progetti di case
|
||
concettuali, le quali -- nonostante gli sporadici affondi nella
|
||
materia -- rimangono comunque "fantasmi virtuali", corpi disincarnati
|
||
fino ai limiti del possibile, le architetture successive di Eisenman
|
||
riescono al più a mettere in scena una parodia del conflitto; la loro
|
||
"decostruzione" del mondo è soltanto una maschera destinata a fornire
|
||
a quel mondo l'ennesima copertura (*intellettuale*) con cui
|
||
perpetuarsi, non certo la spia dell'aprirsi al suo interno di "crepe".
|
||
Dietro la rottura dell'ordine non vi è la minaccia di alcun dissidio
|
||
con il mondo bensì -- neanche troppo paradossalmente -- l'annuncio
|
||
della nascita di una "nuova alleanza" con esso, come dimostra tra
|
||
l'altro il consenso ricevuto dagli edifici sopra citati e da altri
|
||
loro consimili da parte di diverse *corporations*. E lo stesso si può
|
||
dire dell'"architettura non classica", "rappresentazione di se stessa,
|
||
dei propri valori e della sua esperienza interna"[^47], che Eisenman
|
||
teorizza e contestualmente realizza in quegli stessi anni;
|
||
un'architettura auto-generata a partire da presupposti totalmente
|
||
arbitrari, e che tuttavia -- unici -- garantirebbero a suo avviso una
|
||
completa autonomia dalle tre *fictions* (rappresentazione, ragione,
|
||
storia) sotto il cui giogo essa sarebbe rimasta dal Rinascimento fin
|
||
quasi alla fine del XX secolo. Ma dare vita a "un'*architettura come
|
||
discorso indipendente*, libero da valori esterni"[^48], esattamente
|
||
come elevare l'arbitrarietà a nuovo fondamento, si dimostreranno
|
||
possibilità tanto seducenti quanto in fin dei conti illusorie.
|
||
|
||
Al di là comunque di tutte le possibili fughe nel "mondo dei sogni"
|
||
della teoria e del progetto (e persino di quegli oggetti che -- pur
|
||
materiali e tridimensionali -- si lasciano agevolmente inquadrare in una
|
||
cornice di irrealtà, com'è il caso di quelli di Eisenman), a
|
||
un'architettura che pretenda di posizionarsi in maniera effettivamente
|
||
diversa rispetto alle logiche e all'universo valoriale dominanti si
|
||
richiederà di confrontarsi con questi in modo più stringente, più
|
||
sostanziale. Per spingersi oltre le facili apparenze di libertà o di
|
||
insubordinazione, insomma, o meglio ancora, per evitare di accontentarsi
|
||
di una semplice "*dis*simulazione" della libertà dai valori, è
|
||
necessario trovare qualcosa -- e qualcuno -- che sia in grado di
|
||
confrontarsi sul serio con la realtà. Con la ben precisa coscienza che,
|
||
nel compiere questo passaggio, architettura e architetto si trovano a
|
||
dover affrontare "appesantimenti" di vario genere assai più gravosi,
|
||
quali ad esempio il rispetto delle leggi fisiche, dei regolamenti
|
||
edilizi e di tutti gli altri vincoli -- espliciti o sottintesi -- che
|
||
appartengono al mondo reale.
|
||
|
||
Non sono numerosi -- stanti queste premesse -- i casi in cui un edificio
|
||
e il suo architetto possano dirsi davvero capaci di rompere norme e
|
||
convenzioni, *non* sul versante formale quanto piuttosto su quello delle
|
||
regole comunemente diffuse e accettate, mostrando cosí di saperle
|
||
modificare dall'interno. Tra queste rare eccezioni, vi è senza alcun
|
||
dubbio John N. Habraken, architetto olandese che ha dedicato la sua
|
||
intera carriera a una riconsiderazione integrale del ruolo rivestito da
|
||
sé o da altri all'interno del processo di produzione edilizia, e
|
||
conseguentemente a una modificazione dello stesso processo. Nel 1961
|
||
pubblica un libro, *De dragers en de mensen, het einde van de
|
||
massawoningbouw* (tradotto in inglese nel 1972 con il titolo *Supports:
|
||
An Alternative to Mass Housing*)[^49], che susciterà l'interesse
|
||
dell'ambiente accademico e professionale olandese. In stretta
|
||
connessione con ciò, nel 1964 viene fondato lo Stichting Architecten
|
||
Research (SAR), un'organizzazione per la ricerca nel settore della
|
||
residenza, finanziata da un gruppo di architetti olandesi e diretta
|
||
dallo stesso Habraken. Pur senza impegnarsi nella diretta redazione di
|
||
progetti, il SAR ha fornito la propria consulenza ad altri architetti,
|
||
amministrazioni pubbliche ed enti olandesi per coadiuvarne la
|
||
sperimentazione progettuale nel campo dell'edilizia residenziale.
|
||
L'idea elaborata da Habraken si basa sulla distinzione, all'interno dei
|
||
nuclei abitativi, tra elementi stabili, sia per la loro funzione che per
|
||
il loro contenuto tecnico, denominati "supporti" (*supports*), ed
|
||
elementi variabili, il cui utilizzo è più soggettivo e mutevole nel
|
||
tempo, denominati "unità staccabili" (*infills*). Rispetto alle
|
||
"tradizioni" precedenti (compresa quella moderna) si istituisce cosí una
|
||
prima differenza: se infatti i supporti devono essere messi in opera in
|
||
cantiere, le unità staccabili sono prodotte dall'industria. Ma la
|
||
distinzione riguarda anche i soggetti coinvolti nel processo di
|
||
definizione di ciascun nucleo residenziale: se per i *supports* è ancora
|
||
indispensabile la presenza delle figure che di norma presiedono al
|
||
processo costruttivo (architetto, ingegnere), i "detentori del potere"
|
||
sulle *infills* sono invece gli utenti. Ed è a partire da qui che
|
||
Habraken svilupperà, negli anni seguenti, un discorso relativo alla
|
||
relazione esistente tra chi esercita il potere all'interno del processo
|
||
progettuale e la forma che questo assume. Cosí, come in tutti gli altri
|
||
casi,
|
||
|
||
> ... anche nell'edilizia di massa la morfologia esprime i valori di chi
|
||
> assume le decisioni: in questo caso l'élite intellettuale,
|
||
> professionale, che stabilisce i giudizi di valore e ne risponde
|
||
> soltanto nei confronti del suo stesso gruppo sociale. Il dibattito
|
||
> sulla qualità -- su ciò che è valido o meno, su ciò che si deve o non
|
||
> si deve fare -- si svolge soltanto tra i professionisti. Le regole
|
||
> vengono fissate dagli stessi che le mettono in pratica. L'architetto
|
||
> che sostiene una nuova forma non si preoccupa di mettersi in contatto
|
||
> con i futuri utenti ma solo con le autorità. Le autorità ascoltano
|
||
> solo i professionisti e gli esperti. I risultati vengono poi
|
||
> confrontati sul piano internazionale attraverso riviste, congressi,
|
||
> mostre, visite: il dialogo tra professionisti continua[^50],
|
||
|
||
tralasciando del tutto coloro che -- in quanto direttamente implicati --
|
||
avrebbero al contrario il diritto di prendervi parte.
|
||
|
||
Pur essendo uno dei massimi sostenitori di un reale coinvolgimento,
|
||
ovvero di una "partecipazione", di tali soggetti, Habraken è anche molto
|
||
chiaro e realistico in merito: "Una partecipazione reale (...) può
|
||
essere basata soltanto su un rapporto di potere. (...) Chiedere
|
||
partecipazione significa che non si ha potere nell'ambito della
|
||
controparte". Il processo di partecipazione, pertanto,
|
||
|
||
> ... può funzionare soltanto se il rapporto si sviluppa tra due poteri
|
||
> che in qualche modo si equilibrano -- tra due poteri che operano in
|
||
> una diversa direzione e devono trovare un equilibrio. È necessario che
|
||
> nel processo entrambi i poteri siano identificabili e riconosciuti.
|
||
> (...) Finché questo equilibrio non esiste, i cosiddetti processi
|
||
> partecipatori sono soltanto un'espressione del problema, non la sua
|
||
> soluzione[^51].
|
||
|
||
È muovendo da questi presupposti che si può assumere nel suo significato
|
||
effettivo il "caso" del Villaggio Matteotti di Terni (1969-75), il cui
|
||
"artefice" è Giancarlo De Carlo: un intervento giustamente celebre, non
|
||
solo per i suoi esiti, che ne fanno un "frammento" di architettura di
|
||
grande qualità del secondo dopoguerra, nonché un complesso fortemente
|
||
identitario e unitario (nonostante la mancata realizzazione della parte
|
||
destinata ai servizi pubblici), ma soprattutto per la ragione che -- tra
|
||
i primi e i pochi casi in Italia -- il Villaggio ha visto appunto la
|
||
partecipazione degli utenti al processo di progettazione.
|
||
|
||
In realtà, quella della partecipazione, pur rivestendo un ruolo
|
||
importante, è soltanto una delle condizioni poste da De Carlo al
|
||
committente -- le Acciaierie di Terni -- per accettare l'incarico che
|
||
gli era stato offerto. E qui è interessante notare come la posizione di
|
||
De Carlo nei confronti della sua "controparte" sia abissalmente distante
|
||
da quella assunta dalla maggior parte dei colleghi suoi contemporanei, e
|
||
ancora di più dalla pressoché totalità degli architetti del giorno
|
||
d'oggi. Per comprendere quale sia con esattezza la posizione di De
|
||
Carlo basta leggere il testo scritto da lui stesso che ripercorre con
|
||
precisione la vicenda di Terni[^52]. Durante il fascismo, all'estrema
|
||
periferia sud-orientale di Terni, era stato realizzato un quartiere
|
||
operaio per i dipendenti delle Acciaierie. La situazione di degrado del
|
||
quartiere, l'assenza di servizi e la programmatica carenza di
|
||
collegamenti con la città suggeriscono alla direzione delle Acciaierie
|
||
di intervenire in qualche modo:
|
||
|
||
> La direzione propendeva per vendere le case ai loro abitanti e
|
||
> togliersi una volta per tutte il peso di dovere intervenire con forti
|
||
> spese di manutenzione o, peggio, di risanamento. I consigli di
|
||
> fabbrica invece sostenevano l'ipotesi di radere al suolo tutto e
|
||
> ricostruire sulla stessa area il volume di residenza che era
|
||
> consentito dal piano regolatore. Dopo lunghe discussioni, visto che
|
||
> non si trovava uno sbocco tra le due inconciliabili alternative, la
|
||
> direzione decideva di girare il problema a un architetto, e cioè a
|
||
> qualcuno che fosse in grado di risolverlo in termini puramente
|
||
> tecnici, e perciò inequivocabili[^53].
|
||
|
||
In quest'ultimo passaggio va sottolineata l'ingenua -- o piuttosto la
|
||
ben calcolata -- identificazione della figura dell'architetto con quella
|
||
del "tecnico": dove con questo termine la direzione delle Acciaierie
|
||
intendeva evidentemente alludere a qualcuno in grado di svolgere una
|
||
funzione -- e di fornire una prestazione -- oggettiva, misurabile,
|
||
"scientifica"; perfetta incarnazione, secondo le attese della
|
||
committenza, del "rifornitore" del sistema. E invece, l'architetto
|
||
prescelto disattenderà tale aspettativa:
|
||
|
||
> Ma l'architetto -- che poi ero io -- si rendeva subito conto che se
|
||
> avesse tagliato il nodo, invece di tentare di scioglierlo, si sarebbe
|
||
> trovato a svolgere un ruolo equivoco al servizio di un potere che non
|
||
> gli piaceva.
|
||
|
||
De Carlo mette a punto cinque diverse ipotesi di intervento: dal
|
||
risanamento integrale del vecchio villaggio, senza variare la sua
|
||
configurazione originale ma dotandolo dei servizi collettivi necessari e
|
||
ristrutturando integralmente gli edifici residenziali, alla sostituzione
|
||
del tessuto edilizio originale con un sistema di edifici a torri uguali
|
||
a quello già utilizzato in un altro intervento dalle Acciaierie di
|
||
Terni; dall'utilizzo di un sistema di edifici in linea analogo a quelli
|
||
utilizzati dagli istituti di case popolari in giro per l'Italia in
|
||
quegli anni, all'adozione di due possibili sistemi di edifici costituiti
|
||
da tre piastre sovrapposte all'interno delle quali sono previste
|
||
sequenze di edifici lineari includenti la residenza, i servizi di
|
||
diretta pertinenza dell'abitazione e i canali del movimento pedonale.
|
||
"Ciascuna delle cinque alternative era corredata dalla descrizione dei
|
||
vantaggi e degli svantaggi che comportava, in relazione ai diversi punti
|
||
di vista che era possibile considerare". Ma soprattutto:
|
||
|
||
> Le cinque alternative venivano consegnate e accompagnate da una nota
|
||
> nella quale si diceva che l'architetto sarebbe stato interessato a
|
||
> elaborare il progetto, e quindi ad assumere l'incarico, soltanto se la
|
||
> scelta fosse caduta sulla quarta o la quinta soluzione: le prime tre
|
||
> le Acciaierie avrebbero potuto attuarle in proprio o rivolgendosi ad
|
||
> altri che si sentissero di condividerle[^54].
|
||
|
||
Lungi dal mettersi completamente "al servizio" del suo committente, del
|
||
tutto prono di fronte alle richieste di questi, come suo puro
|
||
"rifornitore", De Carlo pone le condizioni in base alle quali è
|
||
disponibile a farsi carico del progetto. E non si tratta affatto di
|
||
richieste di ordine economico. Piuttosto, quelle alle quali egli mira
|
||
sono le condizioni che ritiene migliori *per il progetto*, e di
|
||
conseguenza migliori per chi dovrà usufruirne. Il concetto -- e la
|
||
pratica -- della "partecipazione" discendono precisamente da questi
|
||
presupposti. Nell'ottica di quest'ultima, "il compito del progettista
|
||
non è più di sfornare soluzioni finite e inalterabili, ma di estrarre le
|
||
soluzioni da un confronto continuo con chi utilizzerà la sua
|
||
opera"[^55]. Un *processo*, non più semplicemente un progetto[^56].
|
||
|
||
Ma la questione della partecipazione apre anche ulteriori prospettive
|
||
che De Carlo sviluppa solo parzialmente. Ad esempio quella relativa
|
||
alla "gestione del potere" intimamente connesso all'architettura.
|
||
|
||
Scrive De Carlo:
|
||
|
||
> Si ha la partecipazione quando tutti intervengono in egual misura
|
||
> nella gestione del potere, oppure -- forse cosí è più chiaro -- quando
|
||
> non esiste più il potere perché tutti sono direttamente ed egualmente
|
||
> coinvolti nel processo delle decisioni[^57].
|
||
|
||
L'idea di De Carlo, sulla scia delle tendenze del comunismo anarchico
|
||
verso cui era orientato[^58], è quella di una sorta di "dissoluzione del
|
||
potere" attraverso la sua condivisione. In realtà, ciò che qui egli
|
||
sembra soprattutto voler mettere in discussione fino alle sue radici è
|
||
il ruolo dell'architetto: "La prospettiva che mi sembra molto
|
||
interessante è quella di sottrarre l'architettura agli architetti per
|
||
restituirla alla gente che la usa"[^59]. È l'architetto che può e che
|
||
*deve* compiere -- ai suoi occhi -- un atto di rinuncia nei confronti
|
||
della propria stessa natura di *autore* (della propria *auctoritas*,
|
||
dunque), per far divenire il progetto davvero utilizzabile dai suoi
|
||
fruitori.
|
||
|
||
Ma se l'architetto può arrivare a compiere questa rinuncia, rendendo
|
||
l'architettura, attraverso la partecipazione, "sempre meno la
|
||
rappresentazione di chi la progetta e sempre più la rappresentazione di
|
||
chi la usa"[^60], ciò può avvenire soltanto a patto che l'architetto
|
||
stesso abbia compiuto un'altra "liberazione", esattamente simmetrica
|
||
alla prima, nei confronti della committenza. È infatti evidente come a
|
||
quest'ultima non possa essere forzatamente richiesto di essere sensibile
|
||
alle esigenze dell'utenza, né imposto un ascolto attento di essa.
|
||
Quando ciò si verifica, va ritenuta più una fortunata eccezione che non
|
||
un'indefettibile regola. Se l'esperienza descritta da De Carlo
|
||
testimonia di una sia pur cauta apertura da parte del committente alle
|
||
richieste dell'architetto, attesta altresí in maniera inequivocabile
|
||
l'*autonomia* dell'architetto nei confronti della sua "controparte".
|
||
Nel saper rifiutare (o quantomeno riformulare) il proprio ruolo di
|
||
"tecnico", De Carlo reimposta il rapporto con la committenza in termini
|
||
*politici*. E come in tutte le questioni di carattere politico,
|
||
l'efficacia o meno di una data azione si misura sulla base della
|
||
capacità di persuadere (o di lasciarsi persuadere) dei suoi "attori",
|
||
ovvero sulla base dei rapporti di forza esistenti tra loro. Non deve
|
||
stupire, in tal senso, che De Carlo non sia riuscito a vincere per
|
||
intero la propria battaglia, e anzi sia stato costretto a incassare
|
||
diverse sconfitte. Soltanto la sua presa di distanza dalle pretese
|
||
della committenza, comunque, ovverosia la sua manifesta indipendenza da
|
||
esse, ha reso possibile il Villaggio Matteotti nelle forme e nei modi
|
||
attuali: un intreccio strettissimo di spazi residenziali, spazi comuni e
|
||
spazi aperti; quasi un labirinto tridimensionale, o una *casbah*
|
||
moderna, in cui cemento armato e natura, anziché essere posti in
|
||
alternativa o in antitesi, convivono in una relazione dialettica, in
|
||
condizione di confrontarsi e di fondersi. Ma soprattutto, un
|
||
insediamento *umano* prima ancora che urbano, una *comunità organica*
|
||
dove gli abitanti ritrovano una centralità che altrove, nell'epoca
|
||
contemporanea, appare ormai inesorabilmente perduta.
|
||
|
||
Pur non essendo frequenti, le "lotte" dell'architetto per ottenere
|
||
condizioni migliori non sono tanto rare da potersi dire inesistenti.
|
||
Anche se spesso non giungono alla notorietà del caso appena citato,
|
||
consumandosi senza troppi clamori, nell'"anonimato" del rapporto tra
|
||
committente e architetto, queste "lotte" hanno come obiettivo di
|
||
ridefinire, almeno provvisoriamente e localmente, le modalità con cui
|
||
viene prodotta l'architettura, dal progetto preliminare all'edificio
|
||
finito. Si potrebbe ritenere che oggetto di simili "rivendicazioni" sia
|
||
immancabilmente la richiesta di miglioramenti del trattamento economico
|
||
da parte dell'architetto. In realtà, pur non escludendo certo questa
|
||
possibilità, in moltissimi casi l'architetto si batte pure per un
|
||
innalzamento della qualità del progetto, oppure -- ciò che non è poi
|
||
tanto diverso -- per un allungamento dei tempi della sua esecuzione, con
|
||
un conseguente beneficio nelle condizioni di lavoro e un aumento
|
||
dell'accuratezza nella sua attuazione.
|
||
|
||
Qualunque sia l'oggetto e il tenore di tali trattative (o -- in certi
|
||
casi -- bracci di ferro), l'elemento costante è che da esse rimangono
|
||
esclusi gli utenti dell'edificio in questione, futuri proprietari o
|
||
locatari che siano. Anche quando -- assai raramente -- è prevista una
|
||
loro compartecipazione alla definizione del progetto (come nel caso
|
||
appena citato, ad esempio), i destinatari dell'architettura hanno scarsa
|
||
o nessuna voce in capitolo, soprattutto in merito agli aspetti economici
|
||
relativi al "bene" a cui intendono accedere. È proprio quello
|
||
dell'accessibilità al "bene"-architettura (nella gran parte dei casi, la
|
||
residenza) il problema con cui in ogni parte del mondo è costretta a
|
||
confrontarsi un'enorme quantità di persone. Non c'è bisogno di
|
||
rileggere i "classici" testi di Friedrich Engels[^61] per sapere quali
|
||
siano i problemi che le classi economicamente più disagiate -- ancora
|
||
oggi -- devono fronteggiare per potersi "permettere" la "propria"
|
||
abitazione: un'abitazione il cui costo -- si tratti di affitto o di
|
||
proprietà -- è spesso fonte di indebitamento. Senza dimenticare che il
|
||
crollo finanziario del 2008, cui è seguito un lungo periodo di crisi
|
||
economica, è stato causato dall'esplosione della "bolla" dei mutui
|
||
*subprime*, concessi a persone dall'insufficiente capacità di assolvere
|
||
a essi.
|
||
|
||
È per questa ragione che un ulteriore modo di essere fattivamente
|
||
"dentro e contro" le regole imposte dal mercato -- ma anche "dentro e
|
||
contro" le condizioni che, in molti paesi del mondo, portano alla "falsa
|
||
alternativa" della realizzazione di insediamenti spontanei, "informali"
|
||
-- è rappresentato dalla strategia attivata da Alejandro Aravena
|
||
attraverso il programma Elemental. Avviato nel 2001 in Cile, suo paese
|
||
natale, insieme all'ingegner Andrés Iacobelli e all'architetto Pablo
|
||
Allard, anch'essi cileni, incontrati alla Harvard University, tale
|
||
programma utilizza il sussidio statale a fondo perduto di 7500 dollari
|
||
americani, concesso alle fasce più povere della popolazione dal
|
||
programma Vivienda Social Dinámica sin Deuda (Edilizia sociale dinamica
|
||
senza debito) del ministero per la Casa e l'Urbanistica cileno, per
|
||
realizzare una casa migliore -- in termini dimensionali e qualitativi --
|
||
di quanto non sia quella normalmente assegnata dallo Stato con i
|
||
medesimi fondi. La somma stanziata doveva essere in grado di coprire i
|
||
costi del terreno, nonché quelli della progettazione e della costruzione
|
||
di ogni singola unità abitativa.
|
||
|
||
L'approfondita ricerca compiuta da Aravena e da un team di altri
|
||
architetti ed esperti in diverse materie porta all'individuazione dei
|
||
requisiti indispensabili per rendere l'abitazione sociale un
|
||
investimento e non una semplice spesa per la collettività:
|
||
|
||
> Tutti noi, quando compriamo una casa, ci aspettiamo che incrementi il
|
||
> suo valore. Questa è la ragione per cui una casa, quasi per
|
||
> definizione, è un investimento. Sfortunatamente, non è quel che
|
||
> succede con l'edilizia sociale. L'edilizia sociale è più simile
|
||
> all'acquisto di un'automobile che a quello di una casa: ogni giorno
|
||
> che passa, il suo valore diminuisce[^62].
|
||
|
||
Perché ciò possa avvenire, la stessa abitazione deve diventare uno
|
||
strumento per il superamento della povertà, e non un semplice riparo
|
||
dall'ambiente circostante. Per Elemental i requisiti fondamentali sono
|
||
il posizionamento non troppo lontano dal centro delle aree sulle quali
|
||
far sorgere i nuovi insediamenti, per evitare che si creino disagi nel
|
||
raggiungimento del posto di lavoro e della scuola da parte degli
|
||
abitanti; la possibilità che le unità abitative si espandano rispetto ai
|
||
36 m^2^ iniziali, fino a un massimo di 72 m^2^ totali; la possibilità
|
||
che questa seconda metà della casa venga realizzata dagli stessi
|
||
abitanti con tecniche di autocostruzione a costi molto bassi; la
|
||
partecipazione dei medesimi utenti alle scelte progettuali, e in
|
||
generale il loro consenso alle operazioni compiute. Al proposito
|
||
scrivono gli autori del programma:
|
||
|
||
> Come nel judo, intendevamo prendere la forza del nostro avversario --
|
||
> in questo caso la scarsità di mezzi -- e usarla a nostro vantaggio,
|
||
> ridirigendola verso gli obiettivi del nostro progetto. Nello
|
||
> specifico ci siamo concentrati sulle costituzionali capacità
|
||
> organizzative delle famiglie[^63].
