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title: "Manfredo Tafuri, Norma in program: Vitruvij Daniela Barbare"
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Nel finale dell'Amadigi, pubblicato nel 1560 da Gabriele Giolito de
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Ferrari, Bernardo Tasso pone Daniele Barbaro al centro di un'ideale
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parata di virtuosi patrizi veneziani, caratterizzandolo come totalmente
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dedito alla vita contemplativa: "Il Barbaro, che alzando il suo pensiero
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/ S'è dalle cure della patria tolto, / E pensa e scrive".[^1]
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Ma Sperone Speroni e Paolo Paruta, rispettivamente in Della vita attiva
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e contemplativa e in Della perfettione della vita politica, offrono un
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ritratto alternativo del Barbaro. Entrambi lo raffigurano come difensore
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della vita activa, e — fatto da non sottovalutare - il secondo lo fa
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addirittura entrare in polemica sull'argomento con Giovanni Grimani, di
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cui Daniele era stato designato successore eventuale alla carica di
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patriarca di Aquileia.®
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È certo al nuovo status del Barbaro che allude Bernardo Tasso; uno
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status che Daniele aveva accettato dopo un travagliato iter spirituale.
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Nel 1560, inoltre, l'opera maggiore del Barbaro, i commentari al De
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architectura di Vitruvio, era uscita da soli quattro anni. Come spiegare
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l'antinomica caratterizzazione attribuita dai contemporanei al Barbaro?
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Pronipote del grande Ermolao e fratello di Marcantonio, Daniele è membro
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di una grande famiglia veneziana legata alla curia pontificia e sodale
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di altre grandi famiglie di orientamento 'romanista', come i Pisani, 1
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Grimani, i Corner. Il che non è certo sufficiente a caratterizzare la
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cultura e gli intenti del Barbaro, anche se offre alcune coordinate per
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inquadrarne l'operato. Sin dal XV secolo, i 'papalisti' formano a
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Venezia un gruppo che si distacca, per finalità politiche e per costumi
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di vita, dal resto del patriziato, con una storia fatta di conflitti non
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sempre palesi, resi però espliciti dalla crisi costituzionale del
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1582-83 prima, dalla vicenda dell'Interdetto poi. Né poteva essere
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altrimenti. Proprio in coincidenza delle guerre espansionistiche
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nell'entroterra, alla ricerca di un primato nella penisola, Venezia
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aveva consolidato la propria 'religione di Stato': una religione civica,
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in cui l'identificazione della 'città-vergine' con il luogo della
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perfetta giustizia tendeva a riaffermare l'indipendenza della
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Serenissima dal primato pontificio, e non solo in materia temporale. I
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'romanisti' costituivano pertanto un pericolo per tale linea tesa a
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difendere in ogni campo l''unicità' di Venezia. Né va sottovalutato che
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in seno alle famiglie legate a Roma e solidamente alleate fra loro,
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grazie allo scambio e al controllo dei benefici ecclesiastici, fossero
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vive tendenze oligarchiche di tipo assai spinto.3 Su tali orientamenti,
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si innestavano, già nel XV secolo, afflati spiritualistici e spinte
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indirizzate alla riforma della Chiesa vive nel cenobio di San Giorgio in
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Alga e nell'ambiente di Gasparo Contarini: si tratta di tendenze che
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Daniele Barbaro sembra aver assorbito nella sostanza del loro
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evangelismo umanistico.
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Ma è necessario precisare il ruolo di tali componenti nelle scelte
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personali del Barbaro. Il quale, nato l'8 febbraio 1514 da Francesco e
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da Elena di Alvise Pisani, è allievo, nello studio patavino, di
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Marcantonio de' Passeri detto Genua, del Lampridio e di Federico
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Delfino, l'autore del De fluxu et refluxu maris. Egli è inoltre membro
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dell'Accademia degli Infiammati e nel 1545 risulta implicato nella
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fondazione dell'Orto dei Semplici accanto a Pietro da Noale, professore
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straordinario di medicina presso lo Studio di Padova, e all'architetto
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Andrea Moroni, autore del progetto di sistemazione.* È questo, per
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Barbaro — che frequenta nel frattempo Giovanni della Casa, Ludovico
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Beccadelli, Bernardo Navagero, Benedetto Varchi, Matteo Macigni, Sperone
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Speroni e Federico Badoer, il futuro fondatore dell'Accademia Veneziana
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— un primo contatto con la res aedificatoria; un contatto, tuttavia,
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assai limitato e tutt'altro che specifico. Non sono note altre relazioni
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fra Daniele Barbaro e Andrea Moroni, al di là di quelle relative alla
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programmazione dell'Orto Botanico; né è legittimo sopravvalutare la
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funzione del futuro patriarca eletto di Aquileia in quell'opera.'
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Rimangono pertanto velate le ragioni che spingono Barbaro a un così
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intenso impegno sul testo di Vitruvio, su cui egli — come sappiamo da
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una sua precisa ammissione — inizia a lavorare nel 1547: un anno prima,
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dunque, della sua partenza come ambasciatore per l'Inghilterra (12
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settembre 1548).° Né l'interesse per le arti di Ermolao - individuato da
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Wendy Stedman Sheard come promotore, insieme al cugino Girolamo Donà,
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del monumento al doge Andrea Vendramin' — è sufficiente a delineare una
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tendenza familiare capace di spiegare il singolare exploit del Barbaro.
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È infatti possibile che Daniele abbia inteso, con la sua opera
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vitruviana, seguire le orme del prozio, autore delle Castigationes
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plinianae e delle traduzioni di Aristotele. Ma rimane da spiegare cosa
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abbia spinto un patrizio veneziano a scegliere come oggetto di intenso
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studio il testo di Vitruvio negli anni a cavallo della metà del secolo
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XVI. Né è sostenibile l'ipotesi di un vitruvianesimo serpeggiante sin
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dal XV secolo fra le é/ttes veneziane. Indubbiamente, Bernardo Bembo è
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interessato sia a Vitruvio che al De re aedificatoria di Leon Battista
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Alberti,} mentre il Serlio fa intravedere un circolo di intendenti di
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cui fanno parte 'dilettanti' come Francesco Zen e Gabriele Vendramin.?
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Ma gli interessi del Bembo non sembrano valicare i confini di un
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umanesimo interessato ad ogni espressione dell'antichità, così come non
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specifici sono gli interessi artistici di Ermolao Barbaro e di Girolamo
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Donà. D'altra parte, si è forse sopravalutato il 'rigorismo'
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architettonico dei 'dilettanti' celebrati da Sebastiano Serlio. Almeno
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per Francesco Zen un riscontro è possibile, dato che è lui stesso
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l'autore del palazzo Zen presso l'antico convento dei Crociferi;'° e il
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pastiche orientaleggiante della facciata di tale edificio — malgrado il
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suo interesse specifico — parla di tutto fuorché di un purismo
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vitruviano.
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Fatto sta che l'architettura 'all'antica' è osteggiata, nella Venezia
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del primo Cinquecento, dalla fedeltà alle tradizioni, dalle strutture
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istituzionali, dalle forme del dibattito politico. Essa assumeva, hel
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contesto lagunare, il significato di uno 'strappo', cul soltanto 1
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'romanisti' erano disposti a sottomettere l'imago consolidata della
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città. Tuttavia, negli ultimi anni del dogado Gritti (15231538), con le
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opere sansoviniane nella platea marciana, la renovatio entra
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trionfalmente nel cuore politico della Repubblica: ma con notevoli
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difficoltà, mentre l'edilizia religiosa e quella privata battono — con
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poche eccezioni — vie di compromesso o alternative.
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In un tale clima, sottoporre al patriziato un'enciclopedia del sapere
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tecnico fondata sul testo di Vitruvio assume un sapore inevitabilmente
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polemico. Abbiamo un motivo di più per assumere come tema di analisi le
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ragioni meno evidenti che hanno spinto Daniele Barbaro ad iniziare la
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sua impresa: un tema stranamente ignorato finora dagli studiosi.
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Iniziamo con il considerare alcune circostanze esterne. Dopo l'edizione
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di Fra Giocondo (I511 e 1513), e le edizioni del Cesariano (1521) e del
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Caporali (1536), le ricerche vitruviane ricevono un nuovo impulso grazie
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al gruppo promosso, fra gli altri, da Claudio Tolomei, che fonda a Roma
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l'Accademia della Virtù (1541-42), con il compito di chiarire
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definitivamente i passi incerti di Vitruvio. Proprio alla fine del 1547
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Tolomei è a Padova, reduce da Piacenza, sconvolta dall'assassinio di
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Pier Luigi Farnese: su un possibile contatto TolomeiBarbaro è lecito
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formulare un'ipotesi, come traccia, non foss'altro, per ulteriori
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indagini al proposito. Che l'iniziativa di Daniele avesse anche il
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significato di una civile competizione della cultura veneziana con
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quella romana è probabile. Non va dimenticato che, secondo Francesco
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Sansovino, qualcosa del genere si era verificato pochi anni prima,
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quando il padre di Francesco, Jacopo, aveva sfidato gli intendenti di
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architettura italiani — con la mediazione di Pietro Bembo — a risolvere
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vitruvianamente il cantonale della Libreria marciana.'' Ma non va
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dimenticato che il circolo del Tolomei cessa le sue attività intorno al
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1545, quando il promotore parte da Roma. In una lettera scritta proprio
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a Francesco Sansovino — non datata, ma anteriore al 1548 — Claudio
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dichiara di non saper rispondere in merito alle questioni vitruviane su
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cui era stato interpellato, essendosi "già quattro anni disviato da
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cotali studi".'" Infine, va ricordato che proprio nel 1547 veniva
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pubblicata a Venezia la lettera del Tolomei con il programma
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dell'accademia vitruviana.'5
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Quale senso attribuire, dunque, a un commento al De architectura, che
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presuppone non solo intense ricerche di tipo archeologico, ma anche una
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approfondita conoscenza delle tecniche e delle matematiche antiche?
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Indubbiamente, i commentari del Barbaro, nelle due edizioni del 1556 e
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del 1567, costituiscono una summa del sapere tecnico-scientifico antico
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e moderno; e i continui riferimenti ad autori del Quattrocento e del
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Cinquecento lasciano trapelare una concezione cumulativa del sapere
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stesso. Barbaro mostra di conoscere non solo le fonti antiche e
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medievali — Euclide, Tolomeo, Galeno, Boezio, Erone meccanico, 1
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matematici arabi — ma anche l'/Horoscopio universalis di Johannes
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Stabius, le opere matematiche e astronomiche di Johannes Werner, la
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Compositio horologiorum di Sebastian Munster, l'Arte de navigacion di
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Pedro de Medina, le opere di Leon Battista Alberti, Diùrer, Francesco di
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Giorgio Martini, Serlio, Filandro, Francesco Maurolico, Federico
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Delfino, Federico Commandino. Malgrado l'erudizione e l'alto livello
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dell'indagine archeologica, i commentari del Barbaro sembrano validi
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assai più come opera di chiarificazione, sistemazione e critica, che
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come opera teoricamente originale.
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Valutiamo, per prima cosa, l'apporto specifico offerto dal Barbaro agli
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studi vitruviani. La traduzione da lui curata è indubbiamente la prima
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che mostri una totale comprensione del testo latino: fino al XVIII
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secolo, essa costituirà un riferimento indispensabile. Uguale cura
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filologica è nel confronto fra il testo e la realtà dei monumenti
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antichi. Nel 1554 Barbaro è a Roma, seguito dal Palladio, suo consulente
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e autore delle più importanti tavole del trattato. È lo stesso Daniele a
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rendere nota tale collaborazione, in un passo entusiastico nei confronti
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dell'architetto,'' cui egli si riferisce più volte nel prosieguo dei
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suoi commenti. Il rigore delle ricostruzioni archeologiche raggiunte da
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Barbaro e Palladio è insuperato all'epoca. Ne emerge un 'codice', privo,
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tuttavia, di dogmatismo. Gli ordini vengono analizzati con grande
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minuzia, ma evitando di fissare astratte proporzioni canoniche; Daniele,
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anzi, nota la varietà delle soluzioni antiche e interpreta le norme come
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'ideali' interpretabili.
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> Non si deve adunque alcuno dar meraviglia — scrive il Barbaro — se
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> misurando le antichità di Roma, non rittrova spesso le misure delle
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> colonne a punto, perché se egli si potesse vedere tutto il corpo,
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> l'huomo non si meraviglierebbe della grandezza, o picciolezza de i
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> membri, ma ritrovando un piede, o vero un braccio separato, non può
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> dire questo piede, o questo braccio, è, grande, o picciolo ... Vedi
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> che Vitruvio ci leva la soperstitione, l'obbligo, et la servitù senza
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> ragione...'°
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Dunque, è la symmetria dell'insieme che guida la scelta dei particolari.
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La norma è un orizzonte di certezze, non una gabbia condizionante: siamo
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lontani dall'astrazione precettistica della Regola del Vignola.'* Nel
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commentare il tempio etrusco, Barbaro scrive che è opportuno adottarne
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"alcune misure" e "mescolarle con gli altri generi", così da far
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ammutolire
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> quelli superstitiosi, che non vogliono preterire alcuni precetti dell'
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> Architettura temendo, che ella sia tanto povera, che sempre formi le
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> cose ad uno istesso modo, né sanno, che la ragione, è universale, ma
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> l'applicarla è cosa d'ingenioso, e risvegliato Architetto, et che la
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> bella mescolanza diletta, et le cose, che sono tutte ad un modo
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> vengono in fastidio...''
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L'elogio della "mescolanza" rinvia a simili passi del Serlio, lasciando
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intravedere un comune terreno teorico relativo alla relazione
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norma-licenza. Ma è indubbio che la licenza serliana sia antitetica a
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quella presupposta dal Barbaro o sperimentata da Palladio, che gioca
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ingegnosamente su mescolanze avvertibili soltanto da occhi esperti nel
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cortile della Carità, nella facciata di San Francesco della Vigna, nella
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loggia del Capitanio a Vicenza. Ed è indubbiamente rivelatrice
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l'affermazione del Barbaro: "/o ho in odio non meno la soperstitione,
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che la heresia"."* Un'affermazione significativa, che sembra costituire
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un 'manifesto' relativo non soltanto all'architettura, visti gli
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interessi religiosi dell'autore.
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Ulteriori contributi fondamentali sono nella ricostruzione della domus
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antica. Seguendo la corretta interpretazione dell' Alberti, ripresa da
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Cesariano, Daniele riconosce che atrio e cavedio sono parti di uno
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stesso cortile porticato: egli corregge pertanto un equivoco di Fra
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Giocondo, che tuttavia era stato fecondo di soluzioni nei progetti di
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Giuliano da Sangallo, di Antonio il Giovane, di Raffaello.'9 Nella domus
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pubblicata nel libro VI °° è facile scorgere un Palladio interessato a
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fissare il modello concettuale delle sue ricerche formali, specie
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nell'ordine gigante riservato al vestibolo e all'atrio, in dialettica
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con il doppio ordine del cortile. Né va dimenticato che la ricostruzione
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del teatro antico, nel libro Vv, preceduta da lunghi passi sulle armonie
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musicali ricondotte a rapporti aritmetici, segna una tappa non soltanto
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per la cultura antiquaria, date le sue conseguenze nell'invenzione
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palladiana dell'Olimpico. —
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Il contributo di Palladio al Vitruvio va pertanto al di là della
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consulenza archeologica e della pura espressione grafica. Il dialogo fra
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testo e immagini, così come è impostato dal libro III in poi, rende
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eloquente il trattato antico, grazie alla didascalica 'trasparenza'
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delle ricostruzioni grafiche. Per le quali viene quasi sempre adottato
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il metodo della proiezione piana formulato nella Lettera a Leone X.?' La
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professionalità dei disegni palladiani relativi ai templi, agli ordini,
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al teatro, alla domus, è la stessa dei suoi progetti coevi. La rigorosa
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adozione della ortographia e della ichnographia permette la lettura e la
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verifica dell'ordo metricoproporzionale e della symmetria che informa
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gli organismi come tali.** A ciò, Palladio aggiunge una geometria
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proiettiva fatta di trasparenze e di sovrapposizioni, tale da permettere
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il contemporaneo controllo di membrature, piani e spazi dislocati a
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profondità successive: la concezione albertiana e bramantesca
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dell'edificio come un animans, come una 'macchina' fatta di correlazioni
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organiche e necessarie, trova un'adeguata espressione grafica.
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Nelle illustrazioni relative al tempio ionico (1556, pp. 86-7; 1567, pp.
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138-9), al capitello ionico (1556, p. 95), ai portali posti sul fondo di
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portici (1556, pp. 119, 120, 170; 1567, pp. 189, 191, 281), il metodo
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della trasparenza è analogo a quello che appare, ad esempio, negli studi
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per palazzo Da Porto-Festa (RIBA, XVII 127, 127), che hanno ingannato
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l'occhio del Forssman a causa della loro novità grafica.*3 E va
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osservato, per inciso, che esiste un legame fra tale rappresentazione
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simultanea di piani successivi e la poetica palladiana delle facciate 'a
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intersezione”.
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La collaborazione fra Barbaro e Palladio costituisce un evento di grande
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portata nella cultura architettonica del Cinquecento, anche se è
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opportuno non schiacciare l'una sull'altra le due personalità. Com'è
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evidente nel caso della villa di Maser — la meno palladiana delle opere
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in cui il Palladio è implicato — l'interpretazione della norma, da parte
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di Barbaro, è ben diversa da quella di Andrea.
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È necessario approfondire cosa significasse, per il Barbaro, l'approccio
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scientifico alla res aedificatoria. Va notato, innanzi tutto, un fatto
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finora rimasto trascurato. Dai commentari emerge una razionalità tesa
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all'evidenza dei propri procedimenti, in assenza di ogni esoterismo. E
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enorme la distanza fra le considerazioni del Barbaro in merito ai
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rapporti armonici, e la mistica numerica del De Harmonia Mundi di
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Francesco Zorzi (1534); un'opera neoplatonica informata alla Kabbalah e
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all'ermetismo, ben presto divenuta sospetta in ambito ecclesiastico.**
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In tal senso, è sintomatico il passo contro le 'grottesche' inserito nel
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commento al cap. V del libro vII di Vitruvio. Le grottesche sono
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condannate in quanto pitture non imitative, innaturali, 'sofistiche',
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frutti di mostruose e inverosimili fantasie.*
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Ebbene, tale razionalismo radicale, e persino la semplificazione del
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pensiero aristotelico che informa le pagine del Vitruvio, rimandano a
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specifici interessi teologici dell'autore. Durante l'ambasceria in
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Inghilterra, fra il 1549 e il 1550, Barbaro invia alla zia Cornelia,
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suora nel convento di Santa Chiara a Murano, una serie di lettere
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teologiche, da cui trapela una particolare lettura del Brevi/oquium di
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Bonaventura da Bagnoregic. Come ha rilevato Peter Laven, i medesimi
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principi di razionalità, semplicità e trasparenza, con cui Bonaventura
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interpreta il revelatum, caratterizzeranno più tardi le pagine dei
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commentari.? La stretta alleanza fra razionalismo umanistico e verità di
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fede fa parte dello specifico atteggiamento del Barbaro, che si
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inserisce nella storia dell'umanesimo cristiano con posizioni ereditate
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più tardi dal cardinal Paleotti. Contro le eresie protestanti, Barbaro
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redigerà, nel 1569, la sua Aurea Catena, su consiglio del cardinal
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Sirleto; contro il dogmatismo antiumanistico, esprimerà posizioni
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illuminate nell'ultima sessione del Concilio di Trento, a proposito
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dell'Indice sui libri.”
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Abbiamo ora nuove coordinate per comprendere la logica che informa il
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suo concetto dell'architettura, vista come gioco pitagorico fondato su
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una matematica qualitativa. Nessuna contraddizione, tuttavia, con quanto
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Barbaro stesso aveva espresso in uno dei suoi primi scritti, la Predica
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dei sogni edita da Francesco Marcolini — il medesimo editore del
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Vitruvio — nel 1542.
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Questo mondo / è un sogno — scriveva Barbaro — e noi mortali / poveri,
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ciechi e frali / altro che fumo et ombra / non siamo... sotto la Luna /
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non si trova alcuna / stabilitade o cosa / che non sia paurosa / come un
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sogno.
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Il tema della vita come sogno, che presuppone un risveglio per la vita
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eterna, si unisce al tema del "sogno vero", che dà frutti positivi:
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... l'opre leggiadre, / le belle inventioni, / i puri e bei sermoni / in
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sonno son nasciuti, / e i dubbi soluti, / che quando vigilavi / t'eran
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nascosi, gravi.
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Nei cinque sonetti dedicati al dubbio si fa strada un aspetto
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gnoseologico, specifico del dubbio stesso:
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Colui ch'innanzi la sentenza pone / suo cor in dubbio, apprezza quel
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ch'è vero ... Il dubbio è padre dell'inventione, / perché risveglia il
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languido pensiero; / il dubbio pugne, isferza e fa leggiero / chi tardo
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e pigro cerca la cagione.°9
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La ricerca delle "cagioni": si tratta della virtù attribuita dal Barbaro
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al "vero architetto". L'architetto, egli scrive infatti, è
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capo, soprastante, et regolatore di tutti l'Artefici; come quello, che
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non sia prima a tanto grado salito, ch'egli non s'habbia in molte, et
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diverse opere, et dottrine essercitato: soprastando adunque dimostra,
|
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dissegna, distribuisce, et commanda; et in questi uffici appare la
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dignità all'Archi tettura esser alla Sapienza vicina: et come virtù
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Heroica nel mezzo di tutte l'Arti dimorare, perché sola intende le
|
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cagioni.*°
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Architettura come scientia, dunque, risultato di una ricerca pungolata
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dal dubbio, disciplina che pretende un comando indiscusso sulle 'arti':
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dal punto di Vista teorico, l'unità corporativa delle 'arti' stesse
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viene dissolta a favore di un "soprastante, et regolatore", dotato di un
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sapere che "intende le cagioni". A tale figura che fa risplendere
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nell'opera la "virtù Heroica" si apre un ulteriore dominio: la
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relazione, chiaramente istituita, fra sapere e potere, è chiamata a
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intervenire nella modificazione dell'intero ambiente fisico. Il che
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comporta un problema relativo al rapporto fra tecnica e natura.
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La natura, per Barbaro, è un orizzonte con cui l'attività umana è
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chiamata a confrontarsi in un doppio esercizio: di riconoscimento della
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divina e razionale armonia in essa immanente, e di gara tesa a piegare
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alle necessità della vita civile quanto nella natura stessa sì presenta
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ostile. L''arte' è chiamata a vincere la natura, dunque. Non si tratta
|
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di una contraddizione o di una "confusione di significati", come
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vorrebbe Laven,3' ma di una concezione aderente ad interpretazioni
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patristiche e medievali. Le radici del doppio atteggiamento del Barbaro
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nei confronti della natura sono nel Breviloguium di Bonaventura da
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Bagnoregio ** e nella Reductio dello stesso autore, dove, a proposito
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della "luce della capacità tecnica", è richiamato il Didascalicon di Ugo
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di San Vittore.83
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Le belle inventioni de gli huomini ... fatte a commune utilità — scrive
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il Barbaro nella dedica al cardinale Ippolito d'Este 34 — portano a chi
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non le intende meraviglia, et a chi le intende diletto grandissimo,
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perché a quelli pare, che la natura sia vinta, e superata dall'arte, a
|
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questi fatta migliore, et perfetta.
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L'idea di una perfettibilità della natura è implicita nell'analogia, di
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origine stoica, fra macrocosmo e microcosmo; tema riapparso nel XII
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secolo all'interno della scuola di Chartres ed ereditato dalla
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riflessione umanistica. Nel Barbaro, però, è costante la preoccupazione
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di giustificare teoricamente la Vittoria della ratio sugli ostacoli
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naturali:
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Facendo adunque la natura alcune cose contra l'utilità de gli huomini,
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et operando sempre ad uno istesso modo — egli scrive — è necessario che
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a questa contrarietà si trovi un modo, che pieghi la natura al bisogno,
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et all'uso humano. Questo modo è riposto nell'aiuto dell'Arte, con la
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quale si vince la natura in quelle cose, nelle quali essa natura vince
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noi.*
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E in un passo del proemio dei commentari, la virtus della res
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aedificatoria è individuata nella sua destinazione civile — il "riunire
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in unità uomini rozzi, ridotti a culto e disciplina nelle Città" — e nel
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suo esplicitarsi in una intensa e vasta opera di trasformazione
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dell'ambiente fisico. Nel tagliare rupi, forare monti, riempire valli,
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bonificare paludi, nel modificare il corso dei fiumi, nella costruzione
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di navi, porti e ponti, il Barbaro indica il concreto carattere
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'produttivo' dell'architettura, da armonizzare con le premesse e i
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presupposti imitativi e assimilativi.3
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In altra sede, abbiamo tentato di dimostrare quanto tale passo — che
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parafrasa un analogo brano del De re aedificatoria di Leon Battista
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Alberti — sia profondamente anti-albertiàano nella sua sostanza.” Qui è
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piuttosto necessario insistere sulla logica che permette al Barbaro
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un'attribuzione di senso così pregnante.
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Si noti: sin dal commento al libro I di Vitruvio, il patriarca eletto di
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Aquileia trasporta l'architettura nel regno dell'etica e della
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conoscenza. Si tratta di una conoscenza certa e superiore, ben diversa,
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questa volta, da quella riservata alle tecniche dalla Reductio di
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Bonaventura. Infatti "nel conoscimento, et nel giudicio ella
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[l'architettura] può essere con la Sapienza, et con la prudenza,
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meritatamente paragonata, et per l'operare tra le arti come Heroica
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Virtù chiaramente riluce".8* Sapienza e prudenza: essenzialmente, arti
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di governo. Aristotele, nella Politica, aveva parlato metaforicamente
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del politico come architetto; e che tale metafora fosse presente alla
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cultura umanistica lo dimostra l'interesse mostrato per Vitruvio da un
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politologo come Francesco Patrizi senese. Il Patrizi, vescovo di Gaeta,
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nel 1461 aveva scritto ad Agostino Patrizi Piccolomini, comunicandogli
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che, per dar compimento al suo De institutione rei publicae, gli era
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necessario lo studio di Vitruvio. Non avendo a disposizione un codice
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vitruviano — aveva aggiunto — egli lo chiederà in prestito all'amico
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Roverella, vescovo di Ferrara. L'esempio addotto è tutt'altro che unico
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nella cultura del Quattrocento e del Cinquecento. Proportio, eurythmia,
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symmetria: 1 presupposti dell'estetica vitruviana rimandano a un
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tentativo di riduzione del molteplice all'unità, in cui è immediato
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leggere in trasparenza l'imago del 'buon governo'. Puntualmente, questa
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viene raffigurata nell'opera di Patrizi senese nell'attività
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dell'optimus architectus ordinatore della polis. Nel clima veneziano, è
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nel De bene instituta re publica di Domenico Morosini che vengono
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avanzate simili istanze.*°
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Si può dire di più. Poiché l'architettura assorbe — per l' Alberti come
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per il Barbaro — le verità superiori del sapere matematico tradotte in
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proporzioni armoniche, in quel tentativo di dominio sul molteplice è
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anche l'eco del 'bello come figura del bene' teorizzato da Platone nel
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Filebo e nella Repubblica. Il Socrate che vien fatto parlare nella
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Repubblica tratta l'idea del bene come qualcosa di difficile
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comprensione — osserva Gadamer *' — riconoscibile solo dai suoì effetti.
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Il bene esiste per noi soltanto nel dono da esso arrecato: conoscenza e
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verità. Il che ha un significato profondo. Nel contesto della Repubblica
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11 bene si presenta come l'unificatore supremo. Nel Febo, l'idea del
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bene esercita una funzione di orientamento pratico alla vita giusta,
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mescolanza di 'piacere' e di 'sapere': una mescolanza retta da un bello
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definito dalle idee di misura, proporzione e razionalità. La cultura
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rinascimentale riflette inoltre a lungo su un testo antico in cui le
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idee platoniche vengono riproposte con coloriture latamente stoiche. Nel
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De officiis, Cicerone insiste sulla categoria del decorum, definito in
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analogia alla concinnitas del corpo umano: misura, temperanza e armonia
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sono elette a parametri dei comportamenti privati e della gestione della
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cosa pubblica. L'equivalenza ciceroniana fra l'onesto e l'utile è
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fondata su un concetto ricco di implicazioni per gli ideali armonici
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perseguiti dalle arti visive.
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Daniele Barbaro risulta aver assorbito tali grandi temi. Se il bene si
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'nasconde' nel bello, e se il 'numero' permette l'intelligibilità e
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costituisce la 'svelatezza' (aletheia) dell'ordine armonico
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dell'universo, è possibile la costruzione di una techne che rimandi
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all'ideale, fondandosi sulla dynamis del bene stesso. L'architettura,
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l'arte di 'ridurre a unità', si conferma come strumento fondante la
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retta polis. Sua è la specifica tecnica del 'misurare' — il criterio del
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'giusto mezzo' —, dunque suo è il principio fondamentale dell'etica
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aristotelica. Ma suo è anche il 'numero', che svela l'ordine aprendo al
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bene.
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È dunque plausibile pensare che per Daniele Barbaro l'architettura sia
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una grande metafora. Arte che unifica il molteplice, essa significa una
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totalità di comportamenti, una strutturazione con-sonante della
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pluralità, chiamata a introdurre concordia in una bene instituta
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republica. Il "bene" coincide con l'ingresso trionfale, nelle strutture
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istituzionali e nella mentalità collettiva, di 'ragioni' sottratte alla
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doxa. Il che presuppone, per i commentari e per l'intera attività dei
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fratelli Barbaro, una finalità politica da indagare nelle sue specifiche
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articolazioni.
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La sostanza polemica, nei confronti della tradizione veneziana, di
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un'architettura come 'Sapienza', non può, al proposito, sfuggire.
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L'obiettivo costante contro cul combatte la 'scienza' del Barbaro è
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l'empiria dei 'proti': dei tecnici sine scientta, forniti di un sapere
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fondato sull'empiria e sulla tradizione, del tutto soggetti alle scelte
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delle magistrature e dei provveditori 'alle fabbriche. Figure come
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quelle di Giorgio Spavento, Bartolomeo e Piero Bon, Antonio Abbondi
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detto lo Scarpagnino — proti dei Procuratori de supra o della
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Magistratura del Sal — non possono in alcun modo essere assimilati alla
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nuova figura umanistica dell''architetto'. L'incertezza dei loro
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linguaggi deriva dal loro approccio pragmatico alla forma; il vantaggio
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che essi assicurano alle istituzioni veneziane è proporzionale alla loro
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incapacità a formulare 'programmi', assicurati invece alle magistrature
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patrizie. Il loro 'far di pratica' aveva tuttavia permesso — anche
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nell'edilizia privata — uno sviluppo della forma urbana continua e
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omogenea. Le innovazioni dei pochi maestri maggiori (i Lombardo, Mauro
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Codussi) erano state da loro ricondotte nell'alveo di tipologie
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collaudate dal tempo. In tal modo, Venezia aveva evitato lo choc della
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novitas assoluta.