|
||
|
||
Il primo, storico intervento realizzato da Elemental, terminato nel
|
||
2004, si colloca a Iquique, città situata nel nord del Cile, in una zona
|
||
desertica del paese. Assegnato dal programma ministeriale Chile Barrio,
|
||
il sito, denominato "Quinta Monroy", è collocato in una parte centrale
|
||
della città, e nei trent'anni precedenti l'intervento era stato occupato
|
||
da un centinaio di famiglie che vi avevano costruito delle residenze
|
||
informali. Il problema tuttavia non si presenta di facile risoluzione:
|
||
|
||
> Se per rispondere alla richiesta avessimo assunto 1 casa = 1 famiglia
|
||
> = 1 lotto, saremmo stati in grado di ospitare solo 30 famiglie sul
|
||
> sito. (...) Se per cercare di usare il terreno in modo più efficiente,
|
||
> avessimo impiegato delle case a schiera, anche riducendo la larghezza
|
||
> del lotto fino a farlo coincidere con la larghezza della casa, e
|
||
> ancora di più, con la larghezza di una stanza, saremmo stati in grado
|
||
> di ospitare solo 60 famiglie[^64].
|
||
|
||
La soluzione trovata -- basata sull'idea di corpi edilizi disposti su
|
||
tre livelli alternati a spazi vuoti utilizzabili per le possibili
|
||
espansioni, consente di alloggiare tutte le 93 famiglie e al tempo
|
||
stesso di effettuare gli ampliamenti delle unità abitative.
|
||
|
||
Da un punto di vista architettonico, le case Elemental (replicate in
|
||
seguito in diverse altre località in America Latina, anche al di fuori
|
||
del Cile, per un totale di qualche migliaio di unità abitative
|
||
realizzate), in perfetto accordo con il loro nome, presentano
|
||
caratteristiche elementari, essenziali: parallelepipedi in pannelli di
|
||
cemento prefabbricati all'interno dei quali i progettisti si limitano a
|
||
disporre le componenti più complesse, che una famiglia raramente è in
|
||
grado di costruire da sola: solai, muri divisori, scale, impianti, bagni
|
||
e cucine. Il resto viene lasciato all'iniziativa degli abitanti,
|
||
monitorata però per evitare possibili abusi o situazioni di insicurezza.
|
||
Dal 2006, inoltre, con la creazione di un "Do Tank", la Elemental SA, la
|
||
prosecuzione del programma è stata resa possibile grazie al supporto
|
||
della Pontificia Universidad Catolica de Chile di Santiago (presso la
|
||
quale lo stesso Aravena insegna), e della Empresas Copec, una società
|
||
petrolifera cilena che estende i propri interessi anche ai settori
|
||
dell'energia, della pesca, della silvicoltura e del *real estate*.
|
||
|
||
Senza bisogno di dettagliare ulteriormente un caso di per sé già molto
|
||
noto, vale la pena soffermarsi piuttosto su che cosa rende esemplare
|
||
Elemental dal punto di vista della capacità di confrontarsi con un
|
||
problema reale senza rimanere impigliati nei suoi meccanismi.
|
||
Innanzitutto il programma Elemental non è concepito con l'obiettivo di
|
||
conseguire riconoscimenti per coloro che se ne sono occupati, o
|
||
risultati in qualche modo comparabili con quelli che fanno bella mostra
|
||
di sé nelle monografie o nei siti dedicati ad altri architetti.
|
||
L'obiettivo di Elemental è rendere economicamente sostenibile
|
||
l'acquisizione di una casa per una tipologia di abitanti che nelle
|
||
condizioni normali sono invece obbligati a sottostare, alternativamente,
|
||
al "capestro" della contrazione di un mutuo per diventare proprietari di
|
||
casa, o anche semplici affittuari (entrambe condizioni spesso
|
||
inarrivabili per costoro), oppure al "capestro" di accettare la "logica"
|
||
degli insediamenti "informali" (leggi *villas miseria*, *poblaciónes
|
||
callampas* o *favelas*, a seconda delle lingue e dei luoghi), con tutti
|
||
i problemi che questo comporta. Non meno rilevante è il benessere
|
||
sociale degli abitanti, che implica l'inserimento delle case in contesti
|
||
accettabili in termini di collocazione urbana e di sicurezza, e la
|
||
creazione di spazi collettivi. Ma altrettanto prioritaria, per
|
||
Elemental, è la qualità del progetto, strenuamente difesa non come un
|
||
valore in sé (e per sé), bensì come condizione indispensabile
|
||
all'ottenimento degli altri obiettivi.
|
||
|
||
Per raggiungere tutto ciò Aravena e i suoi soci e collaboratori si
|
||
servono di tutte le forze a disposizione, deboli o potenti che siano: da
|
||
quelle degli abitanti, interpellati sulle scelte progettuali e resi
|
||
partecipi attraverso iniziative comunitarie, fino a quelle di un
|
||
soggetto potenzialmente "ostile" quale potrebbe essere considerato una
|
||
compagnia petrolifera. Senza falsi moralismi o pregiudizi ideologici,
|
||
con una combinazione di "realismo", "pragmatismo" e "ambizione"[^65],
|
||
Elemental analizza, comprende e utilizza con la massima precisione le
|
||
complesse dinamiche politiche, sociali, economiche connesse alle
|
||
operazioni che compie, fino a giungere al punto di *trasformarle* in
|
||
quegli aspetti essenziali che consentono di volgerle a proprio favore.
|
||
|
||
Naturalmente gli esiti progettuali potrebbero apparire non appetibili --
|
||
e conseguentemente non proponibili -- per uno standard occidentale,
|
||
anche nel campo dell'edilizia sociale; ma vanno tenuti presenti il
|
||
contesto e le condizioni emergenziali in cui Elemental si trova a
|
||
operare. E sono proprio questi fattori che rovesciano polarmente la
|
||
prospettiva del discorso fatto in precedenza: è accettando il confronto
|
||
con situazioni difficili, ovvero rinunciando a dedicarsi a progetti più
|
||
agevoli ma potenzialmente anche più "sensazionali", che Elemental
|
||
ottiene *sensazionali risultati*. Facendocela "con il poco". Dentro la
|
||
realtà e contro ogni attesa. A riprova di ciò si veda la copiosa messe
|
||
di premi e riconoscimenti raccolti in tutte le parti del mondo, dai
|
||
primi anni Duemila in avanti, dai progetti Elemental[^66], nonché il
|
||
Pritzker Prize assegnato nel 2016 ad Alejandro Aravena per lo stesso
|
||
progetto[^67]. Ed è significativo -- e quasi paradossale -- che sia
|
||
proprio la giuria del Pritzker Prize a riconoscere ad Aravena la
|
||
capacità di "trasforma(re) il professionista in una figura universale",
|
||
e a salutare con lui "la rinascita di un architetto più impegnato
|
||
socialmente", capace di "lottare (...) per affrontare le crisi abitative
|
||
globali (...) e trovare soluzioni veramente collettive per l'ambiente
|
||
costruito"[^68].
|
||
|
||
[^1]: Ludwig Mies van der Rohe, *Edificio per uffici* (1923), in Id.,
|
||
*Gli scritti e le parole*, a cura di Vittorio Pizzigoni, Einaudi, Torino
|
||
2010, p. 5.
|
||
|
||
[^2]: Vedi, tra gli altri, Ludwig Mies van der Rohe, *Architettura e
|
||
volontà dell'epoca* (1924), *ibid.*, p. 25.
|
||
|
||
[^3]: Ludwig Mies van der Rohe, *Minuta di un articolo* (1923), *ibid.*,
|
||
p. 7. Nello stesso testo, poche righe più oltre, è ribadita la natura
|
||
della *Baukunst* come "volontà dell'epoca tradotta in spazio".
|
||
|
||
[^4]: Massimo Cacciari, *Res aedificatoria. Il "classico" di Mies van
|
||
der Rohe*, in "Casabella", n. 629, dicembre 1995, p. 4.
|
||
|
||
[^5]: *Ibid.*
|
||
|
||
[^6]: Ludwig Mies van der Rohe, *Quello che intendiamo per formazione
|
||
elementare* (1924), in Id., *Gli scritti e le parole* cit., p. 19.
|
||
|
||
[^7]: Ludwig Mies van der Rohe, *Il costruire è legato alla vita*
|
||
(1926), in Id., *Gli scritti e le parole* cit., p. 35.
|
||
|
||
[^8]: Benjamin, *Esperienza e povertà* cit., p. 52.
|
||
|
||
[^9]: *Ibid.*, p. 56.
|
||
|
||
[^10]: *Ibid.*, p. 57.
|
||
|
||
[^11]: *Ibid.*, p. 53.
|
||
|
||
[^12]: Si riprendono qui le parole -- anch'esse già citate -- dell'altro
|
||
breve saggio, "gemello" del precedente, di Benjamin, *Il carattere
|
||
distruttivo* cit., p. 41.
|
||
|
||
[^13]: Johannes Itten, *Design and Form. The Basic Course at the
|
||
Bauhaus and later*, Thames and Hudson, London
|
||
1965. Sulle pratiche di insegnamento di Itten vedi, tra gli altri, Éva
|
||
Forgács, *The Bauhaus Idea and Bauhaus Politics*, Central European
|
||
University Press, London -- New York 1995.
|
||
|
||
[^14]: Marco De Michelis e Agnes Kohlmeyer, *Bauhaus-Bauhaus 1919-1933*,
|
||
in Id. (a cura di), *Bauhaus 1919-1933. Da Klee a Kandinsky, da Gropius
|
||
a Mies van der Rohe*, Mazzotta, Milano 1996, p. 18.
|
||
|
||
[^15]: Oskar Schlemmer a Otto Meyer-Amden, 14 luglio 1921, citato in
|
||
Peter Hahn, *Idee e utopie degli anni della fondazione*, in De Michelis
|
||
e Kohlmeyer (a cura di), *Bauhaus 1919-1933* cit., p. 48.
|
||
|
||
[^16]: Benjamin, *Esperienza e povertà* cit., p. 56.
|
||
|
||
[^17]: *Ibid.*, p. 53.
|
||
|
||
[^18]: Roberto Calasso, *L'innominabile attuale*, Adelphi, Milano 2017,
|
||
p. 14.
|
||
|
||
[^19]: Byung-Chul Han, *La società della stanchezza*, Nottetempo, Roma
|
||
2012, p. 15.
|
||
|
||
[^20]: *Ibid.*, p. 16.
|
||
|
||
[^21]: Benjamin, *Esperienza e povertà* cit., p. 57.
|
||
|
||
[^22]: Han, *La società della stanchezza* cit., p. 32.
|
||
|
||
[^23]: Walter Benjamin, *Il narratore. Considerazioni sull'opera di
|
||
Nicolaj Leskov* (1936), in Id., *Angelus Novus. Saggi e frammenti*,
|
||
Einaudi, Torino 1962, in particolare p. 243.
|
||
|
||
[^24]: Han, *La società della stanchezza* cit., p. 31.
|
||
|
||
[^25]: Benjamin, *Esperienza e povertà* cit., p. 58.
|
||
|
||
[^26]: Gilles Ivain, *Formulario per un nuovo urbanismo* (1953), in
|
||
*Internazionale Situazionista 1958-1969*, Nautilus, Torino 1994, fasc.
|
||
I, p. 16.
|
||
|
||
[^27]: *Informazioni situazioniste*, *ibid.*, fasc. V, p. 10. Vedi
|
||
inoltre Simon Ford, *The Situationist International. A User's Guide*,
|
||
Black Dog Publishing, London 2005; Simon Sadler, *The Situationist
|
||
City*, The MIT Press, Cambridge (Mass.) 1998.
|
||
|
||
[^28]: *Definizioni*, in *Internazionale Situazionista 1958-1969* cit.,
|
||
fasc. I, p. 13.
|
||
|
||
[^29]: Johan Huizinga, *Homo ludens* (1939), Einaudi, Torino 2002.
|
||
|
||
[^30]: *Ibid.*, p. 225.
|
||
|
||
[^31]: Francesco Careri, *Constant. New Babylon, una città nomade*,
|
||
Testo & Immagine, Torino 2001. Vedi anche Constant, *Un'altra città per
|
||
un'altra vita*, in *Internazionale Situazionista 1958-1969* cit., fasc.
|
||
III, pp. 37-40.
|
||
|
||
[^32]: *Definizioni*, in *Internazionale Situazionista 1958-1969* cit.,
|
||
fasc. I, p. 13.
|
||
|
||
[^33]: *L'urbanismo unitario alla fine degli anni '50*, in
|
||
*Internazionale Situazionista 1958-1969* cit., fasc. III, pp. 12-14.
|
||
|
||
[^34]: Arendt, *Vita activa* cit., p. 63.
|
||
|
||
[^35]: Su ciò vedi Karl Mannheim, *Ideologia e utopia* (1929), il
|
||
Mulino, Bologna 1999.
|
||
|
||
[^36]: Alexander Caragonne, *The Texas Rangers. Notes from the
|
||
Architectural Underground*, The MIT Press, Cambridge (Mass.) 1995.
|
||
|
||
[^37]: Kenneth Frampton, *John Hejduk: 7 Houses*, The Institute for
|
||
Architecture and Urban Studies, New York
|
||
1980. Scrive Hejduk a proposito di questi progetti: "Speravo di
|
||
stabilire un punto di vista, con la convinzione che attraverso una
|
||
disciplina autoimposta, uno studio intenso e circoscritto e un'estetica,
|
||
sarebbe stata possibile una liberazione della mente e della mano che
|
||
conducesse a visioni e trasformazioni della forma spaziale. (...) Se
|
||
l'evoluzione della forma prosegue o si ferma dipende dall'uso
|
||
dell'intelletto non come uno strumento accademico, ma come un elemento
|
||
di vita passionale": John Hejduk, *Statement 1964*, *ibid.*, p. 116.
|
||
|
||
[^38]: John Hejduk, *Mask of Medusa. Works 1947-1983*, a cura di Kim
|
||
Shkapich, Rizzoli, New York 1985, pp. 241-309.
|
||
|
||
[^39]: Manfredo Tafuri, *"Les bijoux indiscrets"*, in *Five architects
|
||
N.Y.*, a cura di Camillo Gubitosi e Alberto Izzo, Officina, Roma 1977,
|
||
p. 17.
|
||
|
||
[^40]: Su ciò, vedi *Five architects: Eisenman, Graves, Gwathmey,
|
||
Hejduk, Meier*, Museum of Modern Art, Wittenborn (New York) 1972.
|
||
|
||
[^41]: Hejduk, *Mask of Medusa* cit., pp. 310-25; K. Michael Hays,
|
||
*Sanctuaries. The last works of John Hejduk*, Canadian Centre for
|
||
architecture, Montreal and the Menil collection, Houston 2002.
|
||
|
||
[^42]: Vedi, tra gli altri, John Hejduk, *Vladivostok*, Rizzoli
|
||
International, New York 1989; Id., *Soundings*, Rizzoli International,
|
||
New York 1993.
|
||
|
||
[^43]: Tafuri, *"Les bijoux indiscrets"* cit., p. 18.
|
||
|
||
[^44]: Peter Eisenman, *House III*, in Aureli, Biraghi e Purini, *Peter
|
||
Eisenman. Tutte le opere* cit., p. 68.
|
||
|
||
[^45]: Tafuri, *"Les bijoux indiscrets"* cit., p. 16.
|
||
|
||
[^46]: Peter Eisenman, *Architettura di cartone. House I and House II*
|
||
(1972), in Id., *Inside out. Scritti 1963-1988* cit., pp. 57-74.
|
||
|
||
[^47]: Peter Eisenman, *La fine del Classico. La fine dell'Inizio, la
|
||
fine della Fine* (1984), in Id., *Inside out. Scritti 1963-1988* cit.,
|
||
p. 264.
|
||
|
||
[^48]: *Ibid.*, p. 263.
|
||
|
||
[^49]: John N. Habraken, *Strutture per una residenza alternativa*, Il
|
||
Saggiatore, Milano 1974.
|
||
|
||
[^50]: John N. Habraken, *L'ambiente costruito e i limiti della pratica
|
||
professionale*, in "Spazio e Società", n. 1, 1978, p. 80.
|
||
|
||
[^51]: *Ibid.*, p. 81. Sulla percezione e sul ruolo reale
|
||
dell'architetto odierno vedi anche il più recente John N. Habraken,
|
||
*Palladio's Children*, a cura di Jonathan Teicher, Taylor & Francis,
|
||
Oxon 2005.
|
||
|
||
[^52]: Vedi Giancarlo De Carlo, *Il Villaggio Matteotti a Terni*, in
|
||
Id., *L'architettura della partecipazione*, a cura di Sara Marini,
|
||
Quodlibet, Macerata 2013, pp. 97-112.
|
||
|
||
[^53]: *Ibid.*, p. 103.
|
||
|
||
[^54]: De Carlo, *Il Villaggio Matteotti a Terni* cit., p. 104.
|
||
|
||
[^55]: Giancarlo De Carlo, *L'architettura della partecipazione* (1973),
|
||
in Id., *L'architettura della partecipazione* cit., p. 70.
|
||
|
||
[^56]: *Ibid.*, p. 71.
|
||
|
||
[^57]: *Ibid.*, p. 61.
|
||
|
||
[^58]: Francesco Samassa, *"Un edificio non è un edificio non è un
|
||
edificio". L'anarchitettura di Giancarlo De Carlo*, in Id. (a cura di),
|
||
*Giancarlo De Carlo. Percorsi*, Il Poligrafo, Padova, pp. 125-61.
|
||
|
||
[^59]: *Ibid.*, p. 60.
|
||
|
||
[^60]: *Ibid.*, p. 78.
|
||
|
||
[^61]: Friedrich Engels, *La situazione della classe operaia in
|
||
Inghilterra* (1845), in Karl Marx e Friedrich Engels, *Opere complete*,
|
||
Editori Riuniti, Roma 1972, vol. IV, pp. 235-514; Friedrich Engels,
|
||
*La questione delle abitazioni* (1872), Editori Riuniti, Roma 1971.
|
||
|
||
[^62]: Alejandro Aravena e Andrés Iacobelli, *Elemental. Manual de
|
||
vivienda incremental y diseño participativo / Incremental Housing and
|
||
Participatory Design Manual*, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern 2012,
|
||
p. 18; più in generale vedi anche Id., *Elemental Chile. A Handbook on
|
||
Progressive Housing*, Actarbirkhauser, Barcelona 2010.
|
||
|
||
[^63]: Aravena e Iacobelli, *Elemental. Manual* cit., p. 107.
|
||
|
||
[^64]: Aravena e Iacobelli, *Elemental. Manual* cit., pp. 92-94.
|
||
|
||
[^65]: *Ibid.*, p. 503.
|
||
|
||
[^66]: Tra essi, il Premio Bicentenario del governo del Cile nel 2004;
|
||
il Gran Premio Biennale alla XV Biennale di Architettura di Santiago del
|
||
Cile nel 2006; il Leone d'argento alla Biennale internazionale di
|
||
Architettura di Venezia nel 2008; il Brit Insurance Design Award a
|
||
Londra nel 2010; il primo premio INDEX a Copenhagen nel 2010; la
|
||
medaglia d'argento al premio HOLCIM a Basilea nel 2011; il primo premio
|
||
ZUMTOBEL a Vienna nel 2014.
|
||
|
||
[^67]: Nello stesso 2016 ad Aravena viene affidata la direzione della
|
||
Biennale internazionale di Architettura di Venezia. La mostra da lui
|
||
curata, "Reporting From the Front", intendeva scrutare l'orizzonte
|
||
dell'architettura attuale "alla ricerca di nuovi campi di azione,
|
||
offrendo esempi in cui più dimensioni vengono sintetizzate, integrando
|
||
il pragmatico con l'esistenziale, la pertinenza con l'audacia, la
|
||
creatività con il buonsenso": dall'*Intervento* di Alejandro Aravena, in
|
||
*Reporting From the Front*, 2 voll., catalogo della XV Mostra
|
||
internazionale di Architettura -- Biennale di Venezia, Studio Elemental,
|
||
Santiago del Cile, Marsilio Editori, Venezia 2016.
|
||
|
||
[^68]: Motivazioni del premio in *Alejandro Aravena of Chile receives
|
||
the 2016 Pritzker Architecture Prize*, in
|
||
<https://www.pritzkerprize.com/laureates/2016>. La giuria era composta
|
||
da Lord Peter Palumbo, Stephen Breyer, Yung Ho Chang, Kristin Feireiss,
|
||
Glenn Murcutt, Richard Rogers, Benedetta Tagliabue, Ratan N. Tata e
|
||
Martha Thorne.
|
||
|
||
# Libertà e architettura
|
||
|
||
> ... leggere l'ideologia architettonica come elemento -- secondario,
|
||
> forse, ma pur sempre tale -- di un ciclo di produzione ha come
|
||
> conseguenza il ribaltamento della piramide di valori comunemente
|
||
> accettata. Diventerà del tutto ridicolo, infatti, una volta adottato
|
||
> tale metro di giudizio, chiedersi quanto una scelta linguistica o
|
||
> un'organizzazione strutturale esprima o tenti di anticipare modi "più"
|
||
> liberi di esistenza[^1].
|
||
|
||
Yvonne Farrell e Shelley McNamara, curatrici della XVI Mostra
|
||
Internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia 2018, hanno
|
||
scelto come titolo della manifestazione la parola *FREESPACE*. Lungo le
|
||
Corderie dell'Arsenale, nel padiglione centrale e nei numerosi
|
||
padiglioni nazionali sparsi per i Giardini, gli architetti invitati
|
||
hanno variamente interpretato lo "spazio libero" in questione: chi --
|
||
come Caruso St John, in collaborazione con l'artista Marcus Taylor --
|
||
lasciando interamente vuoto il Padiglione Britannico, e montando al di
|
||
sopra di esso una terrazza di legno sostenuta da un ponteggio metallico,
|
||
accedendo alla quale si poteva osservare la laguna dall'alto,
|
||
accomodarsi sulle sedie che vi erano disposte, prendere il sole o
|
||
sorseggiare il tè puntualmente servito alle 16; chi invece -- come
|
||
l'architetto portoghese Álvaro Siza -- disponendo all'interno
|
||
dell'Arsenale una panchina di marmo di forma semicircolare, fronteggiata
|
||
da un muro bianco altrettanto curvo, per offrire uno spazio di
|
||
raccoglimento e riposo agli stanchi visitatori; o chi ancora -- come lo
|
||
svizzero Valerio Olgiati -- collocando al termine della lunghissima
|
||
navata delle medesime Corderie una piccola selva di colonne, candide e
|
||
prive di ornamenti o di ordine. Non è chiaro, in quest'ultimo caso, a
|
||
quale libertà si volesse fare allusione. Lo si potrebbe ritenere uno
|
||
spazio evocativo, simbolico, anche se di che cosa precisamente non è
|
||
dato saperlo; o forse -- meglio ancora -- a ciascuno è lasciata la
|
||
libertà di attribuirvi il significato che gli pare.
|
||
|
||
Ma è soprattutto all'interno del progetto curatoriale di Farrell e
|
||
McNamara (architette irlandesi che a partire dal 1978 hanno dato vita
|
||
allo studio Grafton Architects), che lo "spazio libero" occupa un posto
|
||
centrale; un posto che le due curatrici hanno significativamente pensato
|
||
di segnare scrivendo un vero e proprio "manifesto". In esso si legge
|
||
tra l'altro:
|
||
|
||
> FREESPACE rappresenta la generosità di spirito e il senso di umanità
|
||
> che l'architettura pone al centro della propria agenda, concentrando
|
||
> l'attenzione sulla qualità stessa dello spazio.
|
||
>
|
||
> FREESPACE si concentra sulla capacità dell'architettura di offrire in
|
||
> dono nuovi spazi liberi a coloro che la utilizzano, nonché sulla sua
|
||
> capacità di soddisfare i desideri inespressi.
|
||
>
|
||
> FREESPACE celebra la capacità dell'architettura di trovare in ogni
|
||
> progetto una nuova e inattesa generosità, anche nelle condizioni più
|
||
> private, difensive, esclusive o commercialmente limitate.