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Uno degli obiettivi del Vitruvio del Barbaro è la rottura di tale
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tradizione. Ma ciò non comporta una sottovalutazione dell''esperienza':
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un'impostazione etica della disciplina architettonica non permette di
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prescindere dal concetto aristotelico di phronesis.!?
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L'isperienza adunque — scrive il Barbaro 4 — è simile all'orma, che ci
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dimostra le Fiere perché sì come l'orma èprincipio di ritrovare il
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Cervo, né però è parte del Cervo ... così l'isperienza è principio di
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ritrovar le Arti, et non è parte di alcun'Arte, perché le cose a' sensi
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sottoposte non sono Principi) delle Arti, ma occasioni, come chiaramente
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si vede, perché il Principio delle Arti è universale, et non sottoposto
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a' Sensi humani, benché da' Sensi stato sia trovato.
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"Occasione" e universalità dei "principi": 'fabbrica' e 'discorso', per
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il Barbaro, sono uniti, come vuole Vitruvio, ma con un indiscusso
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privilegio per i "principil", unici garanti della certa verità (della
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giusta finalità). Tali principii sono quelli delle matematiche insite da
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Dio nell'universo. La triade "pondo, numero et mensura" menzionata nel
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libro della Sapienza (11, 20), e ripresa da Boezio, da Agostino, da
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Bonaventura,* ritorna legittimata dalla tradizione platonico-pitagorica.
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Barbaro può così scrivere che
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La Mathematica è quella, che non più riguarda al senso, ma è facultà di
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giudicare secondo la speculatione, et la proposta ragione conveniente
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alla Musica de i numeri sonori, et de i modi, et delle maniere delle
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Canzoni, et de i mescolamenti, et de i versi de' Poeti, forsi più alto
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salendo la Humana, et Mondana convenienza de i Cieli, et dell'Anima va
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conside rando.*
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La superiorità dell'architettura è affermata — su base matematica — sin
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dalle prime pagine dei commentari:
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a conoscere l'Arti più degne questa è la via: che quelle, nelle quali fa
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bisogno l'Arte del numerare, la Geometria, et l'altre Mathematice, tutte
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hanno del grande, il rimanente senza le dette Arti, (come dice Platone)
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è vile, et abietto come cosa nata da semplice imaginatione, fallace
|
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coniettu ra, et dal vero abbandonata Isperienza.*°
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L'"Isperienza dal vero abbandonata" è quella che aveva dominato la
|
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prassi dei 'protomagistri' nella Venezia del XV e del XVI secolo, con
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l'eccezione di Jacopo Sansovino. Ma le opere sansoviniane posteriori al
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1598-40 non potevano soddisfare il Barbaro, che del resto si mostra
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assai tiepido nei confronti dell'artista fiorentino. Rispetto alle
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continue lodi riservate al Palladio, nell'edizione del 1556, le scarse
|
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menzioni del Sansovino sono significative: Daniele loda Jacopo per aver
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inserito nelle metope della Libreria il leone alato, insegna della
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|
Serenissima,* e cita la sua opera per la Zecca senza commento.
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La critica alla pratica senza teoria rinvia alla mentalità di un
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patriziato che appare al Barbaro pigramente soddisfatto di consuetudini
|
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non sottoposte alla critica umanistica. L'insistere sulla 'teoria' è un
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esplicito 'manifesto' rivolto al patriziato veneziano, ancor prima che
|
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agli architetti. La funzione politica dei commentari trapela già dalla
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scelta preventiva compiuta da Barbaro: è una sorta di appello al
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rinnovamento — traumatico per Venezia — delle attrezzature mentali
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consolidate, che la proposta 'romanista' contenuta nel Vitruvio del 1556
|
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rivolge al ceto dirigente. Barbaro presenta tale romanismo sotto una
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luce universalista; ma la sua proposta non poteva che suonare sospetta
|
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al patriziato conservatore o antipapalista. Quell'universalismo,
|
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infatti, appariva troppo connesso a quello della curia pontificia. La
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stessa architettura come rigorosa ricostruzione delle sintassi antiche
|
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parla a Venezia la lingua di una verità esclusiva e metastorica,
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difficilmente accordabile con l'immagine fisica e ideale che la
|
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'città-vergine' si era costruita nel tempo.
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Il fondamento dell'attacco del Barbaro alla doxa degli empirici era
|
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rinvenibile sia in Platone che in Aristotele. La techne, per il primo,
|
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non sa nulla del 'bene in sè', procede senza accorgersi delle nebbie che
|
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ne avvolgono il telos. Solo 'oltre il sensibile' si installa la
|
|
percezione del fine; musica e astronomia sono al contrario 'virtuose',
|
|
dato che rendono 'pure' le matematiche. Nell'Etica Nicomachea,
|
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d'altronde, Aristotele osserva che la subordinazione del produrre
|
|
all'uso sbarra alla techne la strada verso l'areté.** L'insistere del
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Barbaro sul carattere di "virtù Heroica" dell'architettura trae le
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logiche conseguenze dal fondamento etico insito nel sapere 'per
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principii'. È ancora ad Aristotele che il Barbaro attinge nel definire
|
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la scientia una sintesi di nous ed episteme; anche se dell'episteme
|
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Daniele dà un'interpretazione personale, identificandola con la certezza
|
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delle matematiche.
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Ma il punto è un altro. Vitruvio e il richiamo all'Antico soddisfano
|
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l'impellente bisogno di norma vivo da più di un secolo. La norma,
|
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all'interno della nuova 'età dell'immagine del mondo', significa
|
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strumento di dominio sul futuro, potente esorcismo dell'imprevedibile,
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dell'evento, del caso, tramite un eidos fissato per via filologica.
|
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Pro-gettare, in tale ambito culturale, significa volere
|
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'prospetticamente' il futuro: la volontà di norma si proietta nella
|
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perfezione dell''idea' al di là del presente, presupponendo l'assoluta
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stabilità del 'Vero'. E la norma più potente sarà quella eticamente
|
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legittimata.** I motivi polemici dei commentari del Barbaro emergono più
|
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chiaramente. Da un lato, il presupposto di una Repubblica capace di
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rinnovarsi accogliendo all'interno delle proprie istituzioni un sapere
|
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antiempirico. Dall'altro, l'esigenza di tenere uniti i saperi attraverso
|
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una teoria forte', che compensi o addirittura scongiuri la
|
|
disseminazione degli specialismi.
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Abbiamo più volte insistito sul fatto che l'architettura preconizzata da
|
|
Barbaro e realizzata dal Palladio non poteva che trovare resistenze a
|
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Venezia, dove il sapere e il felos sono gelose prerogative di un
|
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patriziato che guida l'operato di tecnici che non spezzino la
|
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tradizionale struttura delle 'arti'. Ma anche in Daniele Barbaro vive
|
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l'esigenza di mantenere la 'teoria' in mani patrizie. La sua summa
|
|
vitruviana esprime compiutamente la distanza implicita mente posta fra
|
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ceti e ambiti di competenza. Lo scientismo che si esprime nei commentari
|
|
si riallaccia, peraltro, a tendenze già vive nell'ambiente veneziano,
|
|
dai tempi di Giorgio Valla almeno, specie tenendo presente i tentativi
|
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compiuti sotto il dogado di Andrea Gritti. È piuttosto importante
|
|
interrogare il testo del Barbaro circa i fini immediati che esso si
|
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propone.
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I commentari assumono un valore particolare qualora si faccia attenzione
|
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ad alcune pieghe contenute in essi. Nel testo si annidano indicazioni
|
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relative ai problemi fondamentali della realtà veneziana: la tecnica —
|
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l'artificium — viene invocata in funzione della più 'artificiosa' delle
|
|
città. Quattro sembrano le funzioni primarie cui l'auspicata res
|
|
aedificatoria elevata a scientia è chiamata a rispondere. E per ognuna
|
|
di esse Barbaro esprime posizioni che implicano profondi rinnovamenti
|
|
nei costumi e nelle istituzioni veneziane.
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a) La difesa della città e dei Domini: Barbaro pubblica, alla fine del
|
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libro 1 dell'edizione del 1556, il sommario del Libro delle
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fortificazioni di Giovan Jacopo Leonardi, la cui redazione era stata
|
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pressoché completata nel 1553. Il rinvio è altamente significativo. Il
|
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trattato del Leonardi riflette i principii dell'ars fortificatoria di
|
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Francesco Maria della Rovere, i cui allacci con lo scientismo favorito
|
|
dalla cerchia di Andrea Gritti sono stati acutamente messi in luce da
|
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Ennio Concina.8 Lo stesso Concina ha dimostrato — sulla base di puntuali
|
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riscontri — come fra il Vitruvio del Barbaro, il Libro di Leonardi e i
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Quattro libri palladiani esista uno stretto legame: la securitas — nelle
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concezioni di Francesco Maria e di Leonardi — è raggiungibile, da parte
|
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della Serenissima, esaltando la via speculativa, in stretta associazione
|
|
con una decisa volontà politica e una specializzazione dei saperi. La
|
|
riforma dell'ars fortificatoria preconizzata da della Rovere, dal
|
|
Leonardi, dal Barbaro, è basata su un accentramento delle scelte in mano
|
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di specialisti: una riforma che aveva suscitato notevoli opposizioni
|
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contro Francesco Maria, e che, fino alla fine del secolo, rimarrà
|
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inattuata e ostacolata.
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b) La ristrutturazione del Cantiere di Stato, l' Arsenale: nel capitolo
|
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xII del libro v, Barbaro esalta il ruolo di Nicolò Zen nella
|
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ristrutturazione dell' Arsenale, ricordando, nella seconda edizione
|
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dell'opera, gli esperimenti svolti da lui stesso con macchine adibite al
|
|
sollevamento di pesi eccezionali:9 abbiamo un'ulteriore indicazione
|
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relativa all'uso civile della tecnica sottoposta alla ratto umanistica.
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Né va sottovalutato che Nicolò Zen, proprio nel 1556, viene eletto
|
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provveditore della nuova magistratura dei Beni Inculti, oltre che
|
|
provveditore al Cantiere di Stato.
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|
La modernizzazione dell'Arsenale costituiva un tema spinoso. Vettor
|
|
Fausto aveva tentato di introdurre la nuova figura dell'architectus
|
|
navalis, con una 'usanza nuova' parallela a quella poi sostenuta dal
|
|
Palladio; ma il suo tentativo era stato accuratamente marginalizzato. Le
|
|
irrazionalità e le contraddizioni che agitano le vicende dell'Arsenale
|
|
per l'intero secolo XVI impediscono a Venezia di adeguare la propria
|
|
produzione navale ai nuovi standard europei, accentuando la crisi delle
|
|
mercature. L'empiria tradizionale viene contrapposta agli sforzi degli
|
|
innovatori, in nome di una continuità diffidente nei confronti
|
|
dell'accentramento dei poteri e della specializzazione dei saperi. Il
|
|
patrizio che continuamente muta le proprie cariche è, per istituzione,
|
|
un 'dilettante' in tutti 1 rami dello scibile; ogni riforma basata su
|
|
livelli alti di razionalità e teoria minaccia un cardine della
|
|
costituzione veneziana. I passi sull' Arsenale contenuti nel Vitruvio
|
|
del 1556 e del 1567, per quanto celebrativi ed encomiastici, nascondono
|
|
un motivo critico, dato l'accento posto sull'operato di uno dei
|
|
riformatori più radicali del Cantiere di Stato.
|
|
|
|
c) La preservazione della laguna: è un tema che appare nella seconda
|
|
edizione dei commentari, e in modo singolare. Barbaro enumera tre
|
|
elementi, il tempo, il mare e la terra, che sembrano congiurare insieme
|
|
in una 'guerra' scatenata contro la realtà fisica della Venezia
|
|
lagunare, "dico il mare, et la terra" egli scrive 5° "de i quali l'uno
|
|
pare, che voglia cedere, et l'altra occupare il luogo di queste lagune".
|
|
Torna il motivo della 'Natura' "talvolta nemica all'utilità de gli
|
|
huomini", associato al motivo del 'tempo corruttore'. Diviene evidente
|
|
il ruolo assegnato alla tecnica in questo delicato settore, al centro
|
|
delle preoccupazioni veneziane da più di un secolo. La tecnica ha
|
|
compiti di 'restauro' nella lotta contro le degenerazioni della
|
|
corruttibile. 'Natura' provocate da 'Kronos'. Più che 'innovare',
|
|
nell'assumere il comando della situazione idrogeologica, la tecnica deve
|
|
ripristinare equilibri spezzati. Né ci sembra casuale che il passo sia
|
|
stata aggiunto da Daniele Barbaro dopo la morte di Cristoforo Sabbadino,
|
|
il geniale proto dei Savi ed Esecutori alle Acque che aveva combattuto
|
|
con rara perizia contro gli interessi dei 'particulari', pericolosi per
|
|
l'equilibrio lagunare.
|
|
|
|
Sì legga come Barbaro affronta il tema:
|
|
|
|
però con lo essercitare de gli ingegni, et de gli animi de i Senatori,
|
|
in una grandissima impresa vuole, che'l mondo veda la grandezza dello
|
|
stato loro, la prudenza de gli huomini, et l'amore di giovare alla
|
|
patria dove sarà opera di speculatori della natura, et de i pratichi,
|
|
investigare le cause della atterratione di queste lagune, come sogliono
|
|
fare i medici, che prima considerano le cause delle infermità, et poi
|
|
danno i rimedij opportuni: troveranno, che la terra usa i fiumi in
|
|
questa usurpatione, che ella vuol fare, et da quelli si fa portare nelle
|
|
acque salse: troveranno, che le acque salse di loro natura rodeno, e
|
|
consumano le immonditie; troveranno, che più acqua salsa, che entra in
|
|
questa laguna è meglio, perché uscendo con maggiore empito porta via
|
|
poco terreno ... però moveranno quelli terreni, che già sono alquanto
|
|
induriti ... drizzeranno i canali, et i corsi delle acque, impediranno
|
|
la mescolanza delle dolci con le salate, faranno de gli argini, et non
|
|
lascieranno molto spacio. oltra quelli arare, et movere i terreni. et
|
|
finalmente condurranno quanto più da lontano si può i fiumi...57
|
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|
|
In tale passo — mantenuto nell'edizione latina, anche se abbreviato — è
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|
il riassunto dei grandi temi al centro della polemica fra Cristoforo
|
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Sabbadino e Alvise Cornaro: fra le tesi che privilegiano lo 'Stato da
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Mar”, con un attacco all'operato anarchico dei privati nell'entroterra,
|
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e quelle che adottano l'ottica dei bonificatori, difendendo il primato
|
|
dello 'Stato da Terra'. Barbaro sembra adottare un'ipotesi mediatrice.
|
|
Il suo obiettivo è mettere a fuoco la necessità di Scelte e di
|
|
interventi guidati da una tecnica solidamente fondata. Non aveva egli
|
|
Stesso incluso nei compiti della res aedificatoria la trasformazione e
|
|
la cura dell'assetto territoriale? Non è difficile decifrare, dietro le
|
|
sue parole, la preoccupazione derivante dall'assistere a interventi
|
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condizionati da incertezze, frammentarietà, rimandi indefiniti,
|
|
compromessi dovuti al premere degli interessi privati. La ratio invocata
|
|
anche in questo settore è, una volta di più, espressione critica nei
|
|
confronti di politiche da riformare radicalmente.
|
|
|
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d) La 'forma urbis' e il costume edilizio veneziano: è questo il tema su
|
|
cui la sostanza programmatica dei commentari è più esplicita,
|
|
esprimendosi con toni privi di ambiguità o reticenze.
|
|
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|
La polemica esplode, con insolita violenza, nel finale del capitolo x
|
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del libro VI. Dopo aver annunciato "un libro delle case private,
|
|
composto, et dissegnato dal Palladio",°° Daniele auspica un vero e
|
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proprio 'ravvedimento' della committenza veneziana, legata a un costume
|
|
fatto di 'errori'.
|
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Et se o posso pregare — egli scrive — prego e riprego specialmente
|
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quelli della patria mia, che si ricordino, che non mancando loro le
|
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ricchezze, et 11 poter fare cose honorate, voglino ancho provedere, che
|
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non si desideri in essi l'ingegno, et il sapere, il che faranno, quando
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|
si persuaderanno di non sapere quello, che veramente non sanno, né
|
|
possono sapere senza pratica, e fatica, e scienza. Et se gli pare che
|
|
l'usanza delle loro fabriche gli debbia esser maestra, s'ingannano
|
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grandemente, perché in fatti, è troppo vitiosa, et mala usanza, et sì
|
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pure vogliono concieder all'uso alcuna cosa, il che anch'io conciedo, di
|
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gratia siano contenti di lasciar moderare quell'uso da chi sì ne
|
|
intende, perché molto bene con pratica, et ragione si può acconciare una
|
|
cosa, e temperarla in modo, che levatole il male, ella si riduca ad una
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forma ragionevole, e tolerabile con avantaggio dell'uso, della
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commodità, et della bellezza...'
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La critica investe, esplicitamente, la tipologia della casa patrizia:
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vale a dire, uno dei fondamenti dell'autoidentificazione del patriziato
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come garante della 'libertà' repubblicana. La mitica 'legge Daula' aveva
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fino ad allora funto da regolatrice di un costume edilizio preservato
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gelosamente come signum individuationis dell'unità del ceto dirigente e
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della 'sacra immagine' della città lagunare. È esattamente tale
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tradizione, indipendente dai linguaggi — bizantino, gotico,
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protoumanistico — su di essa depositati, che Barbaro pone sotto accusa.
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Il supporto formale della continuità politica della Repubblica è
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definito addirittura "vitiosa e mala usanza". Il Barbaro ribadisce poco
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oltre, nel capitolo x1 dello stesso libro VI, l''errore' in cui i
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Veneziani sono confitti, dopo aver condannato alcune incongruenze
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costruttive:
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Di questi errori e danni molti ne sono nella città nostra, nella quale a
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me pare che gli huomini per hora deono più presto esser avvertiti, che
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non incorrino ne gli errori, che ammaestrati, che facciano belli, et
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ragionevoli edifici. benché esser non può, che non fabrichino senza
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errore, quando non fabricheranno con ragione...
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Il patriarca eletto di Aquileia si propone un severo compito pedagogico
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nei confronti dei suoi compatrioti. La ricostruzione della domus antica
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assume un senso particolare: il Barbaro invita ad abbandonare quanto vi
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è di più specifico nella facies edilizia lagunare, per affidarsi alla
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'sapienza' del 'vero architetto'. La lingua universale dell'antico è
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contrapposta al 'dialetto' veneziano: ve n'era abbastanza perché il
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'latino' propugnato dal Barbaro ed esemplificato dalle architetture del
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Palladio fosse letto dal patriziato antiromanista come una sfrontata
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provocazione. |
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Nell'esaltare Palladio come architetto civile, il Barbaro non fa che
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ribadire la sua concezione dell'architettura come "virtù Heroica". Non è
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certo Palladio il tecnico adeguato a dare concretezza a piani di
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fortificazione urbana o territoriale, né ha le competenze necessarie a
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intervenire nei cicli produttivi dell' Arsenale o nel problema della
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dinamica lagunare. L''usanza nuova', come la chiamerà Palladio,
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presuppone infatti un'alta specializzazione del sapere. Lo stesso
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Cristoforo Sabbadino aveva difeso strenuamente la propria disciplina dal
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dilettantismo — nel campo dell'idraulica — di architetti e di
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"inzegneri":®' l'architettura di Palladio è coerente con tutta una
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tendenza che va configurando 'saperi speciali' e che respinge i proti
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tradizionali verso ambiti esecutivi e collaterali, dominati
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dall'episteme posseduta dallo 'scienziato'.
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Barbaro opera attivamente nell'introdurre il Palladio a Venezia. Nel
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gennaio 1558 (m.v.), insieme al fratello Marcantonio, Daniele appare
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come garante, presso il patriarca di Venezia Vincenzo Diedo, dell'opera
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di Palladio per la facciata (rimasta ineseguita) della chiesa di San
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Pietro di Castello. Si tratta del primo importante incarico lagunare
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affidato all'architetto, e non a caso per una chiesa simbolo della
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sgradita presenza nella laguna di un emissario della curia romana.
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Vincenzo Diedo sarà attaccato duramente in senato, nel 1559, da Giovanni
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di Bernardo Donà, per non aver pagato 2000 ducati di tasse e per la sua
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vita fastosa, con epiteti come "hippocrito" e "lupo rapace". Il che
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conferma l'ambito 'romanista' dei committenti e degli amici veneziani
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del Palladio, che opererà per il convento dei Canonici Lateranensi della
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Carità e per la facciata di San Francesco della Vigna, grazie alla più
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che probabile mediazione del Barbaro. Ed è ben noto il sostegno che il
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maestro riceverà da Marcantonio Barbaro dopo la morte di Daniele (1570).
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È dunque poco credibile l'ipotesi relativa a un raffreddamento del
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Barbaro nei confronti del Palladio a causa di dissensi sorti durante la
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fabbrica della villa di Maser. Palladio figura sia nel 1560 che nel 1563
|
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come testimone ad atti di procura stipulati dal Barbaro nel palazzo di
|
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San Vidal, e nel testamento del patriarca eletto di Aquileia è ricordato
|
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come "nostro amorevole", con un lascito di 15 ducati.*
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Piuttosto, è significativo che né i Barbaro, né Jacopo Contarini,° 65 né
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Giovanni Grimani, né Domenico Bollani usino il Palladio per clamorosi
|
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rinnovamenti dei loro palazzi famigliari. Si potrebbe vedere in ciò una
|
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contraddizione rispetto alle parole del Barbaro che sottolineano il
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valore particolare del maestro nel campo dell'edilizia residenziale. Si
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tratta, invece, di un'oculata politica culturale. Palladio è utilizzato
|
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dalla committenza partecipe del programma del Barbaro in due modi: è
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chiamato a dar forma aulica, nell'entroterra, alla nuova ideologia della
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"Santa Agricoltura"; è designato, a Venezia, a dar forma ai luoghi sacri
|
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in Quanto 'siti pubblici'. Ma si badi: Palladio non viene mai assunto
|
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ufficialmente come funzionario pubblico a Venezia e le difficoltà da lui
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incontrate nelle vicende del Redentore, di Palazzo Ducale e forse in
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quelle di Rialto parlano esplicitamente delle resistenze che si
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oppongono al programma del Barbaro. Malgrado quanto si è fantasticato
|
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impropriamente circa un Palladio 'proto della Serenissima' — carica,
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peraltro, inesistente -, Andrea di Pietro della Gondola non ricopre a
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Venezia il ruolo già assegnato a Jacopo Sansovino. I successori di
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Jacopo come proti della Procuratia de Supra sono Giacomo Spavento e, dal
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1572, Simon Sorella.
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Forse, gli insuccessi palladiani ai concorsi pubblici del 1554 e del
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1555 non sono stati senza influenze sulla tattica individuata dal
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Barbaro per introdurre a Venezia la 'vera architettura': una tattica che
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rinuncia a un inserimento istituzionale dell'architetto, con la
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conseguenza di farne una figura appoggiata dalle forze 'papaliste'.
|
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Tuttavia, quest'ultima è soltanto una conseguenza. Palladio è, per
|
|
Barbaro, la personificazione della sintesi di scientia e phronesis
|
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invocata per strappare Venezia dal culto delle proprie tradizioni.
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Inoltre, Palladio prefigura un nuovo professionista: un artista che
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oppone alla fallace doxa un sistema di verità fondato su 'principil'.
|
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In parte utopico, il programma del Barbaro. Egli sottovalutava il costo
|
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che uno strappo dalle tradizioni avrebbe reso inevitabile per una
|
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Venezia arroccata in un mito compensatorio, dopo lo choc della pace di
|
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Bologna e la frustrante constatazione del ruolo secondario rivestito
|
|
all'interno del nuovo assetto europeo. Senza contare che la
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'specificità' di Venezia veniva difesa da chi s1 proponeva, spezzando
|
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l'egemonia dei Primi, di limitare il potere del Consiglio dei Dieci,
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rilanciando la vocazione mercantile della Serenissima e aprendosi
|
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all'Europa sulla base di una ritrovata autonomia dello Stato.®
|
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Il conflitto culturale e politico che agita la Venezia del XVI secolo
|
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assume toni tragici, specie considerando il suo esito. Al proposito, va
|
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notato che, con i quattro settori di intervento sopra elencati, Barbaro
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individua temi sui quali il dibattito veneziano permarrà scottante fino
|
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alla fine del secolo. Le polemiche relative a Palmanova, le
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contraddizioni e le crisi che agitano l'Arsenale, il modo in cui vengono
|
|
recepite le indicazioni offerte dal piano del Sabbadino del 1557, gli
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accesi dibattiti degli anni '80 sui cantieri di Rialto, delle Procuratie
|
|
Nuove, delle chiese della Celestia e di San Nicolò da Tolentino, provano
|
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l'esistenza di tendenze ben delineate, che rendono conflittuali le
|
|
decisioni proprio in merito al temi indicati dal Barbaro come i soggetti
|
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specifici della res aedificatoria.®
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La nuova ratio, che il Barbaro vorrebbe pienamente dispiegata nelle
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strutture portanti della Serenissima, è tutt'altro che mentale. Essa,
|
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tuttavia, non fa i conti con le leggi che guidano le scelte della
|
|
Repubblica: il paradigma scientista sembra richiedere decisionalità
|
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concepibili soltanto in uno Stato assoluto.
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Siamo ora in grado di rispondere al nostro quesito iniziale. Erano nel
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giusto sia Bernardo Tasso che Sperone Speroni e Paolo Paruta. In Barbaro
|
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è viva l'esigenza di un'azione guidata da teoria: di vita activa fondata
|
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solidamente su vita contemplativa, dando a tale ultima
|
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un'interpretazione sia civile che religiosa. É non è certo estranea alla
|
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mentalità che Daniele Barbaro tenta di introdurre e consolidare a
|
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Venezia l'espressione che Giovan Francesco Sagredo userà in una lettera
|
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a Galileo dell'agosto 1611; invocando uno "stromento" capace di
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distinguere "l'architetto intelligente da un proto ostinato e
|
|
ignorante".
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Esiste un ulteriore spunto polemico nei commentari. Si tratta di un tema
|
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che investe i costumi religiosi e l'atteggiamento patrizio nei confronti
|
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della morte e della fama terrena.
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L'intero commento del capitolo virt del libro IV è dedicato all'edilizia
|
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ecclesiastica. Daniele ricorda la norma che vuole gli altari rivolti ad
|
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oriente, aggiungendo: "se stiano meglio, più altari, o d'un solo lo
|
|
lascio decidere ad altri".?° Dopo aver consigliato di disporre le
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sagrestie accanto al coro, "in quelle parti dove anticamente ne i Tempi
|
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era il postico", egli dà consigli per i campanili e parla infine dei
|
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cimiteri posti sul retro delle chiese:
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Hanno dietro la Chiesa il Cimitero, dove si sepeliscono i corpi, luogo
|
|
Sacro, imperoché la bene ordinata nostra Religione ha voluto haver cura
|
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del sepelire i corpi, essendo i corpi humani stati vasi dello spirito
|
|
Santo ... Ma Dio voglia, che a nostri Tempi non si facciano simili
|
|
uffici) più presto a pompa de' vivi, che a pietà, e consolatione de i
|
|
morti. Non è lodevole, che i monumenti, o sepulture siano nelle Chiese,
|
|
pure egli si usa a grandezza nelle capelle a questo con pregio
|
|
appropiate, et in luoghi eminenti si pongono più alte de i Sacri Altari,
|
|
et stappongono le memorie, 1 titoli gli Epigrammi, i Trofei, e le
|
|
insegne de gli antipassati, dove le vere effigie di bellissime, et
|
|
finissime pietre si vedono, et i gloriosi gesti in lettere d'oro
|
|
intagliati si leggono cose da esser poste più presto nel Foro, et nella
|
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piazza, che nella Chiesa, et solamente de gli huomini illustri, et di
|
|
quelli le opere virtuose de i quali, esser possono di memorabile, et
|
|
imitabile essempio a i Cittadini.”
|
|
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|
La polemica contro gli sfarzosi monumenti tombali all'interno delle
|
|
chiese ha un significato particolare a Venezia, ricordando il
|
|
proliferare, nelle chiese lagunari, degli apparati monumentali chiamati
|
|
ad assicurare la fama terrena di patrizi e condottieri della Repubblica.
|
|
Con un processo già avviato nel XV secolo, con i monumenti di Antonio
|
|
Rizzo, Pietro e Tullio Lombardo, Lorenzo Bregno e Giovanni Buora, chiese
|
|
come quelle dei Frari o dei Santi-Giovanni e Paolo si erano andate
|
|
trasformando in veri e propri Pantheon di dogi, eroi militari,
|
|
benemeriti della Repubblica. La critica del Barbaro ha un precedente
|
|
nelle Constitutiones del vescovo Giberti per Verona (1542), e sarebbe
|
|
scorretto leggervi semplicemente un atteggiamento pretridentino. Il tono
|
|
è piuttosto erasmiano, e non è escluso che agissero sul Barbaro residui
|
|
di temi agitati dal pensiero evangelico. Atteggiamenti congruenti con
|
|
quelli espressi dal patriarca eletto di Aquileia hanno precedenti in
|
|
scelte di patrizi veneziani a lui vicini. Marco Grimani — fratello del
|
|
cardinale Marino, di Vettore e di Giovanni, patriarca di Aquileia —
|
|
ordina la propria sepoltura in uno dei chiostri della chiesa di
|
|
Sant'Antonio di Castello, aggiungendo: "né per via nessuna voglio esser
|
|
sepolto in chiesa, perché né a me, né ad altri si conviene seppellire
|
|
l'ossa de peccatori et massime le mie in luoghi simili, né voglio gli
|
|
sia altare né si ne facci, acciò non si celebrasse in alcun tempo dove
|
|
riposassero l'ossa d'un peccatore".'?
|
|
|
|
Ancor più significativa è la volontà dello stesso Daniele Barbaro, che
|
|
ordina di venire sepolto nel cimitero del convento francescano di San
|
|
Francesco della Vigna — il 4 gennaio 1561 egli era stato nominato
|
|
"defensor et conservator omnium privilegiorum Seraphici Ordinis et
|
|
Religionis Sancti Francisci de Observantia" — invece che nella tomba di
|
|
famiglia. Per far rispettare la volontà del Barbaro dovrà intervenire
|
|
Pio IV, contro la Signoria che avrebbe voluto onorare la memoria di
|
|
Daniele in modo più eloquente: "et così fo sepulto in Campo Santo per
|
|
mezo l'organo, con un monte de terra alto, et per reverentia, acciò se
|
|
cognoscesse dove era sepulto".?*
|
|
|
|
L'umiltà evengelica è contrapposta all'appropriazione dei luoghi sacri
|
|
da parte di cittadini e patrizi spinti da un profano esibizionismo, che
|
|
non esita ad investire le facciate stesse delle chiese. Ancora una
|
|
volta, il Barbaro appare fautore di una renovatio conforme allo spirito
|
|
dei riformisti cattolici, anche per la combinazione di evangelismo e
|
|
aristocraticità che lo ispira.