|
||
>
|
||
> FREESPACE invita a riesaminare il nostro modo di pensare, stimolando
|
||
> nuovi modi di vedere il mondo, di inventare soluzioni in cui
|
||
> l'architettura provvede al benessere e alla dignità di ogni abitante
|
||
> di questo fragile pianeta.
|
||
>
|
||
> ...[^2].
|
||
|
||
Da questo "manifesto" promana un'idea ottimistica e umanistica
|
||
dell'architettura, un'idea che pecca indubbiamente di vaghezza e
|
||
astrattezza ma che altrettanto sicuramente prende le distanze dal modo
|
||
in cui l'architettura è generalmente intesa nell'epoca attuale:
|
||
un'architettura non soltanto finalizzata nella gran parte dei casi a
|
||
scopi commerciali ma anche del tutto immersa in una prospettiva
|
||
esclusivamente economica. Il "manifesto" di Farrell e McNamara, da
|
||
questo punto di vista, risuona più come un appello che come una
|
||
dichiarazione di poetica o la presa d'atto d'una condizione corrente. E
|
||
per quanto possa risultare ingenuo e sotto molti aspetti inattuale, tale
|
||
appello si presenta come la "novità" più interessante della Biennale
|
||
2018.
|
||
|
||
Pur con tutti i suoi limiti, l'appello lanciato dalle Grafton Architects
|
||
ha il merito -- se non di offrire soluzioni per esso -- almeno di
|
||
indicare il problema: quella libertà (dello spazio: ma il discorso si
|
||
lascia applicare anche a un contesto più generale) che a una prima
|
||
apparenza si direbbe a disposizione di tutti nelle società occidentali,
|
||
in realtà è proprio ciò che maggiormente si rivela sfuggente; non forse
|
||
assente del tutto, ma quantomeno *ambiguamente* presente.
|
||
|
||
Sarebbe però semplicistico illudersi di poterla afferrare esclusivamente
|
||
evocandola. Anzi, è proprio nelle sue troppo ripetute ostensioni che la
|
||
libertà dimostra attualmente di appartenere assai più al mondo delle
|
||
apparenze che non a quello della sostanza. Senza peccare di eccessivo
|
||
allarmismo, si può paradossalmente affermare che oggi l'esercizio della
|
||
"libertà" passa attraverso una miriade di condizionamenti. E lo stesso
|
||
vale anche per l'architettura. D'altronde, sono proprio i
|
||
condizionamenti (visibili e invisibili) a rendere avvertito e reattivo
|
||
chi cerca di svolgere il proprio lavoro *dentro* e *contro* le
|
||
circostanze assegnate. Ed è soltanto nella piena coscienza dei *limiti*
|
||
del proprio operare che diviene possibile ritrovare forme effettive di
|
||
libertà.
|
||
|
||
È a partire da qui che dev'essere reimpostato qualsiasi discorso
|
||
sull'architetto intellettuale. Ben lungi dall'identificarsi con una
|
||
vaga propensione culturale, o con un'inclinazione per sterili
|
||
speculazioni filosofiche o elucubrazioni mentali, il suo segno
|
||
distintivo sta nella capacità di appropriarsi di quei margini di libertà
|
||
che ogni società non per forza "offre" spontaneamente ma che tuttavia,
|
||
almeno a volte, consente.
|
||
|
||
In un mondo dominato da una relativistica pluralità di valori
|
||
(abissalmente distante da ciò che Max Weber definiva un "Polytheismus
|
||
der Werte")[^3], quello della libertà è uno dei pochi -- l'unico, forse
|
||
-- sul possesso del quale siamo assolutamente sicuri di non volere o
|
||
potere recedere. In altre parole, tra molti valori su cui si è disposti
|
||
a trattare -- e tra altrettanti ormai "fuori uso", avendo perduto la
|
||
loro importanza --, il valore della libertà resiste pressoché ovunque
|
||
nel mondo come una pietra di fondamento non alienabile. E ciò, tanto
|
||
per chi già ne usufruisce quanto per chi la deve ancora conquistare. Ma
|
||
la libertà ha un'altra caratteristica peculiare: è uno dei pochi valori
|
||
di cui si può ritenere di disporre anche quando in realtà non se ne
|
||
gode. È esattamente questa la condizione in cui si trova al giorno
|
||
d'oggi una buona parte delle società occidentali: una condizione che,
|
||
proprio per la varietà delle scelte che in apparenza vi si possono
|
||
compiere, e per la molteplicità e relatività dei valori che vi sono
|
||
presenti, conferisce a chi vi è introdotto una perfetta "sensazione di
|
||
libertà".
|
||
|
||
Michel Foucault negli anni sessanta parlava di "società
|
||
disciplinari"[^4], cioè di quelle società in cui ogni individuo è
|
||
incasellato dentro a un preciso spazio fisico. Le ricerche di Foucault
|
||
si riferivano a quella che egli stesso chiama l'"epoca classica"[^5],
|
||
vale a dire l'epoca moderna, storicamente intesa, e avevano come
|
||
fondamento un'idea molto esatta, e cioè che il potere si spazializza: il
|
||
potere non è mai assoluto, non è mai astratto, è sempre esercitato qui e
|
||
ora, all'interno di spazi fisici precisi. Gli spazi sono quelli che
|
||
Foucault analizza nei suoi libri, vale a dire il manicomio, l'ospedale,
|
||
la prigione, ma anche la caserma, la scuola, la fabbrica. Questi spazi,
|
||
pur diversi tra loro, hanno però tutti un elemento in comune: in tutti è
|
||
inscritto un "esercizio del controllo" che nel *Panopticon* (1787) di
|
||
Jeremy Bentham era espresso fisicamente, quasi geometricamente[^6], ma
|
||
che negli altri spazi ugualmente sussiste. Si tratta in tutti i casi di
|
||
spazi del controllo, organizzati precisamente a questo fine.
|
||
|
||
E tuttavia, nell'epoca moderna, mentre lo spazio viene organizzato in
|
||
termini di controllo, concresce anche l'idea di libertà[^7]. I due
|
||
fenomeni sono tutt'uno, come le due facce di una stessa medaglia. Non
|
||
per nulla lo stesso Bentham è uno dei padri del liberalismo, ovvero di
|
||
quella dottrina che al proprio centro pone i diritti individuali,
|
||
all'interno dei quali campeggia la libertà. Certo, quella delle società
|
||
disciplinari è una libertà in larga parte "vigilata"; e ciò nondimeno,
|
||
nell'accezione moderna del termine, vale a dire illuminista, in quanto
|
||
valore individuale assunto a fondamento sociale, la libertà nasce lí:
|
||
nel momento in cui ciascun individuo è inquadrato dentro lo spazio
|
||
fisico delle diverse "macchine" del controllo[^8].
|
||
|
||
Oggi, invece, la società disciplinare sembra essere stata soppiantata da
|
||
una società "trasparente". La "società della trasparenza", come la
|
||
chiama Han[^9], è la società digitale neoliberalista, dove la libertà si
|
||
è trasformata in un'occasione di sfruttamento:
|
||
|
||
> Il neoliberalismo è un sistema molto efficace nello sfruttare la
|
||
> libertà, intelligente perfino: viene sfruttato tutto ciò che rientra
|
||
> nelle pratiche e nelle forme espressive della libertà, come
|
||
> l'emozione, il gioco e la comunicazione. Sfruttare qualcuno contro la
|
||
> sua volontà non è efficace: nel caso dello sfruttamento da parte di
|
||
> altri il rendimento è assai basso. Soltanto lo sfruttamento della
|
||
> libertà raggiunge il massimo rendimento[^10].
|
||
|
||
più ancora che il lavoro, lo scontro tra classi o l'organizzazione
|
||
spaziale delle città, la vera frontiera critica odierna è divenuta la
|
||
libertà dell'individuo, sottoposto alla costante "attenzione" della rete
|
||
e di tutti gli altri invisibili sistemi di sorveglianza che ne rilevano
|
||
gli spostamenti, ne registrano gli acquisti, ne monitorano i
|
||
desideri[^11]; il tutto, con l'esplicito consenso -- o quantomeno, con
|
||
la muta "complicità" -- dell'individuo stesso. E ancora di più, senza
|
||
la minima parvenza di alcuna privazione della libertà individuale, e
|
||
anzi con quel senso di onnipotenza e di indipendenza che la società
|
||
digitale riesce a trasmettere, come ogni utente di Google, di Wikipedia
|
||
o di un qualsiasi social network ben sa: le cui possibilità, in termini
|
||
di relazioni e di informazioni, inducono spesso a credere di possedere
|
||
un'infinità di conoscenze, un'istantanea rapidità d'azione e
|
||
un'incondizionata fluidità di movimenti. Una somma di elementi che si
|
||
traducono appunto in una totale *illusione di libertà*.
|
||
|
||
Tanto più credibile e ingannevole è questa illusione, quanto meno
|
||
risulta coercitiva, ovvero quanto meno è -- almeno in apparenza --
|
||
coartata e vincolante. E proprio qui sta l'astuzia suprema di una
|
||
società "trasparente": all'interno di essa l'individuo non viene
|
||
ordinatamente disposto e inquadrato come nelle società disciplinari,
|
||
bensì -- proprio al contrario -- egli stesso vi aderisce spontaneamente
|
||
e quasi con entusiasmo. Ciascuno collabora alla sua costruzione, al suo
|
||
rafforzamento, al suo perpetuamento. La sensazione che ne deriva è di
|
||
essere "soggetti" perfettamente svincolati, perfettamente liberi; ma è
|
||
proprio in quanto tale, ovvero in quanto *subiectum* (letteralmente,
|
||
sottomesso, assoggettato)[^12] che l'individuo dimostra di essere assai
|
||
meno padrone del proprio destino di quanto comunemente non ritenga. In
|
||
tal modo si disvela tutta l'intrinseca *potenza* di una società della
|
||
trasparenza: in essa, infatti, non soltanto la libertà diviene il nuovo,
|
||
fertile terreno di uno sfruttamento, ma -- come sostiene Han -- tale
|
||
sfruttamento è opera del "soggetto" stesso, il quale cosí realizza un
|
||
*autosfruttamento* vero e proprio, divenendo schiavo di se stesso:
|
||
|
||
> L'io come progetto, che crede di essersi liberato da obblighi esterni
|
||
> e costrizioni imposte da altri, si sottomette ora a obblighi interiori
|
||
> e a costrizioni autoimposte, forzandosi alla prestazione e
|
||
> all'ottimizzazione[^13].
|
||
|
||
E ancora:
|
||
|
||
> I detenuti del panottico benthamiano venivano isolati l'uno dall'altro
|
||
> allo scopo di imporre una disciplina e non potevano parlare tra loro.
|
||
> Gli abitanti del panottico digitale, al contrario, comunicano
|
||
> intensamente l'uno con l'altro e si denudano volontariamente.
|
||
> *Con*tribuiscono cosí, in modo attivo, alla costruzione del panottico
|
||
> digitale. La società del controllo digitale fa un uso massiccio della
|
||
> libertà: essa è possibile soltanto grazie all'autoesposizione,
|
||
> all'autodenudamento volontari[^14].
|
||
|
||
E in effetti, nei contesti digitali, *noi, utenti*, consegniamo
|
||
quotidianamente, senza alcuna coercizione, i nostri dati, le nostre
|
||
vite, la nostra intimità, i nostri affetti, tutto quello che siamo
|
||
(pensieri, gusti, esperienze, ricordi) ai grandi motori di ricerca, ai
|
||
grandi social network. Liberi di essere-in-rete (ovvero, letteralmente,
|
||
*irretiti*), e dunque in condizione di spontanea schiavitú. Si tratta
|
||
di quello che Byung-Chul Han definisce un "capitalismo del like", che
|
||
"si distingue nella sostanza dal capitalismo del XIX secolo, che operava
|
||
mediante obblighi e divieti disciplinari"[^15]. *Mi piace*, *ci piace*:
|
||
è questa la frontiera di una libertà percepita come "naturale" da un
|
||
lato, e sfruttata dall'altro, e per questo doppiamente insidiosa.
|
||
|
||
Come si rapporta a tutto ciò l'architettura? Quali trasformazioni
|
||
subisce -- o piuttosto, mette in atto -- nell'epoca della libertà
|
||
autoimposta? In una prospettiva moderna, l'architettura che si fregiava
|
||
orgogliosamente di questo aggettivo faceva della libertà il proprio
|
||
vessillo: libertà assunta come un affrancamento dell'uomo dai vincoli a
|
||
cui aveva dovuto sottostare fino ad allora, e che si traduceva tutta in
|
||
termini spaziali. *Plan libre*, *façade libre*, risuonano cosí -- non a
|
||
caso -- due dei "comandamenti" lecorbusieriani per "un'architettura
|
||
assolutamente nuova, dalla casa d'abitazione fino al palazzo"[^16]. Ma
|
||
se per l'ideologia dell'architettura moderna la libertà è una conquista,
|
||
per la postmodernità libertà e architettura sembrano ormai coincidenti.
|
||
A dire il vero, più che di libertà, si dovrebbe parlare di
|
||
"liberazione"[^17]. A questa si possono riferire alcune delle pratiche
|
||
o tendenze postmoderniste, quali "un certo carattere ludico della forma,
|
||
la produzione aleatoria di nuove forme o l'allegra cannibalizzazione di
|
||
quelle vecchie"[^18]. Sono tutte modalità relative a -- e sotto diversi
|
||
aspetti "reattive" nei confronti di -- quanto le ha precedute,
|
||
espressamente finalizzate, non per nulla, a una sovversione totale dei
|
||
"vari rituali" e dei "valori formali" modernisti.
|
||
|
||
Al giorno d'oggi l'opera di liberazione postmodernista dagli "spettri"
|
||
modernisti può dirsi pienamente compiuta nella misura in cui,
|
||
abbandonata l'esclusiva tattica del rovesciamento, l'architettura
|
||
odierna utilizza *qualunque mezzo* a sua disposizione per ottenere "ciò
|
||
che vuole", ivi *comprese* le forme e i linguaggi moderni. Ripuliti dei
|
||
loro retaggi ideologici, spogliati ormai di qualsiasi "messaggio", tali
|
||
forme e linguaggi possono cosí tornare a essere usati (insieme,
|
||
potenzialmente, a tutti gli altri). Ciò nondimeno, non si tratta
|
||
affatto di un uso neutrale, meramente "tecnico". Il ritorno a forme e
|
||
linguaggi moderni -- se possibile, sottoposti a depurazioni ulteriori --
|
||
ha il ben preciso obiettivo di fare dell'architettura attuale un emblema
|
||
della libertà in una misura in cui forse neppure alle origini,
|
||
nell'epoca moderna, era immaginabile farlo. Campioni assoluti di questa
|
||
aspirazione a incarnare la "filosofia" (ma al tempo stesso anche
|
||
l'economia, il *lifestyle*) della società della "trasparenza"
|
||
contemporanea sono proprio gli edifici che rappresentano le grandi
|
||
aziende produttrici, promotrici e diffonditrici dei prodotti digitali.
|
||
Loro modello è con piena evidenza la leggerezza, la flessibilità,
|
||
l'ingegnosità propria dei dispositivi elettronici contemporanei. Cosí
|
||
gli Apple Store sparsi per il mondo, ad esempio (si pensi soltanto a
|
||
quello sulla Fifth Avenue a Manhattan, di Bohlin Cywinski Jackson, 2006,
|
||
e a quello più recente in piazza Liberty a Milano, di Norman Foster +
|
||
Partners, 2018) si fanno portatori di un'estetica che è la precisa
|
||
traduzione dell'immaterialità e della virtualità dell'universo
|
||
informatico e del web: pareti vetrate, interamente trasparenti;
|
||
superfici lisce e candide; una luce uniforme, diffusa. Immagini di uno
|
||
spazio tridimensionale, per quanto possibile privo di "corpo", che
|
||
infonde in chi lo attraversa e vi sosta la sensazione di una completa
|
||
assenza di gravità: spazio al di sopra di ogni pensiero, di ogni
|
||
"affanno", dove l'essere-liberi coincide semplicemente con l'essere.
|
||
Uno spazio dunque dove tutto è possibile, in cui nulla pesa, neppure
|
||
l'acquisto di uno smartphone o di un laptop.
|
||
|
||
Nella storia -- si usa dire -- i fatti si presentano sempre due volte:
|
||
"la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa"[^19]. Verso
|
||
la metà degli anni sessanta, a fronte del progressivo esaurirsi della
|
||
"funzione storica" dell'architettura moderna, gli architetti si sono
|
||
trovati a un bivio: abbandonarla a favore di un suo superamento, oppure
|
||
conservarla radicalizzandone (ovvero depurandone e stilizzandone al
|
||
massimo) gli aspetti formali. Da questa seconda possibilità nasce il
|
||
"minimalismo", l'*ultimo* degli stili, non in senso cronologico ma
|
||
logico; lo stile che -- shakerando estetica giapponese e Mies van der
|
||
Rohe, più un'abbondante aggiunta di ghiaccio -- ottiene il brillante
|
||
risultato di far passare per sobri ambienti nella gran parte dei casi
|
||
lussuosi[^20]. Quarant'anni più tardi, il minimalismo ritorna come
|
||
"risposta" alla crisi economica mondiale, ma anche come stile di un
|
||
capitalismo che preferisce pur sempre ottenere "migliori risultati con
|
||
meno mezzi"[^21]. Non è dunque un caso che, nei luoghi di massima
|
||
"intensificazione" della società "trasparente", tali caratteri si
|
||
presentino al massimo livello di concentrazione. Né deve stupire che
|
||
questi stessi caratteri, gradatamente, fuoriescano dall'invisibile
|
||
"recinto" dei *flagship stores*, arrivando a conformare anche altri
|
||
spazi commerciali. Il Westfield World Trade Center Mall (noto anche
|
||
come Oculus), progettato da Santiago Calatrava e inaugurato a Manhattan
|
||
nel 2016, ne costituisce un esempio emblematico. Costruito accanto al
|
||
luogo in cui sorgevano le Twin Towers, con le sue candide ali distese
|
||
pronte per spiccare il volo, l'edificio dall'esterno sembrerebbe voler
|
||
rinverdire la tradizione dei *landmarks*. Ma la sua vera natura si
|
||
rivela non appena varcato l'ingresso, accedendo alla grande piazza
|
||
ellissoidale che ospita lo shopping center. Qui, sotto la muscolare
|
||
copertura, caratteristica anche di altri edifici dell'architetto e
|
||
ingegnere spagnolo, lo spazio sembra perdere i propri contorni,
|
||
smaterializzarsi, svanire. Nell'epoca delle "piazze virtuali", la
|
||
piazza reale dell'Oculus pare faccia un passo indietro rispetto alla
|
||
realtà, per "virtualizzarsi" a sua volta. Condizione apparentemente
|
||
imprescindibile, questa, per infondere quel "senso di libertà" che
|
||
avvince i consumatori con il potere del *like*.
|
||
|
||
In altre occasioni l'architettura della società della trasparenza assume
|
||
toni esplicitamente ludici. È il caso del Googleplex a Mountain View
|
||
(Silicon Valley -- California), quartier generale di Google, terminato
|
||
nel 2004 ma negli anni seguenti continuamente rinnovato, soprattutto per
|
||
quanto riguarda gli spazi interni. Dall'esterno gli edifici del
|
||
Googleplex presentano un aspetto riconducibile -- con poche e in fondo
|
||
marginali correzioni -- a quell'"efficientismo internazionale" che è lo
|
||
stile dominante delle sedi delle grandi compagnie in tutto il mondo. Ma
|
||
è dentro gli edifici che accadono le cose più interessanti. Il
|
||
brillante e spiritoso "stile della casa", impresso come un saluto di
|
||
benvenuto nel logo multicolore dell'azienda, e riassumibile nella parola
|
||
d'ordine "smart", produce ambienti che sono interamente penetrati dalla
|
||
"filosofia" Google: gli uffici (o quelli che dovrebbero essere tali) e
|
||
gli altri spazi di lavoro sono concepiti con l'esplicito intento di
|
||
comunicare l'idea che "qui non si lavora": ci si diverte. *Smart
|
||
working*. E in effetti, all'interno di questi spazi si può giocare
|
||
davvero. Il carattere ludico si incorpora in essi come una componente
|
||
essenziale. *Google Play*. E non certo come induzione all'ozio, bensì
|
||
per ottenere una maggiore produttività, una maggiore efficienza, una
|
||
maggiore creatività[^22]. Lavoro e divertimento finiscono per diventare
|
||
una cosa sola, un'unica e indissolubile condizione. L'*homo ludens*
|
||
situazionista viene cosí recuperato al sistema, "messo al lavoro" senza
|
||
quasi che se ne accorga.
|
||
|
||
Non è un caso che nel vocabolario dell'architettura attuale siano
|
||
prepotentemente entrati -- ormai anche a grande distanza dalla Silicon
|
||
Valley, e con specifico riferimento agli spazi del lavoro e del
|
||
commercio -- termini come "intelligente", "flessibile", "ibrido"; e che
|
||
gli ultimi miti dell'agenda contemporanea siano "stare insieme",
|
||
"condividere", "interagire". In modo lampante, Google *docet*. Gli
|
||
spazi fisici in cui si svolgono queste azioni al giorno d'oggi vengono
|
||
diffusamente pensati ed offerti come luoghi capaci di infondere in chi
|
||
li utilizza felicità e benessere, prima e più ancora che idee di
|
||
sobrietà ed efficienza. Per suscitare queste sensazioni gli spazi
|
||
lavorativi sempre più di frequente si travestono da luoghi d'abitazione
|
||
(fenomeno esattamente speculare a quello dell'*home working*).
|
||
Familiarità, informalità, *libertà* della casa diventano i nuovi *idola*
|
||
del "lavoro intelligente". Forse non abbastanza però da non far sorgere
|
||
il dubbio che sia proprio *questo* il luogo di attuazione della
|
||
minacciosa promessa di Auschwitz: "Arbeit Macht Frei".
|
||
|
||
Intanto, a poche miglia dal Googleplex, a Cupertino, sorge l'Apple Park,
|
||
realizzato da Norman Foster + Partners e aperto nel 2017. Si tratta di
|
||
un edificio a forma di anello interamente vetrato, di oltre 450 m di
|
||
diametro e di 1,6 km di circonferenza, cui si va ad affiancare lo Steve
|
||
Jobs Theater, di dimensioni molto più ridotte ma anch'esso circolare e
|
||
completamente vetrato nella parte emergente. Nell'epoca del panottico
|
||
digitale -- senza forma, immateriale, ubiquo -- ritorna
|
||
imprevedibilmente in scena il panottico benthamiano: lo spazio di un
|
||
controllo fisico, che nel caso dell'Apple Park però è da intendersi in
|
||
senso soltanto metaforico. Anzi, a ben guardare, in un senso
|
||
esattamente rovesciato rispetto a quello originario: la forma del
|
||
controllo disciplinare come "dimostrazione" della libertà digitale.
|
||
|
||
A immagini come queste, di una sin troppo *ambigua* libertà, il panorama
|
||
architettonico contemporaneo -- sovraffollato di molteplici offerte e
|
||
all'apparenza assai variegato -- sembra poter agevolmente fornire la
|
||
*chance* di contrapporne altre più autentiche, e al tempo stesso più
|
||
"esterne al sistema". Gli esempi potrebbero essere tanti, quanto
|
||
soggettive le scelte. Meglio rivolgersi allora a chi ha affrontato il
|
||
tema in maniera cosciente. In una serie di conferenze organizzate da
|
||
Owen Hopkins alla Royal Academy of Arts di Londra nel 2015 su
|
||
*Architecture and Freedom* ("L'architettura è in balia degli interessi
|
||
privati e dei bisogni del capitale come mai prima d'ora")[^23], Reinier
|
||
de Graaf (OMA), J.MAYER.H, Farshid Moussavi (FMA, già FOA) e Patrik
|
||
Schumacher (Zaha Hadid Architects) hanno presentato i loro punti di
|
||
vista sul tema. Quattro architetti diversi, per provenienze ed
|
||
esperienze, che hanno però tutti in comune un'attività all'interno di
|
||
grandi studi internazionali operanti su scala globale, ma anche
|
||
un'attenzione per la speculazione teorica, secondo un intreccio di piani
|
||
che appartiene di diritto all'eredità degli architetti intellettuali.
|
||
Pur non essendoci la possibilità di analizzare nei dettagli le
|
||
argomentazioni dibattute da ciascun relatore, è interessante notare come
|
||
gli architetti in questione -- con la sola eccezione di Reinier de
|
||
Graaf, impegnato a dimostrare come il mondo in cui si trova a operare
|
||
OMA dopo il 1991, in seguito alla dissoluzione dell'Unione Sovietica,
|
||
non sia affatto unito nell'abbraccio delle democrazie liberali
|
||
occidentali, come sentenziato da Fukuyama[^24]; e come ciò, dal punto di
|
||
vista di uno studio di architettura, non rappresenti un dramma --, più
|
||
che compiere una critica della condizione attuale, prendano casomai lo
|
||
spunto da questa per inserire la propria architettura nei processi in
|
||
atto, cercando di leggerli nella maniera il più possibile coerente con
|
||
essa. Cosí per Schumacher soltanto il parametricismo può farsi
|
||
interprete delle dinamiche urbane di un libero mercato "sfrenato" in una
|
||
società post-fordista, riuscendo ad accordare -- in maniera analoga al
|
||
complesso e variegato ordine degli ambienti naturali -- le molteplici
|
||
forze che vi con-fluiscono[^25].
|
||
|
||
Per Jürgen Hermann Mayer la libertà sembra più che altro consistere in
|
||
un carico di potenzialità -- tecnologiche e comunicative -- per le
|
||
attività umane che la sua architettura cerca di tradurre facendosi
|
||
generatrice e luogo d'incontro di interazioni sociali, come nella
|
||
copertura -- terrazza -- spazio urbano *Metropol Parasol* in Plaza de la
|
||
Encarnación a Siviglia (2004-11)[^26]. Farshid Moussavi infine, pur con
|
||
abbondanza di citazioni e definizioni filosofiche del concetto di
|
||
libertà, riconduce la questione a una sorta di *aut aut* tra "stile"
|
||
come affermazione di identità (dell'architetto) e stile come performance
|
||
dell'edificio e dei suoi singoli elementi, analizzati minuziosamente e
|
||
progettati sforzandosi di avvicinarli al massimo grado a un loro uso
|
||
"partecipato" [^27].
|
||
|
||
In conclusione, chi nelle parole degli architetti citati cercasse una
|
||
bussola per orientarsi nella ricerca di una "rappresentanza" in un mondo
|
||
in profondo mutamento rischierebbe di rimanere deluso. Per molti di
|
||
loro, a quanto sembra, quello della libertà non costituisce affatto un
|
||
problema, al contrario di quanto è accaduto in altri momenti ad altri
|
||
architetti[^28].
|
||
|
||
Tra gli ultimi tentativi in ordine di tempo di affrontare il tema del
|
||
rapporto tra libertà e architettura va citata la mostra dedicata dalla
|
||
Fondation Cartier pour l'art contemporain di Parigi, tra marzo e giugno
|
||
2018, all'opera del giovane architetto giapponese Junya Ishigami.
|
||
Ospitata nei diafani spazi pensati da Jean Nouvel (a loro volta
|
||
un'ipotesi di libertà costruita)[^29], la mostra *Freeing Architecture*
|
||
presentava 17 progetti elaborati da Ishigami tra il 2004 e il 2018. Che
|
||
cosa egli intenda con "liberazione dell'architettura" si lascia intuire
|
||
osservando i grandi modelli e gli altri materiali in esposizione:
|
||
espressione di un'architettura a volte essenziale, strutturalmente
|
||
ardita ma figurativamente esile, al limite dell'anoressia, altre volte
|
||
ottenuta scavando, per sottrazione di materia, altre ancora mediante il
|
||
processo esattamente opposto, di accumulazione di quelle che potrebbero
|
||
apparire masse glaciali che danno luogo a corpi globosi e cavernosi.
|
||
Un'architettura al tempo stesso "minimale" e desiderosa di sorprendere,
|
||
ma anche perennemente tesa nella ricerca di un'integrazione con la
|
||
natura. Ciò di cui sembra volersi liberare l'architettura di Ishigami
|
||
sono dunque i legami con quei retaggi disciplinari che provino a
|
||
irreggimentare l'edificio da un punto di vista tipologico, funzionale,
|
||
spaziale, strutturale. La riscrittura da lui proposta in tal senso vale
|
||
come tentativo di sottrazione dell'architettura dai *nomoi* che di
|
||
consueto la regolano, per (ri)condurla a una sorta di "età
|
||
dell'innocenza", dove essa possa continuare a sussistere in una
|
||
dimensione "sospesa". E ancora di più, questo "disegno" risulta palese
|
||
esaminando il catalogo, un libro di grande formato, illustrato con
|
||
immagini a metà strada tra l'infantile e il pittorico, inframezzate da
|
||
brevi testi dal tono quasi poetico[^30].
|
||
|
||
L'ingenuità di tali intendimenti è però almeno in parte contraddetta
|
||
dall'efficacia dei risultati ottenuti dalle opere realizzate da Junya
|
||
Ishigami. È il caso del KAIT Workshop, un edificio concepito come spazio
|
||
per gli studenti del Kanagawa Institute of Technology, in Giappone
|
||
(2004-2008). In questo spazio essi possono progettare, scrivere ma
|
||
anche chiacchierare e oziare. Le immagini cui Ishigami fa ricorso per
|
||
spiegarlo sono quelle delle costellazioni e degli alberi di una foresta:
|
||
|
||
> Per migliaia di anni noi umani abbiamo osservato il cielo notturno,
|
||
> evocando immagini e storie dalla disposizione casuale delle stelle.
|
||
>
|
||
> La natura ha leggi severe. Sebbene queste possano essere al di là
|
||
> della nostra comprensione, le aggiriamo abitualmente, decifrandole
|
||
> soggettivamente, a nostro piacimento.
|
||
>
|
||
> Può l'architettura essere liberata nello stesso modo?
|
||
>
|
||
> Data la libertà, nonostante sia rigorosa nella sua destinazione d'uso,
|
||
> e progettando di conseguenza, trascendere tutto ciò e vedere lo spazio
|
||
> in modo soggettivo, consentendone usi diversi. Una libertà aperta a
|
||
> molteplici interpretazioni.
|
||
>
|
||
> Un laboratorio per studenti.
|
||
>
|
||
> Questo edificio non ha pareti. Tutte le strutture sono rette
|
||
> esclusivamente da pilastri. Tutti i pilastri hanno proporzioni
|
||
> diverse, sono orientati in modi diversi, posizionati a intervalli
|
||
> diversi.
|
||
>
|
||
> Ogni pilastro è progettato individualmente, meticolosamente. Allo
|
||
> stesso tempo, un piano meticoloso è reso trasparente.
|
||
>
|
||
> Pianificare mentre l'intento del piano non è più visibile, diventa
|
||
> l'intento di questo piano.
|
||
>
|
||
> Una disposizione casuale. Un pianterreno di alberi in una foresta. La
|
||
> disposizione delle stelle assomiglia a quella degli alberi in una
|
||
> foresta. Il fatto che percepiamo una casualità condivisa in queste
|
||
> due cose che sembrano non correlate può essere dovuto alla casualità
|
||
> che appartiene all'essenza della natura[^31].
|
||
|
||
Nonostante gli accenti con cui è presentato, il KAIT sotto molti aspetti
|
||
potrebbe essere assimilato ai *flagship stores* visti più sopra:
|
||
identico il candore della pavimentazione e delle 305 colonne di
|
||
dimensioni variabili, disposte irregolarmente a sostegno della copertura
|
||
piana -- anch'essa bianca -- solcata da lucernari; identiche le pareti
|
||
perimetrali interamente vetrate; identica l'assenza di peso che promana
|
||
dall'insieme. E identiche -- si può pure presumere -- le dotazioni
|
||
tecnologiche a disposizione degli studenti che rendono lo spazio
|
||
perfettamente connesso con il mondo. E tuttavia, predisponendo un
|
||
layout massimamente flessibile, in grado di includere le esigenze
|
||
mutevoli degli studenti, suggerendo usi senza imporli, Ishigami
|
||
sembrerebbe alludere a un altro genere di libertà: più che una "messa a
|
||
disposizione" di possibilità senza limiti, una capacità di *accogliere*
|
||
possibilità illimitate. Un'*apertura* dello spazio a interazioni
|
||
spontanee che potrebbe essere intesa come una condizione di *non*
|
||
sfruttamento di esso. Scrive ancora Ishigami:
|
||
|
||
> La nostra vita quotidiana si svolge tra la manifestazione di risultati
|
||
> attentamente calcolati, e la libera interpretazione.
|
||
>
|
||
> Pensare alla progettazione di un'architettura che, anziché postulare
|
||
> ordine e disordine come valori opposti, li tratta allo stesso modo.
|
||
>
|
||
> Scoprire spazi liberamente, assegnando loro ogni volta una funzione.
|
||
>
|
||
> Ogni volta che un pezzo di architettura è completato, si rivela
|
||
> attraente in tutti i modi possibili, al di là delle stesse intenzioni
|
||
> dell'architetto[^32].
|
||
|
||
Che l'architettura di Ishigami sia profondamente immersa nel mondo
|
||
contemporaneo, che precisamente a esso si rivolga ("Un'architettura per
|
||
l'era del libero accesso all'informazione. Un'architettura per l'era
|
||
della libera connessione. Un'architettura per l'era della libertà dei
|
||
valori")[^33], risulta evidente. E però è altrettanto evidente come
|
||
essa non si "accontenti" di ciò che la realtà in quanto tale propone.
|
||
In questo senso, la flessibilità degli spazi del KAIT -- almeno nelle
|
||
intenzioni del loro autore -- vorrebbe dimostrare di essere l'esatto
|
||
opposto della "flessibilità" come "libera imposizione" che le società
|
||
odierne assegnano ai loro "soggetti": là dove infatti a questi ultimi
|
||
viene richiesta una capacità di adattamento, nel suo caso è lo spazio
|
||
che sembra adattarsi alle svariate esigenze di chi lo utilizza.
|
||
|
||
Si potrebbe denominare questa architettura -- riprendendo una discussa
|
||
espressione di Colin Rowe -- "delle buone intenzioni"[^34]. Intenzioni
|
||
"preterintenzionali", verrebbe da aggiungere, sulla base delle parole
|
||
appena citate dello stesso Ishigami; il quale tuttavia, subito dopo,
|
||
richiama la necessità "di essere maggiormente coscienti (...) fin dalla
|
||
fase della progettazione"[^35] dei possibili gradi di libertà che
|
||
l'architettura *autonomamente* può assumere.
|
||
|
||
Ma la conclusione potrebbe essere anche diversa: che per Ishigami -- al
|
||
pari degli altri architetti di cui si è discusso in precedenza -- la
|
||
suadente libertà "obbligatoria" della società della trasparenza sia
|
||
soltanto un'allettante occasione per scatenare le proprie "fantasie
|
||
creative", e dunque per cogliere nuove, fruttuose opportunità di lavoro;
|
||
mentre per tutto ciò una libertà "vera", una libertà incondizionata --
|
||
come sembra suggerire Reinier de Graaf -- sarebbe più che altro di
|
||
ostacolo.
|
||
|
||
[^1]: Tafuri, *La sfera e il labirinto* cit., p. 315.
|
||
|
||
[^2]: Yvonne Farrell e Shelley McNamara, *Freespace-Manifesto*, in
|
||
*Freespace*, catalogo della XVI Mostra Internazionale di Architettura -
|
||
Biennale di Venezia, Venezia 2018, p. 51.
|
||
|
||
[^3]: Max Weber, *Il senso dell'"avalutatività" delle scienze
|
||
sociologiche ed economiche* (1917), in Id., *Il metodo delle scienze
|
||
storico-sociali*, Einaudi, Torino 2012, p. 265. Prosegue Weber: "Tra i
|
||
valori si tratta ovunque e sempre, in ultima analisi, non già di
|
||
semplici alternative, ma di una lotta mortale senza possibilità di
|
||
conciliazione, come tra "dio" e il "demonio". Tra di essi non è
|
||
possibile nessuna relativizzazione e nessun compromesso".
|
||
|
||
[^4]: Oltre ai "classici" testi citati alla nota seguente, vedi
|
||
Foucault, *La società disciplinare*, a cura di Salvo Vaccaro, Mimesis,
|
||
Sesto San Giovanni 2010, e Id., *La società punitiva. Corso al Collège
|
||
de France (1972-1973)*, Feltrinelli, Milano 2016.
|
||
|
||
[^5]: Michel Foucault, *Storia della follia nell'età classica*, Rizzoli,
|
||
Milano 1963; vedi anche Id., *Nascita della clinica. Una archeologia
|
||
dello sguardo medico*, Einaudi, Torino 1969; Id., *Sorvegliare e punire.
|
||
Nascita della prigione*, ivi 1976.
|
||
|
||
[^6]: Jeremy Bentham, *Panopticon ovvero la casa d'ispezione*, a cura di
|
||
M. Foucault e M. Perrot, Marsilio, Venezia 2002.
|
||
|
||
[^7]: Jean Starobinski, *L'invenzione della libertà 1700-1789*,
|
||
Abscondita, Milano 2008.
|
||
|
||
[^8]: È quanto rileva lo stesso Foucault, *Disciplina e democrazia.
|
||
Intervista di J.-L. Ezine* (1975), in Id., *La società disciplinare*
|
||
cit., p. 87: "La disciplina è l'altra faccia della democrazia".
|
||
|
||
[^9]: Byung-Chul Han, *La società della trasparenza*, Nottetempo, Roma
|
||
2014.
|
||
|
||
[^10]: Byung-Chul Han, *Psicopolitica. Il neoliberalismo e le nuove
|
||
tecniche del potere*, Nottetempo, Roma 2016, p. 11.
|
||
|
||
[^11]: Lo aveva intuito già Foucault, *Disciplina e democrazia.
|
||
Intervista di J.-L. Ezine* cit., p. 87 (nel 1975!): "Si vedono apparire
|
||
ora sorveglianze di altro tipo, ottenute senza che quasi la gente se ne
|
||
renda conto, attraverso la pressione del consumo".
|
||
|
||
[^12]: Questo il significato che Aristotele attribuiva a ὑποκείμενον,
|
||
tradotto con il latino *subiectum*; per una discussione di questo
|
||
termine prima e dopo Cartesio, e dunque con l'imporsi del Mondo Moderno,
|
||
vedi Martin Heidegger, *L'epoca dell'immagine del mondo*, in Id.,
|
||
*Sentieri interrotti*, La Nuova Italia, Firenze 1984, pp. 71-101.
|
||
|
||
[^13]: Han, *Psicopolitica* cit., p. 9.
|
||
|
||
[^14]: *Ibid.*, p. 18.
|
||
|
||
[^15]: *Ibid.*, p. 25.
|
||
|
||
[^16]: Le Corbusier, *Cinque punti per una nuova architettura* (1927),
|
||
in Mara De Benedetti e Attilio Pracchi, *Antologia dell'architettura
|
||
moderna. Testi, manifesti, utopie*, Zanichelli, Bologna 1988, p. 381.
|
||
Continua Le Corbusier a proposito della pianta libera: "Non esistono più
|
||
pareti portanti, ma soltanto membrane dello spessore desiderato.
|
||
Conseguenza di ciò l'assoluta libertà nella progettazione della pianta,
|
||
cioè la libera disposizione delle risorse esistenti".
|
||
|
||
[^17]: Fredric Jameson, *Postmodernismo ovvero la logica culturale del
|
||
tardo capitalismo*, Fazi Editore, Roma 2007, pp. 315-20.
|
||
|
||
[^18]: *Ibid.*, pp. 319-20.
|
||
|
||
[^19]: Karl Marx, *Il 18 brumaio di Luigi Napoleone* (1852), in Marx e
|
||
Engels, *Opere complete* cit., vol. XI, p. 107.
|
||
|
||
[^20]: Vittorio Savi e Josep Maria Montaner, *Less is more. Minimalisme
|
||
en arquitectura i d'altres arts*, Col•legi d'Arquitectes de Catalunya -
|
||
editorial Actar, Barcelona 1996.
|
||
|
||
[^21]: Aureli, *Less Is Enough* cit., p. 8.
|
||
|
||
[^22]: Han, *Psicopolitica* cit., p. 46.
|
||
|
||
[^23]: Owen Hopkins, *Architecture and Freedom: a changing connection*,
|
||
in
|
||
<https://www.royalacademy.org.uk/article/exploring-architecture-and-freedom>,
|
||
2 settembre 2015. Vedi anche "Architectural Design", vol. 88, n. 3,
|
||
maggio-giugno 2018, fascicolo curato dallo stesso Hopkins e interamente
|
||
dedicato a *Architecture and Freedom. Searching for Agency in a
|
||
Changing World*.
|
||
|
||
[^24]: Francis Fukuyama, *La fine della storia e l'ultimo uomo*,
|
||
Rizzoli, Milano 1992.
|
||
|
||
[^25]: Su ciò vedi Patrik Schumacher (a cura di), *Parametricism 2.0.
|
||
Rethinking Architecture's Agenda for the 21st Century*, Academy
|
||
Editions, London 2016.
|
||
|
||
[^26]: Jürgen Mayer H., *Metropol Parasol*, Hatje Cantz Verlag,
|
||
Ostfildern 2011; vedi inoltre Id., *Could Should Would*, scritti di
|
||
Georges Teyssot, Ana Miljacki e John Paul Ricco, ivi 2015.
|
||
|
||
[^27]: Farshid Moussavi, *The Function of Style*, Actar, New York 2014,
|
||
ma anche Id., *The Function of Form*, Actar, Barcelona 2009.
|
||
|
||
[^28]: Vedi ad esempio Giancarlo De Carlo e Franco Bunčuga,
|
||
*Conversazioni su architettura e libertà* (2000), Elèuthera, Milano
|
||
2018.
|
||
|
||
[^29]: Scrive lo stesso Jean Nouvel, *Real/Virtual*
|
||
([www.jeannouvel.com/en/projects/fondation-cartier-2/](http://www.jeannouvel.com/en/projects/fondation-cartier-2/)),
|
||
a proposito di quello che significativamente chiama "il fantasma nel
|
||
parco": "L'architettura riguarda la leggerezza, con una raffinata
|
||
struttura di acciaio e vetro. Architettura in cui il gioco consiste nel
|
||
confondere i confini tangibili dell'edificio e rendere superflua la
|
||
lettura di un volume solido tra la poetica della sfocatura e
|
||
dell'effervescenza. Quando la virtualità è attaccata dalla realtà,
|
||
l'architettura deve avere più che mai il coraggio di assumere l'immagine
|
||
della contraddizione". La Fondation Cartier pour l'art contemporain è
|
||
del 1991-94.
|
||
|
||
[^30]: Junya Ishigami, *Freeing Architecture*, catalogo della mostra,
|
||
Fondation Cartier pour l'art contemporain -- LIXIL Publishing,
|
||
Paris-Tokyo 2018.
|
||
|
||
[^31]: Ishigami, *Freeing Architecture* cit., pp. 180-89.
|
||
|
||
[^32]: *Ibid.*, pp. 190-94.
|
||
|
||
[^33]: *Ibid.*, p. 309.
|
||
|
||
[^34]: Colin Rowe, *L'architettura delle buone intenzioni. Verso una
|
||
visione retrospettiva possibile* (1994), Pendragon, Bologna 2005.
|
||
|
||
[^35]: Ishigami, *Freeing Architecture* cit., p. 309.
|
||
|
||
# L'architetto come "produttore" e l'architettura come progetto
|
||
|
||
> Per gli architetti, la scoperta del loro declino come ideologhi
|
||
> attivi, la constatazione delle enormi possibilità tecnologiche
|
||
> utilizzabili per razionalizzare le città e i territori, unita alla
|
||
> quotidiana constatazione del loro spreco, l'invecchiamento dei metodi
|
||
> specifici di progettazione, prima ancora di poterne verificare nella
|
||
> realtà le ipotesi, generano un clima ansioso, che lascia intravvedere
|
||
> all'orizzonte uno sfondo molto concreto e temuto come il peggiore dei
|
||
> mali: il declino della "professionalità" dell'architetto e
|
||
> l'inserimento di questi, senza più remore tardoumanistiche, in
|
||
> programmi in cui il ruolo ideologico dell'architettura sia minimo[^1].
|
||
|
||
Per comprendere quanto si sia trasformata la condizione dell'architetto
|
||
dal momento in cui Manfredo Tafuri ha formulato la sua analisi -- ma al
|
||
tempo stesso quanto di quest'ultima si sia nel frattempo avverato --, è
|
||
necessario ripartire proprio dal punto in cui tale analisi è stata
|
||
giudicata eccessivamente "drammatica", e dunque nella sostanza è stata
|
||
del tutto fraintesa. Si tratta della famosa (e presunta) "profezia"
|
||
della "morte dell'architettura". Lo stesso Tafuri vi allude, facendo
|
||
riferimento alle reazioni a *Per una critica dell'ideologia
|
||
architettonica*, da molti letto come un "omaggio a un atteggiamento
|
||
apocalittico, come "poetica della rinuncia", come estrema denuncia di
|
||
una "morte dell'architettura""[^2]. Tale lettura distorta,
|
||
sorprendentemente diffusa[^3], ha finito per distorcere a sua volta il
|
||
quadro critico successivo. Non soltanto quindi l'analisi tafuriana,
|
||
cosí travisata, è stata bollata come "oscura profezia", del tutto priva
|
||
di "valore scientifico"[^4], ma ha spinto anche molti (architetti non
|
||
meno che storici e critici) a diffidare a priori di ciò che in essa era
|
||
contenuto; mancando in questo modo di scorgervi quanto per loro -- e per
|
||
le generazioni che sarebbero venute dopo di loro -- poteva invece essere
|
||
utile.
|
||
|
||
Quando Tafuri parla di "estinguersi (...) del ruolo di una
|
||
disciplina"[^5], di "crisi della funzione ideologica
|
||
dell'architettura"[^6], intende riferirsi all'esaurirsi di un compito
|
||
storico, non certo formulare catastrofistici pronostici in merito al
|
||
futuro di entrambe. In questo senso, se proprio di "morte" si dovesse
|
||
parlare, ciò non riguarderebbe per nulla l'architettura intesa come
|
||
fatto materiale (costruito o anche solo progettato): piuttosto
|
||
l'architettura come sistema di pratiche, come professione che
|
||
tradizionalmente al proprio centro custodisce l'idea di disegnare (ossia
|
||
progettare)[^7] e organizzare lo spazio, da quello domestico a quello
|
||
urbano (e volendo anche oltre), e che in quanto tale comporta sempre,
|
||
necessariamente, anche aspetti relazionali, sociali, etici e
|
||
politici[^8]. Se "morte" (o forse meglio, eclissi) vi è, ciò che viene
|
||
meno è un certo modo di concepire alcune parti (o addirittura l'intero
|
||
*corpus*) dell'architettura intesa in questo senso.
|
||
|
||
Come l'architettura nella sua dimensione materiale, cosí anche
|
||
l'architettura come processo è soggetta alle dinamiche storiche; e
|
||
dunque, cosí come cambiano gli edifici nel corso della storia, cambia
|
||
anche il modo in cui la disciplina architettonica viene intesa da un
|
||
punto di vista concettuale. In *Per una critica dell'ideologia
|
||
architettonica* e *Progetto e utopia*, Tafuri ha cercato di articolare
|
||
storicamente le cause (e in misura minore, gli effetti) di questi
|
||
cambiamenti. Dall'Illuminismo alle avanguardie del Novecento,
|
||
dall'utopia come progetto ideologico alla depurazione dell'ideologia da
|
||
ogni tratto utopistico, il ciclo storico da lui individuato mostra una
|
||
traiettoria ben precisa per quanto riguarda la concezione
|
||
dell'architettura da un punto di vista disciplinare: l'assunzione su di
|
||
sé di compiti di gestione dei grandi mutamenti produttivi e sociali che
|
||
hanno avuto luogo a partire dalla Rivoluzione industriale, e che si
|
||
prolungheranno fino ai primi tre decenni del XX secolo, per essere
|
||
riattivati ancora dopo la guerra. Per la cultura disciplinare, faro di
|
||
questo vorticoso e spesso contraddittorio sviluppo sono i miti della
|
||
razionalizzazione e della pianificazione, declinati a vario titolo e in
|
||
diversi contesti, fino al momento in cui -- come rileva Tafuri -- le
|
||
verranno sottratti dalle politiche dei "paesi a capitalismo avanzato
|
||
come gli Usa o a capitale socializzato come l'Urss"[^9]. Cosicché,
|
||
|
||
> ... dopo aver anticipato ideologicamente la ferrea legge del piano,
|
||
> gli architetti, incapaci di leggere storicamente il percorso compiuto,
|
||
> si ribellano alle estreme conseguenze dei processi che essi hanno
|
||
> contribuito a innescare[^10].