|
|
|
|
Rimane da valutare il ruolo svolto dai commentari all'interno del
|
|
dibattito scientifico cinquecentesco. A tale scopo è utile esaminare il
|
|
testo in margine al libro IX di Vitruvio, da cui emerge un interesse
|
|
specifico dell'autore, che si impegna con particolare applicazione allo
|
|
studio della gnomonica. È di Vitruvio la definizione della gnomonica
|
|
come "seconda parte dell'architettura", e certo il Barbaro ha colto il
|
|
contributo originale offerto dallo scrittore antico con l'enunciazione
|
|
teorica dell''analemma', vale a dire - semplificando — del metodo di
|
|
proiezione del moto del sole sul piano del meridiano.' Il valore della
|
|
gnomonica è precisato dallo stesso Barbaro, scrivendo che grazie ad essa
|
|
"si vede gli effetti, che fanno i lucenti corpi del Cielo con i raggi
|
|
loro nel mondo": ne deriva la possibilità di trascendere la condizione
|
|
mondana, per contemplare la divinità del cielo.? C°è qualcosa di
|
|
particolare nella dedizione del Barbaro a tali studi. Il modello supremo
|
|
cui attinge la res aedificatoria nel suo tentativo di imporre
|
|
consonantia al reale — l'armonia universale — è reso rappresentabile,
|
|
sottoposto a regole di costruzione geometrica, captato dal soggetto che
|
|
riduce a immagine gli enti, tramite la tecnica di costruzione
|
|
dell'analemma. È poiché l'analemma stesso è al fondamento della
|
|
realizzazione degli gnomoni, quell'imago della "gran macchina"
|
|
dell'universo capta lo scorrere del tempo universale riducendolo a
|
|
successione numerica, a diacronia calcolabile.
|
|
|
|
La gnomonica legittima la concezione 'sferica' che fa dell'architectura
|
|
un'immagine del vero universale: in essa, 'rappresentare' e 'costruire'
|
|
coincidono, in una virtuosa geometrizzazione proiettiva del 'libro
|
|
dell'universo'. L'impegno di Barbaro è al proposito testimoniato dal
|
|
manoscritto inedito De horologiis describendis libellus,° che sembra
|
|
formato da appunti per la redazione dei commenti al libro IX vitruviano,
|
|
ma anche per la rielaborazione del testo in occasione dell'edizione del
|
|
1567. Era infatti accaduto qualcosa, nel frattempo, e di non poca
|
|
importanza. Nel 1562, Federico Commandino aveva pubblicato, con dedica
|
|
al cardinale Ranuccio Farnese e con un impegnativo commento, il libro di
|
|
Tolomeo sull'analemma: un'opera scritta prima dell'Almagesto e in cui
|
|
Tolomeo - un secolo circa dopo il testo di Vitruvio — aveva posto le
|
|
basi della trigonometria sferica.” Commandino aveva unito a quell'opera
|
|
un Liber de Horologiorum, dove aveva affrontato il tema - non
|
|
esplicitato da Tolomeo dell'applicazione dell'analemma ai quadranti
|
|
solari. Barbaro recepisce immediatamente l'importanza dell'opera e se ne
|
|
serve nella rielaborazione del commento al libro IX, rendendo omaggio
|
|
sia al Commandino che a Francesco Maurolico per i loro apporti
|
|
innovatori.”
|
|
|
|
Di nuovo, si potrebbe osservare, un'operazione di aggiornamento
|
|
culturale, non una ricerca originale. Barbaro non ha certo fondato nuovi
|
|
metodi di indagine e l'orizzonte epistemologico cui si riferisce è
|
|
tradizionale, anche se la coloritura platonica della filosofia
|
|
aristotelica lo conduce a risultati non trascurabili. E anche nel campo
|
|
delle scelte formali il suo gusto non appare del tutto coerente, almeno
|
|
a giudicare dalle due opere in cul egli sembra implicato, il palazzo del
|
|
giurista Camillo Trevisan - membro dell' Accademia Veneziana — e la
|
|
villa di Maser. Ma l'opera del patriarca eletto di Aquileia va
|
|
considerata sotto altra luce: come 'programma' relativo alla diffusione
|
|
di nuovi atteggiamenti mentali, in sintonia con gli apporti delle nuove
|
|
scoperte scientifiche.
|
|
|
|
Il continuo aggiornamento e le fitte relazioni intessute da Daniele con
|
|
il mondo scientifico italiano sono rivelatori al proposito. Da quanto
|
|
emerge dagli epistolari, dai manoscritti, dalle opere a stampa, è
|
|
possibile parlare di un vero e proprio ambiente scientista che lega fra
|
|
loro Barbaro, Nicolò Zen, Matteo Macigni, Giuseppe Moleto, Francesco
|
|
Barozzi, Jacopo Contarini, Gian Vincenzo Pinelli, proiettandosi nel
|
|
tempo verso esiti niente affatto scontati. Matteo Macigni e Giuseppe
|
|
Moleto, anzitutto. Al primo, collega di Barbaro negli anni di studio
|
|
patavini, Daniele dedicherà la Pratica della perspettiva.”? Il secondo —
|
|
in amicizia con Nicolò Zen, Jacopo Contarini e Pinelli — è il
|
|
predecessore di Galileo alla cattedra dell'Università di Padova, autore
|
|
di una notevole quantità di manoscritti dedicati all'uso civile e
|
|
militare delle matematiche, già membro dell'Accademia della Fama e
|
|
inquisito, nel 1562, dal Tribunale del Sant'Uffizio. Moleto - allievo di
|
|
Francesco Maurolico e autore di un Discorso universale pubblicato in
|
|
appendice alla Geografia di Tolomeo edita nel 1561 — collabora con
|
|
Matteo Macigni per il De corrigendo ecclesiastico calendario, pubblicato
|
|
a Venezia. Una collaborazione non priva di tensioni, tuttavia, per
|
|
un'opera che lo stesso Moleto — da quanto si arguisce da alcune lettere
|
|
a Gian Vincenzo Pinelli do gludica innovativa, tanto da temere le
|
|
reazioni del pubblico. Da notare, al proposito, che, per l'elaborazione
|
|
delle Tabulae Gregorianae contenute nel volume, Moleto sì basa sui
|
|
sistemi di calcolo introdotti da Copernico, ma modifica il sistema di
|
|
quest'ultimo, facendo riassumere alla terra, prudenzialmente, il ruolo
|
|
di centro fisso.
|
|
|
|
Gli scritti del Barbaro e di Gioseffo Zarlino vengono spesso citati
|
|
nelle opere del Moleto, che — come s'è detto — sarà in relazione con
|
|
Jacopo Contarini: un patrizio che seguirà le tracce del patriarca eletto
|
|
di Aquileia nella Venezia del secondo Cinquecento.®' Non mancano
|
|
tuttavia critiche rivolte dal Contarini al Moleto, che appare estraneo
|
|
al culto della teoria privilegiato dal Barbaro. Tracce di una nuova
|
|
epistemologia sono invece rinvenibili in Francesco Barozzi, uno dei più
|
|
interessanti matematici del XVI secolo, nativo di Candia, studioso di
|
|
testi greci — principalmente Proclo, Pappo ed Erone bizantino —, amico
|
|
di Ulisse Aldovrandi, di Federico Commandino, di Jacopo Contarini, di
|
|
Gabriele Paleotti, del Moleto e, più tardi, di Paolo Sarpi. Barozzi
|
|
pubblica nel 1560 un Opusculum, che comprende due Quaestiones relative
|
|
all'applicazione delle matematiche alla conoscenza della natura.*
|
|
L'Opusculum — si noti - è dedicato a Daniele Barbaro, il quale, di
|
|
rimando, invierà a Francesco Barozzi la seconda edizione del suo
|
|
Vitruvio, pregando l'amico di segnalargli sviste ed errori; il
|
|
matematico risponderà con entusiastiche parole di encomio.* Più tardi,
|
|
Barozzi citerà senza commento la gnomonica del Barbaro, nella prefazione
|
|
della sua Cosmographia, dopo riconoscimenti a Commandino e a Guidobaldo
|
|
del Monte e un attacco a Copernico, "il qual segue la falsa opinione di
|
|
Aristarcho".* L'anticopernicanesimo non impedisce tuttavia al Barozzi di
|
|
raggiungere risultati degni di nota. L'interesse per Pappo Alessandrino
|
|
non è dovuto soltanto all'esposizione del metodo analitico di Archimede,
|
|
ma anche alla trattazione del problema del centro di gravità,
|
|
fondamentale — come osserverà lo stesso Barozzi ® — per la costruzione
|
|
delle macchine di uso civile e militare.
|
|
|
|
La machinatio, ancora legata, nella prima metà del XVI secolo, ai
|
|
modelli del Taccola e di Francesco di Giorgio, passa così a una nuova
|
|
fase. Non a caso, Guidobaldo del Monte rende omaggio a Pappo nel
|
|
Mechanicorum liber.
|
|
|
|
Per il Barozzi la verità delle matematiche è fondata metafisicamente.
|
|
Ciò appare esplicito nel Commentarium in locum Platonis obscurissimum,
|
|
dedicato, nel 1566, a Gabriele Paleotti, mentre nel suo commento a
|
|
Proclo egli riconosce un'essenza matematica all'anima umana. Nel suo
|
|
pensiero si fa strada l'idea di una logica matematica dotata di
|
|
autonomia rispetto alla logica aristotelica. Il che è evidente nella
|
|
polemica sostenuta contro le tesi di Alessandro Piccolomini, che nel
|
|
Commentarium de certitudine mathematicarum disciplinarum (1547) aveva
|
|
escluso che le matematiche potessero dischiudere l'accesso alla
|
|
conoscenza del mondo sensibile.
|
|
|
|
La certitudo della matematica, dunque, veniva fatta dipendere unicamente
|
|
dall'astrattezza dei suoi oggetti. L'autonomia acquisita nei confronti
|
|
della sillogistica veniva pagata da una perdita di 'potenza' logica.
|
|
Esattamente contro tale concezione reagisce il Barozzi, affermando
|
|
l'inerenza della certitudo al rigore delle dimostrazioni matematiche e
|
|
soprattutto riconoscendo agli oggetti matematici — nel De medietate,
|
|
compreso anch'esso nell'Opusculum dedicato al Barbaro — una posizione
|
|
intermedia fra enti divini ed enti naturali. In definitiva, nella
|
|
concezione di Francesco Barozzi gli strumenti matematici divengono
|
|
attrezzature logiche capaci di permettere la decifrazione del 'gran
|
|
libro dell'universo”, formando l'humus per la rifondazione metodologica
|
|
operata da Galileo.
|
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|
|
E assai significativo che Daniele Barbaro, dopo aver preso visione di
|
|
tali opere del Barozzi, scriva all'amico parole di incondizionata
|
|
adesione all'attacco sferrato contro le tesi di Alessandro Piccolomini.
|
|
L'aristotelismo del patriarca eletto di Aquileia è tutt'altro che
|
|
dogmatico e l'apertura verso le teorie del Barozzi rientra nel programma
|
|
esplicitato nei commentari.
|
|
|
|
La mentalità nuova auspicata dal Barbaro si specifica, dunque, e si
|
|
ramifica, trovando punti di coagulo e di scambio nel circolo pinelliano
|
|
a Padova e nell'azione di Jacopo Contarini a Venezia: principalmente al
|
|
di fuori dello Studio patavino si consolida il clima scientista sotto il
|
|
cui segno Daniele aveva iniziato lo studio di Vitruvio. Le meccaniche,
|
|
la nautica, l'architettura militare sono privilegiate da Jacopo
|
|
Contarini, che è in stretta relazione con Guidobaldo del Monte e
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Francesco Barozzi, ma anche con un innovatore nel settore della scienza
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delle fortificazioni come Giulio Savorgnan, e che sarà tra i fautori
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dell'assegnazione a Galileo della cattedra patavina. Né è certo un caso
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se il Contarini - mostrandosi fedele alla linea culturale battuta da
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Daniele e Marcantonio Barbaro — proteggerà prima il Palladio, poi
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Vincenzo Scamozzi, nelle loro attività veneziane.
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Con il Contarini ci troviamo in una Venezia diversa da quella vissuta
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dal Barbaro: principalmente, in.una diversa storia, in cui molti dei
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nodi politici prima lasciati sommersi vengono al pettine, condizionando
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le vicende delle arti e della cultura scientifica. Al di là di tale
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considerazione, rimane la vicenda paradossale del paradigma
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epistemologico cui il Barbaro, come tanta parte della cultura
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rinascimentale, mostra di aderire. Fondato in modo 'forte', quel
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paradigma assumeva l'unicità del vero come proprio obiettivo, tentando
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una fusione di ragione metastorica e di ragione storica. Sottratta al
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divemre, la verità era anche sottratta a ogni discorrere, rimanendo
|
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ambiguamente sospesa fra l'ermeneutica e una conferma per via erudita di
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immutabili presupposti. Eppure, il reticolo matematico, che per via
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platonico-aristotelica veniva steso sul mondo, era frutto di un soggetto
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interpretante dotato di inedita volontà di potenza. Il fatto che si
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tratti di un'interpretazione che non si sappia tale, che ignori la
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necessità o il bisogno di autointerpretarsi, nulla toglie alle sue
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caratteristiche precipue. Piutto sto, l'obbligato calarsi nella
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storicità di quel paradigma, che si voleva al di sopra della storia,
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produce un paradosso: man mano che l'alleanza fra matematica, meccanica
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e fisica si concreta in risultati apprezzabili, il paradigma che aveva
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sorretto la nuova ragione si incrina o viene compromesso.
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La stessa idea portante dei commentari — la trasparenza del bene da un
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'bello' calcolabile e legittimato per via metafisica — è esposta a
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critica implicita alla fine del XVI secolo, durante i dibattiti relativi
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al ponte di Rialto e alla nuova forma di piazza San Marco. E in entrambe
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le occasioni è il fratello di Daniele, Marcantonio Barbaro, a difendere
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l''usanza nuova' contro le opinioni di Alvise Zorzi di Benetto, di
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Alberto Badoer, di Andrea Dolfin e di Leonardo Donà.® Nello stesso
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tempo, anche la "virtù Heroica" attribuita all'architettura inizia a
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perdere la sua vis polemica. Fra la fine del XVI secolo e gli inizi del
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XVII, una nuova generazione di proti — dai Contini, a Simon Sorella, a
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Francesco Smeraldi — inizia ad assimilare la sintassi 'alta' cul figure
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come Scarpagnino o Antonio da Ponte avevano voltato le spalle. Si tratta
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di un'assimilazione di tipo convenzionale, certo, ma che denota un
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mutamento di costume che avviene in assenza di consapevolezze teoriche,
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malgrado l'enciclopedica /dea scamozziana.
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Neanche 1 tentativi di ridefinizione dei vari saperi speciali compiuti a
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Venezia tra la fine del Cinquecento e gli inizi del secolo successivo
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sembrano interessati a fissare nuovi paradigmi epistemologici: non ci
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riferiamo qui a Galileo, quanto agli studi idraulici di Alessandro Zorzi
|
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e di Marco Antonio Cornaro, o alle sperimentazioni di Giulio Savorgnan.*
|
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In definitiva, il paradigma metafisico sembra aver fondato una
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piattaforma provvisoria, instabile a dispetto della sua natura, con
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effetti acceleratori sui singoli saperi speciali. In tal senso, le
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|
critiche di Gianni Micheli al processo di formazione delle nuove scienze
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nell'Italia del Rinascimento mantengono un significato.” Al di là di una
|
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lettura finalistica dei fenomeni storici, rimane da considerare iuxta
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propria principia lo sforzo teorico di cui il Barbaro non è che un
|
|
portavoce: la fondazione di un universo che legittimi la sua propria
|
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calcolabilità invocando la metafisicità dell'erdos. Un tentativo di
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sintesi precario, va ribadito, ma che segna un crinale con cui le
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antinomie del 'moderno' hanno ancora a che fare.