|
||
|
||
La comprensione di tali mutamenti -- oggi come allora -- si rivela un
|
||
elemento fondamentale. Rimanerne all'oscuro, o addirittura negarli,
|
||
equivale a rimanere del tutto estranei alla propria epoca, e di
|
||
conseguenza essere esclusi dalla possibilità di leggerla criticamente.
|
||
Per utilizzare la già richiamata distinzione proposta da Benjamin, in
|
||
una misura non trascurabile questo tipo di condizione costituisce il
|
||
presupposto "migliore" per mettere chi vi si dispone nella posizione del
|
||
"rifornitore", vale a dire in uno stato di muta e cieca acquiescenza nei
|
||
confronti della società per cui opera.
|
||
|
||
Ma prima di passare ad analizzare quali siano gli effetti del cambio di
|
||
statuto dell'architettura attuale rispetto a quello di precedenti epoche
|
||
storiche, bisogna sgombrare il campo dalla possibile "impressione" che
|
||
la supposta eclissi di una certa idea di architettura, verificatasi a
|
||
partire dagli anni sessanta e settanta, possa essere il frutto esclusivo
|
||
di una "deformazione" tafuriana. A corroborare l'ipotesi relativa alla
|
||
"crisi della funzione ideologica" dell'architettura, con particolare
|
||
riferimento a quel periodo, può quindi essere utile la coeva
|
||
testimonianza di De Carlo:
|
||
|
||
> Guardando con freddezza quel che accade, si può dire che
|
||
> l'architettura non interessa più nessuno. Non interessa i clienti
|
||
> tradizionali perché non risolve in modo efficiente e rapido i loro
|
||
> problemi di investimento e di potere; non interessa le istituzioni
|
||
> perché produce simboli troppo flebili e sbiaditi in confronto a quelli
|
||
> che producono altri settori di attività più potenti e aggressivi; non
|
||
> interessa la gente comune perché non propone nulla che corrisponda
|
||
> alle sue aspettative. Perciò, dal momento che non interessa più
|
||
> nessuno, l'architettura è condannata a una rapida estinzione[^11].
|
||
|
||
La fosca premonizione di Giancarlo De Carlo, formulata quasi mezzo
|
||
secolo fa, sembrerebbe a prima vista sconfessata dall'evidenza dei
|
||
fatti: l'architettura -- nonostante tutto -- esiste, continua a
|
||
esistere.
|
||
|
||
Tuttavia, a un'analisi più attenta, le parole di De Carlo non sono poi
|
||
cosí lontane dal vero: l'architettura, intesa nel senso in cui la
|
||
intende l'architetto genovese -- qualcosa che sia il frutto di un vero
|
||
*interesse*, ovvero di un effettivo *essere-tra*, un intreccio di
|
||
relazioni tra *esseri* diversi, ciascuno dotato di un proprio status di
|
||
correlazione ma al tempo stesso d'indipendenza dagli altri --, non
|
||
soltanto è destinata a sparire ma probabilmente non esiste già più
|
||
(ammesso poi che, in una forma più "piena", sia mai esistita). E qui,
|
||
ancora una volta, bisogna fare chiarezza: l'architettura esiste, certo,
|
||
nella sua concretezza, in forma di edifici per la "gente comune",
|
||
rispetto alle cui "aspettative" però risulta spesso deludente. Ed
|
||
esiste in forma di sedi di rappresentanza di quelle "istituzioni"
|
||
(pubbliche o private) che tuttavia in effetti, nella gran parte dei
|
||
casi, cercano e trovano altrove i propri simboli, in settori "più
|
||
potenti e aggressivi" -- primi fra tutti il marketing e la pubblicità --
|
||
cui la stessa architettura è subordinata e spesso assimilata. Per
|
||
quanto riguarda i "clienti tradizionali", invece -- appartenenti, lungo
|
||
tutto il corso del Novecento, in modo preponderante al mondo
|
||
imprenditoriale e politico --, sono proprio questi a essere scomparsi,
|
||
soppiantati da nuovi committenti desiderosi assai meno di radicare i
|
||
loro "interessi" in oggetti stabili e materiali, per investirli di
|
||
preferenza in entità immateriali e "volatili". Con significative
|
||
differenze, comunque, tra nuova committenza politica -- strenuamente
|
||
impegnata a ostentare il massimo distacco (apparente) del potere dal
|
||
"palazzo", e dunque poco interessata a farsene emblema --, e nuova
|
||
committenza imprenditoriale. In quest'ultimo caso, il problema non è
|
||
tanto la differente accezione del termine "interesse", la sua
|
||
declinazione in senso prettamente economico anziché relazionale. Che
|
||
gli interessi degli investitori siano di tipo economico è qualcosa che
|
||
non riesce a sconvolgere neanche i più incalliti idealisti. La
|
||
metamorfosi decisiva in questo campo è piuttosto quella relativa al
|
||
passaggio da un capitalismo "padronale", ancora radicato in territori e
|
||
culture, a un capitalismo finanziario, senza volto e senza "testa", e
|
||
dunque impersonale e invisibile; un capitalismo per il quale sono assai
|
||
poco importanti le appartenenze, le vicende, i linguaggi e le
|
||
problematiche locali. Ed è proprio questo sradicamento, con tutte le
|
||
sue conseguenze, di cui De Carlo "pre-sente" minacciosamente l'arrivo.
|
||
|
||
Non è dunque tanto sul piano dell'architettura realizzata (o anche solo
|
||
pensata) che oggi sembra avverarsi la "prognosi" di De Carlo, quanto
|
||
piuttosto sul piano concettuale e simbolico. Sul piano -- si potrebbe
|
||
dire -- del *senso*. Nella società odierna l'architettura non "conta",
|
||
o lo fa molto meno di un tempo. Si legga ancora De Carlo:
|
||
|
||
> Per convincersi che non è una battuta terroristica, e neanche una
|
||
> semplice battuta, basta scorrere le diagnosi degli esperti che
|
||
> confortano le decisioni dei politici ai quali sono affidate le sorti
|
||
> del mondo. Queste diagnosi concordano nel dichiarare che la questione
|
||
> dell'organizzazione dello spazio fisico è molto grave, ma anche molto
|
||
> semplice. Per risolverla basta identificare i problemi più salienti
|
||
> che sono quelli della residenza e del trasporto -- e affidarli a chi è
|
||
> in grado di affrontarli con la massima rapidità e col minimo
|
||
> sforzo[^12].
|
||
|
||
Massima rapidità e minimo sforzo: sono le modalità con cui agisce
|
||
preferenzialmente la logica capitalista, anzi -- per l'esattezza -- sono
|
||
i suoi obiettivi primari. D'altronde, dalle parole di De Carlo risulta
|
||
evidente come, in *questa* logica, "chi è in grado di affrontare" tali
|
||
problemi non sia niente affatto l'architetto cosí come egli stesso lo
|
||
intende, capace di organizzare lo spazio nella sua complessità, fisica e
|
||
concettuale; non certo l'architetto per il quale tempo e lavoro
|
||
costituiscono quantità spesso non precisate, sulle quali comunque non
|
||
lesinare. Piuttosto, il pericolo che egli vede incombente è che, per la
|
||
risoluzione di questioni spaziali, in un futuro ormai prossimo, si
|
||
faccia ricorso "agli strumenti più efficaci utilizzandoli per quel che
|
||
possono dare, senza pretendere prestazioni qualitative che sono estranee
|
||
alla loro natura". Difficile dire con esattezza che cosa abbia qui in
|
||
mente De Carlo; l'utilizzo della parola "strumenti" lascia però
|
||
evidentemente intuire il carattere "strumentale" di tali interventi.
|
||
Mentre la via d'uscita che per parte sua ritiene possibile -- e che di
|
||
fatto in diverse circostanze nel corso della sua carriera ha proposto --
|
||
è quella dell'architettura "dalla parte della gente"[^13],
|
||
l'architettura della partecipazione.
|
||
|
||
La natura dell'architettura, intesa come somma dei compiti in carico
|
||
all'architetto è, fin dalle sue origini, essenzialmente organizzativa,
|
||
*gestionale*[^14]. Si tratta in sostanza dell'espletamento di alcune
|
||
mansioni specifiche (progettazione, disegno, estimo, scelta dei
|
||
materiali, ecc.) che tuttavia in larga parte sono assorbite nella
|
||
capacità più complessiva dell'architetto medesimo di sovrintendere,
|
||
coordinare e soprattutto *comprendere* le condizioni di possibilità del
|
||
progetto, quand'anche questo venga realizzato da altri. Pur essendo
|
||
parte costitutiva del suo profilo tradizionale, questa attività di
|
||
gestione si è accresciuta nel tempo in tale misura da divenire la parte
|
||
preponderante del suo lavoro. Ma c'è di più: l'estensione dei mercati
|
||
potenziali in seguito alla globalizzazione, la conseguente crescita
|
||
quantitativa e dimensionale degli edifici, la loro sempre maggiore
|
||
complessità tecnologica, la richiesta di competenze sempre più
|
||
specialistiche e diversificate, sono alcuni dei fattori che hanno
|
||
contribuito a togliere all'architetto quella centralità nella produzione
|
||
del progetto che in precedenza deteneva. Ed è qui che l'analisi storica
|
||
di Tafuri "incontra" le considerazioni sulla professione di De Carlo.
|
||
Se infatti la ricognizione genealogica compiuta dal primo individua le
|
||
cause scatenanti della crisi dell'architettura come disciplina, la
|
||
"fenomenologia" del secondo ne nomina lucidamente gli effetti. Che sono
|
||
appunto alla base delle evoluzioni che stiamo vivendo attualmente.
|
||
|
||
Il formidabile sviluppo degli studi di architettura, in particolar modo
|
||
dalla seconda metà del XIX secolo in avanti, non soltanto in termini di
|
||
numero di persone impiegate ma anche di articolazione interna, di
|
||
complessificazione organizzativa (basti pensare agli *architectural
|
||
firms* sorti a Chicago dopo l'incendio del 1871, vere e proprie aziende
|
||
di progettazione impegnate a fronteggiare l'enorme richiesta di
|
||
*commercial buildings* e *tall buildings*[^15]; o all'*Architekturbüro*
|
||
scientificamente impostato da Otto Wagner per realizzare le stazioni
|
||
della metropolitana e le chiuse del canale del Danubio, affidategli nel
|
||
1894 dalla municipalità di Vienna in qualità di consigliere superiore
|
||
all'edilizia)[^16], corrisponde in epoche più recenti a un altrettanto
|
||
imponente incremento degli apparati gestionali presenti in tali studi,
|
||
perfettamente espresso dal dispiegamento di computer al posto di quelli
|
||
che un tempo erano i tavoli da disegno. È questa la plastica
|
||
dimostrazione del fatto che oggi i sistemi di elaborazione e di
|
||
controllo del progetto sono diventati pressoché interamente
|
||
*strumentali*, come aveva preconizzato De Carlo. E tuttavia, pur
|
||
trattandosi di un mutamento importante, addirittura epocale, non è in
|
||
fondo cosí rilevante da provocare un vero sovvertimento nel modo di
|
||
mettere in rapporto architettura e architetto. Certamente, crescendo
|
||
dimensionalmente, ma soprattutto facendo proprio il modello della
|
||
taylorizzazione del lavoro, gli studi di architettura hanno visto nel
|
||
tempo accrescersi pure la divisione e la specializzazione delle mansioni
|
||
al loro interno; cosicché, negli studi più grandi, accanto agli
|
||
architetti variamente aggettivati (partner, senior, junior, ecc.), si
|
||
trovano oggi frequentemente caddisti, renderisti, specialisti di
|
||
progettazione computazionale, BIM manager, architetti Revit, modellisti,
|
||
archivisti, responsabili dello sviluppo aziendale, esperti in *public
|
||
relations*, addetti ufficio stampa, per nominare solo alcune delle
|
||
posizioni possibili. Ed è altrettanto innegabile che il lavoro di
|
||
architettura, negli studi maggiori per mole e produttività, possa essere
|
||
assimilato a quello svolto in una fabbrica, con tutti gli effetti di
|
||
sfruttamento e alienazione che ne conseguono[^17]. In questa
|
||
condizione, con l'ampliarsi a dismisura della divaricazione tra chi
|
||
occupa posizioni di vertice, di norma in grado di abbracciare la
|
||
complessità -- e in qualche caso anche il senso -- delle operazioni
|
||
eseguite, e chi invece è relegato nelle zone inferiori della scala
|
||
gerarchica, costretto a produrre semplici "spezzoni" di tali
|
||
operazioni[^18], diventa pressoché impossibile parlare di "lavoro
|
||
dell'architetto" in maniera generalizzata e univoca. Aspetto, questo,
|
||
confermato anche dai diversi "nomi" con cui si suole spesso indicare il
|
||
contributo degli uni e degli altri: "opera", nel caso dei primi,
|
||
semplice "lavoro", in quello dei secondi:
|
||
|
||
> La parola "opera" evoca la dimensione autoriale di un prodotto, ovvero
|
||
> l'idea che il prodotto, progetto o edificio, sia il frutto
|
||
> dell'architetto. Al contrario, il lavoro (...) in architettura,
|
||
> supera i risultati architettonici tradizionali e comprende l'intero
|
||
> sforzo -- la fatica -- necessario per sostenere la produzione
|
||
> dell'"opera", dal mantenimento personale agli umili lavori che un
|
||
> architetto deve compiere per eseguire un incarico[^19].
|
||
|
||
Benché ovviamente "l'idea stessa di *opera* come qualcosa che possa
|
||
essere limitato alla creazione di un oggetto -- come è ancora preteso
|
||
nella nostra professione -- sia un'insostenibile farsa"[^20].
|
||
|
||
Ma il vero nodo della questione consiste nella profonda modificazione
|
||
che ha subito l'intero processo produttivo dell'architettura, sottoposto
|
||
alle tensioni delle trasformazioni epocali citate più sopra; una
|
||
modificazione che "scavalca" la stessa organizzazione del lavoro dentro
|
||
gli studi (ormai raggiunti dal "modello" post-fordista, con modalità di
|
||
lavoro più "libere" rispetto a quelle precedenti e con un controllo
|
||
delle conoscenze disponibili al suo interno che porta a intenderle ora
|
||
come un "capitale cognitivo")[^21] e che pone urgentemente l'architetto
|
||
di fronte alla necessità di riflettere in merito al proprio ruolo. Se
|
||
da un lato infatti questo è radicalmente cambiato, dall'altro in molti
|
||
casi gli architetti si ostinano a vederlo immutato, se non nei suoi
|
||
aspetti pratici, nel suo significato intrinseco, nel suo valore
|
||
simbolico. A partire da quell'"immagine ideologicamente costruita
|
||
dell'architetto come indiscutibile creatore"[^22] che ancora resiste,
|
||
non soltanto presso un pubblico distratto e poco informato ma anche
|
||
nell'autorappresentazione di molti architetti. Nell'odierna realtà
|
||
progettuale, invece, non muta soltanto l'"identità" dei protagonisti, ma
|
||
anche -- e radicalmente -- il "punto di vista" secondo cui questi vanno
|
||
osservati: in essa, infatti, non più l'architetto, bensì "il progetto,
|
||
suddiviso in parti condotte separatamente, individua diversi ruoli di
|
||
responsabilità e capacità dispiegati lungo il suo processo"[^23]. È il
|
||
*progetto stesso* a "scrivere il proprio destino", cioè a dettare le
|
||
regole, a imporre la propria agenda a tutte le figure professionali che
|
||
incontra sul suo cammino. Se un tempo "ruotava" intorno allo studio di
|
||
architettura (fatta eccezione per gli indispensabili interventi
|
||
ingegneristici, finalizzati all'elaborazione dei calcoli strutturali e
|
||
all'inserimento dei sistemi impiantistici, nonché -- in casi più rari --
|
||
di progettisti d'interni), oggi si potrebbe dire che il progetto ha il
|
||
proprio "centro" in se stesso: dopo essere stato ideato e sviluppato in
|
||
uno studio di architettura nelle fasi preliminare e definitiva, non è
|
||
infrequente che passi di mano e che venga integralmente trasferito a
|
||
società di ingegneria che lo porteranno in modo del tutto autonomo alla
|
||
fase esecutiva, ottimizzandolo (in linguaggio tecnico,
|
||
"ingegnerizzandolo") in vista della realizzazione. Ma spesso i passaggi
|
||
non sono cosí definiti, perché può capitare che il progetto venga
|
||
rielaborato e modificato, anche radicalmente, sotto un profilo
|
||
strutturale, estetico o dei materiali, da altri operatori, prima di
|
||
arrivare alla fase costruttiva; la quale, anch'essa, è di sovente
|
||
frazionata dalla società capo-commessa in molteplici porzioni, ciascuna
|
||
delle quali eseguita da altre imprese mediante appalti separati. Un
|
||
complesso iter nello svolgersi del quale il progetto (o "servizio di
|
||
progettazione", come lo denomina ora il linguaggio burocratico italiano)
|
||
viene variamente -- e da svariati soggetti -- "processato"; termine,
|
||
questo, che lascia involontariamente intendere come il progetto venga
|
||
sottoposto a revisioni nel corso delle quali -- di passaggio in
|
||
passaggio -- perde via via ogni traccia di una paternità (o
|
||
maternità)[^24] che in altre epoche l'affiancarsi di altri nomi e
|
||
competenze a quelli dell'architetto poteva contribuire semmai a
|
||
precisare, ma in nessun modo mettere in dubbio.
|
||
|
||
Si tratta dunque di un "processo" -- frutto di una competizione più che
|
||
di una cooperazione -- che può portare anche alla completa alienazione
|
||
dei "diritti" sul progetto da parte del suo ideatore originario; sempre
|
||
ammesso poi che abbia ancora senso definire "autore" di un progetto chi,
|
||
come accade in molte circostanze, ne cede di fatto la proprietà
|
||
materiale e intellettuale nel momento stesso in cui questo passa di
|
||
mano.
|
||
|
||
Il fatto che nell'epoca contemporanea il progetto -- dietro apparenze
|
||
spesso ingannevoli -- sia costitutivamente "in cerca di autore",
|
||
dimostra quanto esso sia indipendente dallo stesso architetto. Ma si
|
||
tratta soltanto di una "spia" che segnala una situazione di allarme più
|
||
generale. È la prova che l'architettura, ben lungi dall'essere il punto
|
||
focale del progetto, è ormai soltanto una "tappa" -- e a volte neppure
|
||
la più rilevante -- di un percorso ben più lungo e intricato. Ma
|
||
proprio qui sta il problema: nell'accettare il lavoro di architettura
|
||
come mansione limitata, parziale, scorporabile da una lettura e da
|
||
un'interpretazione più complessiva e allargata della città e della
|
||
società, ovvero della politica e dell'economia -- nell'accettare
|
||
l'architettura come *mestiere specializzato*, come "comparto" operativo
|
||
del capitale --, l'architetto definisce la propria posizione rispetto a
|
||
esso prima ancora di aver compiuto qualsiasi "gesto" progettuale.
|
||
|
||
Certo, si è detto, l'architettura intesa come edificio materiale
|
||
continua -- nonostante tutto -- a sussistere. E, a dispetto delle
|
||
insidie di cui si fa portatore ogni giorno il mondo virtuale, non è
|
||
stato ancora trovato un valido sostituto per gli edifici reali, in
|
||
"carne e ossa". Pur attraversando fasi altalenanti, dunque, il settore
|
||
delle costruzioni rimane sempre uno dei comparti migliori a cui affidare
|
||
capitali in cerca di collocazioni sicure. Di conseguenza, architetti e
|
||
studi di architettura, nella misura in cui riescono a sconfiggere una
|
||
concorrenza che si presenta sempre più numerosa e agguerrita, sembrano
|
||
avere lavoro assicurato. Non tutti naturalmente se la cavano bene, ma
|
||
l'obiettivo comune alla gran parte di essi risulta ben chiaro:
|
||
concorrere ciascuno alla costruzione di un pezzo del mondo come lo
|
||
conosciamo, *lasciandolo cosí com'è* (con soltanto marginali
|
||
aggiustamenti, nella maggioranza dei casi di carattere estetico). Sono
|
||
gli architetti "rifornitori". Ma che cosa ne è degli architetti
|
||
"produttori"? È cosí che Benjamin chiama coloro che trasformano *in
|
||
senso tecnico* l'apparato produttivo[^25].
|
||
|
||
Va chiarito immediatamente che non esistono architetti "rifornitori" e
|
||
architetti "produttori" *a priori*. È soltanto in relazione alla
|
||
posizione che ciascuno di essi assume nella realtà concreta dei processi
|
||
produttivi dell'architettura -- se li accetta passivamente facendosene
|
||
semplice tramite o se invece piuttosto li reinterpreta criticamente al
|
||
punto da riuscire a *trasformarli* sotto qualche profilo
|
||
dall'interno[^26] -- che si determinerà il loro essere "rifornitori" o
|
||
"produttori". Esattamente la stessa posizione sulla base della quale,
|
||
nota ancora Benjamin, "può essere stabilito o meglio *scelto* (...) il
|
||
posto dell'intellettuale nella lotta di classe"[^27]. E qui è
|
||
necessario affrontare una questione essenziale: ha ancora senso questo
|
||
discorso *al di fuori* della prospettiva della "lotta di classe"? Vale
|
||
a dire, al di fuori di una prospettiva *rivoluzionaria* quale sussisteva
|
||
per Benjamin? Non è forse proprio la mancanza di questa -- o quantomeno
|
||
di un'ideologia o di una finalità condivisa, sia pur meno radicale -- a
|
||
rendere difficile, se non addirittura impossibile, attualizzare il
|
||
discorso di Benjamin? Alla risposta più apparentemente ovvia e immediata
|
||
-- in assenza di una "lotta di classe" tale discorso è *ipso facto*
|
||
destituito di senso -- bisogna opporre una risposta più meditata.
|
||
L'attuale mancanza di un'alternativa politica al capitalismo è un fatto
|
||
assodato. Se mai ce ne fosse bisogno, sotto un profilo disciplinare
|
||
questo è "provato" dall'odierna rilettura in senso puramente
|
||
"scientifico" (con Carl Schmitt si potrebbe dire "neutralizzazione",
|
||
ovvero *de-politicizzazione*)[^28] dell'architettura, i cui obiettivi --
|
||
dall'edificio alla città, per giungere ad *habitat* ancora più allargati
|
||
-- sono umani e sociali, e dunque eminentemente politici. Oggi, al
|
||
posto degli obiettivi collettivi politicamente condivisi il cui
|
||
raggiungimento Benjamin poteva quantomeno indicare, si impongono
|
||
interessi individuali in cui, al di là di una pur significativa ma nella
|
||
maggior parte dei casi generica vocazione a "cambiare il mondo" con il
|
||
proprio intervento, prevalgono "obiettivi" come l'affermazione personale
|
||
e l'ottenimento di maggiori guadagni.