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Manfredo Tafuri
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## NOTE
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Abbreviazioni:
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ASV = Archivio di Stato di Venezia. BAM = Biblioteca Ambrosiana, Milano.
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BMC = Biblioteca del Museo Correr, Venezia. BMV = Biblioteca Nazionale
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Marciana, Venezia.
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1. B. TASSO, Amadigi, Venezia 1560 (ma citiamo dall'ed. 1581), canto C,
|
|
pp. 721-2.
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|
2. Cfr. s. SPERONI, Della vita attiva e contemplativa, in Opere di M.
|
|
Sperone Speroni, Venezia 1740, tomo II, pp. 1-2: "mosso dalle ragioni et
|
|
autorità d'Aristotile, io vi lodava i filosofi; i quali ... allontanati
|
|
dal vulgo ed in se stessi raccolti, altro quasi non sanno, che specular
|
|
tuttavia con molto studio, e contemplare intentamente la cagion delle
|
|
cose: ma allo 'ncontro mi si faceva quel vostro ingegno divino [Speroni
|
|
si rivolge sempre a Daniele Barbaro], uso da' primi anni a spiare
|
|
felicemente i secreti della natura e di Dio. Il quale ingegno oltre la
|
|
sua prontezza Natia, acceso oltre modo del buono amore che voi portate
|
|
alla vostra patria, solo ricetto dell'onore e libertà italiana, toglieva
|
|
al cielo con somme lodi quei virtuosi, i quali vivono umanamente, cose
|
|
operando, con le quali mentre onorano se medesimi, giovino altrui, e qua
|
|
e là travagliando pongano in pace 1 loro cittadini". Cfr. inoltre P.
|
|
PARUTA, Della perfettione della vita politica, Venezia 1579. In tale
|
|
dialogo, Francesco Molin, nipote del Barbaro, si rivolge
|
|
all'ambasciatore Michele Surian, sollecitandolo a dimostrare "che la
|
|
vera felicità umana da noi conseguir si possa, non nelle solitudini
|
|
vivendo né dando opera alle speculationi; ma ben usando nelle Città, e
|
|
in esse virtuosamente operando; la qual maniera di vita voi, con nome
|
|
assai conveniente, Politica chiamar solete. E tanto più ci sarà questo
|
|
caro d'intendere partitamente — continua Molin — quanto mi pare che un
|
|
tal conclusione molto nuova sia, e molto da quella diversa che i nostri
|
|
maestri di filosofia nello Studio di Padova difender sogliono". (/bidem,
|
|
p. 22). Su tali argomenti e sulle amicizie giovanili di Daniele Barbaro,
|
|
che Tequenta, fra l'altro, il circolo esclusivo di Pier Francesco
|
|
Contarini, cfr. P.J. LAVEN, Daniele Barbaro, Patriarch Elect of
|
|
Aquileia, with Special Reference to his Circle of Scholars and to his
|
|
Literary Achievement, Thesis for Ph.D., University of London, 1957, vol.
|
|
1, pp. 47 sgg., 164 sgg. Su Daniele Barbaro, cfr. la bibliografia citata
|
|
in M. TAFURI, Venezia e il Rinascimento, Torino 1985), 1986°, pp. 180-1
|
|
nota 92, cui vanno aggiunti i saggi di G. SANTINELLO, Filosofia e
|
|
architettura in Daniele Barbaro patrizio veneto, in "Quaderni della
|
|
Biblioteca Filosofica di Torino", Torino s.d. [1981]; V. FONTANA, /l
|
|
'Vitruvio' del 1556: Barbaro, Palladio, Marcolini, in AA.VV. Trattati
|
|
scientifici nel Veneto fra il XV e il XVI secolo, Vicenza 1985, pp.
|
|
39-72; H.-W. KRUFT, Geschichte der Architekturtheorie, Minchen 1986, pp.
|
|
95-7. Cfr. anche l'ottimo saggio di P.N. PAGLIARA, Vitruvio da testo a
|
|
canone, in AA.VV., Memoria dell'antico nell'arte italiana, a cura di S.
|
|
Settis, 11, Dalla tradizione al'archeologia, Torino 1986, pp. 5-85, e la
|
|
tesi di laurea inedita di M. LOSITO, Il JX tbro dei Commentari
|
|
vitruviani di Daniele Barbaro, Istituto Univ. di Arch. di Venezia,
|
|
Dipartimento di Storia, luglio 1986, relatore M. Tafuri. Su Daniele
|
|
Barbaro storiografo della Repubblica, cfr. G. COZZI, Cultura politica e
|
|
religione nella “pubblica storiografia' veneziana del '500, in
|
|
"Bollettino dell'Istituto di Storia della Società e dello Stato
|
|
Veneziano", v-vI (1963-64), pp. 215-94.
|
|
|
|
3. Su tali temi cfr. G. COZZI, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul
|
|
patriziato veneziano agli inizi del ficento, Venezia-Roma 1958; W.J.
|
|
BOUWSMA, Venice and the Defense of Republican Liberty. Renaissance
|
|
Values in the Age of Counter-Reformation, Berkeley-Los Angeles 1968,
|
|
trad. it. Bologna 1977; P.F. GRENDLER, The Roman Inquisition and the
|
|
Venetian Press, 1540-1605, Princeton, NJ. 1977, trad. it. Roma 1983 (ma
|
|
vedi anche la recensione di G. COZZI, Books and Society, in "Journal of
|
|
Modern History", 1979, n. 51, pp. 86-98); R. FINLAY, Politics in
|
|
Renaissance Venice, ew Brunswick 1980, trad. it. Milano 1982; G. COZZI,
|
|
Repubblica di Venezia e stati italiani, Torino 1982; M. TAFURI, Venezia
|
|
e il Rinascimento cit. Sulle origini del 'papalismo' a Venezia cfr. il
|
|
fondamentale volume di G. COZZI e M. KNAPTON, Storia della Repubblica di
|
|
Venezia. Dalla guerra di Chioggia alla riconquista della Terraferma,
|
|
Torino 1986.
|
|
|
|
4. Cfr. al proposito M. AZZI VISENTINI, L'orto botanico di Padova e il
|
|
giardino del Rinascimento, Milano 1984.
|
|
|
|
5. Azzi Visentini tende invece a sottovalutare le qualità professionali
|
|
di Andrea Moroni, senza l'appoggio di verifiche circostanziate. Cfr.
|
|
L'orto botanico cit., pp. 149-54. Nulla dimostra inoltre che Daniele
|
|
Barbaro possegga, già nel 1545, competenze architettoniche. Il Barbaro
|
|
si trova, nel 1548, a giudicare, come Provveditor di Comun, insieme a
|
|
Zuan Mauro da Molin e Antonio Bernardo, una supplica di Alberto Moroni
|
|
di Albino — probabilmente un parente di Andrea Moroni - per il brevetto
|
|
di un "artificioso instrumento de filar con doi fusi et torzer ... di
|
|
molto benefficio all'università et maxime al lanificio in questa Città
|
|
nostra..." (ASV, Senato Terra, filza 7, 19 giugno 1548). Anche Andrea
|
|
Moroni è fecondo nel campo della machinatio: è noto il privilegio
|
|
concessogli dal senato, il 23 luglio 1545, per un artificio "con il qual
|
|
facilmente si alzano, et bassano le saracinesche di Padova". In una
|
|
lettera inedita inviata dai Rettori di Padova al senato, il 17 settembre
|
|
1544, è citato un "modello" del Moroni "che si può trasportar da loco a
|
|
loco, molto bene inteso et facile per il levar et bassar le ditte
|
|
saracinesche" (ASV, Senato Terra, filza 1, 17 settembre 1544). Egli
|
|
appare particolarmente esperto di problemi idraulici, dato che è
|
|
invitato a studiare la cronica questione della rosta di Limena: vedi la
|
|
sua relazione, anch'essa inedita, in cui constata "la rovina de arzeni
|
|
che se sta cavati da li brentani chi fu in questi zorni passati" e
|
|
predice disastri futuri qualora non si prendano immediati provvedimenti
|
|
(ASV, Senato Terra, filza 23, lettera di Andrea Moroni del 25 febbraio
|
|
1556).
|
|
|
|
6. I dieci libri dell'architettura di M. Vitruvio tradutti et commentati
|
|
da monsignor Barbaro eletto patriarca d' Aquileggia, in Vinegia, per
|
|
Francesco Marcolini, 1556, p. 274 (d'ora in avanti citati con la sola
|
|
data di pubblicazione, la pagina, e dopo una virgola il rigo). Il
|
|
privilegio di stampa per la prima edizione, richiesto da Francesco
|
|
Marcolini, viene concesso il 30 giugno 1556 (ASV, Senato Terra, filza
|
|
23, alla data, e reg. 40, c. 120r-v). Il privilegio di stampa per la
|
|
seconda edizione è concesso a Francesco Senese il 10 maggio 1567
|
|
(ibidem, filza 49, alla data, e reg. 46, c. 1317). Sulle variazioni
|
|
contenute nella seconda edizione, si veda lo studio di Manuela Morresi,
|
|
in questo stesso volume.
|
|
|
|
7. Cfr. W. STEDMAN SHEARD, The Tomb of Doge Andrea Vendramin in Venice
|
|
by Tullio Lombardo, Ph. D., Yale University, 1971, University
|
|
Microfilms, Ann Arbor, Mich., vol. I, in particolare alle pp. 91-2. Vedi
|
|
anche s. ROMANO, 7ullto Lombardo, il monumento al doge Andrea Vendramin,
|
|
Venezia 1985.
|
|
|
|
8. Cfr. c. GRAYSON, Un codice del De re aedificatoria posseduto da
|
|
Bernardo Bembo, in AA.VV., Studi letterari, Miscellanea in onore di
|
|
Emilio Santini, Padova 1956, pp. 181-8; ID., Alberti, Poliziano e
|
|
Bernardo Bembo, in AA.VV., Il Poliziano e il suo tempo, Atti del IV
|
|
Convegno Internazionale di Studi sul Rinascimento (Firenze 1954),
|
|
Firenze 1957, pp. 111-7. Cfr. inoltre N. GIANNETTO, Bernardo Bembo
|
|
umanista e politico veneziano, Firenze 1985, pp. 301-3, 328-9, e passim.
|
|
Su alcuni aspetti delle élites umanistiche patrizie, nella Venezia del
|
|
Quattrocento, cfr. F. GILBERT, 'Humanism in Venice, in AA.VV., Florence
|
|
and Venice: Comparisons and Relations, I. Quattrocento, Firenze 1979,
|
|
pp. 13-26.
|
|
|
|
9. S. SERLIO, Regole generali di architettura, Venezia 1537, f. 3r; ID.,
|
|
Il terzo libro di Sebastiano Serlio Bolognese, Venezia 1540, p. 155.
|
|
|
|
10. Cfr. E. CONCINA, Fra Oriente e Occidente: gli Zen, un palazzo e il
|
|
mito di Trebisonda, in AA.VV., 'Renovatio urbis”. Venezia nell'età di
|
|
Andrea Gritti (1523-1538), a cura di M. Tafuri, Roma 1984, pp. 265 sgg.
|
|
|
|
11. F. SANSOVINO, Venetia città nobilissima et singolare, Venezia 1581,
|
|
ff. 1120 -119r. Cfr. anche ID., Delle cose notabili che sono in Venetia,
|
|
Venezia 1561, f. 23r-v.
|
|
|
|
12. D. ATANAGI, Lettere di XIII Huomini illustri, Venezia 1540, pp.
|
|
396-7. Cfr. anche P.N. PAGLIARA, Vitruvio cit., p. 73 nota 34.
|
|
|
|
13. C. TOLOMEI, Delle lettere di Claudio Tolomei libri sette, Venezia
|
|
1547, ff. 81r -85r. Cfr. anche P. BAROCCHI, Scritti d'arte del
|
|
Cinquecento, Milano-Napoli 1977, III, pp. 3037-46, con commento e
|
|
bibliografia.
|
|
|
|
14. 1556, p. 40.
|
|
|
|
15. 1556, p. 82, 53-62. Cfr. anche / dieci libri dell'architettura di M.
|
|
Vitruvio, tradotti et commentati da Mons. Daniel Barbaro eletto
|
|
Patriarca d' Aquileia, da lui riveduti et ampliati; et hora în più
|
|
commoda forma ridotti, in Venetia, Appresso Francesco de' Franceschi
|
|
Senese, et Giovanni Chrieger Alemano Compagni, 1567, P- 133, 33-45
|
|
(d'ora in poi citati con la sola data di pubblicazione e la pagina, e
|
|
dopo una virgola il rigo). È questa l'edizione qui riprodotta.
|
|
|
|
16. Cfr. c. THOENES, Vignolas 'Regola delli cinque ordini', in
|
|
"Romisches Jahrbuch fir Kunstgeschichte", xX, 1983, pp. 347-76; P.N.
|
|
PAGLIARA, Vitruvio cit., pp. 84-5.
|
|
|
|
17. 1556, p. 122, 61-4, corsivi nostri. Cfr. anche 1556, p. 171, 24
|
|
(1567, p. 282, 14-5), in cui fra l'altro Barbaro difende la cornice del
|
|
Teatro di Marcello, criticata dal Serlio con un eccesso di rigorismo.
|
|
|
|
18. 1556, p. 82, 66. Corsivi nostri.
|
|
|
|
19. Cfr. P.N. PAGLIARA, La casa romana nella trattatistica vitruviana,
|
|
in "Controspazio", IV, 1972, n. 7, pp. 22-36; ID., Vitruvio cit.
|
|
|
|
20. 1556, pp. 167-70; 1567, pp. 278-811.
|
|
|
|
21. Cfr. il saggio, ormai classico, di W. LOTZ, Das Raumbild in der
|
|
italienischen Architekturzeichnung der Renaissance, in "Mitteilungen des
|
|
Kunsthistorischen Institutes in Florenz", VII, 1956, PP. 193-226, ora in
|
|
ID., Studies in Italian Renaissance Architecture, Cambridge, Mass.,
|
|
1981°, pp. 1-41. Nuove ipotesi sulla Lettera sono nel saggio di C.
|
|
THOENES, La 'lettera' a Leone X, in AA.VV, Raffaello a Roma. Il Convegno
|
|
del 1983, Roma 1986, pp. 373-81. (Ma cfr. anche A. NESSELRATH, Raphaels
|
|
Archaeological Method, in ibidem, PP- 357-71, con ipotesi alternative).
|
|
Sulla relazione Barbaro-Palladio, cfr. E. FORSSMAN, Palladio e Daniele
|
|
Barbaro, in "Bollettino del C.I.S.A. Palladio", VIII, 1966, parte Il,
|
|
pp. 68-81; L. PuPPI, Andrea Palladio, Milano 1973, fassim; N. HUSE,
|
|
Palladio und die Villa Barbaro in Maser: Bemerkungen zum Probleme der
|
|
Authorschaft, in "Arte Veneta", XXVIII, 1974, pp. 106-22; H. BURNS
|
|
(editor), The Portico and the Farmyard. Andrea Palladio 1508-1580,
|
|
London 1975; R. SMITH, A Matter of Choice: Veronese, Palladio and
|
|
Barbaro, in "Arte Veneta", XXXI, 1977, pp. 60-71; L. PUPPI, Per Paolo
|
|
Veronese architetto. Un documento inedito, una figura e uno strano
|
|
silenzio di Palladio, in "Palladio", 111, 1980, n. 1-4, pp. 53-76; D.