|
||
|
||
E tuttavia, a ben guardare, esiste un più che diffuso malessere nei
|
||
confronti di condizioni di vita e di lavoro che tocca punti di vista non
|
||
soltanto individuali. Si tratta di un disagio che trascende, in larga
|
||
misura, la singolarità di una visione soggettiva, limitata e parziale, e
|
||
che coinvolge ormai quella che Paolo Virno chiama una
|
||
"moltitudine"[^29]. Pur essendo priva di una prospettiva unitaria, la
|
||
moltitudine ha in comune "il linguaggio, l'intelletto, le comuni facoltà
|
||
del genere umano"[^30]. I tanti soggetti individuali che la compongono
|
||
condividono tra loro aspirazioni e bisogni. E ciò tanto più in un
|
||
comparto ben definito qual è quello che ruota intorno al mondo
|
||
dell'architettura. All'interno di questo, da alcuni anni a questa
|
||
parte, si sono individuati non soltanto motivi d'insoddisfazione comuni
|
||
(primo fra tutti, condizioni di sfruttamento selvaggio dei lavoratori
|
||
che spesso non hanno paragoni nel panorama del lavoro intellettuale, e
|
||
neppure di quello manuale)[^31], ma anche forme di relazioni
|
||
intersoggettive che, se non arrivano certo a definire un vero e proprio
|
||
soggetto politico, hanno però almeno la capacità di inquadrare i
|
||
problemi in modo analitico[^32], e istituire reti di comunicazione e di
|
||
scambio tra i soggetti coinvolti. Sono ancora lontani dall'essere messi
|
||
a fuoco, in tutto ciò, comportamenti solidali e rivendicazioni
|
||
condivise; ma soprattutto manca una vera e propria "coscienza di
|
||
classe", sostituita al momento da una più generica consapevolezza di
|
||
appartenenza, di compartecipazione a una medesima condizione o
|
||
"destino". Al tempo stesso, però, vi sono diffusi e ricorrenti segnali
|
||
di un risveglio di attenzione e di interesse nei confronti di una
|
||
lettura politica della disciplina architettonica nel suo complesso, in
|
||
netta controtendenza rispetto all'orientamento ancora dominante che vede
|
||
in essa l'esclusiva espressione di una cultura scientifico-tecnologica,
|
||
cui corrispondere in termini "prestazionali" e professionalistici. Ed è
|
||
sulla strada -- pur lunga e difficoltosa -- dell'individuazione di
|
||
strategie e dell'adozione di tattiche finalizzate all'organizzazione di
|
||
una maggior "resistenza" e di una lotta più efficace e consapevole, che
|
||
i testi di Benjamin -- e in particolare quello citato -- hanno spesso
|
||
rappresentato un fondamentale viatico per la cultura
|
||
architettonica[^33]. Benché naturalmente al di fuori di qualsiasi
|
||
realistica prospettiva di rivoluzione, la *prospettiva rivoluzionaria*
|
||
proposta da Benjamin -- specificamente rivolta al lavoro intellettuale
|
||
-- ha fornito e continua a fornire un impulso e una possibile "linea di
|
||
condotta" per i soggetti coinvolti a vario titolo nel processo
|
||
produttivo dell'architettura. Distogliendo lo sguardo dagli scenari più
|
||
"eroici" della lotta di classe, per fissarlo sull'obiettivo più
|
||
circoscritto delle dinamiche interne ai rapporti di produzione, il testo
|
||
di Benjamin apre uno squarcio in un momento storico quasi senza
|
||
speranze. L'alternativa tra farsi "rifornitori" o "produttori" di tali
|
||
rapporti mantiene infatti la propria validità anche al di fuori di
|
||
prospettive politiche più radicali, offrendosi come opportunità per chi,
|
||
pur essendo *dentro* di essi, intenda porsi *contro* le logiche che li
|
||
informano.
|
||
|
||
E proprio dal testo di Benjamin emerge un dato importante: le posizioni
|
||
occupate nel processo produttivo sono frutto di una *scelta*. Nessun
|
||
ostacolo logico esiste, di ordine trascendentale, che impedisca di
|
||
posizionarsi nell'una o nell'altra. Ciò non significa che sia una
|
||
"libera" scelta: essa dipende comunque da condizionamenti e congiunture,
|
||
cosí come dipende dal punto a partire dal quale viene compiuta. Vi sono
|
||
fattori economici in gioco, ma anche culturali e sociali, che vincolano
|
||
tale scelta, orientandola in un senso o nell'altro. Ma pur con tutti i
|
||
limiti ipotizzabili ed entro condizioni storicamente determinate, la
|
||
scelta della propria posizione nel processo produttivo da parte
|
||
dell'architetto si presenta -- se non certo libera in assoluto --
|
||
quantomeno *possibile*. Come in altre contingenze della vita
|
||
individuale e sociale, è il risultato della composizione, in positivo o
|
||
in negativo, di convenzioni e convenienze che possono influenzarla,
|
||
quando non addirittura determinarla del tutto. Ma ciò nondimeno è e
|
||
rimane anche una *decisione*: un "taglio" netto, deliberato, che risolve
|
||
la *quaestio* in un modo o nell'altro. Come tutte le decisioni,
|
||
comporta un'assunzione di responsabilità e l'esercizio di una
|
||
convinzione[^34]. Non è insomma possibile -- di fronte all'occupazione
|
||
dell'una o dell'altra posizione -- invocare l'ineluttabilità delle
|
||
circostanze o del "fato", non comunque in una misura determinante.
|
||
|
||
Ma, come non esistono architetti "rifornitori" e architetti "produttori"
|
||
*a priori*, neppure esistono architetti "rifornitori" e architetti
|
||
"produttori" una volta per tutte. Ciascun architetto compie la propria
|
||
scelta ogni giorno, in ogni momento, spesso inconsapevolmente, e
|
||
altrettanto di frequente in modo inapparente, non dichiarato. Lo fa
|
||
nell'ambito del proprio lavoro, accogliendo o meno offerte che le/gli
|
||
vengono fatte, soddisfacendo o meno condizioni che le/gli vengono
|
||
imposte, ridiscutendo progetti che le/gli vengono commissionati,
|
||
ponendosi o meno a disposizione nell'accettare compromessi o
|
||
imposizioni.
|
||
|
||
Insomma, si tratta di casi molto frequenti e di scelte molto concrete,
|
||
che portano l'architetto a posizionarsi come "rifornitore" dell'apparato
|
||
di produzione, oppure piuttosto come "produttore". Ma produttore di che
|
||
cosa? Come va inteso esattamente questo termine? Non è forse anche
|
||
l'architetto "rifornitore" un produttore, nella misura in cui realizza
|
||
per l'appunto "prodotti"? Innanzitutto si può dire -- anzi ribadire --
|
||
che tutta l'architettura è un prodotto, vale a dire una merce. La
|
||
natura di merce dell'architettura non è minimamente revocata, e neppure
|
||
insidiata, dall'intervento dell'architetto "produttore" invece che da
|
||
quello dell'architetto "rifornitore", o viceversa. Ma se l'architettura
|
||
è senza dubbio un prodotto nel caso di entrambi, in quello
|
||
dell'architetto "produttore" si può dire che essa è *anche* un prodotto,
|
||
ma non solo: ovvero non è un prodotto-e-basta. Essa è anche -- ed
|
||
essenzialmente -- un *progetto*. Non però quel "progetto" che
|
||
l'architetto in quanto architetto produce (o meglio, dovrebbe produrre,
|
||
se altri operatori, altri "attori" -- come si è visto -- non ne
|
||
insidiassero il compito) in vista di una possibile realizzazione.
|
||
Piuttosto un progetto da intendersi come *idea*, come *finalità* (e non
|
||
come semplice presupposto) dell'architettura medesima.
|
||
|
||
L'avvicinamento di prodotto e progetto non è affatto inedito o
|
||
sorprendente.
|
||
|
||
> Pro-durre e pro-getto sono termini solidali, rappresentano, nel nostro
|
||
> linguaggio, un'unica "famiglia". Il progetto è inteso come
|
||
> intrinsecamente produttivo: esso elabora modelli di produzione. Il
|
||
> pro-durre è compreso nel pro-getto che ne illumina il senso e il
|
||
> fine[^35].
|
||
|
||
In realtà, molto più di quanto si possa pensare, il progetto è distante
|
||
da una dimensione semplicemente produttiva-predittiva (idea che
|
||
linearmente anticipa la propria realizzazione), per aprirsi invece alla
|
||
"massima (...) irruzione dell'imprevedibile"[^36]. È questa idea di
|
||
progetto che s'affaccia nella produzione dell'architetto "produttore":
|
||
dove dunque l'architettura *come progetto* non indica il mero
|
||
svolgimento di un'intenzione iniziale, l'attuazione di qualcosa di
|
||
interamente presente in essa, e perciò di perfettamente aderente a un
|
||
programma "dato" (e "dato" appunto dal processo produttivo come tale),
|
||
bensì qualcosa che "eccede" da esso, che si apre a possibilità
|
||
ulteriori, non previste, azzardate, che mettono in crisi il processo
|
||
produttivo medesimo.
|
||
|
||
Architettura come progetto significa che l'architettura *nel suo
|
||
complesso*, come disciplina pratica *e* concettuale, in tutti i suoi
|
||
aspetti e passaggi -- dall'elaborazione teorica all'organizzazione
|
||
produttiva, passando naturalmente anche per il progetto architettonico
|
||
inteso in senso tradizionale, con tutti i processi che ne rendono
|
||
possibile la realizzazione -- è ripensata in una prospettiva
|
||
progettuale, nell'accezione "aperta", arrischiata al futuro, enunciata
|
||
poc'anzi.
|
||
|
||
Per rendere più facilmente comprensibile come ciò vada inteso (e per
|
||
dissolvere il possibile equivoco ingenerato dalla somiglianza formale
|
||
delle espressioni "architettura come progetto" e progetto
|
||
architettonico, cui corrisponde nei fatti un'abissale distanza), si
|
||
potrebbe richiamare il senso che il termine "progetto" assume allorché
|
||
ci si riferisce a un progetto letterario o artistico o, ancora, a un
|
||
progetto politico, o a un progetto di vita; dove il "progetto" in
|
||
questione non ha palesemente nulla a che fare con pratiche relative a
|
||
quegli ambiti, come accade invece nel caso dell'architettura. Oppure,
|
||
più propriamente, si potrebbe richiamare l'uso che ne ha fatto Tafuri a
|
||
proposito del "progetto" storico[^37]; appare chiaro, infatti, in questo
|
||
caso, come non soltanto il lavoro storico in generale venga assimilato a
|
||
un "progetto" ma come tale "progetto" sia per molti versi assimilabile a
|
||
quello aperto, arrischiato e capace di mettere in crisi il proprio
|
||
stesso processo produttivo descritto in precedenza[^38]: un "progetto"
|
||
che non a caso egli definisce "progetto di crisi"[^39]. È lo stesso
|
||
orizzonte a cui si riferisce Cacciari parlando della tecnica in
|
||
relazione al noto saggio di Benjamin: "Non si dà discorso autentico
|
||
sulle tecniche, finché non se ne *teorizza* la struttura di *crisi*:
|
||
esse non avvengono che in base a crisi -- a causa del trasformarsi degli
|
||
assetti culturali precedenti"[^40]. E ancora: "La crisi non è un
|
||
momento che lo sviluppo delle tecniche attraversa, ma la loro immanente
|
||
struttura". Una "coincidenza" niente affatto casuale, dal momento che è
|
||
l'analisi dello stesso Cacciari a "finire" per occuparsi proprio
|
||
dell'*Autore come produttore*. Qui, quanto precedentemente affermato in
|
||
merito alla capacità del progetto di mettere in crisi --
|
||
*trasformandoli* -- i processi produttivi, viene ulteriormente
|
||
illuminato: infatti
|
||
|
||
> \[La\] crisi non può essere operata speculativamente -- riflettendo
|
||
> *dall'esterno* sul processo di trasformazione. Essa deve essere
|
||
> *prodotta*. (...) Qualsiasi posizione intellettuale che non si ponga
|
||
> come *produttiva* è reazionaria. Ma *produttiva* significa: non
|
||
> soltanto integrata nel rapporto di produzione -- ma in grado di
|
||
> trasformarne-metterne in crisi l'apparato tecnico-linguistico[^41].
|
||
|
||
L'architettura come progetto non indica dunque un "progetto" *per* essa
|
||
o *con* essa: piuttosto indica l'essere progetto *essa stessa*. E un
|
||
progetto non semplicemente confermativo bensì effettivamente
|
||
*trasformativo* degli apparati produttivi; un progetto di crisi.
|
||
Soggetto di tale progetto di crisi è l'architetto come produttore, o per
|
||
dir meglio, l'architetto che accetti di calarsi *dentro* tali apparati,
|
||
confrontandosi con essi, con le loro forme, i loro linguaggi, e al tempo
|
||
stesso scelga di criticarli, andando *contro* una loro riproposizione
|
||
immutata. Non si tratta affatto -- si badi bene -- di mere
|
||
"astrazioni". Piuttosto di ben precise *relazioni* sviluppabili
|
||
all'interno della catena di produzione attraverso i diversi anelli della
|
||
quale il progetto architettonico man mano transita: relazioni con gli
|
||
altri soggetti e le altre competenze della catena di produzione;
|
||
relazioni con le amministrazioni pubbliche, con le istituzioni e con i
|
||
committenti privati; relazioni con le imprese di costruzioni e con le
|
||
maestranze; relazioni con i fornitori; relazioni con l'utenza di un
|
||
edificio e più in generale con la cittadinanza e con il pubblico;
|
||
relazioni con gli altri componenti dello studio; relazioni con gli altri
|
||
studi; relazioni con il mondo della comunicazione dell'architettura
|
||
(editoria, riviste, giornali, internet); relazioni infragenerazionali e
|
||
con gli studenti. Tali relazioni risultano naturalmente tanto più
|
||
significative quanto più i soggetti implicati sono disponibili a
|
||
lasciarsi coinvolgere e a farsi mutare, ma non escludono neppure il
|
||
ricorso a modalità conflittuali[^42]; anzi, spesso ciò è inevitabile.
|
||
|
||
A questo elenco si possono aggiungere l'organizzazione del lavoro
|
||
interna allo studio; il quadro legislativo entro il quale l'architetto
|
||
si muove; il corpus teorico disciplinare; le possibili analisi storiche,
|
||
sociologiche, economiche, politiche compiute su architettura e città; e
|
||
ovviamente il progetto vero e proprio, alle sue possibili scale diverse,
|
||
architettonica e urbana, visto sotto *tutti* i suoi aspetti, e in
|
||
particolare sotto il profilo delle modalità alternative di concepire e
|
||
organizzare lo spazio, unico terreno di applicazione e verifica della
|
||
politica all'architettura. Si tratta di una molteplicità di campi
|
||
diversi, con cui -- in differenti modi e in vari momenti nel corso del
|
||
suo lavoro -- l'architetto viene a contatto. Agendo su uno o più di
|
||
questi ambiti, vale a dire mettendoli in crisi, modificandoli, per
|
||
innovarli -- ma soprattutto per *migliorarli* nella misura del
|
||
possibile[^43] --, l'architetto propone se stesso come intellettuale.
|
||
|
||
Nella condizione attuale, in modo nettamente contrastante rispetto ad
|
||
altre epoche storiche precedenti, la figura dell'intellettuale appare
|
||
fortemente screditata. In realtà, pur non risalendo a tempi troppo
|
||
recenti, la condizione di crisi non sembra affatto essere endemica per
|
||
l'intellettuale: il quale, in un passato più o meno distante, ha
|
||
rivestito posizioni centrali non solo al fianco di regnanti o potenti,
|
||
né solo in qualità di membro della *respublica litterarum*, ma anche in
|
||
settori vitali e operanti della società[^44]. Non è dunque qui il caso
|
||
di ritornare sulla questione già accennata della sua (presunta) "crisi",
|
||
se non per far notare che curiosamente l'intellettuale, stante quanto
|
||
detto sin qui, sembrerebbe porsi in un duplice rapporto con la crisi: da
|
||
un lato come colei/colui che la patisce, dall'altro come colei/colui che
|
||
la impartisce. Al punto da far sorgere il dubbio che la crisi
|
||
dell'intellettuale, in ultima istanza, non sia nient'altro che il
|
||
rovesciamento su di sé della propria stessa attitudine a mettere in
|
||
crisi. Ormai da tempo affermatisi come ceto separato, con un'espressa
|
||
funzione "contemplativa" -- di osservatori privilegiati -- della
|
||
società[^45], gli intellettuali sconterebbero in tal modo la propria
|
||
crescita ipertrofica, o sarebbero vittime di un "delirio di
|
||
onnipotenza", giungendo a rivolgere le proprie armi contro se stessi. O
|
||
forse piuttosto, agendo e "abitando" costantemente la crisi, la loro
|
||
esistenza non è contraddetta dalla presenza di questa.
|
||
|
||
Di certo comunque si può dire che il ruolo dell'intellettuale, oltre a
|
||
quello più ovvio di istruire la società propagandovi la cultura sotto
|
||
varie forme, consista nel "rompere" costellazioni di saperi consolidate,
|
||
riconfigurandole secondo altre strutture di senso[^46]. Quest'opera di
|
||
"rottura" è sempre stata fondamentale per l'intellettuale produttivo e
|
||
progressivo. Ben lungi dal confermare condizioni e opinioni già note e
|
||
diffuse, questi si presenta come un "quieto agitatore", il portatore di
|
||
un conflitto che non è tuttavia frutto di una "visione personale", bensì
|
||
appartiene alle *cose stesse*. "Per "ritornare alla cosa" occorre (...)
|
||
saperla porre nel suo dissidio rispetto alle altre"[^47].
|
||
L'intellettuale weberiano, da questo punto di vista, costituisce forse
|
||
il culmine della capacità di rendere continuamente presente il conflitto
|
||
che è nelle cose, con *disincanto*; una forma di distacco, quest'ultima,
|
||
che non può essere adottata però come un semplice "atteggiamento" e che
|
||
è invece il motore stesso del suo agire.
|
||
|
||
Per quanto concerne l'architettura, le figure analizzate in precedenza
|
||
rispondono perfettamente a questi caratteri: sia che -- come fa Aldo
|
||
Rossi -- si ridisegni a livello teorico il nesso tra architettura e
|
||
città, facendo ampio ricorso ad altre culture disciplinari[^48]; sia che
|
||
-- come fa Aldo van Eyck -- si intervenga a livello urbano escogitando
|
||
un intelligente riuso di un ingente numero di spazi pubblici residuali e
|
||
istituendo al tempo stesso una proficua collaborazione con una
|
||
municipalità[^49]; oppure, sfidando convenzioni sociali e tipologiche,
|
||
si offrano spazi di relazione davvero capaci di commisurarsi agli
|
||
utenti[^50], è sempre e comunque l'impronta di un architetto
|
||
intellettuale quella che qui si lascia riconoscere. Come da questi due
|
||
esempi risulta evidente, nell'entrare in rapporto con singoli ambiti o
|
||
temi, i diversi architetti citati utilizzano metodi e strumentazioni
|
||
differenti: dalla ricerca più tradizionale, svolta individualmente, a
|
||
quella che prevede una pluralità di contributi, che vanno dunque
|
||
selezionati e coordinati tra loro, fino al diretto intervento sulla
|
||
città o su un edificio. E molti altri ancora sono e potrebbero essere i
|
||
mezzi impiegati. Con ciò si dimostra l'ampiezza dello spettro d'azione
|
||
dell'architetto intellettuale, ma anche la sua completa libertà da
|
||
qualsiasi "obbligo" culturalistico. Come avverte Gramsci nel Quaderno
|
||
già ricordato[^51], del resto, per il costruttore, per l'organizzatore
|
||
-- e dunque anche per l'architetto --, l'attività intellettuale si
|
||
estrinseca non più nell'"eloquenza (...) ma nel mescolarsi attivamente
|
||
alla vita pratica". Nessun vuoto "intellettualismo" è pertanto
|
||
richiesto (e concesso) all'architetto che agisca *sub specie
|
||
intellectualis*. Semmai, a questo punto, ostentazioni di cultura e
|
||
fumose "astrattezze" divengono i migliori indici della presenza di ormai
|
||
intollerabili pseudo-intellettuali (architetti o altro che siano)! E
|
||
come l'architetto intellettuale non deve per forza disporre di capacità
|
||
oratorie o retoriche, cosí non per forza deve profondere il suo impegno
|
||
su un terreno diverso da quello dell'architettura.
|
||
|
||
Riletti in questa chiave, i "casi" più interessanti che emergono dalla
|
||
storia dell'architettura sono proprio quelli *produttori di crisi*, più
|
||
che quelli portatori di ordine (oppure quelli portatori di un ordine che
|
||
mette in crisi a sua volta). Sono i momenti di "rottura", più che i
|
||
momenti di continuità. Sono le opere che tolgono certezze, più che le
|
||
opere che le confermano. Ovviamente nella misura in cui ciò sia
|
||
fondato. Da questo punto di vista, persino una nozione pur pesantemente
|
||
gravata da una matrice idealistica qual è quella di "capolavoro"
|
||
potrebbe essere recuperata a una critica produttiva. Idealistica, nella
|
||
categoria di "capolavoro", è la maniera di concepire l'opera d'arte (o
|
||
di architettura) come un prodotto eccezionale, isolato, frutto
|
||
dell'intuizione sublime di un genio; e idealistica è parimenti la
|
||
presunzione dell'esistenza di un rapporto di "continuità" tra il
|
||
presunto "capolavoro" e la sua epoca, di cui esso rappresenterebbe
|
||
semplicemente il "culmine". In realtà, volendosi servire ancora di
|
||
questa vecchia categoria degradata, bisognerebbe riconoscere nel
|
||
"capolavoro" da un lato la piena implicazione nelle vicissitudini
|
||
produttive del proprio autore, e dall'altro una capacità -- questa sí
|
||
davvero straordinaria -- di rompere con il proprio tempo, di mettere in
|
||
crisi l'ordine precedente, e di istituirne al suo posto uno nuovo. Da
|
||
questo punto di vista, lungi dall'esserne estraneo, il capolavoro ha a
|
||
che fare con l'epoca nel preciso senso che esso *fa epoca*, vale a dire
|
||
che provoca un arresto del corso del tempo (*epoché*, sospensione). Ma,
|
||
nel "far epoca", il capolavoro mostra la propria attitudine
|
||
rivoluzionaria, non certamente l'opposta tendenza a occupare un posto
|
||
centrale all'interno d'un quadro lasciato però sostanzialmente immutato.
|
||
|
||
Per l'architetto come intellettuale, inoltre, al pari dell'autore come
|
||
produttore di Benjamin, "il progresso tecnico è la base del suo
|
||
progresso politico"[^52]. Tale discorso non va assolutamente confuso
|
||
con un progresso tecnologico. Per quanto rivesta un ruolo fondamentale
|
||
per gli apporti che dà al processo produttivo dell'architettura, la
|
||
tecnologia non ha nulla a che fare con la tecnica nel modo in cui
|
||
Benjamin la intende in questo contesto. Parlando di "progresso
|
||
tecnico", egli si riferisce piuttosto al padroneggiamento di competenze
|
||
specifiche, nonché ai possibili avanzamenti rappresentati dall'ulteriore
|
||
acquisizione di esse. Ma soprattutto, per Benjamin il vero "progresso
|
||
tecnico" non consiste affatto nell'incremento delle potenzialità degli
|
||
strumenti che l'uomo ha a disposizione; esso piuttosto va inteso come
|
||
qualcosa di cui l'uomo di per sé dispone, ovvero -- ancora una volta --
|
||
la capacità di intervenire sui processi produttivi in maniera tale da
|
||
modificarli. A questo fine -- in qualità di architetto -- può anche
|
||
servirsi di dispositivi informatici e digitali, ma non solo: oltre alle
|
||
tecniche tradizionali di rappresentazione legate al progetto e alla
|
||
pianificazione (dallo schizzo al disegno, fino alla fotografia e al
|
||
video), un "buon" architetto sa -- o dovrebbe sapere -- impiegare,
|
||
almeno entro certi limiti, competenze strutturali, estimative,
|
||
giuridiche, sociologiche, psicologiche, politiche e di altre discipline
|
||
ancora. Nel fare tutto ciò egli si avvale della parola (in forma
|
||
scritta o verbale), strumento massimamente duttile e diversificato che
|
||
offre a chi la usa coscientemente la possibilità di fare ricorso a un
|
||
vasto numero di "tecniche". Ed è su questo terreno che si lasciano
|
||
misurare le capacità *produttive* dell'architetto intellettuale. Al di
|
||
là del suo essere mezzo di comunicazione oggi eccessivamente abusato,
|
||
infatti, la parola è -- o dovrebbe essere -- anche e soprattutto suprema
|
||
"innescatrice" di relazioni e impareggiabile apportatrice di
|
||
potenzialità inventive e trasformative. Non "vuote" parole, destinate
|
||
di conseguenza a cadere nel vuoto, dunque, bensì parole corpose,
|
||
precise, circostanziate, la cui fondamentale missione si presenta quella
|
||
di ridefinire ogni volta il senso della disciplina nei suoi diversi
|
||
aspetti, ma anche quella di renderne partecipi gli altri ambiti, il
|
||
"resto del mondo", che troppo spesso ne rimane all'oscuro.
|
||
|
||
Rispetto al lavoro di *routine* svolto dal semplice "rifornitore", a
|
||
quello dell'architetto intellettuale è richiesto qualcosa di più: a esso
|
||
non è sufficiente ripetere soluzioni già note; piuttosto deve
|
||
sperimentare soluzioni inventive, conquistando cosí nuovi territori e
|
||
nuovi rapporti da esplorare. In questo senso, "contro" può significare
|
||
anche contro il lavoro assegnato, prestabilito, contro le convenzioni,
|
||
contro le abitudini non più verificate. Nell'ottica del lavoro
|
||
intellettuale, del resto, proprio il tema della "verifica" è
|
||
fondamentale, come già ricordato in precedenza con parole di Franco
|
||
Fortini che presentano forse inconsapevoli risonanze benjaminiane[^53].
|
||
Non si dà lavoro autenticamente produttivo senza un'attenta verifica
|
||
delle sue implicazioni e ricadute. E come esso non può "confidare" su
|
||
un atto puramente ri-produttivo, cosí il suo autore non può
|
||
"pretendersi" libero dalla necessità di dare continuità al proprio
|
||
operato: soltanto cosí si comprova il suo ruolo. La sua attendibilità
|
||
di "produttore" dipende da essa e va parimenti sottoposta a verifica. E
|
||
in ogni caso, nulla vieta che l'architetto "produttore" torni nuovamente
|
||
a "rifornire". Alla libertà della sua scelta è data anche la
|
||
possibilità dell'incoerenza.
|
||
|
||
Può questo *idealtypus* dell'architetto intellettuale -- portatore di
|
||
inquietudine e di "sconvolgimenti" (*produttore di crisi*) nel cuore
|
||
stesso del proprio lavoro, destinato per sua essenza a "edificare"
|
||
(*ædes facere*), o quantomeno a occuparsi di *rerum
|
||
ædificatoriarum*[^54] -- aderire all'architetto attuale? Ovvero,
|
||
corrispondono gli architetti *reali* a questa figura ideale? Si potrebbe
|
||
rispondere che è certamente possibile, come lo è stato in momenti e in
|
||
epoche precedenti, a patto naturalmente di non idealizzare la realtà in
|
||
modo eccessivo. Ma la vera questione qui non è dare volti e nomi reali
|
||
a un profilo ideale; né compilare liste di eletti e di proscritti, che
|
||
per di più sarebbero comunque soggettive e parziali. Alla "famiglia"
|
||
degli architetti infatti appartengono non soltanto i "grandi" nomi ma
|
||
anche i nomi "normali", e le miriadi di "anonimi" che compiono il loro
|
||
lavoro quotidiano negli studi, coloro che svolgono le stesse mansioni in
|
||
altre posizioni, coloro che insegnano, coloro che per perversione o
|
||
passione si dedicano alla storia e alla critica...[^55]. Insomma, una
|
||
"famiglia" molto vasta e complessa, tutta impegnata nel suo insieme in
|
||
un'attività intellettuale, ma all'interno della quale non tutti i suoi
|
||
membri risultano *produttivi* nel senso indicato. La vera questione
|
||
insomma non è individuale ("non esistono più gli architetti
|
||
intellettuali di una volta...") bensì collettiva. Detto in altri
|
||
termini, la vera questione su cui interrogarsi è la funzione storica
|
||
dell'architetto intellettuale *nel momento attuale*.
|
||
|
||
Se un tratto specifico sembra contrassegnare il momento attuale (vale a
|
||
dire una società neoliberalista), esso potrebbe essere identificato con
|
||
un'assoluta "refrattarietà" da parte di questa per qualsiasi tipo di
|
||
critica. La mentalità dominante pare costitutivamente lontana da uno
|
||
spirito critico, cosí come lo è dall'elaborazione di un pensiero critico
|
||
(un pensiero *di crisi*). Lungi dall'essere una caratteristica
|
||
accidentale o neutrale, tale mancanza risponde invece -- almeno in prima
|
||
istanza -- a una precisa volontà di autoaffermazione apodittica. La
|
||
stessa spasmodica ricerca del consenso va letta precisamente in questa
|
||
ottica: come massima avversità per la crisi (il fatto poi che la crisi
|
||
si ripresenti ciclicamente sotto forma "economica", non diminuisce di
|
||
certo -- e semmai anzi aumenta -- tale avversità). Ma al tempo stesso,
|
||
è proprio in quest'epoca apparentemente priva di spirito critico che si
|
||
può sviluppare uno spirito critico, sia pure sporadico e disorganizzato,
|
||
e complessivamente estraneo alle logiche dominanti. Si tratta di uno
|
||
sviluppo *non imprevisto*; esso cioè non soltanto è tollerato ma in
|
||
qualche modo finisce anche per essere funzionale al sistema. In una
|
||
società come quella attuale, infatti,
|
||
|
||
> ... la tensione antagonistica tra diversi punti di vista è appiattita
|
||
> nella pluralità dei punti di vista indifferenti. "Contraddizione"
|
||
> perde cosí il proprio significato sovversivo: in uno spazio di
|
||
> permissivismo globalizzato, punti di vista incoerenti coesistono
|
||
> cinicamente[^56].
|
||
|
||
Inoltre, essendo il capitalismo in quanto tale *sviluppo*[^57], esso
|
||
ingloba al suo interno e *sfrutta* in una certa misura le critiche
|
||
avanzate nei suoi stessi confronti; al punto che -- come è stato
|
||
affermato -- il fattore principale di trasformazione del capitalismo
|
||
sarebbe la critica stessa[^58].
|
||
|
||
Con tutto ciò -- che piaccia o meno -- questo è il momento attuale. E
|
||
se all'interno di esso l'intellettuale (e l'architetto intellettuale)
|
||
può avere un suo ruolo, per quanto esposto a rischi di fraintendimenti e
|
||
di strumentalizzazioni, è questa la partita che è chiamato a giocare:
|
||
senza alcun vano "principio speranza" ma anche senza alcuna preventiva
|
||
disillusione. Semmai con il disincanto -- e/o il distacco -- più sopra
|
||
evocati. Tentativi in tal senso ci sono, e alcuni di essi sono stati
|
||
oggetto di analisi nelle pagine precedenti. In linea generale, comunque
|
||
-- si potrebbe affermare --, tali tentativi appaiono oggi meno
|
||
strutturati, e fors'anche meno "impegnati", rispetto a quelli compiuti
|
||
in altre epoche. Sicuramente minore appare la loro efficacia, se
|
||
l'architetto come intellettuale può risultare pressoché del tutto
|
||
sparito dall'orizzonte attuale, e neppure entrare a far parte -- stando
|
||
a "impressioni" potenzialmente anche ingannevoli -- dell'agenda dei
|
||
maggiori esponenti della disciplina. Ma forse non è lí che bisogna
|
||
cercare. In una situazione come quella attuale, difficoltosamente
|
||
costretta tra crisi e sviluppo, il mondo dell'architettura sembra per
|
||
una parte accontentarsi di quello che ha, e per la parte restante
|
||
aspirare a ciò che non ha, mostrando segni di sfiducia e stanchezza nei
|
||
confronti della possibilità di cambiare qualcosa. Si tratta certo di
|
||
una situazione difficile, magari persino *più* difficile di quelle
|
||
storicamente attraversate sinora. Ma -- come scrive Hölderlin citato da
|
||
Heidegger -- "là dove c'è il pericolo, cresce anche ciò che salva"[^59].
|
||
E proprio la storia dimostra come, in condizioni e momenti cruciali, non
|
||
soltanto le difficoltà non si presentino affatto come un impedimento al
|
||
raggiungimento dei risultati auspicati, ma come a volte questi stessi
|
||
possano essere ottenuti proprio grazie alla presenza di esse. Un caso
|
||
emblematico in tal senso -- vale a dire una lampante dimostrazione di
|
||
come ogni occasione possa essere "buona" per chi operi come
|
||
"produttore", anziché accontentarsi di essere un "rifornitore" -- è
|
||
rappresentata dal complesso realizzato per "The Economist Group"
|
||
(1959-64) a Londra dai coniugi Alison e Peter Smithson. Ottenuto grazie
|
||
alla vittoria di un concorso a inviti, l'incarico prevedeva la
|
||
realizzazione della sede dell'importante settimanale economico inglese,
|
||
fondato nel 1843 dal banchiere e uomo d'affari James Wilson. Da quel
|
||
momento in avanti la testata ha sempre sostenuto una posizione
|
||
liberalista, avente come propri fondamenti la proprietà privata e
|
||
l'economia di mercato. Dovendo inserirsi in un lotto non distante dalla
|
||
City, prospiciente St James Street, ma confinante anche con un club
|
||
preesistente costruito alla metà del XVIII secolo, gli Smithson hanno
|
||
disposto i tre edifici (la sede di "The Economist", una banca e un
|
||
edificio residenziale, rispettivamente di 15, 4 e 8 piani) su un plateau
|
||
quadrato sopraelevato rispetto alla quota della città circostante. Pur
|
||
richiamandosi a strutture presenti nella zona (dai vicoli alle *arcades*
|
||
e ai cortili che penetrano negli edifici), la soluzione trovata dai due
|
||
architetti rappresenta una vera e propria "rottura" rispetto agli
|
||
interventi urbani precedenti: la *plaza* pedonale, rivestita di pietra
|
||
arenaria, si offre come un'isola di tranquillità all'interno della densa
|
||
e caotica rete di strade della capitale britannica. Né l'intervento
|
||
manca pure di una lucida coscienza del proprio significato strategico e
|
||
del ruolo che potrebbe assumere in una prospettiva urbana più allargata.
|
||
Nelle parole dei suoi stessi autori, esso
|
||
|
||
> ... offre uno spazio di "pre-ingresso", in cui c'è il tempo di
|
||
> riordinare la propria sensibilità, preparandosi a entrare negli uffici
|
||
> per una visita o per lavoro. La città è lasciata al di fuori dei
|
||
> limiti dell'area e le si aggiunge un altro tipo di spazio
|
||
> "intermedio"; se, come nel passato, più proprietari contribuissero a
|
||
> realizzare queste "pause", allora altri modelli di movimento sarebbero
|
||
> possibili; l'uomo per strada potrebbe scegliere di cercare il proprio
|
||
> percorso "segreto" attraverso la città, potrebbe ulteriormente
|
||
> sviluppare una sensibilità urbana, elaborando il proprio contributo
|
||
> alla qualità d'uso[^60].
|
||
|
||
E ancora:
|
||
|
||
> The Economist costituisce un insieme "didattico", volutamente
|
||
> asciutto, di edifici. E questo, fra duecento anni, potrà sembrare un
|
||
> errore; ma nella nostra situazione non c'è altra strada se non quella
|
||
> di "costruire" e di "dimostrare". La lezione non sta solo in ciò che
|
||
> abbiamo fatto, ma in ciò che non abbiamo fatto[^61].
|
||
|
||
Nel sottolineare il significato "pedagogico" del loro intervento (a
|
||
proposito dei "produttori", Benjamin ne rimarca proprio il
|
||
"comportamento didattico")[^62], gli Smithson rivelano in pieno la sua
|
||
natura *politica*: un frammento di "arcipelago" urbano *dentro e contro*
|
||
nel cuore del maggior centro finanziario internazionale. E infatti, in
|
||
perfetto accordo con ciò, il *corretto uso* di questo spazio è indicato
|
||
dalla scena iniziale del film *Blow up* (1966) di Michelangelo
|
||
Antonioni: una jeep carica di una compagnia di mimi mascherati fa
|
||
improvvisamente irruzione nella *plaza*; dopo un breve giro dello spazio
|
||
deserto tra gli edifici, la jeep viene abbandonata e la compagnia di
|
||
giovani festanti si sparge a piedi per le vie di Londra. La città del
|
||
capitale è cosí riletta come palcoscenico di un gran teatro
|
||
dell'assurdo; il seme a "reazione ludica" che vi viene impiantato
|
||
diviene generatore di comportamenti "eversivi" in cui si colgono echi
|
||
surrealisti e situazionisti.
|
||
|
||
A fronte di un "caso" come questo viene da chiedersi se ci troviamo in
|
||
un'epoca in cui una simile "immagine del mondo" è ancora possibile. Non
|
||
è forse un caso che oggi gli incarichi più allettanti, in termini
|
||
economici e di prestigio, finiscano in larga parte nelle mani degli
|
||
architetti più propensi a "rifornire" (o per dir meglio, trovino
|
||
adeguati studi e progetti a cui affidare il proprio sicuro
|
||
"rifornimento"). Di questo "materiale" sono fatte in prevalenza le
|
||
città contemporanee: gigantesche confezioni regalo senza sorprese. E
|
||
qui non bisogna lasciarsi ingannare dai facili effetti di carattere
|
||
estetico: la *sostanza* rimane quella di una spesso elegante
|
||
salvaguardia dell'ordine costituito. Ma non sono solo gli incarichi
|
||
importanti quelli con cui un architetto "produttore" deve misurarsi per
|
||
potersi mostrare all'altezza del compito: il ruolo di intellettuale
|
||
pubblico e mediatizzato, con tutte le responsabilità che ne conseguono.
|
||
Né è in questa chiave soltanto che va valutato il suo possibile ruolo di
|
||
intellettuale. Esistono -- per limitarsi all'esclusivo piano
|
||
progettuale -- operazioni di dimensioni assai più misurate, a volte
|
||
persino di dimensioni modeste, che costituiscono però un valido banco di
|
||
prova per effettuare sperimentazioni e innovazioni capaci di originare
|
||
trasformazioni produttive. Si tratta di operazioni in cui l'architetto
|
||
è spesso chiamato a ruoli di "supplenza" che lo impegnano
|
||
nell'elaborazione di programmi che devono variamente tener conto di
|
||
condizioni locali particolari, di fruizioni insolite, di soggetti
|
||
deboli, di situazioni economiche d'emergenza. Ma soprattutto si tratta
|
||
di una questione di "mentalità". Si pensi ai molti interventi compiuti
|
||
negli ultimi vent'anni da Lacaton & Vassal (Anne Lacaton e Jean Philippe
|
||
Vassal), dal Palais de Tokyo di Parigi (2001-14) al FRAC (Fond régional
|
||
d'art contemporain) Nord-Pas de Calais a Dunkerque (2009-15), differenti
|
||
tra loro per genere e dimensioni, ma tutti ugualmente improntati alla
|
||
medesima volontà di offrire qualcosa di più e di diverso rispetto alle
|
||
attese. Arrivando anche a "forzare" le richieste poste dai bandi[^63],
|
||
i progetti degli architetti francesi si segnalano per la "generosità"
|
||
dei loro spazi, spesso quantitativamente maggiori di quelli previsti, e
|
||
per la contemporanea rinuncia ad assumere un ruolo da protagonisti, per
|
||
lasciare piuttosto la scena alle azioni destinate a installarvisi[^64].
|
||
O ancora, ai pochi interventi di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, tanto
|
||
misurati quanto attenti a ogni minimo dettaglio: con ammirevole
|
||
caparbietà e semplicità l'architetta siciliana produce le proprie opere
|
||
-- la Torre di controllo nel porto turistico di Marina di Ragusa
|
||
(2008-2009) e un esiguo numero di case private in Sicilia[^65] --
|
||
controllandone per intero il processo progettuale ed esecutivo secondo
|
||
una modalità "artigianale" apparentemente appartenente ad altri tempi.
|
||
|
||
Denominare questo tipo di interventi "architettura responsabile"[^66]
|
||
significa mettere in evidenza la loro capacità di rispondere a domande
|
||
socialmente complesse, ma anche singolarmente essenziali, anziché
|
||
perdersi in vaniloqui o in narcisistici rispecchiamenti. E non meno
|
||
rilevante, sotto il profilo della dimostrazione di "responsabilità", è
|
||
il fatto che per conquistare il "diritto a esistere" a questi
|
||
interventi, l'architetto -- in ciò "produttore" davvero straordinario di
|
||
conflitti per buone cause -- sia non di rado costretto a ingaggiare vere
|
||
e proprie battaglie *contro* tutte le circostanze che dovrebbero invece
|
||
renderli attuabili.
|
||
|
||
In altri casi -- e per altri livelli e posizioni -- sono sufficienti
|
||
gesti invisibili, dal basso, destinati a non passare alla Storia.
|
||
"Aggiustamenti", "riconfigurazioni", "rimodulazioni", che possono
|
||
riguardare i rapporti interni a determinate condizioni lavorative od
|
||
organizzative. Modalità silenziose di agire in senso migliorativo,
|
||
uguali e contrarie a quelle solitamente adottate dagli apparati
|
||
produttivi, che cambiano nel concreto il modo di operare al suo interno,
|
||
predisponendo a un *minor* sfruttamento e a una *maggior* condivisione
|
||
di saperi.
|
||
|
||
Anche queste ultime modalità d'intervento, cosí come le prime -- per non
|
||
dire poi di quelle di carattere più direttamente culturale --, prevedono
|
||
sempre, al fine di poter essere produttive, uno studio, una conoscenza,
|
||
un'applicazione, un *impegno* che, se non può propriamente essere
|
||
definito politico, si connota però di sovente in un senso civile. Tutto
|
||
ciò deve avvenire -- quando avviene -- senza dar luogo a illusioni di
|
||
false liberazioni o rivoluzioni; spesso piuttosto come un'ardua e oscura
|
||
"opera di resistenza" all'interno delle condizioni date e nei confronti
|
||
di esse. E non deve stupire che questo terreno, alla fine, possa essere
|
||
non soltanto parimenti difficile ma addirittura *più* difficile ancora
|
||
per *star architects* e altri cacciatori di esposizione mediatica che
|
||
non per gli architetti "normali", animati da una reale voglia di
|
||
cambiare e dal coraggio e dalla pazienza di farlo. Per chiunque
|
||
intraprenda questo cammino, comunque, il percorso non manca di rivelarsi
|
||
accidentato e irto di pericoli: innanzitutto quello di "perdersi" nella
|
||
propria stessa immagine di "architetto intellettuale"; inoltre, di
|
||
tradire il proprio "mandato", ritenendolo erroneamente una "delega"
|
||
conferita e ricevuta in modo permanente, e non invece da riguadagnare
|
||
ogni volta da capo, con la credibilità delle proprie "azioni"; e ancora,
|
||
di incorrere in vuote e sterili ripetizioni di se stesso,
|
||
nell'affermazione -- e più di frequente nella difesa -- di posizioni
|
||
(professionali, culturali) ormai superate ed esaurite. Da questo punto
|
||
di vista, sono sempre esistite forme di lotta "intestina" fra
|
||
intellettuali per la conquista dell'egemonia in un determinato ambiente
|
||
e in un certo periodo; e queste, per quanto siano il segnale di una
|
||
"volontà di potere" più e oltre ogni legittima "volontà di sapere",
|
||
possono costituire a loro volta un auspicabile fattore di rinnovamento.
|
||
Ciò, nello specifico ambito architettonico, riguarda gli spesso
|
||
difficoltosi ricambi generazionali, e dunque l'inevitabile scontro tra
|
||
vecchi e nuovi baricentri intellettuali[^67]: dove i primi tendono a
|
||
perpetuare se stessi sulla base delle posizioni acquisite, dell'autorità
|
||
guadagnata, cosí come pure di sterili arroccamenti a protezione del
|
||
proprio universo di riferimenti, concepito come l'unico e il solo
|
||
possibile; mentre i secondi si propongono come nuova "intelligenza" del
|
||
mondo, incardinata su altri "punti archimedici", portatori non soltanto
|
||
di punti di vista ma anche di saperi diversi, alla ricerca del
|
||
riconoscimento di una piena dignità culturale. A ben guardare, allorché
|
||
esuli da contrapposizioni puramente personali, questo scontro
|
||
costituisce a sua volta un elemento capace di far avanzare il dibattito,
|
||
sottoponendo a critica antiche tesi "incrostate" e passando al vaglio
|
||
ipotesi inedite. Per entrambi -- anziani e giovani rappresentanti
|
||
dell'ambizione a detenere l'egemonia intellettuale --, comunque, rimane
|
||
da esercitare una sorveglianza reciproca a fronte del pericolo ulteriore
|
||
di vecchi e nuovi accademismi. Non soltanto quello che si verifica
|
||
all'interno delle scuole, dove gli architetti insegnanti -- già in un
|
||
non lontano passato ma nuovamente anche oggi -- rischiano sempre di
|
||
risultare "scollati" dalle problematiche attuali[^68]; ma pure il
|
||
pericolo di una "stilizzazione" dei propri prodotti, di qualunque tipo
|
||
essi siano; pericolo che si concretizza ad esempio nella consueta
|
||
tendenza, da parte degli uni, a "sterilizzare" la propria grammatica e
|
||
sintassi progettuale, e nell'insorgente (ma già sufficientemente
|
||
affermato) orientamento, da parte degli altri, verso l'esercizio di un
|
||
disegno completamente scollegato dalla prassi, nonché soprattutto da
|
||
qualsiasi fondamento teorico.
|
||
|
||
Nella scelta che l'architetto *può* sempre compiere -- va rammentato
|
||
ancora una volta -- vi sono in gioco obiettivi e azioni *reali*, non
|
||
utopie o chimere. Ciò a patto naturalmente che dimostri di possedere
|
||
alcune capacità basilari: tra queste, innanzitutto la capacità di
|
||
pensare e fare *insieme*, in modo coerente, come differenti espressioni
|
||
di un'*unica* intenzione; poi la capacità di compiere ricerche, di cui i
|
||
propri progetti siano la conseguenza, e non già il presupposto; la
|
||
capacità di usare la storia con piena consapevolezza, perché possiede
|
||
un'idea, sa a che cosa questa le/gli serve, ancora una volta in vista
|
||
dei propri progetti; la capacità di interrogare parole, concetti, forme,
|
||
figure, anche basilari, che l'architettura utilizza, per riverificarne
|
||
il senso in vista di un loro possibile uso; la capacità di incrociare
|
||
saperi diversi, tutti indispensabili a una comprensione del quadro
|
||
complesso in cui il proprio lavoro si colloca; la capacità di pensare la
|
||
relazione concreta tra lo *spazio* e la *vita*, che in ultima analisi è
|
||
l'oggetto e lo scopo del suo intero lavoro; infine la capacità di
|
||
tradurre tutto ciò in spazio.
|
||
|
||
Quanto più l'architetto intellettuale è padrone dei mezzi che ha -- o
|
||
che dovrebbe avere -- a propria disposizione, tanto più "tecnicamente"
|
||
sa intervenire sui processi produttivi. Per fare che cosa? Da un lato,
|
||
si potrebbe rispondere, per produrre grandi o piccoli mutamenti nel
|
||
mondo che lo circonda. E non è tanto importante che si tratti di grandi
|
||
o di piccole visioni; non è la dimensione che conta. Ovvero (si
|
||
potrebbe anche dire), obiettivo dell'architetto come intellettuale
|
||
dovrebbe essere di avere grandi visioni anche in piccole dimensioni. Se
|
||
non è più tempo per le utopie, lo è però sempre ancora per i *progetti*;
|
||
progetti mirati, circoscritti, anche minimi, ma in ogni caso progetti
|
||
nel senso più sopra indicato, aventi per *soggetto* l'architettura nella
|
||
sua accezione più onnicomprensiva. Dall'altro, per far diventare quegli
|
||
stessi processi e il mondo in cui si collocano più comprensibili; non
|
||
per rivoluzionarli, forse, ma almeno per portarli alla luce, per
|
||
renderli riconoscibili. In questa prospettiva, l'opera dell'architetto
|
||
intellettuale si presenta (o dovrebbe presentarsi) anche sempre come un
|
||
"disvelamento", un lavoro di scavo all'interno delle condizioni date per
|
||
recuperare da esse qualcosa di sottratto a un sapere collettivo. Perché
|
||
quella che persegue è una causa collettiva, non individuale.