|
|
BATTILOTTI, Villa Barbaro a Maser: un difficile cantiere, in "Storia
|
|
dell'arte", 1985, n. 53, pp. 3348; M. TAFURI, Venezia e il Rinascimento
|
|
cit., cap. V.
|
|
|
|
22. Vedere il commento del Barbaro al libro I: 1556, pp. 19-20; 1567, p.
|
|
30. , 23. E. FORSSMAN, Palazzo Da Porto-Festa, Corpus Palladianum 8,
|
|
Vicenza 1973, pp. 23 e 25, in cui l'autore scambia per un portale a
|
|
serliana, disegnato come alternativa per la facciata, la sezione
|
|
dell'atrio, disegnata da Palladio in trasparenza.
|
|
|
|
24. Cfr. c. VASOLI, Profezia e ragione. Studi sulla cultura del
|
|
Cinquecento e del Seicento, Napoli 1974, pp. 131-403; ID., / miti e gli
|
|
astri, Napoli 1977, pp. 19! sgg.; A. ROTONDÒ, La censura ecclesiastica e
|
|
la cultura, in Storia d'Italia Einaudi, V: I documenti, 2, Torino 1973,
|
|
pp. 1436-8 e 1456-7; A. FOSCARI e M. TAFURI, L'armonia e i conflitti. La
|
|
chiesa di San Francesco della Vigna nella
|
|
|
|
25. Su tale argomento, cfr. PH. MOREL, // funzionamento simbolico e la
|
|
critica delle grottesche nella seconda metà del Cinquecento, in AA.VV.,
|
|
Roma e l'antico nell'arte e nella cultura del Cinquecento, a cura di
|
|
Marcello Fagiolo, Roma 1985, pp. 149-78, in cui, fra l'altro, viene
|
|
ricordata la critica del Lomazzo alla condanna del Barbaro.
|
|
|
|
26. PJ.LAVEN, Daniele Barbaro cit., 1, pp. 122 sgg. Cfr. inoltre le
|
|
Lettere di Daniele Barbaro date in luce la prima volta..., a cura di S.
|
|
Soldati, Padova 1829.
|
|
|
|
27. Cfr. P.F. GRENDLER, The Roman Inquisition cit. (trad. it.), pp.
|
|
207-8. Secondo Barbaro, tutti 1 libri "scientiarum et artium" scritti da
|
|
protestanti avrebbero dovuto circolare liberamente — a meno che non
|
|
contenessero passi immorali e diffamatori — senza il nome degli autori.
|
|
Inoltre, non andavano condannate le poesie d'amore giovanili.
|
|
|
|
28. Predica dei sogni composta per lo reverendo padre D. Hypneo da
|
|
Schio, Venezia 1542. Nella copia conservata presso la Biblioteca
|
|
Marciana è segnato a mano sul verso della copertina il nome dell'autore,
|
|
"Barbaro Daniel"; la notizia è confermata da un foglietto incollato fra
|
|
copertina e frontespizio. Cfr. P. PASCHINI, Gli scritti religiosi di
|
|
Daniele Barbaro, in "Rivista di Storia della Chiesa in Italia", 5
|
|
(1951), pp. 340-9; G. SANTINELLO, Filosofia e architettura cit., pp.
|
|
462-3, 475-6 nota 10.
|
|
|
|
20. Predica dei sogni cit., Del dubbio, IV. Sul ruolo del dubbio, cfr.
|
|
1556, p. 24, 24 sgg.; 1567, P- 33, 12 S88.
|
|
|
|
30. 1556, p. 7, 62-5. Corsivi nostri. Cfr. 1567, p. 7, 2-7.
|
|
|
|
31. J.P. LAVEN, Dantele Barbaro cit., II, p. 506.
|
|
|
|
92. BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Breviloquium, Il 4, 5, ora in ID.,
|
|
Itinerario dell'anima a Dio..., a cura di L. Mauro, Milano 1985, p. 151.
|
|
|
|
33. BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, De reductione artium ad theologiam, 2,
|
|
ora in ID, Itinerario cit., pp. 412 sgg. Cfr. inoltre UGO DA SAN
|
|
VITTORE, Didascalicon, IH 1 e 20. Sul pensiero di Bonaventura, che
|
|
difende la prospettiva agostiniana di un'unica sapientia, che comprenda
|
|
insieme fides e ratio, cfr. l'introduzione di L. Mauro all'/tinerario,
|
|
in particolare alle pp. 66-8.
|
|
|
|
34. 1550,
|
|
|
|
P. 3.
|
|
|
|
35: 1556, p. 254, 5-7; cfr. 1567, p. 440, 9-13.
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36. 1556, p. 15, 46 sgg.; cfr. 1567, p. 21, 22 sgg.
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37. M. TAFURI, Venezia e il Rinascimento cit., pp. 187-8.
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38. 1556, p. 15, 45-6; cfr. 1567, p. 21, 19-20.
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39. Sull'opera di Francesco Patrizi senese in relazione ai suoi
|
|
interessi vitruviani e alla sua amicizia con Fra Giocondo, cfr. F.
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BATTAGLIA, Enea Silvio Piccolomini e Francesco Patrizi, due politici
|
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senesi del Quattrocento, Siena 1936; L.F. SMITH, A notice of the
|
|
Epigrammata of Francesco Patrizi, Bishop of Gaeta, in "Studies in the
|
|
Renaissance", 15 (1986), pp. 92-143; M. TAFURI, Venezia e il
|
|
Rinascimento cit., pp. 159-62; P.N. PAGLIARA, Vitruvio cit., pp. 28-30.
|
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Per la notizia data nel testo, vedi M. DYKMANS S.J., L'oeuvre de Patrizi
|
|
Piccolomini ou le cérémonial papal de la première Renaissance, Studi e
|
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testi 293, tomo I, Città del Vaticano 1980, p. 3 nota 16. "Concepi iam
|
|
dudum libros de re publica quos parere aliquando cupio — scrive
|
|
Francesco Patrizi Attamen propter penuriam librorum cum difficultate
|
|
maxima id agere possum ... Roga tamen eum ut tibi Vitruvium concedat pro
|
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aliquibus diebus quem ad me mittas et ego ad te remittam cum primo
|
|
videro locos quosdam qui operi meo necessarii admodum sunt". In ottobre,
|
|
inoltre, il vescovo di Gaeta invia ad Agostino Patrizi il testo di
|
|
Columella da lui corretto per il papa. Cfr. ibidem, p. 4 nota 17.
|
|
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|
40. Cfr. G. COZzI, Domenico Morosini e il 'De bene instituta republica',
|
|
in "Studi veneziani", XII (1970), pp. 405-57; M. TAFURI, Venezia e il
|
|
Rinascimento cit., pp. 156-8.
|
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|
|
41. Cfr. H.G. GADAMER, Die Idee des guten zwischen Plato und
|
|
Aristoteles, Heidelberg 1978, trad. it. in ID., Studi platonici, 2, a
|
|
cura di G. Moretto, Casale Monferrato 1984, pp. 151 sgg., in particolare
|
|
alle pp. 155-71. Cfr. inoltre PLATONE, La Repubblica, VII, 525, 526, in
|
|
Opere complete, vi, Roma-Bari 1983, pp. 240-1. Dopo aver stabilito che
|
|
"lo studio dell'unità sarà fra quelli che conducono e rivolgono a
|
|
contemplare l'essere" (525a), Socrate giunge a riconoscere che calcolo e
|
|
matematica, totalmente basate sul numero, "appaiono atte a guidare la
|
|
verità" e continua: "sarebbe opportuno, Glaucone, prescrivere per legge
|
|
la disciplina di cui stiamo parlando, e persuadere chi dovrà svolgere
|
|
nello stato le funzioni più importanti, a studiare il calcolo e a
|
|
contemplare la natura dei numeri, senza usarne per comprare e vendere
|
|
come fanno grossisti e mercanti, ma per ragioni belliche e per aiutare
|
|
l'anima stessa a volgersi dal mondo della generazione alla verità e
|
|
all'essere". Si veda più oltre, alle pp. 243-7, sul valore speculativo
|
|
dell'astronomia. Le idee platoniche erano state introdotte presso il
|
|
largo pubblico veneziano dalla famosa conferenza di Luca Pacioli nella
|
|
chiesa di San Bartolomeo di Rialto, l'11 agosto 1508, ed erano state
|
|
fuse nel pensiero sincretico di Francesco Zorzi. (Sulle relazioni fra
|
|
Zorzi e la res aedificatoria, cfr. A. FOSCARI e M. TAFURI, L'armonia e i
|
|
conflitti cit., passim). Sì consideri inoltre lo sviluppo dato da
|
|
Plotino alla grande analogia di anima, città e mondo. È alla suprema
|
|
facoltà dell'anima, al nous che coglie il razionale, che Plotino dà il
|
|
compito di guida. Su ciò e sulla similitudine del pensiero razionale con
|
|
la trottola, che unisce stabilità e mobilità, cfr. H.G. GADAMER, Studi
|
|
platonici, 2 cit., pp. 265-90.
|
|
|
|
42. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, V, VI, in Opere, 7, Roma-Bari 1983,
|
|
pp. 105-61. Si noti che è proprio Aristotele a stabilire analogie fra
|
|
politica e architettura (ibidem, 1, p. 4). "Poiché dunque l'architettura
|
|
è un'arte" egli scrive nell'Etica Nicomachea (ed. cit., p. 145) "in
|
|
quanto è una disposizione creativa accompagnata da ragione ... saranno
|
|
dunque la stessa cosa l'arte e la disposizione creativa accompagnata da
|
|
ragione verace. Ogni arte riguarda la produzione, e il cercare con
|
|
l'abilità e la teoria come possa prodursi qualcuna delle cose che
|
|
possono sia esserci sia non esserci e di cui il principio è in chi crea
|
|
e non in ciò che ha creato; infatti l'arte non riguarda le cose che sono
|
|
o che si producono necessariamente, né per natura, in quanto queste
|
|
hanno il loro principio in se stesse". Più oltre, Aristotele scrive:
|
|
"Sia la scienza politica che la saggezza hanno bensì la stessa
|
|
definizione, però la loro essenza non è la stessa. È per quanto riguarda
|
|
il governo della città, la saggezza, in quanto architettonica, è
|
|
legislatrice; l'altra, in quanto riguarda i particolari, ha il nome
|
|
comune di politica". Nel 1 libro, egli aveva affermato che sia
|
|
l'architetto che il geometra "ricercano in maniere differenti l'angolo
|
|
retto [ma] l'uno lo ricerca solo per quanto è utile al suo lavoro,
|
|
l'altro invece ricerca che cosa esso sta e di quale qualità: egli è
|
|
infatti un contemplatore del vero" (ibidem, pp. 15-6, corsivi nostri).
|
|
Sia Il tema dell'architettura come analogon della saggezza politica, sia
|
|
il tema dell'architetto distinto dal 'geometra' per via speculativa
|
|
soflo colti da Daniele Barbaro e attualizzati nell'ambito del suo
|
|
commento a Vitruvio.
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|
|
|
43. 1556, p. 6, 49-53; cfr. 1567, p. 4, 17-22.
|
|
|
|
44. Cfr. AGOSTINO, De vera religione, 40, 74-6, con la considerazione
|
|
delle diverse specie di numeri per mezzo dei quali ci si eleva a Dio, e
|
|
De musica, VI, con la definizione delle differenti categorie numeriche
|
|
che si elevano gradatamente dalla realtà sensibile al sommo Artefice; S.
|
|
BOEZIO, De institutione arithmetica, 1 2: "Il numero è il principale
|
|
modello nella mente del Creatore"; BONAVENTURA DA BAGNOREGIO,
|
|
Breviloquium, 11 1, e Itinerarium mentis in Deum, Il 10, in /tinerario
|
|
cit., rispettivamente a p. 143 e alle pp. 371-2. "Ai numeri espressi"
|
|
scrive Bonaventura (p. 372) "ci eleviamo anche gradatamente, passando
|
|
dai numeri sonori a quelli intesi, e poi a quelli sensibili e a quelli
|
|
della memoria. Tutte le cose, quindi, sono belle e generano un qualche
|
|
diletto, e poiché, inoltre, non vi può essere bellezza e diletto senza
|
|
che ci sia proporzione, e la proporzione si trova prima di tutto nei
|
|
numeri, è necessario che tutte le cose siano costituite secondo una
|
|
proporzione numerica..." (corsivi nostri). Attraverso la numero logia
|
|
mistica di Agostino, Boezio e Bonaventura, Daniele Barbaro — come buona
|
|
parte della cultura neoplatonica - può coniugare il pensiero antico a
|
|
quello cristiano; con spostamenti sensibili di accento, tuttavia, sul
|
|
polo produttivo che la 'Sapienza', modellata sul pensiero divino,
|
|
dischiude al fare mondano.
|
|
|
|
45. 1556, p. 14, 47-50 (corsivo nostro); cfr. 1567, p. 19, 13-7.
|
|
|
|
46. 1556, P. 7; 13-5; cfr. 1567, p. 5, 30-3.
|
|
|
|
47. 1556, P. 94, 28.
|
|
|
|
48. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 24, cit., p. 143. Cfr. anche PLATONE,
|
|
La Repubblica cit., IV, 428b sgg., pp. 140 Sgg.
|
|
|
|
49. Si considerino, su tale tema, le acute osservazioni contenute nel
|
|
volume di R. ESPOSITO, Ordine e conflitto. Machiavelli e la letteratura
|
|
politica del Rinascimento italiano, Napoli 1984, in particolare nel cap.
|
|
III, pp. 75-108.
|
|
|
|
50. Cfr. i saggi contenuti nel volume 'Renovatio urbis' cit., e i due
|
|
volumi di E. CONCINA. La macchina territoriale. La progettazione della
|
|
difesa nel Cinquecento veneto, Roma-Bari 1983, e L' Arsenale della
|
|
Repubblica di Venezia. Tecniche e istituzioni dal medioevo all'età
|
|
moderna, Milano
|
|
1984. Si noti che Giorgio Valla aveva illustrato, poco dopo il 1492,
|
|
"suis figuris mathemati €ls" un perduto commentario a Vitruvio. Cfr. v.
|
|
JUREN, Fra Giovanni Giocondo et le début des études vitruviennes en
|
|
France, in "Rinascimento", serie II, 14, 1974, p. 102; G.B. VERMIGLIOLI,
|
|
Memorie di Jacopo Antiquari, Perugia 1813, p. 419.
|
|
|
|
51. Cfr. G.G. LEONARDI, Libro delle fortificazioni dei nostri tempi,
|
|
trascrizione e note di T. Scalesse, in "Quaderni dell'Istituto di Storia
|
|
dell'Architettura", Facoltà di Architettura, Università di Roma, serie
|
|
XX-XXI (1975), n. 115-126; E. CONCINA, La macchina territoriale cit.,
|
|
pp. 50-3 e passim.
|
|
|
|
52. E. CONCINA, La macchina territoriale cit., pp. 15 Sgg.
|
|
|
|
53. Ibidem, pp. 55 Sgg.
|
|
|
|
54. Cfr. 1556; p. 163, 66-8; 1567, p. 271, 8-13; cfr. anche E. CONCINA,
|
|
L' Arsenale cit., pp. 135 Sgg.
|
|
|
|
55. E. CONCINA, L'Arsenale cit., p. 148.
|
|
|
|
56. 1567, p. 271, 17-8.
|
|
|
|
57. 1567, p. 271, 22 sgg.
|
|
|
|
58. 1556, p. 179, 14; cfr. 1567, p. 303, 9-10.