|
||
|
||
Conoscere, far conoscere, demistificare, progettare, condividere.
|
||
Espresso in questo modo il programma di un architetto che voglia
|
||
produrre se stesso come un intellettuale apparirà più che improbo: una
|
||
molteplicità di prospettive, anche contraddittorie tra loro, troppo
|
||
gravose per un singolo individuo. Ma è qui che gli effetti della
|
||
condivisione, "spezzando" la falsa naturalità della divisione del lavoro
|
||
e dei processi produttivi, possono farsi sentire.
|
||
|
||
> L'unico modo per riguadagnare una propensione ad agire è quello di
|
||
> trovare nuove forme di cooperazione nella progettazione architettonica
|
||
> che metterebbero allo stesso livello tutte le professioni che fanno
|
||
> parte del progetto e del processo di costruzione: architetti,
|
||
> costruttori e ingegneri, cosí come educatori, storici, critici,
|
||
> grafici, editori, fotografi e tecnici. Coinvolgendo conoscenze
|
||
> condivise, anziché specializzate, questo approccio collaborativo
|
||
> all'architettura potrebbe portare a una maggiore forza professionale e
|
||
> una maggior equità economica, in cui i compiti lavorativi potrebbero
|
||
> essere ugualmente e non più gerarchicamente distribuiti. Ciò
|
||
> porterebbe con sé una nuova definizione istituzionale di architettura
|
||
> che non sarebbe più basata su relazioni gerarchiche e di sfruttamento
|
||
> e su autorialità singole ma sulla cooperazione dei lavoratori come
|
||
> co-produttori di architettura[^69].
|
||
|
||
Potrebbe essere questa *trasformazione* (non morte!) il futuro
|
||
dell'architettura? Oppure il futuro dell'architettura (come le
|
||
condizioni attuali sembrerebbero far presagire) sarà più spettrale?
|
||
Un'architettura non solo prefabbricata ma addirittura preconfezionata?
|
||
Un'architettura *prêt-à-porter*? La semplice risultante della complicata
|
||
equazione "problema = soluzione"? Un vero paradiso per i "rifornitori" a
|
||
venire...
|
||
|
||
La risposta però potrebbe non essere già scritta, potrebbe passare anche
|
||
attraverso una decisione, una *scelta*, pur nei limiti delle comuni
|
||
"alienazioni". La scelta di scacciare i fantasmi affrontando le
|
||
questioni.
|
||
|
||
Potrà essere l'architetto intellettuale a farsene carico? O forse
|
||
piuttosto qualcuno che -- come Foucault -- avrà il coraggio e la
|
||
lucidità di riferirsi a se stesso come "un mercante di strumenti, un
|
||
fabbricante di ricette, un suggeritore di obiettivi, un cartografo, un
|
||
rilevatore di piani, un armaiolo..."[^70].
|
||
|
||
[^1]: Tafuri, *Progetto e utopia* cit., pp. 166-67.
|
||
|
||
[^2]: *Ibid.*, p. 2. Vedi anche R. Amirante, F. Dumontet, M.
|
||
Perriccioli e S. Pone, *Fortuna critica della "Tendenza"*, in "Op.cit.",
|
||
n. 50, 1981, pp. 5-20, in cui gli autori accennano alla "nota tesi
|
||
tafuriana della "morte dell'architettura"", cui Tafuri replica con una
|
||
lettera ("Op. cit.", n. 51, 1981, p. 83) in cui definisce la frase
|
||
citata "una vulgata da cui mi è persino superfluo prendere le distanze".
|
||
Aggiungendo subito dopo: "Non ricordo (\...) di aver mai cantato su
|
||
tombe inesistenti. (\...) Ma di estinzione di ruoli per vecchie
|
||
discipline ho certo parlato".
|
||
|
||
[^3]: Vedi ad esempio l'intervista di Hans van Dijk a Rem Koolhaas, in
|
||
cui si legge tra l'altro: "Ho la netta impressione che Tafuri e i suoi
|
||
amici abbiano in odio l'architettura. Costoro dichiarano morta
|
||
l'architettura. Per lui l'architettura è una schiera di cadaveri
|
||
all'obitorio": Hans van Dijk, *Rem Koolhaas Interview*, in
|
||
"Wonen-TA/BK", n. 11, 1978, p. 18.
|
||
|
||
[^4]: Paolo Portoghesi, *Autopsia o vivisezione dell'architettura?*, in
|
||
"Controspazio", n. 6, 1969, p. 7. La lunga recensione di Portoghesi è
|
||
comunque la più lucida nel criticare e -- in parte -- nel decostruire le
|
||
posizioni tafuriane.
|
||
|
||
[^5]: Tafuri, *Progetto e utopia* cit., p. 3.
|
||
|
||
[^6]: *Ibid.*, p. 169.
|
||
|
||
[^7]: Come noto, Leon Battista Alberti nel *De re ædificatoria*
|
||
definisce *lineamenta* quello che potrebbe essere definito altrettanto
|
||
"disegno" che "progetto"; vedi Alberti, *L'architettura* cit., vol. I,
|
||
pp. 18-19.
|
||
|
||
[^8]: "Il ruolo dell'architetto è quello di mediatore tra il cliente o
|
||
committente, cioè la persona che decide di costruire, e la forza lavoro
|
||
con i suoi supervisori, che potremmo chiamare collettivamente i
|
||
costruttori": Spiro Kostof, *Preface*, in Id. (a cura di), *The
|
||
Architect* cit., p. XVII.
|
||
|
||
[^9]: Tafuri, *Per una critica dell'ideologia architettonica* cit.,
|
||
p. 77.
|
||
|
||
[^10]: Tafuri, *Progetto e utopia* cit., p. 167.
|
||
|
||
[^11]: De Carlo, *L'architettura della partecipazione* (1973) cit.,
|
||
pp. 76-77. La sezione a cui appartiene il brano citato s'intitola
|
||
significativamente *È morta l'architettura: Viva l'architettura!*
|
||
|
||
[^12]: *Ibid.*, p. 77.
|
||
|
||
[^13]: De Carlo, *L'architettura della partecipazione* cit., p. 78. più
|
||
in generale va ricordato l'impegno di De Carlo in questa direzione
|
||
attraverso la rivista "Spazio e Società", da lui fondata e diretta dal
|
||
1978 al 2000: vedi Isabella Daidone, *Giancarlo De Carlo. Gli
|
||
editoriali di Spazio e Società*, Gangemi, Roma 2018.
|
||
|
||
[^14]: Si rammenti la già citata definizione vitruviana. Interessante
|
||
tuttavia notare come il ruolo di "controllore" delle forze produttive
|
||
impegnate sul cantiere assegnato all'architetto, affermato nel 1567 da
|
||
Philibert Delorme nel suo *Premier tome de l'architecture* (e, un secolo
|
||
prima prima di lui, da Leon Battista Alberti), appaia ancora
|
||
"sorprendente" nella Francia del XVI secolo: vedi il bel saggio di
|
||
Catherine Wilkinson, *The New Professionalism in the Renaissance*, in
|
||
Kostof (a cura di), *The Architect* cit., pp. 124-60, in particolare
|
||
p. 131.
|
||
|
||
[^15]: Carl W. Condit, *The Chicago School of Architecture. A History
|
||
of Commercial and Public Building in the Chicago Area, 1875-1925*, The
|
||
University of Chicago Press, Chicago 1964.
|
||
|
||
[^16]: Otto Antonia Graf, *Otto Wagner: Das Werk des Architekten
|
||
1860-1918*, 2 voll., Bölhau, Wien 1994; Robert Trevisiol, *Otto Wagner*,
|
||
Laterza, Roma-Bari 2006.
|
||
|
||
[^17]: Su ciò vedi Riccardo M. Villa, *L'architetto e la fabbrica*, in
|
||
GIZMO, *Backstage. L'architettura come lavoro concreto*, a cura di
|
||
Florencia Andreola, Mauro Sullam, Riccardo M. Villa, Franco Angeli,
|
||
Milano 2016, pp. 17-27. più in generale, sul tema dell'evoluzione del
|
||
lavoro di architettura nell'epoca della digitalizzazione, vedi Peggy
|
||
Deamer e Phillip G. Bernstein (a cura di), *Building (in) the Future.
|
||
Recasting Labor in Architecture*, Yale School of Architecture -
|
||
Princeton Architectural Press, New Haven -- New York 2010.
|
||
|
||
[^18]: A ciò per costoro si aggiungono di sovente orari molto pesanti,
|
||
ben oltre le otto ore giornaliere, una "flessibilità" dell'orario che si
|
||
traduce in serate e nottate occupate, un'estensione del lavoro ai sabati
|
||
e alle domeniche. Il tutto all'interno di un quadro in cui le ferie
|
||
sono un sogno, il trattamento di fine rapporto un miraggio e la pensione
|
||
una chimera. Di questi temi mi sono occupato in *L'architettura come
|
||
mestiere*, in
|
||
[www.gizmoweb.org/2012/03/larchitettura-come-mestiere/](http://www.gizmoweb.org/2012/03/larchitettura-come-mestiere/),
|
||
25 marzo 2012, e *Architettura e lotta di classe*, in
|
||
[www.gizmoweb.org/2014/05/architettura-e-lotta-di-classe/](http://www.gizmoweb.org/2014/05/architettura-e-lotta-di-classe/),
|
||
4 maggio 2014.
|
||
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||
[^19]: Aureli, *Labor and Work in Architecture* cit., p. 72.
|
||
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||
[^20]: *Ibid.*, p. 74.
|
||
|
||
[^21]: Carlo Vercellone (a cura di), *Capitalismo cognitivo. Conoscenza
|
||
e finanza nell'epoca postfordista*, Manifestolibri, Roma 2006.
|
||
|
||
[^22]: Pier Vittorio Aureli, *History, Architecture and Labour: A
|
||
Program for Research*, in Aaron Cayer, Peggy Deamer, Sben Korsh, Eric
|
||
Peterson e Manuel Shvartzberg (a cura di), *Asymmetric Labors: The
|
||
Economy of Architecture in Theory and Practice*, The Architecture Lobby,
|
||
New York 2016, p. 158.
|
||
|
||
[^23]: Giulio Barazzetta, *Che fare*, in GIZMO, *Backstage.
|
||
L'architettura come lavoro concreto* cit., p. 50.
|
||
|
||
[^24]: Filarete, *Trattato di architettura* cit., libro II, pp. 39-41.
|
||
|
||
[^25]: Benjamin, *L'autore come produttore* cit., pp. 207 sgg.
|
||
|
||
[^26]: In realtà, come scrive Massimo Cacciari, *Introduzione* a Max
|
||
Weber, *Il lavoro intellettuale come professione*, Mondadori, Milano
|
||
2018, p. XXVII, "... per quest'epoca, non si dà (...) interpretazione
|
||
che non sia trasformazione".
|
||
|
||
[^27]: Benjamin, *L'autore come produttore* cit., p. 207 (il corsivo è
|
||
mio).
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||
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||
[^28]: Carl Schmitt, *L'epoca delle neutralizzazioni e delle
|
||
spoliticizzazioni* (1929), in Id., *Le categorie del "politico"* cit.,
|
||
pp. 167-83.
|
||
|
||
[^29]: Virno, *Grammatica della moltitudine* cit.
|
||
|
||
[^30]: *Ibid.*, p. 14.
|
||
|
||
[^31]: Su ciò rimando al mio *L'architettura come lavoro concreto*, in
|
||
GIZMO, *Backstage. L'architettura come lavoro concreto* cit., pp. 7-10.
|
||
|
||
[^32]: Oltre ai lavori citati in precedenza, vedi Peggy Deamer (a cura
|
||
di), *The Architect as Worker. Immaterial Labor, The Creative Class and
|
||
the Politics of Design*, Bloomsbury, London 2015. Sul tema, in senso
|
||
più allargato, vedi anche *IWW: Immaterial Workers of the World*, in
|
||
"DeriveApprodi", n. 18, numero monografico, 1999.
|
||
|
||
[^33]: Non è letteralmente possibile dar conto del numero delle
|
||
citazioni di *Der Autor als Produzent* nel dibattito architettonico,
|
||
dapprima degli anni settanta, e poi nuovamente in quello più recente,
|
||
quasi sempre però senza adeguate storicizzazioni di esso. Sulle
|
||
possibili ambiguità del suo impiego, basti ricordare che i medesimi
|
||
passi del saggio sono utilizzati *contra* Tafuri da Portoghesi,
|
||
*Autopsia o vivisezione dell'architettura?* cit. (recensione a *Per una
|
||
critica dell'ideologia architettonica*), e poi dallo stesso Tafuri con
|
||
altre finalità in *L'Architecture dans le Boudoir. The language of
|
||
criticism and the criticism of language*, in "Oppositions", n. 3, 1974,
|
||
pp. 37-62, dove nota tra l'altro che "qui Benjamin si rivela ambiguo e
|
||
può prestarsi a diverse interpretazioni" (p. 62).
|
||
|
||
[^34]: Il rimando è evidentemente a Max Weber, *La politica come
|
||
professione* (1919), in *Il lavoro intellettuale come professione* cit.,
|
||
pp. 49-130.
|
||
|
||
[^35]: Massimo Cacciari, *Progetto*, in "Laboratorio Politico", n. 2,
|
||
1981, p. 88.
|
||
|
||
[^36]: *Ibid.*, p. 114.
|
||
|
||
[^37]: Tafuri, *Il "progetto" storico* cit., pp. 3-30.
|
||
|
||
[^38]: Scrive Tafuri, *ibid.*, p. 13: "L'autentico problema è come
|
||
progettare una critica capace di porre di continuo in crisi se stessa
|
||
mettendo in crisi il reale".
|
||
|
||
[^39]: "Il "progetto" storico è sempre "progetto di una crisi"":
|
||
*ibid.*, p. 5. Su ciò vedi Biraghi, *Progetto di crisi* cit., pp. 9-53.
|
||
|
||
[^40]: Massimo Cacciari, *Di alcuni motivi in Walter Benjamin*, in
|
||
"Nuova Corrente", n. 67, 1975, p. 238. Il saggio di Benjamin cui si fa
|
||
riferimento è *L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità
|
||
tecnica* (1936).
|
||
|
||
[^41]: Cacciari, *Di alcuni motivi in Walter Benjamin* cit., p. 241.
|
||
|
||
[^42]: Vedi al proposito la concezione della "relazione" in Enzo Paci,
|
||
*Dall'esistenzialismo al relazionismo*, D'Anna, Messina-Firenze 1957.
|
||
|
||
[^43]: Sugli effetti "migliorativi" delle trasformazioni dei rapporti di
|
||
produzione, vedi Benjamin, *L'autore come produttore* cit., p. 212.
|
||
Ovviamente, nel suo caso, tale "miglioramento" va inteso in relazione
|
||
alla funzione didattico-organizzativa della produzione in vista di una
|
||
rivoluzione comunista. Nella situazione odierna ogni "miglioramento"
|
||
degli apparati citati va invece valutato alla luce della sua capacità di
|
||
apportare una maggiore equità al loro interno e di fornire migliori
|
||
condizioni ai loro fruitori.
|
||
|
||
[^44]: Per quanto limitato alla sola Italia, è interessante
|
||
*Intellettuali e potere* (*Storia d'Italia Einaudi. Annali 4*, a cura
|
||
di Corrado Vivanti, Torino 1981), in cui la figura dell'intellettuale si
|
||
frange in molteplici soggetti che, a seconda dei contesti sociali e
|
||
storici, sono impegnati in settori e a livelli tra di loro molto
|
||
differenti (medicina, pedagogia, arte, religione, ecc.). Vedi inoltre
|
||
Alberto Asor Rosa, *Intellettuali*, in *Enciclopedia Einaudi*, Torino
|
||
1979, vol. VII, pp. 801 sgg.
|
||
|
||
[^45]: Corrado Vivanti, *Presentazione*, in *Intellettuali e potere*
|
||
cit., pp. XIX-XX.
|
||
|
||
[^46]: Sull'intellettuale come "destabilizzatore" e "risvegliatore di
|
||
coscienze" (da Socrate a Heinrich Heine -- ma anche, si potrebbe
|
||
aggiungere, a Karl Kraus e oltre), vedi Maldonado, *Che cos'è un
|
||
intellettuale?* cit., pp. 92-95. Inoltre vedi Edward W. Said, *Dire la
|
||
verità. Gli intellettuali e il potere*, Feltrinelli, Milano 2014.
|
||
|
||
[^47]: Cacciari, *Introduzione* cit., p. XI.
|
||
|
||
[^48]: Il riferimento è a Rossi, *L'architettura della città* cit. Per
|
||
un'analisi delle fonti rossiane del libro, vedi Elisabetta Vasumi
|
||
Roveri, *Aldo Rossi e "L'architettura della città". Genesi e fortuna di
|
||
un testo*, Allemandi, Torino 2010.
|
||
|
||
[^49]: Ci si riferisce ai *playgrounds* realizzati da van Eyck ad
|
||
Amsterdam per conto dell'amministrazione pubblica tra il 1947 e il
|
||
1978. Oltre a Lefaivre (a cura di), *Aldo van Eyck. Playgrounds* cit.,
|
||
vedi anche Anna van Lingen e Denisa Kollarova, *Aldo van Eyck.
|
||
Seventeen Playgrounds*, Lecturis, Eindhoven 2016, e Merijn Oudenampsen,
|
||
*Aldo van Eyck and the City as Playground*, in *Urbanacción 07/09*, a
|
||
cura di Ana Mendez de Andés, La Casa Encendida, Madrid 2010, pp. 25-39.
|
||
|
||
[^50]: È il caso dell'Orphanage di Amsterdam (1955-60) dello stesso van
|
||
Eyck, su cui vedi Francis Strauven, *Aldo Van Eyck's Orphanage. A
|
||
Modern Monument*, NAi Publishers, Rotterdam 1997.
|
||
|
||
[^51]: Gramsci, *Quaderni del carcere* cit., vol. III, Quaderno 12
|
||
(XXIX), § 3, p. 1551.
|
||
|
||
[^52]: Benjamin, *L'autore come produttore* cit., p. 209.
|
||
|
||
[^53]: Fortini, *Verifica dei poteri* cit., pp. 41-57.
|
||
|
||
[^54]: Va qui rammentata l'ambiguità del titolo albertiano *De re
|
||
ædificatoria*, che esclude deliberatamente l'uso dell'ovvio vocabolo
|
||
vitruviano *architectura* per i suoi dieci libri, scegliendone uno più
|
||
"edificante". Per un'accurata analisi di tale titolo, vedi Leon
|
||
Battista Alberti, *Prologo al 'De re ædificatoria'*, a cura di
|
||
Elisabetta Di Stefano, Edizioni ETS, Pisa 2012, pp. 9-17.
|
||
|
||
[^55]: Tra coloro che con maggior costanza e serietà si sono impegnati
|
||
in questi anni in una lettura dei ruoli rivestiti dall'architetto e
|
||
dallo storico dell'architettura nel corso del Novecento vi è Carlo Olmo:
|
||
vedi in particolare *Architettura e Novecento. Diritti, conflitti,
|
||
valori*, Donzelli, Roma 2010, e *Architettura e storia. Paradigmi della
|
||
discontinuità*, Donzelli, Roma 2013.
|
||
|
||
[^56]: Slavoj Žižek, *Il parallasse architettonico. Pennacchi e altri
|
||
fenomeni di lotta di classe*, in Id., *Il trash sublime*, a cura di
|
||
Marco Senaldi, Mimesis, Sesto San Giovanni 2013, pp. 56-57.
|
||
|
||
[^57]: Come scrive Raniero Panzieri (in *Relazione sul neocapitalismo*
|
||
(1961), in Id., *La ripresa del marxismo-leninismo in Italia*, Nuove
|
||
Edizioni Operaie, Roma 1977, pp. 170-71), "si potrebbe dire che i due
|
||
termini capitalismo e sviluppo sono la stessa cosa".
|
||
|
||
[^58]: Luc Boltanski e Ève Chiapello, *Il nuovo spirito del
|
||
capitalismo*, Mimesis, Sesto San Giovanni 2014.
|
||
|
||
[^59]: Martin Heidegger, *La questione della tecnica* (1953), in Id.,
|
||
*Saggi e discorsi*, a cura di Gianni Vattimo, Mursia, Milano 1980,
|
||
p. 22. L'inno da cui è tratto il verso citato di Friedrich Hölderlin è
|
||
*Patmos* (1803).
|
||
|
||
[^60]: Alison Smithson e Peter Smithson, *The Charged Void:
|
||
Architecture*, The Monacelli Press, New York 2001, p. 248.
|
||
|
||
[^61]: Alison Smithson e Peter Smithson, in Marco Vidotto, *A + P
|
||
Smithson*, Sagep Editrice, Genova 1991, p. 35. Sul carattere
|
||
"didattico" del progetto per "The Economist" insiste anche Kenneth
|
||
Frampton, *The Economist and the Hauptstadt*, in "Architectural Design",
|
||
n. 194, 1965, p. 62.
|
||
|
||
[^62]: E aggiunge: "La migliore tendenza è falsa se non insegna quale
|
||
atteggiamento si deve tenere per soddisfarla": Benjamin, *L'autore
|
||
come produttore* cit., p. 212.
|
||
|
||
[^63]: È il caso, tra gli altri, dell'École d'Architecture di Nantes
|
||
(2003-2009) dove, "come uno strumento pedagogico, il progetto mette
|
||
in discussione il programma e le pratiche della scuola tanto quanto
|
||
le norme, le tecnologie e il proprio processo di elaborazione": vedi
|
||
www.lacatonvassal.com/index.php?idp=55#.
|
||
|
||
[^64]: Antonio Lavarello, *Indifferenza come forma di impegno politico*,
|
||
in
|
||
www.gizmoweb.org/2015/12/indifferenza-come-forma-di-impegno-politico-edifici-e-spazi-pubblici-nellopera-di-lacaton-vassal/#\_ftn14,
|
||
24 dicembre 2015.
|
||
|
||
[^65]: Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, *Loose Ends*, a cura di Sara
|
||
Marini, Lars Muller Publishers, Zürich 2014; Sara Marini,
|
||
*Sull'autore. Maria Giuseppina Grasso Cannizzo e le sue foreste di
|
||
cristallo*, Quodlibet, Macerata 2017.
|
||
|
||
[^66]: Vedi il capitolo *L'architettura responsabile*, in Biraghi e
|
||
Micheli, *Storia dell'architettura italiana 1985-2015* cit.,
|
||
pp. 329-52.
|
||
|
||
[^67]: Su ciò rimando ai miei *L'ultima resistenza ovvero la lotta degli
|
||
anziani contro i giovani*, in GIZMO, *MMX. Architettura zona
|
||
critica* cit., pp. 15-21, e *Non si può fare meno
|
||
dell'architettura*, in Chiara Baglione (a cura di), *Ernesto Nathan
|
||
Rogers 1909-1969*, Franco Angeli, Milano 2012, pp. 196-98.
|
||
|
||
[^68]: Vedi il capitolo *Dall'architettura disegnata all'architettura
|
||
insegnata: l'accademia della composizione*, in Biraghi e Micheli,
|
||
*Storia dell'architettura italiana 1985-2015* cit., pp. 183-95.
|
||
Sempre valida -- pur con i necessari adeguamenti -- rimane la
|
||
critica condotta da Massimo Scolari in *Una generazione senza nomi*,
|
||
in "Casabella", n. 606, 1993, pp. 45-47.
|
||
|
||
[^69]: Aureli, *Labor and Work in Architecture* cit., p. 81.
|
||
|
||
[^70]: Foucault, *Disciplina e democrazia. Intervista di J.-L. Ezine*
|
||
cit., p. 90.
|
||
|
||
---
|
||
# vim: spelllang=it spell
|
||
...
|