|
|
|
|
59. 1556, p. 179, 27-33 (corsivi nostri); cfr. 1567, p. 303, 27-37.
|
|
|
|
60. 1556, p. 180, 19-21; cfr. 1567, p. 304, 30-4.
|
|
|
|
61.C. SABBADINO, Discorsi sopra la laguna, in Antichi scrittori
|
|
d'idraulica veneta, a cura di R. Cessi, vol. II, parte I, Venezia 1930,
|
|
p. 48.
|
|
|
|
62. Cfr. P.F. GRENDLER, The “Tre Savi sopra Eresia” 1547-1605: a
|
|
Prosopographical Study, in "Studi veneziani", n.s., III, 1979, p. 320
|
|
nota 55.
|
|
|
|
63. ASV, Atti notaio Vettor Maffei, prot. 8120, cc. 281-2; ibidem, prot.
|
|
8132, cc. 292-3 e 301-3. Cfr. M.F. TIEPOLO (a cura di), Testimonianze
|
|
veneziane di interesse palladiano, Venezia 1980, pp. 39 e 37.
|
|
|
|
64. Cfr. B. BOUCHER, The last Will of Daniele Barbaro, in "Journal of
|
|
the Warburg and Courtauld Institutes", XLII, 1979, pp. 277-82.
|
|
|
|
65. È assolutamente da rifiutare l'ipotesi, formulata dalla Bassi e
|
|
ripresa più volte, relativa a una responsabilità palladiana per la
|
|
quadrifora coperta da frontone, nella facciata di palazzo Contarini
|
|
delle Figure, residenza di Jacopo Contarini. Cfr. E. BASSI, Palazzi di
|
|
Venezia, Venezia 1971', 19803, pp. 382-4; M.F. TIEPOLO (a cura di),
|
|
Testimonianze veneziane cit., scheda 23, p. 19; L. PUPPI, La morte e î
|
|
funerali di Palladio, in AA.VV., Palladio e Venezia, Firenze 1982, pp.
|
|
160-1. E evidente che la quadrifora fa parte dell'impianto originario
|
|
della facciata, databile ai primi decenni del XVI secolo: gli archi
|
|
riprendono puntualmente le finestre laterali, compreso l'inquadramento
|
|
da parte di allungate semicolonne con capitelli arcaici. Le basi delle
|
|
colonne sono 'vitruviane' e poggiano su piedistalli cilindrici.
|
|
|
|
66. Vedi, ad esempio, H. LORENZ, // trattato come strumento di
|
|
“autorappresentazione”. Palladio e 7.B. Fischer von Erlach, in
|
|
"Bollettino del C.I.S.A. Palladio", XXI, 1979, p. 151; F. BARBIERI,
|
|
Aspetti del Palladio 'urbanista': la 'scena' vicentina, in "Bollettino
|
|
del C.I.S.A. Palladio", XXII, 1980, parte II, p. 127.
|
|
|
|
67. Cfr. G. cozzI, Politica, cultura e religione, in AA.VV., Cultura e
|
|
società nel Rinascimento tra riforme e manierismi, a cura di V. Branca e
|
|
C. Ossola, Firenze 1984, pp. 21-42. Discutibile il saggio, peraltro
|
|
assai utile per la documentazione, di M.J. LOWRY, The Reform of the
|
|
Council of Ten, 1582-83; an Unsettled Problem?, in "Studi veneziani",
|
|
XIII, 1971, pp. 275-310. Vedi anche il fondamentale G. COZZI, Paolo
|
|
Sarpi tra Venezia e l'Europa, Torino 1979.
|
|
|
|
68. Cfr. M. TAFURI, Venezia e il Rinascimento cit., pp. 244 Sgg.
|
|
|
|
69. G. GALILEI, Opere, a cura di A. Favaro e I. Del Lungo, xI, Firenze
|
|
1934, p. 172. Lettera da Venezia del 13 agosto 1611.
|
|
|
|
70. 1556, p. 125, 40.
|
|
|
|
71. 1556, p. 125, 54-62; cfr. 1567, p. 202, 4-16. Analoghe critiche, di
|
|
esplicita intonazione erasmiana, erano state espresse in DIEGO DE
|
|
SAGREDO, Las medidas del romano, Toledo 1526.
|
|
|
|
72. ASV, S. Antonio di Castello, t.x, c. 19gr. Cfr. A. FOSCARI, M.
|
|
TAFURI, Sebastiano da Lugano, i Grimani e Facopo Sansovino. Artisti e
|
|
committenti nella chiesa di Sant' Antonio di Castello, in "Arte Veneta",
|
|
XXXVI, 1982, p. 120. Sull'azione riformatrice di G.M. Giberti a Verona,
|
|
cfr. A. PROSPERI, Tra Evangelismo e Controriforma. G.M. Giberti
|
|
(1495-1543), Roma 1969.
|
|
|
|
73. Cfr. A. FOSCARI, M. TAFURI, L'armonia e i conflitti cit., pp. 142-3.
|
|
|
|
74. Sull'originalità dell'enunciato teorico di Vitruvio in seno alla
|
|
cosmografia antica, si veda il saggio di L. RONCA, Gnomonica sulla sfera
|
|
ed analemma in Vitruvio, Accademia Nazionale dei Lincei, quaderno 224,
|
|
Roma 1976, in particolare alle pp. 10-1. Cfr. anche P. PORTOGHESI,
|
|
Horologiorum inventio, in ID., Infanzia delle macchine, Roma 1965, pp.
|
|
67 sgg.; J. SOUBIRAN, Vitruve: de l' Architecture, livre 1X, Paris 1969.
|
|
Sul commento del Barbaro al Ix libro di Vitruvio, cfr. la dettagliata
|
|
analisi di M. LOSITO, Il IX Libro dei Commentari vitruviani cit.
|
|
|
|
75. 1556, p. 201; 1567, p. 347.
|
|
|
|
76. BMV, Cod. Lat., CI. vili, 42=3097.
|
|
|
|
77. Claudii Ptolomaei liber de Analemmate a Federico Commandino urbinate
|
|
instauratus ... Eiusdem Federici Commandini liber de Horologiorum
|
|
descriptione, apud Paulum Manutium Aldi F., Romae
|
|
1562. Sull'importanza di tale opera di Tolomeo, cfr. L RONCA, Gnomonica
|
|
sulla sfera cit.
|
|
|
|
78. 1567; pp. 372, 377, 398. Daniele Barbaro riprende, nel suo commento,
|
|
la Cosmographia Francisci Maurolici messinensis, Venetiis, Apud haeredes
|
|
Lucae Antonii Iuntae Florentini, 1543, dedicata a Pietro Bembo. Allo
|
|
stesso Bembo, il Maurolico aveva scritto nel 1536, esponendo un piano di
|
|
rinascita delle matematiche greche, e nel febbraio 1540 su altri
|
|
argomenti scientifici. Cfr. G. SPEZI, Lettere inedite del cardinal
|
|
Pietro Bembo e di altri scrittori del secolo XVI, Roma 1862, pp. 80,
|
|
85-04.
|
|
|
|
79. D. BARBARO, Pratica della perspettiva, Venezia 1569, dedica. Anche
|
|
in tale volume il Barbaro polemizza con il fare per sola pratica,
|
|
riconoscendo il suo debito nei confronti di Giovanni Zamberto, Federico
|
|
Commandino e Baldassarre Lanci. Sulla Perspettiva del Barba ro, in
|
|
relazione all'ottica di Alhazen, al De prospectiva pingendi di Piero
|
|
della Francesca e al tema del movimento dell'occhio, cfr. TH.
|
|
FRANGENBERG, The Image and the Moving Eye, Fean Pélerin ( Viator ) to
|
|
Guidobaldo Del Monte, in "Journal of the Warburg and Courtauld
|
|
Institutes", vol. 49, 1986, pp. 150-71, in particolare alle pp. 157-8 e
|
|
162-4.
|
|
|
|
80. La corrispondenza Moleto-Pinelli conservata presso la Biblioteca
|
|
Ambrosiana di Milano è molto ricca e comprende notizie relative al
|
|
comune amico Jacopo Contarini. "Ho dato ad intendere a M. Gerardo
|
|
l'instrumento del Contarini", scrive il Moleto al Pinelli da Venezia "il
|
|
dì di S. Caterina 1 579", "mi dice che non solo ne farà che mostrino
|
|
minuti, ma anco secondi, et in diversi modi ... ma aspetto che possi
|
|
havere uno che lavori di ottone a farci l''instrumento da poterci metter
|
|
dentro le rotule..." (BAM, S 105 Sup., c. 38r). Nel 1571 (20 giugno),
|
|
Moleto scrive al Pinelli interpretando alcune definizioni di Tolomeo e
|
|
soffermandosi sul termine chorographia (S 105 Sup., c. 2770). In una
|
|
lettera in cui confronta la propria edizione di Tolomeo con quella del
|
|
Ruscelli, pesantemente criticata (A_71 Inf., c. 2r2), il Moleto scrive
|
|
anche sugli gnomoni, criticando le tesi a lui esposte per lettera dal
|
|
Sepulveda (lettera al Pinelli del 5 febbraio 1566; A 71 Inf., c. 1r0).
|
|
Un gruppo di lettere al Pinelli si riferisce al De corrigendo
|
|
ecclesiastico calendaric: "Ho inteso" egli scrive "quanto V.S. mi
|
|
discorre, et prudentemente, intorno allo stampare il libro costi [in
|
|
Alemagna], ma non si può ritornare indietro, quello ch'è stato fatto per
|
|
consiglio di diece. Hanno determinato che si stampi qui, et ch'io sia
|
|
qui insino alla fine". Nel contesto della lettera, il Moleto ricorda la
|
|
coHaborazione del Macigni, ma il 14 gennaio 1580 egli scrive: "Intorno
|
|
al mio libro sarebbe a quest'ora finito se non fosse cresciuto alquanti
|
|
fogli, spero però che con due dì dell'altra settimana si finirà. Ho
|
|
pensato di non voler valermi dell'opera del Signor Macigni, ben dimane o
|
|
l'altro scriverò a Sua Signoria con dirle che hoggimai è finito il
|
|
libro, ma non altro ... intorno al libro non voglio per hora da lui
|
|
altro" (BAM, S 105 Sup., c.5170). Sul Moleto cfr. A. FAVARO, Amici e
|
|
corrispondenti di Galileo Galilei. XL. Giuseppe Moletti, in "Atti del R.
|
|
Ist. Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 77 (1917-18), parte H1, pp.
|
|
47-118; A. CARUGO, L'insegnamento della matematica all'Università di
|
|
Padova prima e dopo Galileo, in AA.VV. Storia della cultura veneta. Il
|
|
Seicento, 4/11, Vicenza 1984, pp. 151 sgg., in particolare alle pp.
|
|
170-86.
|
|
|
|
81. Cfr. PL. ROSE, /acopo Contarini (1536-1595). A Venetian Patron and
|
|
Collector of Mathematical Instruments and Books, in "Physis", XVIII
|
|
(1976), n. 2, pp. 117-30.
|
|
|
|
82. Cfr. P.L. ROSE, A Venetian Patron and Mathematician of the Sixteenth
|
|
Century: Francesco Barozzi (1537-1604), in "Studi Veneziani", n.s.
|
|
(1977), pp. 119-78.
|
|
|
|
83. Cfr. il testo della lettera al Barbaro, da Rethimo, datata 22 agosto
|
|
1567, in P.L. ROSE, 4 Venetian Patron cit., p. 162.
|
|
|
|
84. F. BAROZZI, Cosmographia, Venezia 1585 (ma citiamo dall'edizione del
|
|
1607, in volgare): nella dedica a Francesco Maria II di Urbino sono gli
|
|
omaggi a Guidobaldo del Monte e a Federico Commandino; a c. 4r è
|
|
l'attacco a Copernico; a c. 40 la citazione del Barbaro.
|
|
|
|
85. F. BAROZZI, Admirandum illud geometricum problema. Tredecim modis
|
|
demonstratum, Venezia 1586, dedica, p. 10.
|
|
|
|
86. Cfr., al proposito, G.C. GIACOBBE, Francesco Barozzi e la “Quaestio
|
|
de certitudine mathematicarum”, in "Physis", XIV (1972), n. 4, pp.
|
|
357-74; A. CARUGO, L'insegnamento della matematica cit., PP. 153 S88.
|
|
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87. Cfr. P.L. ROSE, A Venetian Patron cit., pp. 122-3, in cui è
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trascritta la lettera di Daniele Barbaro conservata presso la
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Bibliothèque Nationale di Parigi.
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88. Cfr. al proposito M. TAFURI, Venezia e il Rinascimento cit., cap.
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VII, pp. 244-97. Si noti che fra 1 corrispondenti del matematico
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Giovanni Battista Benedetti è il figlio di Marcantonio Barbaro,
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Francesco (1546-1616), ambasciatore a Torino presso Emanuele Filiberto —
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cui il Palladio dedica il suo Quarto libro — e, poi, presso Carlo
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Emanuele I. Nel 1593 Francesco Barbaro diverrà patriarca di Aquileia e
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sosterrà la supremazia temporale e spirituale della Santa Sede nei
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confronti della Serenissima. Francesco Barbaro contesterà inoltre la
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sovranità della Repubblica sui territori friulano e cadorino del
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Patriarcato. Il Benedetti dedica a Francesco una lettera sulla "lucerna
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spirituale", ispirata all'opera di Erone. Il figlio di Marcantonio
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lascia manoscritti di argomento militare, fra cui un trattato sulla
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guerra di Cipro (BMC, ms. Cicogna 3186, cc. 43r-169v). Cfr. La scienza a
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Venezia tra Quattrocento e Cinquecento. Opere manoscritte e a stampa,
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Venezia 1985, scheda XVI.II, p. 110.
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89. Cfr. BMv, Cod. It., IV, 349=5118, cc.1r-74v (Alessandro Zorzi), e
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Cod. It. Iv, 691=5583, cc. 1r7-72r (Dialogo della Laguna, con quello che
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si ricerca per la sua lunga conservatione, composto da s.M. Antonio
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Cornaro quondam s. Zuanne, ecc.). Cfr. La scienza a Venezia cit., schede
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XV, 4 € XV, 5, pp. 105-6. Cfr. inoltre G. SAVORGNAN, Discorso sopra le
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lagune di Venezia (ASV, Secreta, Materie miste notabili, reg. 16,
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cc.360-377, parzialmente trascritto in Ambiente Scientifico veneziano
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tra Cinquecento e Seicento. Testimonianze d'archivio, a cura di M.F.
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Tiepolo, Venezia 1985, pp. 378. Sulle tematiche che dominano il
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dibattito veneziano sull'idraulica nel XVI secolo, cfr. S. ESCOBAR, //
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controllo delle acque: problemi tecnici e interessi economici, in Storia
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d' Italia Einaudi. Annali 3, Scienza e tecnica nella cultura e nella
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società dal Rinascimento a oggi, a cura di G. Micheli, Torino 1980, pp.
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85-153; S. CIRIACONO, Scrittori d'idraulica e politica delle acque, in
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Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al Concilio di
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Trento, a cura di G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, 3/11, Vicenza 1980,
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pp. 491-512. Cfr. inoltre A. MANNO, Politica e architettura militare: le
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difese di Venezia (1557-1573), in "Studi veneziani", n.s., XI (1986),
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pp. 91-137, con un'analisi dell'opera dei Savorgnan e cenni sulle
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posizioni del Barbaro e di Palladio in merito all'arte militare.
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90. Cfr. G. MICHELI, L'assimilazione della scienza greca, in Storia
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d'Italia Einaudi, Annali 3, Scienza e tecnica cit., pp. 201-57.
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